Archivi categoria: SAMIZDAT

critiche, dissensi, piraterie

Se un giorno si dovesse tornare a ragionare…

Tre spunti


a cura di Ennio Abate

1.
“Viene da questo utilizzo gretto della causa palestinese nella lotta decoloniale la denuncia di “genocidio” divenuta ormai marchio e contrassegno. Mentre i contorni giuridici sono tutt’altro che chiari, il perverso uso politico di questo termine fa con un colpo di bacchetta dei genocidati di ieri i genocidari di oggi. Perciò mi sono sempre rifiutata di utilizzarlo – anche a costo di essere fraintesa. Lo hanno evitato i sopravvissuti della Shoah. Avrebbe dovuto farlo anche chi ha voce nel dibattito pubblico. Le parole sono importanti. Ma ciò non cambia né l’entità di un massacro inaudito compiuto dallo Stato di Israele né l’onta gettata sui discendenti di coloro che sono morti nei campi.” (Donatella Di Cesare)

2.
“Abbiamo una tale documentazione di prove che davvero lascia annicchiliti per ferocia, per brutalità, e perfino per sadismo, ma che trova conferma nelle dichiarazioni di Israele, che non solo minaccia come un ganster le istituzioni internazionali, ma in pieno delirio di onnipotenza lo rivendica, con discorsi che tutti saremmo in grado di riconoscere, se solo arrivassero puntuali alla nostra informazione. La distruzione sistematica e voluta di ogni presidio medico, l’assedio attraverso la fame, la sete, la privazione di medicine fino a negare ingresso a latte in polvere e incubatrici, i cori nazionalisti che invocano lo sterminio, i bombardamenti indiscriminati su quartieri residenziali, il bombardamento di corridoi umanitari concordati, l’incendio a tende con sfollati dentro, il massacro di civili in attesa di farina, gli spari su bambini in fila per il pane, le esecuzioni sommarie su bambini e vecchi, l’accanimento sui prigionieri e financo sui cadaveri, cosa impedisce a questa sinistra, anche a quella che ha strumenti culturali e fonti cui accedere, di vedere?” (Simona Borioni)

3.
I lupi

Quando ululano i lupi e ti domandi
perché sei vissuto e se ancora sei al mondo
ormai solo per passare la notte
presso gli esseri che tentarono
uicidio ma a cui il proposito
non riuscì, quando tutto è congettura, seduzione,
addirittura fede che ancora
possa esserci di peggio e molto ancora –
obbliga te stesso,
 morto,
al testimoniante ascolto
di come ululano i lupi…

(da Vladimir Holan, Il poeta murato)

 

E già i poeti in tempi di guerra…

di Ennio Abate

“Raimondi tende, forse da sempre, a spostare la propria attenzione  dall’antagonismo etico-politico alla conciliazione etico-morale, cioè al piano dell’esistenza in cui è ancora possibile o almeno sperabile costruire una forma di armoniosa condivisione. ” (Pusterla)

E già, I poeti in tempi di guerra dell’antagonismo etico-politico se ne sbarazzano volentieri, senza rimorsi. E, come preti – ah, la “sporca religione dei poeti”! – mirano alla conciliazione etico-morale. Si perdonano, ma saranno perdonati? Temo e spero di no. Anche perché fingono di non sapere che è impossibile costruire questa benedetta “forma di armoniosa condivisione” esclusivamente sul “piano dell’esistenza”. A meno di non contentarsi di coltivare il proprio giardino poetico-esistenziale-quotidiano (se lo hai) disinteressandosi a fatti come questi: ” I cadaveri attirano branchi di cani che vengono a mangiarli. A Gaza la gente sa che dovunque veda dei cani è meglio non andare”.

*Mio commento a Su “L’Atalante” di Stefano Raimondi: https://www.leparoleelecose.it/?p=50648

Il nostro Natale. Il loro non Natale


Oppressori e sfruttatori (in Occidente, quasi tutti; differenziati solo dal grado di potere che ne deriviamo) con la non-libertà di altri uomini si pagano l’illusione di poter scegliere e regolare la propria individuale esistenza.[…]. Oppressi e sfruttati (e tutti, in qualche misura, lo siamo; differenziati solo dal grado di impotenza che ne deriviamo) vivono inguaribilità e miseria di una vita incontrollabile, dissolta ora nella precarietà e nella paura della morte ora nella insensatezza e non-libertà della produzione e dei consumi.

(Franco Fortini, Comunismo, 1989)

BUON NATALE, ITALIANI!

di Samizdat

Fatevi i vostri presepi italianissimi!
Accendetevi l’albero di Natale con la magica danza degli unicorni luminosi!
Abbuffatevi, strafogatevi nei vostri cenoni!
Dal fondo del mar Mediterraneo noi rispettosamente vi salutiamo.
Grazie per le guerre, le torture in Libia, i centri di accoglienza per cani in Albania, la chiusura delle frontiere che ci continuate a regalare.

https://itacanotizie.it/2024/12/11/11-anni-sbarca-lampedusa/

Una bambina è arrivata tutta sola dalle coste della Tunisia, su un barchino, a Lampedusa. Ha appena 11 anni ed è stata tratta in salvo dai soccorritori. La piccola, partita da Sfax, sembra sia di origine della Sierra Leone. Ma su quella barca non era da sola

Sempre di moda la lagna generazionale?

di Ennio Abate

Mio commento a Massimo Morasso, Poeti italiani nati negli anni ’60 di Francesco Napoli  (qui)

Me la volete spiegare questa «consapevolezza di essere generazione»? Cosa significa? Quanto mai una generazione non ha tratti simili e altri differenti da quelle precedenti? Quanto mai si può illudere di avere una identità tutta sua e soltanto“generazionale”? A leggere l’articolo di Morasso, oltre alla solita lagna (“nuova generazione perduta”, “generazione mancata”), non accompagnata daalcuna onesta spiegazione sul perché essa sia “perduta” o “mancata”, vedo soltanto la solita accusa generica – ai “padri” o ai “fratelli” maggiori? – perché sarebbe stata – in blocco? come singoli/e? – ”occultata […] fra le pieghe meno esposte del sistema cultural-aziendalista che ha forze economiche e mediatiche “), su cui da decenniparecchi s’intrattengono per consolarsi e smaltire la propria bile pensando di essere “critici”. E mi volete spiegare perché, secondo voi, “gli anni ’60 siano stati un giro di boa tra un mondo vecchio e un mondo nuovo”? Quale sarebbe per voi il “mondo vecchio”, quale il “mondo nuovo”? No, cari non miei e non mie amici/amiche, la vostra “colpa” non è quella di non essere riusciti – come sfacciatamente confessa Morasso -a farvi “lobby degna di rispetto” [1], che a me pare quasi un’apologia dei metodi mafioso-letterari vigenti nelle università e nelle “Grandi” Case Editrici (ma anche in molte delle “piccole”). Né dovete prendervela con un generico destino peressere incappati “in una sorta di faglia epocale sfortunata”. La vostra vera colpa – questa è la mia opinione – è di aver messo a servizio “ carattere, personalità e giusta ambizione” in progetti minuscoli, rigorosamente impolitici/apolitici (“qui non si fa politica!”), fingendo di non vedere che cosa accadeva o accadenella realtà sociale di questo Paese (e nel Mondo) o di non sapere cosa sia accaduto negli anni ‘70 del Novecento. Masoprattutto di aver rimosso, di non aver voluto ragionarci su [2], continuandoa gingillarvi sui vostri blog e pagine FB con la “Poesia Pura” senza riconoscere mai la Crisi della Poesia (e del Mondo in cui boccheggiamo tutti/e) .

