2034 ???

renzi

di Paolo Pagani

[Durerà fino al 2034? Un altro ventennio dopo quello berlusconiano? Pubblicando questo intervento di Paolo Pagani chiaramente critico nei confronti del “giovane che avanza”, diamo spazio – come sostiene Mauro Piras su LE PAROLE E LE COSE scrivendo un articolo che è agli antipodi di questo e intitolandolo sornionamente  «Perché Renzi è di sinistra» (qui) – solo agli «incontentabili di sinistra» che «resteranno ai margini a fare la loro eroica testimonianza»? Proviamo a ragionarci. (E.A.)]

Devo ammettere di avere inteso in maniera superficiale, o ristretta, il fenomeno Renzi ed il renzismo. L’ho inizialmente preso per un semplice cialtrone, un guitto dell’ambiente di twitter, un ambizioso arrampicatore con metodi più o meno berlusconiani, un furbo parvenu che sfruttava le ambiguità, le ipocrisie e la burocrazia di partito del PD per costruire un potere personale. Come tanti homines novi della storia, dai tempi di Cicerone a quelli del totalitarismo.

Mi devo ora ricredere. Renzi costituisce un fenomeno molto più grave e pericoloso di quel che sembrasse a prima vista. Una mutazione “genetica” ben più profonda di quel che fosse il craxismo per Berlinguer. In altri termini, Renzi non è il sintomo di una tradizionale arretratezza etico-culturale italiana, come appunto potevano essere Craxi o Berlusconi, o le vecchie gerontocrazie postcomuniste. Renzi è il segnale della punta estrema della malattia della modernità, di quella deriva antropologica che ci sta sottilmente pervadendo (prova ne sia il consenso – forse effimero ? – con cui sta abbagliando l’opinione pubblica): una volta tanto, l’Italia non insegue, è all’avanguardia dei tempi!

Provo a schematizzare le forme culturali tipiche che si riassumono nella figura di Renzi, gli stereotipi ed i cliché etico-comportamentali che il renzismo porta pienamente alla luce e sintetizza. Sia ben chiaro, non è che compaiono solo in lui, né per la prima volta. Li troviamo sparsi in molte modalità contemporanee, politiche, giornalistiche, mass-mediatiche ed informatiche. ma in Renzi si unificano e giungono a compiutezza, al servizio (consapevole) di un progetto personale e lobbistico di potere e, contemporaneamente, come prefigurazione – inconsapevole, e dunque ancor più tragica – di quello che potrà essere l’etica e la cultura della società futura.

Una precisazione: tutto quanto segue va ormai al di là della querelle se Renzi sia di “destra” o di “sinistra”. Quelle di Renzi sono strategie e modalità formali che lui decide di riempire con i contenuti che ritiene opportuni, ma questi contenuti sono – e gli sono – irrilevanti . E’ ovvio, i contenuti ci devono essere, come in uno scatolone che deve essere riempito, ma che siano piume o pietre dipende solo da come è fatto lo scatolone e a che cosa gli serve. E dunque, come tali, possono cambiare continuamente, a seconda delle necessità e dei fini immediati..

Bene, iniziamo:

1. e 2. La PERFORMATIVITA’. Si punta tutto sul “successo”, sull’efficacia dell’operazione, indipendentemente da fini, valori, giudizi etici od estetici. Non è un caso che si insista così tanto sulla “cultura del fare”: che non significa niente. Fare COSA? Sono tante e diverse le cose concretamente da fare, da una guerra nucleare ad innaffiare i gerani…ma si pretende di affermare l’operatività in quanto tale, e di richiederne l’approvazione perché si è operato. Il parametro del successo a prescindere diventa il parametro del consenso: basti vedere quanti l’hanno votato alle primarie perché ‘ci avrebbe fatto finalmente vincere’. Vincere chi, come, perché? Non ci si è posti il problema…

Il QUANTITATIVO. Il criterio di valutazione delle performances finisce per essere semplicemente una quantità, un numero – per di più, spesso, isolato e non relazionale. Ecco l’insistenza su misurazioni astratte e divinizzate, tipo ’85 euro per lavoratore’, ‘150 auto blu in meno’, le date delle riforme, etc. cosa vogliono dire, oltre ad essere il mantra propagandistico per sostenere ‘ecco, abbiamo fatto, abbiamo raggiunto l’asticella numerica’ – per di più fissata da noi stessi ? Scompare così ogni elemento di giudizio qualitativo; ma, anche a volere restare sul semplice piano quantitativo, avrebbe, per quanto limitato, un senso soltanto in un’ottica di proporzioni, di percentuali, di tendenze, di raffronti sistemici. Ma i numeri come divinità autosufficienti intimidiscono, danno sicurezza ed apparenza di serietà a chi li usa, spengono le eventuali obiezioni. E alla conclusione si mettono in fila, una tantum, i numeri dei voti, elettorali o sondaggiati, il più uno.

3. e 4. La VELOCITA’ come mito. Non mi dilungo. C’è una sfilza di riflessioni teoriche e letterarie, ben più articolate delle mie, e di esperienze concrete sulla lentezza. Qui vengono bruciate tutte, per di più sull’altare di una velocizzazione che viene, innanzitutto, affermata e raccontata, più che realizzata…E’ una velocità come bandiera, come ideologia, che serve a giustificare il ridurre in modo superficiale a macerie tutto ciò che è meditazione, approfondimento, articolazione, esperienza interiore, consapevolezza, progettualità non generica, etc. Ed accelerando si anticipa, si spingono più in là i problemi ad un futuro che tutto vedrà risolto.

L’URGENZA. Come meccanismo colpevolizzante, che giustifica la fretta, impone la semplificazione e travolge i bisogni dei singoli e dei gruppi sociali: siamo sempre in una situazione ‘d’emergenza’, siamo sempre all’ultima spiaggia, in una crisi emergenziale da cui possiamo uscire solo se cogliamo l’ultima chance che ci viene offerta, dopo Renzi il diluvio, guai a chi si sofferma a pensare o perlomeno ad emendare. Prendere o lasciare. Urge cogliere l’attimo, ma quel che cogliamo è la fregatura sotto cui dobbiamo chinare la testa, imposta in malafede sfruttando l’urgenza, o in incompetente buonafede perché si deve fare subito e non si capisce quel che si sta facendo.

5. e 6. Il RIVOLUZIONARISMO. Va di moda dirsi tutti rivoluzionari di qualcosa. Qualunque modesto cambiamento si veste da ‘rivoluzione’. Abolire cento consiglieri provinciali ingrossando i carrozzoni regionali sarebbe una rivoluzione. Mettere un giovane incompetente e confuso al posto di un vecchio marpione esperto una rivoluzione. E perché non capovolgere il rosso e il verde dei semafori? E’ l’ideologia della rivoluzione recitata, o autoproclamata per definizione. Come il partito rivoluzionario istituzionale in Messico. Il tutto affiancato, ovviamente, dalla retorica mediatica del nuovo ad ogni costo, come migliore in quanto tale. Ma chi l’ha detto, tanto per esemplificare, che una “nuova” legge elettorale debba essere comunque migliore di alcune “più vecchie” – purché costituzionali?

Il SERVILISMO TECNOLOGICO. Dovrebbe essere evidente: eppure ancora si spacciano gli strumenti tecnologici nuovi come prova di modernità e progresso sociale, ma sono solo strumenti. E’ chiaro che la BIC è più efficiente della penna d’oca, ed il CD del disco in vinile (fermo restando che per motivi affettivi o estetici potrei preferire di usare penna d’oca e vinile) e quindi li si usa, ma ciò che conta è ciò che ci si scrive o suona…idolatrare le slides o twitter ( e chi li utilizza come ‘grande innovatore’), se non è una profonda ingenuità, è una forma di passività che ci assoggetta a potenze estranee, e ben strumentali e strumentalizzatrici. Ci si dimentica forse che il nazismo era un’avanguardia tecnologica?

7. Tutto ciò si completa in quello che è il paradigma complessivo del renzismo: il DISCONOSCIMENTO DEL LIMITE. Il limite va riconosciuto, non necessariamente per rispettarlo, forse meglio per trasgredirlo, ma bisogna conoscerlo. Invece il mito modernista/futurista della fretta, l’innovazione a prescindere e ad ogni costo, il battere i pugni per avere successo (o perire), le sparate roboanti che poi partoriranno i topolini, i conti della serva truccati da rivoluzioni, i bonapartismi ricattatori “o così o pomì”, le arroganze minacciose tipo ‘solo io salverò l’Italia ‘– senza precisare come e con che mezzi – ‘o me ne andrò’, l’impunità di poter dire tutto e il contrario di tutto ( “L’Italia taglierà le spese militari” e “L’Italia si impegna a mantenere un ruolo forte nella Nato”) a prova di smentita, tradiscono tutte la stessa malattia mortale: un modo di pensare da delirio d’onnipotenza. Che prelude, temo, alle forme paranoidi pienamente compiute di una società prossima ventura che annuncia. Ma stiano attenti, Renzi o chi sulla sua scia come lui, a non suscitare la vendetta degli dei: basta poco, uno scacco individuale o storico ad annichilire ogni hybris…

Concludo. Se si trattasse solo di Renzi come individuo, mi basterebbe aspettare sulla riva del fiume
che passi il suo cadavere…e passerà, come passa quello di Berlusconi. Ma temo che sia una ben più insidiosa e contagiosa avanguardia storica, basta vedere quelli che gli scodinzolano intorno per sospettarlo: e allora, se non sarà oggi, sarà fra vent’anni. Quello che non si è realizzato nel 1984 di Orwell sarà, certo con modalità molto più sottili, suadenti, consensuali, per il 2034 ?

I combattivi, i ribelli a questa prospettiva cerchino di mettergli in tutti i modi, con qualunque mezzo, i bastoni fra le ruote. “Gli andati, rassegnati, soddisfatti” ci si adattino o ci sguazzino, per illusione, autoinganno, salto opportunistico sul carro, gusto di stare comunque, o finalmente, dalla parte che vince. Per me, tento almeno di comprendere di che morte mi si vuole fare morire, senza farmi prendere in giro. Di disertare, perlomeno da quanto si celebra e mi si racconta.

118 pensieri su “2034 ???

  1. Perché mi causa dolore questo articolo? Non perché mi fa scoprire insidie del renzismo che già non conoscessi, ma perché mi dà la misura di un errore che ho compiuto, e visto compiere, così tante e cruciali volte da identificarlo, ormai, con uno dei virus di autoeliminazione della sinistra: concentrare l’attenzione sull’intelligenza dell’avversario al punto da sentirsi appagati davanti alla prospettiva che la nostra analisi abbia fatto centro. Che equivale a dire: ho le prove dell’indegnità etico-politica dell’avversario, ergo per un principio divino di giustizia, quello dovrebbe decadere da solo, e a quel punto Dio farà le cose giuste. Su Renzi & Co., un consistente numero di parole; sul “che fare?”, che continua a essere il nodo, solo “mettergli in tutti i modi, con qualunque mezzo, i bastoni fra le ruote”. Il punto scoperto rimane l’assunzione di una responsabilità politica attiva. Ovvero, con quale proposta diversa provo a togliere consenso a Renzi? C’è già un soggetto politico che lo sta facendo nella direzione che condivido? Se non c’è, sono in grado di crearlo, ovvero, sono in grado di mettere insieme quelle competenze politico-economiche che disegnino un credibile programma di soluzione dei problemi posti dallo stato delle cose nazionale e globale? È tutto qui. Questo soggetto, per me, non c’è, e forse neanche si creerà, perché l’area di riferimento per una sua possibile formazione è troppo incline a dividersi, a non saper mediare, a radicalizzare talmente le coordinate della “giusta linea” da renderla, infine, un percorso agibile solo per pochi. E in pochi, in democrazia, si perde. Anche sapendo, con tanto di prove, chi sono i cattivi e chi sono i buoni.
    Fabio Ciriachi

  2. A mio giudizio, il testo di Pagani contiene osservazioni su un personaggio del panorama politico italiano – Matteo Renzi,appunto – e fa di quest’ultimo una sorta di fotografia socioculturale-antropologica. Questa istantanea da un lato enfatizza la figura di M.R. quasi fosse un demiurgo-protagonistra ( malefico o benefico, poco importa ) e non invece, sempre a mio giudizio , la rotellina di un ingranaggio complesso, e in gran parte già predisposto nei suoi aspetti essenziali , che si muove in una situazione oggettivamente preoccupante. D’altro lato il testo si mostra sovranamente indifferente – neppure enunciandoli – verso certi nodi propriamente politico-sociali che si possono indicare in diverse e pressanti domande e nei loro presupposti. Come distribuire in maniera ” equa e solidale ” la ricchezza generale ?
    Come sostituire un burocrazia inefficiente,prepotente e corrotta che soffoca soprattutto le classi meno abbienti ? Come trovare lavoro e ridare dignità a giovani e disoccupati ? Come dare dignità e libertà ai nuovi schiavi ? Come impostare una nuova geopolitica ? E’ ovvio che non pretendo che Paolo Pagani o altri ( quorum ego ) diano ricette o indicazioni,seppur vaghe , ma – mio dio – perchè non parlarne ? Cosa può interessare alla nostra afflitta società del profilo prevalentemente psico-antropolgico di M.R. ? Per questo l’approccio di Pagani può avvincere ma non mi convince. Esso somiglia molto alle illustrazioni psicologiche dei c.d. uomini del destino ( positivi o negativi che siano ).
    In tale approccio si annida – a mio giudizio – anche un altro pericolo e cioè quello di produrre giudizi discriminatori largamente fittizi e ingannevoli non corrispondenti alle scelte politiche concrete che dettano il nostro agire nella società. Infine, mi pare che il testo di Pagani contenga qualche cenno di sapore antitecnologico ( vd IL SERVILISMO TECNOLOGICO ) . Chi non sa che la tecnica è un mezzo e non un fine? Ma se attraverso un tecnicismo primordiale si è passati dalla pietra grezza all’ossidiana affilata, cosa dobbiamo concludere ?

  3. …diciamo che Matteo Renzi non mi entusiasma. Se volessi fare un paragone del suo modo di fare politica con uno sport, direi che pratica il bowling, ed è anche piuttosto bravo. Tuttavia io preferisco gli sport dove la natura e il paesaggio siano presenti: alpinismo, ciclismo, nuoto, podismo, parapendio…D’altra parte oggi il panorama sportivo è squallido, vi imperversa il calcio con la sua violenza, le scommesse, la corruzione…
    Insomma c’è pure di peggio

  4. Il testo di Paolo Pagani ha per me il merito di contrastare due forme di acquiescenza nei confronti dell’attuale governo Renzi:
    – la prima è il silenzio per stanchezza. (E’ così pervicace la difesa della fallimentare linea neoliberista da parte prima dei governi Berlusconi e Monti e ora di quello Renzi, sono così fiacche, ambigue e quasi sempre simboliche le forme di opposizione che si riescono a metter su- dai forconi ai grillini – , che molti – intellettuali in primis – si vanno azzittendo, quando non rassegnando);
    – la seconda è l’appoggio mascherato a questo governo di chi continua a sottolinearne i “pregi” rispetto al precedente governo Monti (che l’ha in fondo preparato…) e gli dà inaspettatamente, e manipolando i fatti e la storia, la patente di governo “di sinistra”, senza distinguere neppure più tra “sinistra storica” e attuale (e sedicente o “metafisica” per me) sinistra. Si vedano, in proposito, l’articolo di Mauro Piras su LE PAROLE E LE COSE pomposamente intitolato «Perché Renzi è di sinistra»(http://www.leparoleelecose.it/?p=14801) ma anche – meno male! – le puntuali e per me condivisibili (nella sostanza) critiche che questa sua barzelletta ha ricevuto.

    Mi spiace, perciò, non essere d’accordo con i commenti di Ciriachi e Mannacio, improntati a una sorta di insidiosa svalutazione e recriminazione verso la presa di posizione chiara e onesta di Pagani. E cerco di argomentare il mio dissenso.

    Non capisco il «dolore» di Ciriachi di fronte a questo articolo. Egli in sostanza dice che Pagani s’accontenterebbe d’infilzare l’avversario Renzi, appagandosi di far centro con una sua (bella) analisi del personaggio.
    Non capisco perché tiri in ballo il «principio divino di giustizia» che Pagani non ha invocato.
    Non capisco l’accusa di spendere «un consistente numero di parole» contro « Renzi & Co.» (cioè il PD) e pochissime sul «che fare?».
    Non capisco, insomma, perché di fronte ad uno che in sostanza dice «anche questo re [Renzi] è nudo», invece di verificare se dice il vero o il falso e di pronunciarsi (Ciriachi, lo vede nudo o vestito ‘sto Renzi?), ci si addolori o si faccia appello ad una «assunzione di una responsabilità politica attiva».
    Da parte di chi critica Renzi, s’intende. (E lasciando da parte che tipo di responsabilità politica attiva stia mostrando Renzi…). Il critico di Renzi, dunque, dovrebbe (prima di aprir bocca e criticare Renzi?) – e non so oggi in quali modi magici o miracolosi – tirar fuori dal proprio cilindro una «proposta diversa» capace di «togliere consenso a Renzi». Oppure dire se «c’è già un soggetto politico» che sta sottraendo consenso a Renzi in una direzione da noi condivisibile. Oppure se sia «in grado di mettere insieme quelle competenze politico-economiche che disegnino un credibile programma di soluzione dei problemi posti dallo stato delle cose nazionale e globale».
    Mi pare davvero che si chieda troppo non solo a Pagani ma a qualsiasi insoddisfatto o istintivamente ostile al governo Renzi.
    Ora, concordando con Ciriachi che «questo soggetto» alternativo a Renzi non c’è e forse neanche si creerà, che facciamo?
    Ci azzittiamo? Ci chiudiamo nel lamentatoio a piangere sui cocci della sinistra o sul fatto che i dissidenti che l’hanno contestata dall’Ottocento ad oggi sono sempre troppo inclini a dividersi o ad insettarirsi e incapaci di mediazioni?
    Fossimo nell’impotenza massima, fossimo come Gramsci ridotti in carcere e senza più nessun legame con qualsiasi ‘noi’ capace di pensare e di agire collettivamente per un’alternativa, per me è importate dire pubblicamente che Renzi è fumo, che quel fumo prepara e nasconde nuove malefatte; ed è meglio dire soltanto questo piuttosto che tacere o fare le pulci a chi ancora riesce a dire che Renzi ( e il PD) è nudo.

    La stessa logica elusiva nel giudizio da dare sul governo Renzi (e certamente sull’«ingranaggio complesso, e in gran parte già predisposto nei suoi aspetti essenziali» che lo ha prodotto e lo spalleggia) trovo nel commento di Mannacio. Anche lui a me pare rovesci addosso a Paolo Pagani compiti di analisi o di proposte addirittura epocali (lotta alla burocrazia, restituzione di una dignità al lavoro ai giovani ai disoccupati, visione geopolitica, ecc.). Come se la sua denuncia dei limiti socio-cultural-antropologici di Renzi-personaggio impedisse di procedere a queste analisi o non potesse/dovesse essere fatta senza che il contestatore abbia prima in tasca un bel programma da partito del Progresso e dell’Avvenire. Come se la denuncia di Renzi fosse tutto sommato irrilevante, risaputa o fastidiosa.

    No, amici miei, così non va. Diamo valore alla nostra intelligenza, se è solo quella che ci rimane e chiamiamo pane il pane e vino il vino.

    1. Lasciamo perdere il principio di giustizia divina che, se non si capisce così, temo resterebbe incompreso anche spiegandolo meglio (non è la prima volta che Ennio Abate mi imputa di parlare di qualcosa che non è nel testo: “Non capisco perché tiri in ballo il «principio divino di giustizia» che Pagani non ha invocato”, e mi domando per quale ragione, lui che pure scrive poesie, quindi il problema di un senso costruito sull’evocato e sull’esplicito, se lo dovrebbe porre, si limiti ogni volta alla mera lettera; non sa, forse, che chi scrive è responsabile di tutte le interpretazioni di ciò che ha scritto?). Ma procediamo, perché le incomprensioni di Ennio sono così numerose e, per me inspiegabili, che comincio a sospettare siano retoriche.
      Ennio dice: “Non capisco l’accusa di spendere « un consistente numero di parole» contro « Renzi & Co.» (cioè il PD) e pochissime sul «che fare?». Risposta: ripeto, di quell’analisi su Renzi so tutto, non mi dà nulla di nuovo (la condivido, Ennio, ti serviva che lo dicessi? se non l’avessi condivisa avrei fatto riferimento ai punti di disaccordo), ci fiuto l’appagamento teorico sulla parte più facile, non vedo altra indicazione sul che fare oltre a mettere i bastoni nelle ruote, ma perdindirindina, non è che se si ferma Renzi le cose funzionano e la giustizia trionfa (ecco il divino, Ennio, ora l’hai capito?), se si ferma Renzi “chi farà cosa” al suo posto? E’ qui che vorrei sentire proposte convincenti, io non sono un economista, non so quasi nulla dei processi economici e di come una politica che si volesse giusta dovrebbe fare i conti con lo stato delle cose. Come opporsi allo strapotere del capitale finanziario, ai laccioli burocratici nazionale ed europei, come iniziare, insomma, un percorso di opposizione che alla lunga abbia una possibilità di riuscita? Tu Ennio ti appaghi delle stesse cose: il PD non va bene (grazie al cavolo), non è neanche più l’ombra della sinistra (ma va?), ma se tutte le possibilità di sinistra sono scomparse allora il carcere a cielo aperto nel quale viviamo è peggio di quello che costringeva Gramsci, dal quale, almeno si poteva sperare di uscire, per evasione, per grazia ricevuta.
      Il tempo è poco e la sensazione di perderlo, in questa risposta, è grande: ho tante altre contingenze di cui occuparmi, e scusate se di più non riesco a dare.

  5. Rispondo a Ennio Abate. A mio giudizio il testo di P.P non dà un giudizio politico sul Governo Renzi,ma su Renzi considerato nelle sue caratteristiche antropologiche.
    Esso ripercorre in un certo senso quei tipi di analisi psicologica che portano a sopravvalutare gli aspettri caratteriali del personaggio ( tipo Hitler psicopatico et similia …). E’ evidente che indicando ” temi epocali ” intendevo solo segnalare in modo polemico ma civile l’inutilità del primo metodo a favore di una puntualizzazione di certi aspetti cruciali della nostra situazione. L’ho anche scritto. Ho anche scritto in modo civile che il testo di P.P è avvincente ( idest interessante ) ma non convincente ( cioè poco utile) . Le osservazioni di E.A rafforzano anche la mia opinione, chiaramente espressa, circa i pericoli di tale testo. Si scambiano i critici del testo con i fiancheggiatori – occulti o palesi – del Governo Renzi,omettando una doverosa – a questo punto – analisi politica di esso .Si tratta di un gioco antico al quale non intendo partecipare. In fondo non abbiamo continuamente parlato di Berlusconi persona? Con esiti davvero….brillanti.
    Giorgio Mannacio.

    1. E’ vero, Giorgio, avevo sentito anch’io qualcosa in proposito, ovvero che essere contro l’articolo equivale a fiancheggiare Renzi, ma non l’avevo voluta cogliere per l’imbarazzo di dovermi vedere all’interno di una dinamica del genere… Spero tanto che così non sia…

  6. Ringrazio molto Paolo Pagani per il coraggio di uscire dal coro e, soprattutto, dalle dinamiche derbystiche, da stadio, del tipo Renzi sì/Renzi no (come prima era Berlusconi sì/Berlusconi no) e di aver dato al suo articolo un respiro più ampio – limitatamente a ciò che oggi intendiamo per ‘respiro’, dati i tempi soffocanti che corrono e i cui esempi sono ben rappresentati nell’articolo di M. Piras, sia nelle sue continue sottolineature ‘quantitative’ in merito alle proposte renziane di cui si rimarca aprioristicamente la bontà (chi si ricorda quando veniva rinfacciato al Berlusca il fatto che non poteva trattare l’Italia come se fosse la ‘sua’ azienda mentre Renzi la può trattare come fosse il ‘suo’ Comune?), e sia in alcune affermazioni che mi hanno fatto venire i brividi (in merito al rispetto della democrazia e della Costituzione, per quanto esse possano ancora valere), sollecitandomi ricordi d’antan non certo rassicuranti:

    – *Intanto, il governo Renzi è un governo politico. In esso cioè il partito più importante della maggioranza, il Pd, impone la linea, e gli altri seguono, come dovrebbe essere naturale*.
    – *l’opinione pubblica media … che ha idee semplici e sbrigative … con cui Renzi instaura un canale di comunicazione diretto, fin dal discorso di presentazione del governo al Senato, dove ha parlato agli Italiani, e non ai Senatori*.
    – *È questa forza che Renzi scaglia contro gli altri partiti, e contro le opposizioni interne al Pd: “se esitate, la pagate cara elettoralmente, con questi umori qui nel paese”. E non è solo lui, sono tutti i suoi seguaci*.

    In questo mondo d’oggi la cui ‘attualità’ sembra contraddire il primo principio della termodinamica al punto tale per cui ‘tutto si crea e tutto si distrugge senza trasformazioni possibili’, questo di P.P. sarebbe un articolo da stampare, da mettere nella nostra bacheca memoriale e da riguardare in futuro, se ancora ce ne sarà la possibilità, per riconoscere mestamente se e quanto siamo stati complici di un disastro annunciato.

    In questo articolo, non si tratta di un discorso ‘antropologico’ su Renzi come sostiene G. Mannacio nel suo intervento (*A mio giudizio il testo di P.P non dà un giudizio politico sul Governo Renzi, ma su Renzi considerato nelle sue caratteristiche antropologiche*) bensì di una denuncia – assieme ad analoghe altre, pure esse trattate col silenziatore – nei confronti di qualche cosa di ben più insidioso e che qualsiasi uomo di cultura – se esiste ancora una cultura (o se esistono ancora ‘uomini’) – non può esimersi dall’ascoltare.
    Infatti Paolo Pagani afferma che * Se si trattasse solo di Renzi come individuo, mi basterebbe aspettare sulla riva del fiume che passi il suo cadavere…e passerà, come passa quello di Berlusconi*.
    I punti sottolineati da P.P. non sono certo nuovi nel panorama delle critiche che vengono rivolte a questo sistema, ma ciò che li rende rilevanti è il fatto che, di fronte a questo degrado culturale, non venga posto alcun argine da parte di chi dovrebbe essere il garante della sanità della cultura e che invece lo assorbe, questo degrado, e lo fa assorbire con pericolosa superbia agli altri.
    Se è vero che gli Dei mandano Ate a coloro che essi vogliono perdere, Renzi ne è l’eccellente modello. Però, fatti suoi.
    Il dramma sta di più in coloro che subiscono gli effetti di questa hybris. Perché, per loro, il tradimento dei voltagabbana è ancora più terribile in quanto deriva proprio da chi li doveva difendere ed invece è passato al nemico.
    Questo modello ‘nemico’ concerne l’essere diventati paladini della politica del fare e del suo successo (la Performatività);
    – si diventa sostenitori della Velocità (che va a discapito del tempo riservato al pensiero e alla ri-flessione);
    – si propaganda lo stato di emergenza continua e, facendo vivere le persone in un continuo terrore del domani, è facile abbindolarle con false promesse di risoluzione della crisi;
    – si esautorano le parole dei loro significati profondi (rivoluzione, ad esempio) facendole diventare degli “-ismi” da utilizzare come carote ideologiche per gli animali da soma;
    – si utilizza impropriamente il concetto di possibilità confondendolo con l’onnipotenza di stampo statunitense (yes, we can) che non permette di tenere conto realisticamente dei limiti.
    Detto in altre parole, questi sono tutti indicatori di una società che va dritta dritta verso una pesante infantilizzazione in cui vige l’assenza di pensiero a cui si sostituisce l’agire indiscriminato senza progetto;
    – predomina la paura abbandonica all’ignoto (ragion per cui si deve accettare il meno peggio, “se non c’è Renzi che si fa?”);
    – la carenza espressiva linguistica si riduce sempre più a mera iconografia;
    – deborda l’onnipotenza che non accetta alcun limite;
    – la conflittualità e le contraddizioni legate agli affetti vengono sostituite dai rapporti perversi con gli strumenti tecnologici.
    E’ questa ‘infantilizzazione’ che fa passare più facilmente il rapporto di ‘colonizzazione’. Perchè ‘colonizzare’ è più astuto del ‘dominare’ in quanto i colonizzati non si sentono ‘antagonisti’ bensì ‘partecipi’.

    Ciò su cui non sono d’accordo con P.P. è quella parte del finale un po’ ambigua (*I combattivi, i ribelli a questa prospettiva cerchino di mettergli in tutti i modi, con qualunque mezzo, i bastoni fra le ruote*), in cui sembra ci si pieghi, ancora una volta, verso il ‘fare’, esigenza sentita anche in altri interventi (ad esempio, F. Ciriachi: * Ovvero, con quale proposta diversa provo a togliere consenso a Renzi?*), mentre sottolineerei positivamente quella parte successiva che attiene più alla libertà di un proprio pensiero, senza farsi condizionare dalle emergenze: *“Gli andati, rassegnati, soddisfatti” ci si adattino o ci sguazzino, per illusione, autoinganno, salto opportunistico sul carro, gusto di stare comunque, o finalmente, dalla parte che vince. Per me, tento almeno di comprendere di che morte mi si vuole fare morire, senza farmi prendere in giro. Di disertare, perlomeno da quanto si celebra e mi si racconta*.

