H come Hertz

di Angela Villa

Unità di misura dell’altezza del suono (simbolo Hz) indica il numero di vibrazioni acustiche per secondo, quindi la frequenza. Notoriamente, il suono di riferimento per l’accordatura degli strumenti è il la dell’ottava centrale del pianoforte, corrispondente, in epoca moderna, a un suono la cui altezza è 440 Hz. Il tedesco H.R. Hertz, che l’ha scoperta alla fine del 1800. (Fonte Wikipedia glossario musicale)


La scuola è iniziata. E con lei, è ricominciato anche il delirio burocratico. Ebbene sì, il digitale non solo non l’ha diminuito, ma per certi versi ne ha aumentato il carico. Bisogna inserire nella piattaforma del registro elettronico le attività di ogni singola ora, specificando come si è svolta la lezione così i genitori sono informati su quello che si fa in classe. E se per caso, i bambini ti portano su un’altra galassia (cosa che accade spesso, perché sono degli strateghi del dirottamento), la sera ti ritrovi al PC a riscrivere le attività realmente svolte. Certo, è risaputo che gli insegnanti fanno le ore piccole. Non per correggere i compiti o le verifiche, quella è la parte preziosa del lavoro, perché dagli errori dei bambini capisci tante cose, ma per lottare contro il sistema operativo. In questo periodo dell’anno, poi, siamo nel pieno della stagione degli acronimi, semafori di individuazione e segnalazione di bisogni specifici di apprendimento: griglie BES, PDP, NAI PEI PDP. Sigle che servono a stanare anche le minime difficoltà. E poi tocca avvisare i genitori, far firmare i documenti, e, meraviglia delle meraviglie, convincere quelli che non vogliono farlo che è per il bene dei loro figlioli, è un aiuto in più, una possibilità. Un tempo, lo facevi e basta, senza bisogno di passare dal Via (i giocatori di Monopoli, sanno di cosa sto parlando), oggi per segnalare una difficoltà devi passare sotto le forche caudine dei fogli condivisi, piattaforme online, moduli, tabelle, griglie. E, ciliegina sulla torta, comunicare le tue decisioni nelle chat di interclasse docenti a cui si sono aggiunte quelle dei presidenti di interclasse e dei referenti di commissioni. Così ti ritrovi, alle dieci di sera che vorresti solo un letto, a rispondere alla collega ansiosa che ti scrive con una valanga di avatar e faccine più o meno sorridenti: “Scusa l’ora, ma… “

La scuola è ricominciata. E, per fortuna, ci sono loro: i bambini. Appena metti piede in classe, ti accolgono con un meraviglioso: “Quando andiamo in giardino?” Oppure: “Quando in palestra? Quando in ludoteca?”. Hanno una tabella stampata con la scansione oraria precisa di ogni materia, ma il loro mantra è sempre lo stesso: “Quando andiamo?” Un’alunna mi fa notare, con aria da revisore dei conti:

– Maestra, in questa tabella non c’è scritta la parola intervallo.

– Hai perfettamente ragione! – Le rispondo, affannandomi a risanare l’errore con pennarelli e cartoncini, quando un altro alunno, un genio della pratica, mi ferma:

– Ma non serve. C’è la campanella!

Bravissimo! Ottimo in attività di discriminazione di suoni e rumori e perché no? Frequenze! La campanella, quella santa, salva tutti da interrogazioni, compiti e discussioni, e decreta il momento della piena (e contenuta) libertà. Contenuta perché i limiti esistono sempre, i rischi penali e civili sono in agguato e rappresentano una delle maggiori fonti di stress per gli insegnanti.

In giardino, vige la regola del “sì, ma…”

Si può correre sul prato, ma non sull’asfalto.

Si possono scavare buche, ma solo dove c’è la zona orto (magari eliminando le erbacce, così aiutano la collega che cura l’orto didattico).

Si possono raccogliere sassi e legnetti, ma senza lanciarli (neanche un sassolino, eh!).

Si può giocare con i gusci delle noci, ma senza tirarli come se fossimo in un campo di calcio (i fanatici del pallone sono ovunque).

A proposito di fanatici. Mi fa sempre sorridere questa conversazione che ho avuto qualche tempo fa con un mio alunno. Stavo predisponendo il gioco del Memory con la lavagna digitale. Un piccoletto simpaticissimo mi ha detto:

– Sai, maestra mio nonno gioca al bar, con le carte vere e quando sto con lui imparo tante parole nuove.

– Che bello, impari i termini del gioco?

– No. Imparo le parolacce, perché il nonno a un certo punto si arrabbia, butta le carte a terra, e dice cose…Non sa perdere!

​ Comunque anche se è pieno di pericoli, io in giardino li porto sempre, sarò amante del rischio. Ore ed ore in una classe non sono salutari per nessuno. Vedere i bambini correre felici in un prato è la migliore ricarica. Osservandoli nel gioco libero, scopri tutto quello che accade fra loro al di là delle lezioni. Scopri, ad esempio, che la prima della classe è innamorata del compagno all’ultimo banco (il più alto, quello che sta sempre in fondo), e che all’intervallo preparano insieme aerei di carta da lanciare in cielo. Aerei che, puntualmente, finiscono tra i rami degli alberi. Quindi, scopa in mano per tirarli giù, la minaccia inevitabile: “La prossima volta, niente aerei di carta!” (Tanto lo so che li faranno lo stesso…). E mentre sono al fresco, seduta ad osservarli giocare, penso alla marea di pratiche digitalizzate da preparare, alla programmazione da caricare, e a come convincere i genitori che la scuola è importante, che non esistono i corsi di calcio (“Maestra la mia mamma mi porta a calcio tre volte a settimana, perché io voglio essere Ronaldo”) che leggere ad alta voce, magari la sera prima di addormentarsi, è fondamentale, che no, non c’è nessun tutorial che sostituisce la voce dei genitori.

Mentre sto pensando a come organizzare e sopravvivere alla marea burocratica, un mio alunno, con l’ingenuità tutta dell’età, mi chiede interessato:

– Maestra, ma tu che lavoro fai?




Consiglio di ascolto Eric Satie a 432 hertz (Mozart Chopin Verdi Satie pare abbiano composizioni a 432 hertz con effetti rilassante sul cervello)
https://www.youtube.com/watch?v=tnOyxZ7Qorw

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *