di Ennio Abate
1. Su “Rifiuto del trauma” di Sergio Benvenuto
https://www.leparoleelecose.it/?p=51448 Continua la lettura di Due commenti al volo
di Ennio Abate
1. Su “Rifiuto del trauma” di Sergio Benvenuto
https://www.leparoleelecose.it/?p=51448 Continua la lettura di Due commenti al volo
Due minimi suggerimenti per ricominciare a pensare fuori dalla retorica festaiola un 25 aprile da subito monumentalizzato o sfregiato o edulcorato. Continua la lettura di Alla ricerca del 25 aprile perduto
di Ennio Abate
MIO COMMENTO AD UN ARTICOLO DI LE PAROLE LE COSE (QUI)
“La poesia come atto di resistenza. La forza delle parole come tentativo di salvezza. “
Ma ci credete? E dove stanno le nostre poesie come “atto di resistenza” da mettere accanto a queste? O gli articoli di riflessione sul 7 ottobre e sui massacri israeliani che da allora si sono moltiplicati (o sono proseguiti)? Questo articolo mi sembra un tardivo e ipocrita obolo agli agonizzanti abitanti di Gaza ( “Per ogni copia venduta Fazi Editore donerà 5 euro ad Emergency per le sue attività di assistenza sanitaria nella Striscia di Gaza”) gettato loro passando di corsa, senza guardare in faccia né questi sconosciuti “dieci autori palestinesi” né quelli di cui parlano nei loro poveri versi. E continuando a tacere sullo scandaloso silenzio della maggior parte dei politici e dei nostri concittadini italiani sul massacro dei palestinesi da parte dei soldati israeliani che da mesi li rastrellano e li ammazzano.
1986/2025. SERVI VOLONTARI CRESCONO (E SFOTTONO)
Riordinadiario 2025
di Ennio Abate Continua la lettura di Su due recenti incontri antimilitaristi a Cologno Monzese e a Milano
Ma concretamente cosa possiamo fare per fermare tutto questo?
E tornare ad imparare come si organizzarono i nostri antenati che si opposero al fascismo.
(Sulla pagina FB di Doriana Goracci)
P.s.
SEGNALAZIONE
Il disagio come un sussurro
Stralcio:
Parlo, invece, di una responsabilità collettiva e corale del giornalismo italiano. Lo stesso che non scende in piazza, non fa sciopero, non si rifiuta di continuare a lavorare quando in un posto di meno di 400 km quadrati, in un anno e mezzo, vengono presi a bersaglio i giornalisti palestinesi di Gaza e ne vengono uccisi 208 (numeri del 24 marzo 2025). 208 giornaliste e giornalisti palestinesi di Gaza uccisi dalle forze armate israeliane in massima parte perché prese a bersaglio. Niente a che vedere con la seconda guerra mondiale o con il Vietnam: il paragone non regge, non solo per l’infima misura in chilometri quadrati di Gaza rispetto al Vietnam o all’intero mondo. Non regge perché a Gaza sono stati in massima parte presi a bersaglio. Erano e solo gli unici a mostrare la mattanza, il massacro, la strage, il genocidio, i crimini di guerra e contro l’umanità. Senza immagini e senza voci, il genocidio non si vedrebbe. E noi, noi ‘giornalisti internazionali’, forti della nostra presunta credibilità – bianca e occidentale – non ci possiamo entrare, a Gaza. Le autorità israeliane non ci fanno entrare, a Gaza.
La responsabilità collettiva e corale del giornalismo italiano, però, può esprimersi anche senza andare a Gaza. Ci sono le testimonianze dei nostri colleghi palestinesi. Ci sono le interviste da fare, a distanza. Basta conoscere Gaza. Conoscere la terra. E intuiremmo cosa sta succedendo, in una terra distrutta, tutta distrutta.