    R.S.

    p.s. Qualora io abbia ‘torto il bastone’ del pensiero di P.P. troppo nella mia direzione, prego P. Pagani di scusarmi e, se lo trova opportuno, di contraddirmi.

  7. Cara Rita Simonitto, preferisco rispondere al tuo lungo scritto in modo diretto utilizzando quindi un sistema di sapore antico antico nella cornice della modernità.
    Mi sembra che il tuo testo contenga una contraddizione fondamentale. Esordisce attribuendo allo scritto di P.Pagani il merito contrastare le divisioni derbystiche (sic) tra pro Renzi-contro Renzi. Non è proprio come tu dici, ma non ha importanza. E’ importante invece rilevare come alla fine delle tue osservazioni si arrivi proprio all’esito che tu – se ho ben capito – vorresti evitare. Ma la domanda che ti pongo – senza polemiche – è questa. In base a quale invincibile principio decidi chi è contro Renzi e chi a favore? La risposta che dai – almeno nel contesto in cui stiamo dialogando – è questa: è contro Renzi chi approva in toto il testo di P.P.; è favorevole chi lo approva. Non ti sembra una risposta – scusami la franchezza – un po’ semplicistica e poco argomentata? Tanto più che la mia critica a P.P. – come ho ripetutamente detto anche nella mia risposta a Ennio Abate – era limitata in quanto sottolineavo non la fondatezza dei rilievi critici contro Renzi ma la scarsa utilità di sottolinearne in modo massiccio e pervasivo le sue caratteristiche psicologiche e antropologiche. Questo era l’ambito delle mie osservazioni e tale avrebbe dovuto essere l’ambito della risposte. Mi sembra poi del tutto ovvio – e mi fermo qui,non volendo introdurre impropriamente “il personale ” – che il giudizio sulle opzioni politiche di una persona va fatto sulla base di dati concreti attinenti all’operare di ciascuno. Questo, sì, sarebbe un discorso schiettamente politico piuttosto inpegnativo sia per me che per te e per tutti gli altri che intervengono in questo stimolante dialogo. Con cordialità. Giorgio Mannacio.

  8. @ Ciriachi

    Sì, « il carcere a cielo aperto nel quale viviamo è peggio di quello che costringeva Gramsci», ma dobbiamo pur riconoscere che il secondino che impedisce ogni possibile evasione è il PD; e che Renzi è a capo del governo perché è stato messo al posto di comando nel PD.
    Per « iniziare, insomma, un percorso di opposizione che alla lunga abbia una possibilità di riuscita» bisogna aver chiaro il ruolo svolto oggi dal PD (e da Renzi e da Napolitano). Come a suo tempo Gramsci ebbe chiaro qual era il ruolo del Partito Socialista all’inizio del Novecento. Anche se oggi non c’è nessun “faro rivoluzionario” a illuminare le tenebre, usiamo i faretti delle nostre singole intelligenze, senza introiettare nei nostri discorsi gli argomenti dei dominanti.
    Non è così chiaro ( o è chiaro solo a parole) che « il PD non va bene (grazie al cavolo), non è neanche più l’ombra della sinistra (ma va?)». Tant’è vero che moltissimi ancora lo votano o sono adusi a “obbedir tacendo” in tanti modi, magari eleganti e non piattamente fiacheggiatori.
    Il sentimento/pensiero ambiguo che persiste in molti è questo: tanto, alla fine della fiera, «non è che se si ferma Renzi le cose funzionano e la giustizia trionfa». E adesso poi, ora che Renzi è al governo, qualcosa – forse 80 euro o qualche altra “elemosina tassata” – pur si ricava.

    @ Mannacio

    Il discorso di Paolo Pagani sarebbe psicologistico e non politico? Bene, usiamolo solo come uno spunto e diciamo cosa pensiamo politicamente del governo Renzi. (Io in soldoni credo di averlo già detto).

    P.s.
    Non una virgola nelle cose che ho detto può far pensare che « essere contro l’articolo equivale a fiancheggiare Renzi». E poi chi lo fiancheggiasse o lo apprezzasse perché non dovrebbe partecipare a questa discussione?

    1. La mia singola intelligenza mi dice: Renzi è stato messo al posto di comando del PD perché votato dalla maggior parte dei partecipanti alle primarie. Domanda: dov’ero io quando Renzi lavorava alla sua leadership? Risposta: mi trastullavo nella mia impotenza pensando che potessi oppormi a Renzi votando Civati, come molti altri hanno pensato di potersi opporre a Renzi non partecipando alle primarie, altri scrivendo lucide analisi sul renzismo e sulle colpe di Napolitano (Grillo ce le ricorda di continuo), altri ancora iscrivendosi ai 5S, per non lasciare indietro la lista Tsipras eccetera eccetera eccetera. I bastoni nelle ruote di Renzi li può mettere solo un movimento che convinca i più alle proprie proposte politiche, che sappia mediare le proprie esigenze sacrificandone una parte per alleanze che si rivelassero necessarie, che faccia il più ampio bene comune possibile, che sappia distinguere l’esigenza di totalità su cui ciascuno fonda, in sé, il migliore dei mondi possibili dalla relatività necessaria a ottenere un mondo che sia il più possibile non ingiusto… Io non riesco a vedere prospettive rivoluzionarie, e per le conquiste democratiche occorre un lavorio che si regge solo sulla pazienza e sulla capacità di mediazione; oltre che su competenze capaci di sostenere scelte alternative alla continuità Monti-Letta-Renzi che passa il convento della realtà. Oltre questo, di che discutiamo?

  9. “dov’ero io quando Renzi lavorava alla sua leadership? Risposta: mi trastullavo nella mia impotenza pensando che potessi oppormi a Renzi votando Civati, come molti altri hanno pensato di potersi opporre a Renzi non partecipando alle primarie, altri scrivendo lucide analisi sul renzismo e sulle colpe di Napolitano (Grillo ce le ricorda di continuo), altri ancora iscrivendosi ai 5S, per non lasciare indietro la lista Tsipras eccetera eccetera eccetera. I bastoni nelle ruote di Renzi li può mettere solo un movimento” (Ciriachi)

    Abbiamo visto che le capacità di controllo della crisi ( si pensi alla Grecia) da parte dei gruppi dominanti è tale che i movimenti (improbabili oggi nelle forme classiche che abbiamo conosciuto in passato) non riescono più a superare i livelli di di guardia, a diffondersi, a contagiare, a durare, a far nascere nuove forme di organizzazione. Questo significa stare in “un carcere a cielo aperto”. Allora, invece di trastullarci con discorsi sulle “prospettive rivoluzionarie”, dobbiamo ragionare ( e ragionare con chi ha voglia di farlo e dimostra di saper ragionare). Senza moralismi ( non è decisivo chiedersi: cosa facevo o posso fare io, se non ci sono certe condizioni favorevoli o spiragli di vera novità…). Senza abbandonarsi alla voglia di “partecipare” a qualche “comunità” gratificante. Il compito più urgente è di usare le nostre intelligenze per distinguere tra i vari discorsi teorico-politici: Renzi, Civati, Grillo, Tsipras, ecc.; ma ce ne sono anche altri più scomodi e ormai poco familiari a chi ha perso di vista i nuclei forti di un pensiero politico, marxista e non solo, o non li ha mai abbordati, perché considerati troppo “da intellettuali” o troppo “ideologici”. E vedere se ce n’è uno che faccia davvero i conti con la realtà del tutto mutata, che l’afferri, la morda, ne dia una qualche rappresentazione non edulcorata o rassicurante o ottimistica.
    E, se non ce ne fosse neppure uno, il compito – morale e politico – è non cedere, cercare ancora, non essere di bocca buona, non vendersi per un qualsiasi piatto di lenticchie, non compromettersi, non introiettare inavvertitamente – per stanchezza, per paura dell’isolamento, per voglia di un qualche riconoscimento da chi il potere (piccolo o grande) ce l’ha davvero e può blandirci o arruolarci – la mentalità diffusa, lo “spirito del tempo”, il sorriso dei vincenti, il loro buon senso pragmatico, il loro tono tollerante, disinvolto, spigliato. Possiamo dire no, resistere. Anche se le tenebre dovessero durare per altri decenni e non vedremo nessun Comunismo o Gerusalemme o Itaca o Rinascimento o Risorgimento o Salvezza. ( O “Domani” per strizzare l’occhio al mio amico Velio Abati).

  10. SEGNALAZIONE DA FB: 1° Maggio

    Angelo d’Orsi,Professore ordinario presso Università degli Studi di Torino (https://www.facebook.com/angelo.dorsi.7) ha condiviso la foto di 99 Posse ( https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10152022232860952&set=a.10151575971855952.1073741826.38017080951&type=1)

    A Istanbul il dittatore Erdogan vieta le manifestazioni per il Primo Maggio. In Italia, i nuovi e vecchi piccoli duci, ci consentono ancora di sfilare “pacificamente”: ossia in silenzio, magari a capo chino davanti alle autorità politiche e sindacali (Pd e le tre Confederazioni) che peraltro marciano in testa al corteo insieme con i rappresentanti del Centrodestra. Ma se appena si alza la testa, se si osa emettere grida all’indirizzo di un qualsiasi Esposito, il malato di TAV-ismo (il quale va con il deliberato proposito di provocare la reazione della folla), se ci si permette di indirizzare fischi al passaggio del sindaco (PD), o dell’ex sindaco (PD), candidato alla presidenza regionale, e così via, allora la tolleranza diventa repressione feroce. E quei poveri diavoli di agenti, sfruttati e malvisti (quasi sempre giustamente), imbottiti di odio ideologico e di sostanze stupefacenti, possono finalmente sfogare la loro ira, il loro rancore, la loro frustrazione. Guardate l’immagine: sono delle belve, e si scatenano contro chi non può difendersi. Tra l’altro si tratta di Gianni Naggi, un bravo compagno, col quale non sono mancati dissensi, ma “in seno al popolo”: a lui tutta la mia solidarietà; al PD tutto il mio ribrezzo. E ora tutti al concertone! Questo è il Primo Maggio che piace a lor signori.

