Li Yu e la paura

Li Yu e la paura

di Giulio Toffoli

[Un racconto-saggio sulla paura, uscito come editoriale del n. 10 di “Poliscritture”. Li Yu è invitato a una conferenza sul tema della paura, cui interverranno un economista, uno psicologo, un capo di polizia e… l’ambulante Pai Ling. Spazio e tempo sono lasciati a voi]

Li Yu non amava i dibattiti a cui assisteva un grande pubblico. Non erano mai discussioni ma semplici esercizi retorici o nei casi migliori orazioni che avevano la finalità di convincere un uditorio per naturale sintonia portato a esprimere un facile giudizio positivo. Essere contro è arte difficile, richiede di avere la possibilità di ragionare con calma, ci vuole un clima che sia di disponibilità al confronto. Un clima raro da trovare. Nulla di tutto ciò era all’orizzonte e perciò Li Yu godeva del suo vivere ai margini da quel maelstrom che erano le usuali conferenze. D’altronde nessuno avrebbe mai pensato a lui e ciò gli consentiva di godere di uno stato di grande tranquillità d’animo.
Un giorno questa condizione di pace venne infranta da un amico che giunse a casa e disse: “Tu vivi qui nel tuo eremo, perché non esci e non ti metti un poco in gioco? Abbiamo organizzato fra qualche giorno una conferenza sul tema della paura. Oggi più che mai pare che si tratti di un argomento all’ordine del giorno. Vengono alcuni fra i più autorevoli intellettuali della provincia e alcune importanti autorità. Abbiamo organizzato tutto e si è deciso di lasciarti una finestra. Attendiamo un tuo intervento”.
Li Yu cercò in tutti i modi di districarsi e spiegare che quel giorno proprio non poteva. Non ci fu nulla da fare, dovette accettare l’invito.
Era preoccupato: non è che volevano in qualche modo metterlo in difficoltà?
Nel giorno scelto per l’incontro l’argomento della discussione era sulla bocca di tutti; ne parlavano al mercato, nei caffè, nei negozi di alimentari, perfino nelle bische clandestine. Qualcuno più superstizioso pensava che non fosse proprio una buona cosa ed aggiungeva: “Andremo a sentire, speriamo che non sia foriero di disgrazie, come se non bastasse la difficile situazione che già viviamo. Tutto aumenta, il mio genero è disoccupato e la schiena mi duole”.
Alla sera nella sala c’era un pienone come mai prima. Non si trovava un posto e sul palco erano presenti i più bei nomi della cultura. Li Yu non ci voleva proprio salire su quel palco. Che ci faceva lui con questi facitori di sentenze sempre sicuri di sé e pronti a vendere verità al metro. Solo che fu preso quasi di peso e messo a sedere, sul tavolone c’era un cavaliere con il suo nome.
Dopo l’introduzione di rito, un rinomato economista ebbe per primo la parola.
Iniziando fece notare come la difficile situazione mondiale rendesse comprensibile il senso di paura che serpeggiava fra la gente. Si mise poi a sciorinare una serie straripante di dati a cui era davvero difficile tener testa.
Concluse con le seguenti parole: “Abbiamo alle spalle una grave crisi e nulla ci rassicura che un’altra non si stia preparando. Non vi sono più certezze, perfino quelli che erano noti come i beni rifugio non sono più tali. Il nostro governo sbaglia tutto, non comprende quali sono le vere, imprescindibili emergenze che bisognerebbe affrontare. Se fossi io al loro posto inizierei a tagliare in settori che sono del tutto superflui, inutile spiegare ad una platea così attenta quali sono, ed interverrei in quelli che porterebbero aprire le porte a una nuova fase di serenità e fiducia. Sarebbe facile, ma loro proprio non sono all’altezza… È necessario un cambiamento di rotta e la mia Fondazione, che ha realizzato degli studi sull’argomento ha dato indicazioni chiare sulla via da intraprendere…”.