Note [1]

“quel “contar poco” è anche l’effetto di una loro colpa consiste nel non essere stati in grado di costruire una societas generazionale e, di conseguenza, di non essere stati capaci di stringersi “a coorte” e immaginare almeno l’aura del fantasma di una “opera comune”, spalleggiandosi l’un l’altro, come accade in ogni lobby degna di rispetto”.

[2] Cfr. https://moltinpoesia.blogspot.com/2024/06/i-poeti-in-tempo-di-guerra-non-pensano.html

Esame di realtà


NE’ CON NETANYAHU NE’ CON HAMAS
di Ennio Abate
«Chi ai nostri giorni voglia combattere la menzogna e l'ignoranza e scrivere la verità, deve superare almeno cinque difficoltà. Deve avere il coraggio di scrivere la verità, benché essa venga ovunque soffocata; l'accortezza di riconoscerla, benché venga ovunque travisata; l'arte di renderla maneggevole come un'arma; l'avvedutezza di saper scegliere coloro nelle cui mani essa diventa efficace; l'astuzia di divulgarla fra questi ultimi»

                                                         (B. Brecht, Cinque difficoltà per chi scrive la verità)
Il problema è che nessuno di quanti oggi si pronunciano sul conflitto in corso da tempo in Medio Oriente – e lo può fare, come noi, soltanto usando parole  che arrivano al massimo a cerchie ristrette di persone – è in grado di fermare i contendenti. Né esiste una forza politica capace di prospettare una soluzione politica “equa” (e cioè che escluda l’eliminazione o la sottomissione di Israele o quella dei palestinesi).
Bisognerebbe costruirla (o ricostruirla).

Anche se fosse mosso dalle migliori intenzioni (dire la “verità”, aiutare le vittime, combattere le ingiustizie, arrivare alla pace o ad una “soluzione”), non contribuisce a questo compito chi:
– si schiera apertamente con l’uno o l’altro dei contendenti e riecheggia le loro propagande senza controllarle;
– tratta tutte le posizioni non schierate come se invece lo fossero;
– occulta o semplifica la complessità dei problemi.

Una lettera del 2001 a Renato Solmi


Riordinadiario 2001/ Lavorando a “Il professor Franco Fortini”

di Ennio Abate

La lettura di “Allora comincerò…”, di cui sto dando un resoconto a puntate,  mi ha rimandato a persone e temi riguardanti il ’68, la scuola e la mia stessa esperienza di insegnante nelle secondarie superiori. E, perciò,  ho deciso di affiancare al  discorso  che sto facendo su “Il professor Franco Fortini” alcuni documenti che mi sembrano ad esso complementari. Comincio da questi due, presi dal materiale del mio (purtroppo breve) carteggio con Renato Solmi: una mia lettera a lui del 16/22 febbraio 2001 e, in Appendice, la sua risposta del 24 febbraio 2001.
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Perché “Poliscritture Colognom”

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di Ennio Abate

In anni passati il tema della città riuscivo a esplorarlo con passione. Non per interessi professionali – non sono architetto, urbanista o sociologo o storico locale – ma politici.
Eravamo giovani, quasi tutti immigrati. E ci eravamo incontrati e organizzati, nel 1969, in un Gruppo Operai e Studenti di Cologno Monzese. Per anni tessemmo rapporti coi suoi abitanti, immigrati quasi tutti anche loro: operai di piccole fabbriche, donne e ragazzi dei quartieri, studenti delle superiori o di università.
Conobbi allora anche Danilo Montaldi, l’autore di Milano, Corea. Inchiesta sugli immigrati. Anzi, essendogli arrivato chissà come  tra le mani un nostro volantino, venne lui stesso a  cercarci a Cologno.
Nella postfazione alla nuova edizione del suo libro (1975) parlò anche di noi, “i giovani scattati col ’68-69”, e  fece  un ritratto secco, realistico, della città di allora  in drammatica trasformazione.  Lo ricopio: Continua la lettura di Perché “Poliscritture Colognom”