  11. A differenza di molti commenti, io ho trovato una sorta di necessaria e felice complementarietà tra l’articolo di Pagani e il commento di Ciriachi.
    L’articolo di Pagani, senza dire probabilmente nulla di “nuovo” e di “rivoluzionario”, cosa che non gli si può certo imputare vista la sua analisi del renzismo, ha il merito di provare a mettere in ordine e portare a sistema alcune caratteristiche (non solo antropologiche) del fenomeno. Come ha rilevato Ennio, Pagani mette a nudo indirettamente le attuali forme di “acquiescenza” verso il governo e l’ideologia di Renzi: il silenzio mascherato e l’appoggio per stanchezza (qui inverto gli aggettivi usati da Ennio perché mi sembra che di Renzi si parli fin troppo, ma questo in realtà non incrementa per nulla il livello di opposizione reale; e gli appoggi, almeno da parte della cosiddetta sinistra, sono rapidamente passati da un entusiasmo conformista alla stanchezza del meno peggio).
    Ennio però, secondo me, ha almeno in parte frainteso il senso dell’intervento di Fabio Ciriachi, che in realtà si pone una domanda diversa e interroga proprio la diffusa acquiescenza di cui parlava Ennio, individuandone una possibile terza componente. Quella dell’autocompiacimento e autoreferenzialità di un certo pensiero critico che si accontenta di aver perfettamente infilzato la sequenza degli errori e dei difetti dell’avversario.
    Questa forma di illuminismo si merita ancora la critica adorniana. Se la stessa energia venisse diretta a individuare le vie per cui si può battere l’avversario non sarebbe meglio? Avere ragione (una ragione sterile e postuma: “noi l’avevamo detto”) può essere un errore mortale. Sia chiaro: nessuno disconosce la necessità della negazione e la potenza del negativo. Sono alle basi del pensiero critico. Ma da troppo tempo la sinistra si limita, nella migliore delle ipotesi, ad agire di sponda, smontando e destrutturando i progetti altrui, in una sorta di afasia progettuale.
    Non siamo stufi di avere e aver avuto ragione, senza però che neanche una particola di questa ragione attecchisse da qualche parte? Non sarebbe meglio stare saldamente dalla parte del torto e farne il principio di un rimescolamento, di un cammino, di una sperimentazione? Il dolore di Ciriachi, secondo me, sta qui, nell’assistere a un copione che si ripete uguale da troppo tempo. Quel che resta della sinistra, in preda alla volontà di potenza e all’illusione di onnipotenza di una ragione immobile, spesso dimentica il valore di “sentimenti” che potrebbero rimetterla in moto, come quelli di dignità, di riscossa e di unità.

  12. @ G. Mannacio
    Grazie a Giorgio per l’attenzione e per l’uso di quel *sistema di sapore antico antico nella cornice della modernità*.
    Ho anche apprezzato che si sia colto lo stridìo di quel ‘derbystico’ messo lì a contrappuntare una colonizzazione linguistica a fronte di quella particolare modalità della tifoseria calcistica che trasborda poi anche in politica.

    Ribadisco, in prima battuta, che non mi è mai passato per la testa di decidere alcunché sui criteri per valutare chi è contro o a favore di Renzi a partire dall’articolo di P.Pagani: *è contro Renzi chi approva in toto il testo di P.P* (G. Mannacio).
    Inoltre il merito attribuito allo scritto in questione non riguardava il fatto di *contrastare* le divisioni da derby quanto di lasciare da parte la partigianeria animosa e cercare di fare un discorso più ampio e complesso.
    Suvvia! Non siamo sui banchi di scuola: “abbasso la maestra, viva il bidello”!
    Quello che mi era sembrato importante nel post di P. Pagani era proprio il fatto che non intendesse trattare dello specifico ‘uomo’ – ovvero Renzi, in questo caso – ma vedesse in quel soggetto l’espressione e il veicolo di una cultura in grande sfacelo.
    Tu, Giorgio, scrivi *che il giudizio sulle opzioni politiche di una persona va fatto sulla base di dati concreti attinenti all’operare di ciascuno*.
    Non per il gusto di contraddizione, ma sappiamo che chi è al potere è un ‘rappresentante concreto’, ovvero un portatore in carne e ossa, con le sue peculiari caratteristiche che si prestano ovviamente a questa investitura, di espressioni politiche di un certo tipo anziché di un altro (ve lo sareste, appunto, immaginato un Civati o un Bersani? Solo “il baffetto” riuscì a farsi dire da Agnelli che “i miei interessi di destra sono ben difesi dalla sinistra”. E che solo con D’Alema – e non con Prodi – fu possibile la guerra nel Kosovo).
    Ora, se parlare di politica (per quanto questo termine sia oggi destituito di quel senso di cui era portatore) comunque ci farebbe pensare al benessere della polis, e se la politica renziana ricalca il mantra espresso nell’articolo di M.Piras (*cercare di promuovere una politica espansiva, utilizzando la spesa pubblica, e trovando risorse non solo nei tagli di altri capitoli di spesa, ma anche nella tassazione delle ricchezze più elevate*) non ti sembra che questi discorsi acchiappa gonzi li abbiamo sentiti fare dai tempi di MarcoCacco senza alcun costrutto? Possibile che non ci si renda conto che nell’operare (che pur tu richiami), ovvero nei fatti, si procede sistematicamente verso:
    a) la perdita di ogni residuo di democrazia e costituzionalità;
    b) la deindustrializzazione e la continua svendita dei ‘gioielli di famiglia’ dell’industria di Stato. E se Matteo Renzi incassa la promozione di Larry Fink, presidente e amministratore delegato del fondo BlackRock, la più grande società di investimento del mondo e questa investitura, non a caso, viene fatta a Milano, viene da pensare che, quanto ad ‘amerikanizzazione’ siamo proprio messi bene.
    Questo può significare essere ‘contro’ Renzi, ‘contro’ la sua politica, contro la politica di cui lui è mandatario, ‘contro’ la politica di chi pranza con lui per decidere come dividersi le spoglie del nostro ‘pauvre pays’?
    A me sembra che significhi soltanto sollecitare l’attenzione a considerare gli scenari che si stanno giocando sulla nostra pelle e che cercare di vedere e capire meglio il ruolo degli attori, dei comprimari, ecc. di questa recita sia necessario. Non metto in dubbio che ciò sia, come dici tu stesso, molto impegnativo ma mettere la testa sotto la sabbia non mi sembra una valida alternativa.

    @ Luca Ferrieri
    *Il dolore di Ciriachi, secondo me, sta qui, nell’assistere a un copione che si ripete uguale da troppo tempo. Quel che resta della sinistra, in preda alla volontà di potenza e all’illusione di onnipotenza di una ragione immobile, spesso dimentica il valore di “sentimenti” che potrebbero rimetterla in moto, come quelli di dignità, di riscossa e di unità.*
    Si, sono d’accordo, come sono d’accordo sulla diversa utilizzazione dell’energia che potrebbe essere * diretta a individuare le vie per cui si può battere l’avversario*.
    La difficoltà sta nel fatto che c’è bisogno di una radicale ridefinizione teorica su ciò e su chi intendiamo per ‘avversario’. Senza un pensiero non si potrà che continuare a muoversi di sponda.

    R.S.

    1. Oltre la sua veste virtuosa, “parlare di politica” nasconde rischi di danno spesso più grandi dei benefici che potrebbe arrecare, perché sposta sul piano verbale – con conseguente avvitamento in capziosi distinguo teorici per esperti nello spaccare i capelli in quattro – la dinamica ansia-frustrazione che deriva dall’immanenza di una realtà fattuale che sembra priva di sbocchi praticabili. Non dico che non vada fatto, ma vedo ogni volta quanta energia si prende nel malinteso, nello spiegare il malinteso, nel malintendere la spiegazione del malinteso e così via. Quindi non specifico, non preciso, non rispondo, anche perché quello che ho detto è solo il racconto delle mie difficoltà e a me non serve avere ragione ma voce. Continuo col racconto. Ho letto, lo scorso anno, “Resistere non serve a niente” di Walter Siti, poi Premio Strega del 2013. Non lo dico per mere questioni letterarie ma per i contenuti che ha portato alla mia attenzione, ben sintetizzati dal disarmante titolo. Nel romanzo l’autore, col pretesto di ricevere le confessioni di un rampollo della nuova ndrangheta desideroso che si scriva il romanzo della sua vita, viene a conoscenza del salto di qualità compiuto dalla criminalità organizzata che ormai manda i suoi figli più dotati a formarsi alla London School of Economics poiché la sua strategia di espansione, risolto il problema delle coperture politiche, verte tutto sulle manovre del capitale finanziario che investe in concorso e in conflitto, a seconda dei casi, col capitale finanziario di altri poteri costituiti. In sintesi, il quadro che ne esce, per restare in Europa, è che l’Italia, di qualunque governo arrivi a dotarsi, non potrà mai uscire dal ricatto di politiche decise e volute altrove (BCE? FMI? Altro?); chi tentasse di farlo si troverebbe sotto ricatto, ovvero la bancarotta derivante dall’immediata decisione del capitale finanziario di investirsi altrove. Ergo, la scelta sarebbe fra acquiescenza alle politiche che gestiscono in modo soft il nostro dipendere da decisioni altrui, o l’imbarbarimento derivante dall’abbandono a noi stessi in una realtà di flussi finanziari e politiche economiche totalmente rivoluzionato dall’89 in poi che non lascerebbero scampo alcuno a una moneta priva di coperture internazionali. Quando dico che vorrei qualcuno affidabile capace di dare una risposta “politica”, ovvero di progetto politico realizzabile passo dopo passo, lo dico innanzi tutto perché mi liberi dalla paura che la prospettiva adombrata dal libro di Siti genera in me. Non ho nulla in contrario a guardare in faccia la realtà, ho molto in contrario a illudermi e a perdere tempo in ragionamenti che pur avendo una radice virtuosa finiscono per assumere modalità viziose. E’ vero quello che prospetta Siti nel suo romanzo? Insomma qual è lo scenario nel quale pensiamo di articolare la nostra condivisa soluzione politica? Essendo venuto meno l’internazionalismo proletario, ed essendo mutato il capitale da produttivo, con tutta la sua tradizione di lotte e anche di successi, a finanziario, rispetto al quale mi sembra di brancolare nel buio, contro chi ci troviamo a combattere? Senza intelligenza dell’avversario, non si va da nessuna parte: allora, è possibile contare sulle competenze di esperti che giochino la carta politica non in nome di poteri personali o perché delegati da occulti poteri altrui? Chi è Renzi, e cosa rappresenta, lo so anche senza scendere in dettagli, ma a chi unirmi per un’opposizione allo stato di cose che ora si manifesta sotto il logo Renzi, ebbene questo non lo so. A settant’anni mi sento isolato e perso come mai, ho sempre avuto rispetto per i tempi lunghi della storia e della politica, non sono mai stato tentato dalle scorciatoie, non pretendo di vivere qualche scampolo di vita scaldato dal sol dell’avvenire, ma vorrei sapere dove sto e dove è possibile andare. Mi mancano le competenze specifiche, mi mancano cartografi che sappiano disegnare mappe attendibili dei territori da attraversare, spiriti liberi capaci di unire, anziché dividere, qualcuno che cominci a dire, in concorso con altri: guardate, la situazione è questa e quest’altra, si rischia di non uscirne a meno che non si faccia la tal cosa e la tal altra; dopo di che, si uniscono gli sforzi per intraprendere un percorso necessariamente collettivo e se si fatica, almeno si sa di farlo per qualcosa che vale la pena. Come vedete, non so che esprimere disagi, dubbi, limiti, debolezze. Ne rendo testimonianza, vedi mai che possa servire a qualcosa…