Li Yu si attendeva che qualcuno si alzasse e chiedesse quali erano le ricette che avrebbero modificato la situazione di crisi in modo così prodigioso ma nessuno ebbe il coraggio di farlo. Intervenne allora uno psicologo che sottolineò come la paura per la situazione materiale, non fosse che un aspetto marginale del problema che si stava affrontando. Aggiunse allora con fare profondo e preoccupato: “La vera tragedia è la paura che viene istillata in noi dal crescente senso di disagio dovuto alla caduta delle strutture psicologiche e sociali che hanno retto la storia stessa dell’umanità per intere epoche come la famiglia, la comunità o lo stato sociale. Si tratta di una situazione emotiva difficile da maneggiare. Lo verifico ogni giorno nel mio lavoro. Come leggere altrimenti quelle reazioni di incertezza, dubbio, sfiducia di sé che si esprimono nella rottura dei rapporti umani, in forme particolarmente odiose di violenza, nella scomparsa dei veri valori dell’umanesimo integrale di cui siamo eredi? Signori, inutile che ce lo nascondiamo, cresce ogni giorno fra noi un senso di angoscia talmente profondo che solo l’attività analitica può intervenire a lenire. Lo Stato dovrebbe creare una struttura di servizi ad ampio raggio capace di intervenire in tutti i casi in cui è necessario. Io potrei certo dare i consigli necessari ponendo al servizio della comunità la mia rodata esperienza…”.
Il successivo breve intervento fu quello del capo della polizia che sottolineò, dati alla mano, come si fosse verificata nell’ultimo periodo una pericolosa forbice fra la riduzione delle spese per il controllo del territorio e l’aumento dei fenomeni di delinquenza. “Ciò che è stato detto fin ora non aggredisce il problema che siamo qui chiamati ad affrontare, sono solo pannicelli caldi”. Poi aggiunse scandendo le parole con fare militare. “Solo con una presenza efficace di uomini sul territorio, di guardie di quartiere, di strumenti di controllo, di dispositivi di prevenzione, di congegni che consentano di verificare le identità dei delinquenti e perfino che permettano di comprendere ciò che il soggetto pensa di fare ma non ha ancora compiuto, noi saremo all’altezza del nobile compito che ci è stato affidato. Solo così potremo sconfiggere la delinquenza e dare serenità alla comunità”.
In sintonia con questo intervento prese la parola un omuncolo, seduto al capo opposto del tavolo, che si scoprì essere un militare esperto in strategie di lotta convenzionale e non. Alzandosi impettito aggiunse: “Ha proprio ragione il collega. L’unico modo per sconfiggere la paura che serpeggia fra noi è debellare il nemico. Visto che di nemici ce ne saranno sempre dobbiamo riconoscere che aveva proprio ragione quel grande dirigente politico, di uno stato che dovremo sempre prendere a modello, quando lanciò quella che chiamò, con lungimirante preveggenza, la “guerra infinita” contro il male. Si levarono contro di lui le solite voci dei sovversivi impegnati a compiere la loro opera di disinformazione e di corruzione dei nostri valori. Dobbiamo impedire che ciò continui. Dobbiamo rilanciare quei principi di nazione, civiltà e identità di popolo che troppi agitatori tentano di mettere in discussione. Inoltre per combattere questa guerra “santa” ci vogliono soldi e armi. Solo così potremo garantire pace e tranquillità”.
Li Yu, mentre l’oratore parlava, si accorse che portava un paio di occhiali neri e guanti di pelle che non deponevano certo a suo favore.