Ed è qui il secondo ostacolo, che va dritto alla questione delle parole, del linguaggio impreciso che si usa non dal 7 ottobre, ma da 20 anni. Sono 20 anni, almeno, che non si affronta sui giornali la questione israeliano-palestinese (non è un conflitto, maledizione, non c’è nessuna possibile equiparazione tra i due “contendenti”, non è un duello, non è la guerra tra 2 stati ognuno dei quali detiene il monopolio dell’uso della forza). La questione israeliano-palestinese è stata considerata periferica, l’idea che Israele l’avesse vinta è stata pervasiva, e ancor più pervasiva la diffusione di un pensiero unico (i palestinesi non vogliono la pace, sbagliano tutto, sono terroristi, Israele è il simbolo della modernità, Tel Aviv è la modernità, Israele è l’unica democrazia del Medio oriente).
di Ennio Abate
@ Loredana Lipperini
certo che essere turbati
dagli articoli di Scurati
a favore della guerra
vuol dire terra terra:
come li abbiamo dimenticati
i nostri antenati incarcerati
perché rivoluzionari coraggiosi
e non scrittorucoli famosi!
a cura di Ennio Abate
1.
“Viene da questo utilizzo gretto della causa palestinese nella lotta decoloniale la denuncia di “genocidio” divenuta ormai marchio e contrassegno. Mentre i contorni giuridici sono tutt’altro che chiari, il perverso uso politico di questo termine fa con un colpo di bacchetta dei genocidati di ieri i genocidari di oggi. Perciò mi sono sempre rifiutata di utilizzarlo – anche a costo di essere fraintesa. Lo hanno evitato i sopravvissuti della Shoah. Avrebbe dovuto farlo anche chi ha voce nel dibattito pubblico. Le parole sono importanti. Ma ciò non cambia né l’entità di un massacro inaudito compiuto dallo Stato di Israele né l’onta gettata sui discendenti di coloro che sono morti nei campi.” (Donatella Di Cesare)
2.
“Abbiamo una tale documentazione di prove che davvero lascia annicchiliti per ferocia, per brutalità, e perfino per sadismo, ma che trova conferma nelle dichiarazioni di Israele, che non solo minaccia come un ganster le istituzioni internazionali, ma in pieno delirio di onnipotenza lo rivendica, con discorsi che tutti saremmo in grado di riconoscere, se solo arrivassero puntuali alla nostra informazione. La distruzione sistematica e voluta di ogni presidio medico, l’assedio attraverso la fame, la sete, la privazione di medicine fino a negare ingresso a latte in polvere e incubatrici, i cori nazionalisti che invocano lo sterminio, i bombardamenti indiscriminati su quartieri residenziali, il bombardamento di corridoi umanitari concordati, l’incendio a tende con sfollati dentro, il massacro di civili in attesa di farina, gli spari su bambini in fila per il pane, le esecuzioni sommarie su bambini e vecchi, l’accanimento sui prigionieri e financo sui cadaveri, cosa impedisce a questa sinistra, anche a quella che ha strumenti culturali e fonti cui accedere, di vedere?” (Simona Borioni)
3.
I lupi
Quando ululano i lupi e ti domandi
perché sei vissuto e se ancora sei al mondo
ormai solo per passare la notte
presso gli esseri che tentarono
uicidio ma a cui il proposito
non riuscì, quando tutto è congettura, seduzione,
addirittura fede che ancora
possa esserci di peggio e molto ancora –
obbliga te stesso, morto,
al testimoniante ascolto
di come ululano i lupi…
(da Vladimir Holan, Il poeta murato)
di Ennio Abate
“Raimondi tende, forse da sempre, a spostare la propria attenzione dall’antagonismo etico-politico alla conciliazione etico-morale, cioè al piano dell’esistenza in cui è ancora possibile o almeno sperabile costruire una forma di armoniosa condivisione. ” (Pusterla)
E già, I poeti in tempi di guerra dell’antagonismo etico-politico se ne sbarazzano volentieri, senza rimorsi. E, come preti – ah, la “sporca religione dei poeti”! – mirano alla conciliazione etico-morale. Si perdonano, ma saranno perdonati? Temo e spero di no. Anche perché fingono di non sapere che è impossibile costruire questa benedetta “forma di armoniosa condivisione” esclusivamente sul “piano dell’esistenza”. A meno di non contentarsi di coltivare il proprio giardino poetico-esistenziale-quotidiano (se lo hai) disinteressandosi a fatti come questi: ” I cadaveri attirano branchi di cani che vengono a mangiarli. A Gaza la gente sa che dovunque veda dei cani è meglio non andare”.
*Mio commento a Su “L’Atalante” di Stefano Raimondi: https://www.leparoleelecose.it/?p=50648