  13. Sono molto d’accordo con Ennio, diciamo pane al pane e vino al vino. Molte famiglie però non hanno più pane e tanto meno vino, voglio dire che anche con intelligenza cercare la sostanza e la verità quando la corruzione e il servilismo politico imperano come si fa ad avere i mezzi per cercare giustizia? Senza lavoro è come morire , allora cerchi tutte le strade che portino a salvarti e questo i politici lo sanno. Per sempre e come sempre l’illusione di democrazia ci darà una mappa da seguire e forse troveremo il pane e il vino , ma certo non quello della giustizia. Purtroppo la ricerca della giustizia richiede sacrifici e lotte dovremmo essere disposti a farlo tutti insieme e qui mi vien da ridere per non piangere. Non piango.

  14. Grazie a tutti e in particolare a Rita Simonitto per la civile risposta.Posto che ogni discussione deve avere una fine sintetizzo il mio pensiero conclusivo in 6 punti.
    1 ) Non mi interessano più di tanto i profili psicologici e comportamentali dei politici e in tal senso mi sono espresso nei confronti dello scritto di P.P . 2 ) Ciò non dovrebbe importare ( e vedo che in ” linea di principio” sono quasi tutti d’accordo ) un giudizio sulla posizione politica di chi si pronuncia sul testo di P.P. 3 ) In linea di fatto non è così. Quando E.A mi imputa una elusività circa la politica di Renzi ( che osteggia ) non fa che attribuirmi una opinione contraria alla sua. Ho parlato ” pour cause ” di antico gioco. Vi ricordate quel ” gioco di società” in voga negli anni ’70 ( o giù di li ): ti piace il tè,sei di destra; ti piace il vino: sei di sinistra e così via ? 4 ) Si elude ciò che è specifico oggetto di discussione . Nel testo di P.P non vi sono specifiche e significative analisi politiche e allora cosa ho eluso? 5 ) Se si vuole e si deve parlare della politica attuale lo si faccaia secondo il metodo proprio di tale scienza o arte che dir si voglia. Si definiscano dei temi;rispetto ad essi si identifichino le scelte operate;si analizzino i mezzi usati nel quadro delle compatibilità e via dicendo. Non sono certo io che posso insegnare ad altri i metodi della politica degna di questo nome. 6 ) Quello descritto al n. 5 è il metodo che bene o male utilizzo con la mia ” poca intelligenza ” ( Ciriachi direbbe- con una curiuosa e intrigante espressione – singola ) ma fino a prova contraria sulla ragionevolla di esso non mi sposto.
    Come si dice nei films di geurra : passo e chiudo.
    Giorgio Mannacio.

  15. Sono molto in sintonia mentale e sentimentale, più che in accordo o altro , con gli interventi di Fabio Ciriachi. Non sento il suo modo di sentire le cose in questione come posizioni opposte, o critiche, o delegittimanti o di manipolazione dell’intervento d’apertura proposto nella lettura di Pagani. I due motivi di questo mio percepire sono uno storico e l’altro di desideri e frustrazioni personali . I motivi che fra poco sintetizzo , partono peraltro da consapevolezze storiche che non credo coincidano fra la mia elaborazione e quella di F.C.

    Il primo motivo è dato dalla storia piu recente della pseudo-sinistra, sia cosiddetta di centro che radicale, che di fronte al padre antropologico di Renzi, ha grosso modo già avuto nella sua biografia personaggi politici e intellettuali, che ponevano l’accento sul che fare di fronte a SB ( ed ora MR) divisi , sempre grosso modo, in due correnti…ci sono stati coloro che , come Pagani oggi con Renzi e molti altri (vuoi in veste politica vuoi intellettuale) sentivano il compito /la missione di rivelarne le trappole e la farsa, e chi invece, vedi una volta D’Alema, o Veltroni etc etc non volevano nemenno di parlasse di avversario, dicendo/comunicando che occorreva solo concentrarsi sul piano dei programmi, delle azioni grazie alle quali avrebbero sconfitto lui e il berlusconismo. Entrambe le correnti si sono rivelate mere propagande, altrettante trappole, che soprattutto agli inizi e nel periodo centrale del ventennio passato, ne hanno rafforzato il corpo, diventando osceno sia che partecipassero all’orgia e definitiva disintegrazione del nostro paese sia che ne fossero spettatori, attivi o passivi, di un finto dissentificio da piazza, appelli, paladini insomma di finti ribelli come in Libia o in Siria, nel basso i più in buonafede, nell’alto per lo più in malafede o del tutto cretini, o comunque compatibili a chi , essendo il vero pa_drone /la_drone del nostro paese ( e il suo popolo), è potuto passare da una strategia della tensione ad un’altra (senza che della prima ne rimanesse vera traccia diffusa e capillare dei suoi intrecci criminali di Stato, per poter almeno sperare che lo spirito popolare ne venisse influenzato per regolarsi con la seconda)…. compiere il definitivo passaggio stabilito ormai decenni fa dall’ordine mondiale del liberismo liberticida, è stato un gioco da ragazzi per i padroni del mondo, soprattutto in luoghi già addomesticati come le repubbliche delle banane in cui anche la nostra con le sue varie marionette, facilmente riconoscibili se di cosiddetta destra, un po’ meno se di cosiddetta sinistra, quindi più utili al palcoscenico della farsa, quindi più “credibili” per un certo tipo di polli d’allevamento, a cui lanciare con Renzi e simili, ma del resto anche Spinelli e simili, un tipo di becchime che sembr imeno incontaminato di altri….In realtà per liberarsi così come la liberazione non è riuscita a fare nonostante tante di recite di antifascismo, l’unica cosa necessaria a questo paese che non è una cosa di sinistra o di destra o grilla o di centro, è impossibile a farsi:
    1 perché occorrerebbe raccontare, giorno e notte almeno fino al 2134 , come è andata la storia da un’occupazione all’altra o dal 1943 a oggi;
    2 perché occorrerebbe eliminare tutti coloro che , politici-intellettuali-giornalisti, si sono venduti al nuovo padrone, vendendo la madre il padre i figli ..tutti, magari con il sorriso sulla bocca in nome della carta dell’uomo;
    3 perché non è detto che, ammesso sia possibile progettare e realizzare le prime due azioni, si guadagni così un’ autonomia e un ‘indipendenza e, per quanto riguarda la seconda occupazione tuttora in corso e sempre piu feroce, non è detto che si possa riconsegnare alle persone di questo tragico paese, la possibilità di recuperare le memorie, gli usi e i costumi di una civiltà ormai completamente monopolizzata dagli imprinting U.S . E soprattutto, non è detto cioè che non si passi a una terzo invasore.

    ..ma, nonostante tutto ciò, come direbbe Camus, o in altre parole Brecht, etc etc bisogna immaginare continuamente, strenuamente, almeno una lotta, una speranza, nel cuore dell’uomo che sa, in questo immaginare Sisifo felice.

  16. Credo sia giusto, nelle discussioni, sottolineare i passi su cui si è particolarmente d’accordo e passare poi a quelli su cui si dissente.