Il pubblico sembrava sempre più preoccupato, forse se ne rese conto perfino un laureato accademico che, evidentemente per i suoi meriti, era seduto al centro del palco. Iniziò il suo intervento cercando di distendere gli animi e facendo notare che la situazione non era poi così grave. Certo le molte paure che erano state evocate erano vere ma c’era qualche cosa di più. Tutti si attendevano, a questo punto, una parola di sollievo. Invece iniziò ad enumerare una serie quasi infinita di responsabilità dell’Uomo, colpevole, a suo dire, di ogni nequizia ed aggiunse che ciò che succedeva non era che l’espressione, in forma estremamente blanda, di una giusta punizione. Era ciò che il genere umano meritava per l’indelebile colpa originaria di cui si era macchiato. Concluse il suo intervento ricordando ciò che aveva detto, con tono profetico, il suo grande maestro: “Solo un Dio ci salverà”.
Nessuno ebbe il coraggio di sollevarsi e chiedere quali fossero poi queste colpe dell’Uomo di cui aveva tanto parlato e neppure quale fra i numerosi dei che venivano onorati nel paese fosse quello deputato a tanto sforzo.
La sala era depressa e talmente soffocata che non c’era neppure qualcuno che avesse la forza di alzarsi e andarsene.
Una giovane simpatica e piena di vitalità, con un viso luminoso, intervenne allora ponendo al centro del suo discorso il problema politico. La forza delle sue argomentazioni e la convinzione della parola diedero una scossa positiva agli astanti. Iniziò cercando di sottolineare come il disagio e la paura non fossero che l’espressione di una crescente sfiducia nei confronti delle strutture dello stato. Allargò il suo discorso affermando che solo una nuova speranza poteva liberare la comunità. Si trattava di ragionare in un’ottica diversa facendo della politica un luogo di partecipazione vera dal basso e non di esclusione. Concluse con un accorato: “Abbiamo a che fare con una classe dirigente vecchia, corrotta, una gerontocrazia diventata una oligarchia impenetrabile che ci toglie ogni speranza. Solo sostituendola con forze nuove sarà possibile creare una prospettiva di reale rinnovamento e solo allora la paura cadrà sostituita da una ragionevole fiducia nel domani”.
Mentre chiudeva il suo intervento Li Yu ebbe un sussulto. Si rese conto che quello che si era presentato come il capo della polizia aveva iniziato a prendere delle note. Era un gesto che lo preoccupava.
Era il suo turno, si sollevò e dopo aver guardato un attimo il pubblico disse: “Cosa dire dopo un’analisi così articolata, esposta da voci tanto autorevoli. Sarebbe davvero difficile aggiungere altro.

Inoltre sono anch’io convinto che «questo sia un mondo che ti logora di dentro e non è facile andarci contro». Perciò cercherò di usare un’altra strategia più semplice per tentare di leggere il tema che mi è stato proposto.
Molto tempo fa, a molte migliaia da qui, svolgeva il suo normale lavoro di ambulante l’onorevole Pai Ling che si muoveva a piedi portando sulle spalle il suo fardello seguito dal suo asinello. Andava per valli, montagne, campagne e deserti ed era conosciuto da tutti. Era anche amato perché faceva prezzi onesti, nessuno lo temeva ed anche lui era sicuro di muoversi senza correre gravi pericoli.
Un giorno sbagliò strada e giunse in una landa che non aveva mai percorso prima. In lontananza vide un villaggio e decise di andare anche presso quella comunità ad offrire le sue merci. Giunto davanti a quelle casupole fu accolto con estrema cortesia. Si mise nella piazza del villaggio espose i suoi prodotti e fece dei buoni affari. Nei mesi successivi tornò qualche volta da loro e fu sempre un viaggio vantaggioso.
Infine un giorno d’inverno, il tempo non era dei migliori, nevicava, era arrivato alla fine del suo peregrinare proprio lì. Era stanco e infreddolito. I suoi amici se ne accorsero ed allora, invece che lasciarlo ripartire subito, lo invitarono a restare per la notte. Fu accolto nell’abitazione del capo del villaggio e qui iniziarono a parlare di fronte a una calda ciotola di the.
Pai Ling dopo essersi ristorato e riscaldato chiese: “Non avete paura che le nuove merci che io vi porto sconvolgano i ritmi della vostra vita? Voi siete ampiamente autosufficienti, così invece sarete sottoposti alla logica del mercato”.
La risposta dell’ospite fu disarmante: “Perché dovremmo avere paura di ciò che può essere utile per rendere più facile e gradevole la nostra vita? Anzi da quando ti abbiamo conosciuto siamo molto più felici. Le donne possono lavorare in modo meno duro. L’ago di acciaio è infinitamente meglio di quelli tradizionali. Anche gli strumenti in ferro per lavorare la terra sono migliori di quelli che si usavano prima. E i tessuti? Forse un poco meno belli, un poco cari, ma apprezzabili per la loro varietà e finezza. Poi le perline che ci porti sono davvero sfiziose”. Allora l’ambulante cercò di spostare l’accento del suo discorso: “Noi in città abbiamo una polizia che controlla ogni nostro passo per evitare violenze di sangue, furti e ogni altro atto malvagio. Come fate a impedire che il male penetri fra voi e con esso la paura?”.
L’interlocutore si mise a ridere: “Siete davvero infelici. Come si può avere paura di un proprio vicino. Qui si
vive tutti legati da un forte vincolo di solidarietà. Non vi sono ricchezze che possano fare particolarmente gola e di atti violenti, che possono pur verificarsi, non abbiamo memoria da molto tempo. Fra di noi vige un’ampia libertà, anche le giovani sono libere di scegliere il loro sposo e nessuno è proprietà di un altro. Ogni nostro rapporto è fondato su una mutua scelta. I casi di divergenze, che non ti nascondo ci sono, vengono portati alla mia attenzione e cerco di risolverli alla meglio. Pare che io sia un buon capo proprio perché non mi pongo un gradino sopra di loro per un potere che non ho ma per l’autorevolezza della parola che mi viene riconosciuta, e così tutto scorre. Mi dispiace per voi, dovete essere proprio infelici”.
“Ma non avete paura della crisi dei vostri valori? In fondo io sono l’avanguardia di un nuovo mondo che può sconvolgere la vostra vita”.
“Come potremo impedire che l’acqua dalla sorgente qui vicino vada verso il mare? Certo il rischio che tu mi presenti è reale. Dovremmo forse essere infelici per questo? Viviamo pienamente il presente basandoci sui valori che conosciamo, quando ne troveremo di nuovi cercheremo di valutarli e confrontarli con quelli a cui siamo abituati. Se saranno migliori perché non cambiare? Si tratta dello stesso discorso che abbiamo fatto per le vostre merci. Non abbiamo paura della vostra tecnica, forse della vostra avidità ma questo è un altro discorso”.
“No – interloquì l’ambulante – è la stessa cosa. Fra poco arriveranno dei cerchietti di metallo come questi che sconvolgeranno la vostra vita”.
Il capo villaggio ne prese uno fra le mani e lo guardò con un misto di curiosità e paura. “Sì questo mi piace poco. So che qualcuno ne ha parlato con saggezza, un grande sapiente li ha paragonati allo sterco che tutto insozza. Non so cosa dirti… attendiamo!”.
Sembrava volesse meditare ma Pai Ling era deciso a giocare le sue carte fino in fondo, lucrando sul vantaggio che gli sembrava di aver acquisito, ed aggiunse: “Assieme alla moneta, così si chiama quel pezzo di metallo che hai fra le mani, verrà la guerra”.
“Quella già la conosciamo e non la temiamo. Ci basiamo sul detto dei nostri grandi maestri: «Quale combattimento può giudicarsi vantaggioso se apre ferite da ambo le parti?» Speriamo che il buon senso continui a guidare le nostre azioni e quelle dei nostri nemici. Altrimenti cercheremo di affrontarli”. L’ambulante scuoteva la testa: “Tu non capisci, qui si parla di fenomeni grandiosi. Generali alla guida di eserciti costituiti da miriadi di uomini, armati pesantemente come neppure puoi immaginarti”.