    Segnalo subito il punto n. 5 di G. Mannacio (*Se si vuole e si deve parlare della politica attuale lo si faccia secondo il metodo proprio di tale scienza o arte che dir si voglia. Si definiscano dei temi;rispetto ad essi si identifichino le scelte operate;si analizzino i mezzi usati nel quadro delle compatibilità e via dicendo*), pensiero che mi sembra corrisponda bene a quanto esposto da F. Ciriachi sia quando afferma *Oltre la sua veste virtuosa, “parlare di politica” nasconde rischi di danno spesso più grandi dei benefici che potrebbe arrecare, perché sposta sul piano verbale – con conseguente avvitamento in capziosi distinguo teorici per esperti nello spaccare i capelli in quattro – la dinamica ansia-frustrazione che deriva dall’immanenza di una realtà fattuale che sembra priva di sbocchi praticabili*, e sia quando sostiene che *Senza intelligenza dell’avversario, non si va da nessuna parte: allora, è possibile contare sulle competenze di esperti che giochino la carta politica non in nome di poteri personali o perché delegati da occulti poteri altrui*.
    Credo però che non basti essere d’accordo e condividere *i disagi, dubbi, limiti, debolezze* di cui F. Ciriachi ci rende partecipi né limitarsi a raccoglierne la testimonianza o a darne voce nei disparati (e disperati) luoghi in cui ciascuno si trova ad operare, mancando un collettore comune.
    Forse Poliscritture potrebbe mettere a disposizione uno spazio di tal genere, *dove ci possa essere qualcuno che cominci a dire, in concorso con altri: guardate, la situazione è questa e quest’altra, si rischia di non uscirne a meno che non si faccia la tal cosa e la tal altra* (almeno come ipotesi di lavoro).
    Dove invece dissento, riguarda la paura generata dalla prospettiva adombrata dal libro di W. Siti.
    La paura è un sentire infido perché opera ambiguamente: può tenerci lontano da situazioni pericolose ma può anche renderci acquiescenti nei confronti di ipotetici ‘salvatori’ e fiaccare le nostre risorse.
    Nel progetto del bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki non figurava una scelta di ordine bellico per vincere la guerra (le sorti erano ormai già chiare) ma si trattava di una dimostrazione di potenza annichilente di fronte alla quale non si poteva che provare paura e sottomissione. E’ uno stile che oggi funziona molto bene a livello finanziario.
    Metto in calce questo sonetto di G. G. Belli, scritto nel 1831, perché non voglio trovarmi tra coloro che rispetto ad una realtà tragica che viene loro mostrata, si limitino a dire, supinamente, “È vvero, è vvero.”
    Come dice Rò *bisogna immaginare continuamente, strenuamente, almeno una lotta, una speranza, nel cuore dell’uomo che sa*

    Li soprani der monno vecchio

    C’era una volta un Re cche ddar palazzo
    mannò ffora a li popoli st’editto:
    – Io so’ io, e vvoi nun zete un cazzo,
    sori vassalli bbuggiaroni, e zzitto.

    Io fo ddritto lo storto e storto er dritto:
    pozzo vénneve a ttutti a un tant’er mazzo:
    Io, si vve fo impiccà, nun ve strapazzo,
    ché la vita e la robba Io ve l’affitto.

    Chi abbita a sto monno senza er titolo
    o dde Papa, o dde Re, o dd’Imperatore,
    quello nun po’ avé mmai vosce in capitolo -.

    Co st’editto annò er boja pe ccuriero,
    interroganno tutti in zur tenore;
    e, arisposero tutti: È vvero, è vvero.

    R.S.

  17. Grazie Rita…ho apprezzato in silenzio, senza darti traccia del mio accordarmi ai tuoi precedenti strumenti/interventi e così ho preferito prendere spunto da un certa musicalità espressa fra le righe dei desideri di Fabio , intendo quelli che vanno al di là del senso di impotenza generato da questo o da quel ventennio, passato o futuro Don Silvio o Don Matteo. Intendo quei desideri che rimangono veramente vivi:desiderare, come davanti a un mistero, lo studio delle sue soluzioni . Questi sono stati i desideri emersi perlomeno ai miei occhi dalla lettura delle espressioni di FC fra le righe delle sue parole , tutto teso nel cercare di andare al cuore degli unici spazi politici possibili che, stante le condizioni attuali, sono miliardi di anni luce lontani da quelli istituzionalizzati…..Se i desideri politici dei padroni del mondo ci dominano determinando gli spazi politici delle loro colonie e dei loro ubbidientissimi servi , non rimane alcun luogo politico se non quello già pre-determinato dai loro input e dalle loro scelte avvenute nei luoghi occulti della politica che sono ancor piu criminali e occulti di qualsiasi mafia o ‘ndrangheta, “istituzione” necessaria all’impero e alle sue colonie per far credere ai polli che ci sia una societa/stato sana e un’altra criminale…..Quanto appena esposto significa che solo in luoghi solitari come quello quando pensi fra te e te, puoi essere veramente politico, oppure in luoghi più plurali come potrebbe essere questo e così altri simili…lì dove si potrebbe andare oltre la cortina di fumo, i canoni e i binari in cui padroni politici vogliono avvenga e incanalano qualsiasi riflessione, studio, programma, così tanto da farti credere sopra ogni cosa di essere libero nell’esprimere il tuo dissenso, la tua ribellione e, abbiamo udito udito, il mitico change, we can e puttanate a seguito di “cambiamento” (arancione e di tutti i colori e gelsomini che conosce bene Sharp e tutti i suoi predecessori e successori) .

    L’essere noi un cazzo, come ormai da due secoli sappiamo belli belli, non significa che prima o poi in spazi lontani dalle dinamiche di potere e di palazzo, almeno noi che ne sappiamo ogni filo o quasi ( e anche se non lo sapessimo possiamo e dobbiamo intuirlo ) non possiamo darci la speranza di averli fottuti anche solo individualmente non replicandone le logiche di potere, non sentendosi frustrati per il fatto di non averne nemmeno sulla propria vita(e figuriamoci su quella di un altro), e sapendo ciò che ci unisce ( che in partenza è la condizione di profugo in qualsiasi luogo tu venga al mondo) non è la paura, ma il desiderio di imparare ed insegnare a sputare, a vomitare, a non assumere manco un granulo di tutto il becchime con cui ti vorrebbero allevare a luci artificiali spacciate per umanitarie , ammassati tutti in un unico pappone mediatico-tecnologico, in cui ti fanno pure credere di pensare con la tua testa o di votare, di essere libero o contare più di un cazzo..

  18. Grazie a Rita SImonitto che cita Belli che conosco- posso dirlo? – profondamente.Poichè non ho mai detto : èvvero,èvvero uso la mia ” singola intelligenza ” e vado avanti.
    Giorgio Mannacio.

  19. @ Ciriachi

    Noi oggi siamo degli espulsi dalla dimensione politica. Ed è per questo che ce la immaginiamo come chiacchiera (un generico “parlare di politica”) o come discorso vacuo («capziosi distinguo teorici per esperti nello spaccare i capelli in quattro»). In effetti a questo, tramite TV e mass media, l’hanno ridotta PER NOI. ( Poi la politica “vera” la fanno altri, in pochi e lontani dai nostri occhi rimasti buoni buoni “democratici”…).
    Capisco, dunque, la tua repulsione, la voglia di disertare un teatrino falsificato. Ma – non me ne volere – mettere al suo posto o illudersi di coprire quel vuoto con « il racconto delle mie difficoltà», dirsi che « non serve avere ragione», scegliersi quasi come libro-guida «“Resistere non serve a niente” di Walter Siti» mi pare davvero una rinuncia, un rassegnarsi a masticare il cibo (avariato) che passa il convento. Che poi venga tirato fuori dagli scatoloni con la scritta «Premio Strega del 2013» aumenta la mia diffidenza.
    Detto chiaro e tondo e pur con il rispetto che mi resta per la sua passata intelligenza di critico, oggi Siti per me – e quel suo titolo la dice tutta – è la versione di Renzi (o di Monti o di Berlusconi) in letteratura.
    Dice in termini letterari quello che ci ripetono i politici di destra e di sinistra al governo: rassegniamoci al dominio dei nuovi inattaccabili padroni, che sarebbero i banchieri, il capitale finanziario.
    Chiediamoci: la letteratura (Siti) ci dà qualcosa di più rispetto al vuoto “parlare di politica”?
    Cosa dice di più Siti rispetto a “quanto già si sapeva”? (Questo mi viene da obiettare con un pizzico di malizia, visto che a Paolo Pagani questo è stato obiettato).
    Basta frequentare un po’ «Sinistra in rete» e si trovano decine e decine di saggi sul predominio della finanza e sugli avidi banchieri che fanno il brutto e il cattivo tempo. E se qualcuno avesse il coraggio di affacciarsi su «Conflitti e strategie» potrebbe sentire anche una campana, quella di G. La Grassa, che mostra una sana diffidenza verso questa “demonizzazione” della finanza e delle banche e suggerisce di fare più attenzione alle strategie politiche che guidano (anziché subire) le scelte economiche.
    Ora posso convenire che in questo bailamme a settantanni (io ne ho 73!) ci si senta isolati e persi. Specie se ci si è accorti che quel poco di politica che imparammo in abborracciati seminari ai tempi del “movimento” o in qualche organizzazione extraparlamentare anni Settanta è del tutto insufficiente a capire cosa s’agita nelle viscere oscure del capitalismo globalizzato.
    Ma evitiamo, però, l’invocazione astratta del Grande Autore del Das Kapital del XXI secolo.
    E se non ci fosse Nessuno capace di soddisfare il nostro desiderio di « sapere dove sto e dove è possibile andare»?
    Se non ci fosse Nessuno capace di toglierci le castagne dal fuoco, dicendo « guardate, la situazione è questa e quest’altra, si rischia di non uscirne a meno che non si faccia la tal cosa e la tal altra»?
    Secondo me, come ho detto, possiamo solo rimboccarci le maniche, riprendere a studiare, cercare ancora, criticare puntigliosamente quello che ci passa (o ci viene posto) sotto il naso. Resistiamo, invece di predicare che «resistere non serve a niente». Non ci si affidi, con tutto il residuo rispetto, a Siti, insomma. Non colmerà mai il vuoto della politica. Non ce la fa neppure più Marx, figuriamoci lui.

    @ Simonitto

    Poliscritture accoglie, come si può ben vedere dai commenti, grida di dolore, disagi, dubbi, umoralità d’ogni tipo. E potrebbe anche ospitare qualcuno « che cominci a dire, in concorso con altri: guardate, la situazione è questa e quest’altra, si rischia di non uscirne a meno che non si faccia la tal cosa e la tal altra». Basta che questo qualcuno si faccia avanti.

    1. Ennio, da quanto leggo, più d’uno s’è fatto “avanti”, forse tu hai in mente qualcuno e qualcosa di particolare o di particolamente immaginato o vissuto nella tua testa… prova a esplicitare se ti riferisci a una figura storica, come tuo nonno, o un tuo amico, o altro riferimento che concretizza per te questo farsi avanti.

      1. @ ro

        Oltre a quanti già hanno detto le loro opinioni, sono benvenuti commenti e interventi anche di chi su com’è mutato il mondo e sul che fare avesse ( o credesse di avere) idee più precise di quelle finora espresse.