“Allora – disse l’ospite col chiaro intento di concludere il discorso – che senso ha temere l’imponderabile? Possiamo forse opporci a un terremoto, a una alluvione distruttiva, a una terribile esplosione vulcanica? No. Ho sentito parlare di intere comunità cancellate dalla terra in pochi attimi da spaventose lingue di fuoco. È la vita stessa, la nostra realtà materiale limitata, che ci impone di accettare dei confini alla possibilità di avere ragione di ciò che non possiamo in nessun modo prevedere. Lotteremo se sarà il caso sperando che la buona causa prevalga. Noi siamo convinti però che vivere per avere in ogni momento paura sia solo un non senso”.
Il giorno dopo il tempo era migliorato e Pai Ling ripartì per continuare i suoi commerci. Questi incontri continuarono per anni fino a che ormai vecchissimo l’ambulante fu costretto dalla salute malferma ad abbandonare il suo lavoro. Uno fra gli ultimi villaggi che visitò fu proprio quello che più aveva amato. Anche il capo villaggio era diventato debole e aveva lasciato a un altro il suo lavoro. Ogni tanto lo chiamavano per sentire il suo parere e si basavano sulla sua esperienza ma anche quelle occasioni si stavano facendo sempre più rade. Il villaggio continuava a vivere e a modificare i suoi costumi secondo i ritmi imposti dai nuovi tempi.
Nel loro ultimo colloquio fu l’ospite che chiese a Pai Ling come andassero le cose in città e si sentì rispondere: “Sempre peggio. La paura è evocata dal potere politico per condizionare la vita del popolo ed è sfruttata dal mercato per schiavizzare il popolo. Perfino la cultura usa la paura per generare disagio e gli intellettuali ci sguazzano elaborando sempre più astruse teorie che servono per mantenere il popolo in una condizione di immaturità, tradendo quella che avrebbe dovuto essere la loro missione. Pochi sono quelli che cercano di reagire. Ma la loro capacità di incidere sulle opinioni delle plebi è quasi nulla”.
Finito di bere il rituale the, l’ambulante abbracciò forte il suo amico poi prese le corregge del suo somarello e si avviò verso casa. Sentiva che quella era l’ultima volta che avrebbe visto quel villaggio.
Sul letto di morte Pai Ling mi lasciò un resoconto delle sue esperienze. Concludeva le righe in cui aveva narrato la sua vita scrivendo, con una grafia malferma di chi non aveva mai imparato davvero la difficile arte dello scrivere, queste parole: “Se il singolo non si sente motivato ad essere membro della totalità, come può la società procedere in armonia? Come può non serpeggiare la paura? In questa comunità la paura sarà sempre presente come le onde del mare e qualche volta come uno tsunami l’acqua sommergerà tutto. Lì, in quel piccolo villaggio, invece regnava l’armonia e la felicità. Non c’era ingordigia, violenza, odio, paura, repressione. Andare da loro, anche per poche ore, era rigenerante. Bisognerebbe imparare da quella gente. Si tratta solo di avviarsi sulla via di una vera libertà, svincolata da egoismi e da logiche di sopraffazione. L’unica cosa che davvero ci manca è la volontà, è il desiderio di guardare oltre il semplice orticello dei nostri interessi privati”.
L’ultima riga era particolarmente tormentata e difficile da decifrare, dopo un certo tempo sono riuscito a leggerla: “Credetemi, ho visto con i miei occhi una comunità dove non era presente la paura. Mi direte che è difficile da realizzare, vi rispondo: «È meno difficile di quel che sembra». Iniziate a incamminarvi per quella strada…”.
Il pubblico si alzò rivolgendo a Li Yu una vera e propria ovazione. Mentre si sedeva vide che il funzionario di polizia prendeva ancora appunti. Era felice, voleva dire che aveva colto nel segno.

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