  20. Il fare che tu coinvolgi, Ennio, se intercetto bene il tuo desiderio, lo trovo pericoloso, ovviamente il pericolo vale per i miei occhi. Mi spiego in due perché :
    1 – comporterebbe una premessa già espletata, fatta di una strada comune che abbia fornito identici segnali e mappe dei vicoli ciechi, passati e presenti, che ci hanno portato fino a questa fantascienza con cui si vorrebbe avere a che fare e da fare. Dagli interven(u)ti, qui come altrove, emerge sempre che ognuno ha la sua visione storica, più o meno allineata a quella ufficiale o comunque ignara di quella occultata..ciò crea una divergenza, palpabile o meno, che può non essere palesemente conflittuale ma, forse peggio, perché per l’altro o per alcuni può essere una premessa con il suo bel da fare del tutto indifferente;
    2 – si attenderebbe quindi qualcuno o qualcosa che solo con il dire / con lo scrivere ti/ci affascini (ti/ ci sblocchi etc etc ) sollevandoti da una palude quasi a portarti a un momento prima delle sabbie.

    La definirei Mission Possible solo per un super-eroe o, nel migliore dei casi impossibili, aspettando Godot.

    https://www.youtube.com/watch?v=rEHns_l4ckU

    1. @ Ennio – Ho citato il libro di Siti (e me ne pento, perché s’è preso uno spazio che non merita) solo per la novità su cui mi ha permesso di concentrare l’attenzione (e qui rispondo alla tua domanda: “Cosa dice di più Siti rispetto a “quanto già si sapeva”? “) ovvero sul fenomeno del passaggio della criminalità organizzata ai metodi del capitale finanziario. Tu forse lo sapevi, io no. E’ tutto qui. Libro-guida? Ho solo detto che la prospettiva adombrata da quel romanzo mi fa paura. Non ho predicato che “resistere non serve a niente”, e mi sembra assurdo doverlo dire, ma a te serve pensare che io l’abbia fatto. Ecco, vedi come nascono le chiacchiere? E siccome, contrariamente a quanto pensi, io credo che resistere serva, mi rimbocco le maniche e mi sto zitto.

      1. @ Fabio (Ciriachi)

        Vorrei che le mie obiezioni/osservazioni/critiche non le sentissi come bacchettate. Io dico, tu replichi, io ribatto, e così via. La logica con cui cerco di muovermi è quella della “Ottava condizione” del documento che ho appena posto sotto l’ultimo commento di ro.

        *
        Ottava condizione
        Si può e si deve, in queste forme cenacolari e “povere” approntare spazi per un paziente e amoroso lavoro di critica inter nos (non ipocrita, non diplomatico, severo, serio, argomentante, non cannibale/fratricida) per uscire dal guazzabuglio di marxismi residuali, psicoanalismi, ecologismi, estetismi postmoderni in cui di solito ci dibattiamo e avviarci verso un pensiero critico adeguato al paesaggio sconvolto in cui ci siamo venuti a trovare. Tale bonifica va fatta con tutti i sensi attenti all’extra nos.
        Saranno elementari spazi di dialogo viso a viso, non virtuali (senza negare il valore della comunicazione virtuale in assoluto). Perciò: singoli o gruppi che s’incontrano, discutono, si scambiano possibilmente scritti privati ma tendenzialmente pubblici, vagliano qualità e contenuto dei medesimi, si ripuliscono dalle inevitabili tensioni, invidie, antipatie e simpatie, attrazioni e repulsioni, pregiudizi, avendo presente che l’obiettivo è di arrivare ai mondi, agli altri di cui si parla (e di misurarsi con i convitati di pietra che ci dominano).

        1. @ Ennio, non le sento come bacchettate, che comunque apprezzerei, se fossero rivolte a me. Ma io non ci sono, nelle tue osservazioni. La sensazione, è che l’altro ti interessi come pretesto. Spendi un’enorme quantità di parole su Siti e il suo libro (rileggiti, e nota il tono), mi fai diventare il sostenitore del “resistere non serve a niente”. Ripeto, la prospettiva adombrata dal suo libro, se vera, mi fa paura. La paura attiene al sentire, non la si può criticare; quello che si fa, o non si fa, in conseguenza della paura attiene all’agire: quello è criticabile. Ma tu mi critichi per aver letto un libro (che critichi senza aver letto). Ideologia, ideologia, non è casa mia.

          1. @ Fabio (Ciriachi)

            Ognuno ha i suoi libri di riferimento. Se l’hai citato è perché a te il libro di Siti ha detto qualcosa. A me i libri di Siti d’oggi m’interessano meno di quelli scritti in precedenza. Di “Resistere non serve a niente” ho letto quanto pubblicato su LE PAROLE E LE COSE e mi è “bastato” e mi è servito a intervenire nella discussione come commentatore. Nulla di più. Non sempre si è tenuti a leggere libri che non ci prendono. E tuttavia ritengo che, anche senza leggere un libro, si possa esprimere un giudizio, una impressione, una valutazione delimitata a un aspetto del libro o ad un riflesso che esso ha tra i suoi lettori o fan.
            Io ho criticato l’ideologia dell’arrendevolezza e del “non c’è nulla da fare” che si intravvede nel titolo del libro di Siti e in varie interviste da lui rilasciate.
            Se questa non c’è, lo si dimostri. Non ho “criticato” la paura. Né tantomeno la tua paura. Per il resto, beato te se sei fuori dalla casa dell’ideologia.

          2. Ennio, ma ci fai o ci sei? L’ho citato non per ragioni letterarie, ma per l’ipotesi che prospetta (su quella non hai speso una parola). Se volevo parlare di Siti scrittore lo facevo con gli strumenti della critica, ma la tua pavloviana compulsività ha fatto scattare la molla (“critico l’ideologia dell’arrendevolezza”), e ormai non vedi altro. Sei tendenzialmente un provocatore. Sono beato perché sto fuori dalla casa della tua ideologia. Ogni volta che provo a chiuderla col silenzio, aggiungi una nuova stupidaggine. Mi spiace per gli altri che non c’entrano, ma se questo è il prezzo per continuare insieme, io non lo pago. Le energie mi servono per altro.

    2. @ ro
      Né Mission Possible, né Godot, né Grande Vecchio, né attesa del Veltro o Messia. Attribuendomi questi “desideri”, sei fuori strada.
      La mia idea di “militanza oggi” me l’ero ripensata in una riflessione inedita del lontano 1999. È un po’ lunga, ma la inserisco lo stesso in questo spazio commento.

      *****

      Considerazioni sul tema della militanza oggi
      sulla proposta dell’Ass. Culturale Baldisseri di Siena
      di Ennio Abate

      La militanza a cui qui ci riferiamo, quella storicamente praticata nel ‘900 in forme partitiche o di movimenti, ha comportato sempre una volontaria (e fino ad un certo punto controllabile) immersione nell’intrigo, nella violenza, nell’ambiguità e nella materialità degli eventi storici; e, conseguentemente, la rinuncia alle passeggiate contemplative sui mali del mondo o al quieto dialogo da finestrelle impolitiche o apolitiche degli spiriti eletti.
      Essa è stata esperienza ambivalente: di scissione, di separazione da ciò che è noto, familiare e adottato ormai automaticamente dalla comunità in cui ci si ritrova per nascita; di proiezione verso il possibile, l’altro da sé, il progetto di società aperte.
      Non ha dato, insomma, ai suoi praticanti quella tranquillità, che le odierne filosofie del disincanto promettono.
      A ‘900 ultimato, è possibile assumere ancora il termine militanza come metafora di conflitto, di lotta per cercare e realizzare modi di pensare e di vivere che hanno soggettivamente e razionalmente più valore di altri? E riproporlo pubblicamente, malgrado i significati (fra i quali, per me, quello di comunismo) ostici o sgradevoli o “superati” che evoca alle menti ovattate delle ultime generazioni?
      Si può rispondere pacatamente in modo affermativo, solo a determinate condizioni.

      Prima condizione.
      Che la militanza oggi possibile, pur non confondendosi col pacifismo di maniera da società postindustriali, sia depurata da paludamenti guerreschi e avanguardistici, riproposti specie nelle esperienze degli anni ’70, ma anche da quelli gesuitici ed élitari introiettati dalle esperienze partitiche del ‘900.

      Seconda condizione.
      Visto che a porsi il problema di una possibile nuova militanza sono (siamo) in genere degli “umanisti”, è da mettere in conto – preventivamente e senza offesa per nessuno – una faticosa risalita dalla voragine d’ignoranza, snobismo e sottovalutazione degli sviluppi prodottisi nei campi “scientifici” (dalla comunicazione alla finanza, al militare, al tecnologico).
      L’oscillazione contraddittoria del mondo contemporaneo fra globalizzazione imperiale e convulsioni localistiche produce una tremenda divaricazione fra corporazioni e ghetti, che è gestita appunto “scientificamente”. Contrastarla “umanisticamente” non basta.

      Terza condizione.
      La militanza oggi possibile non può ridursi a polemica fra simili.
      Non, ad esempio, fra appartenenti alle corporazioni “umanistiche” o “scientifiche” del sapere.
      E neppure fra i partecipi, nolenti o volenti, dei complessi ghetti mentali e sociali, dove i residui eterogenei delle grandi narrazioni: religioni, marxismi, psicoanalismi, ecologismi, ecc., penetrati nella vita quotidiana, impongono segmentazioni variamente nominate e irrigidite: “società civile”, “opinione pubblica”, “privato”, “immaginario”, “inconscio”, ecc.
      Bisognerà tornare a sfidare i veri convitati di pietra, i poteri dominanti del Capitale Internazionale, che hanno cooptato o subordinato, in modi raffinatissimi o brutali, tutti i tipi di sapere.
      Oggi i nemici “più nemici” restano inaccessibili sia allo sguardo “umanista” sia a quello neutramente “scientifico” sia a quello “alternativo”.
      Ci sarà da scovarli, strappandoli alle ombre dell’inconscio o alle nebulosità del virtuale, in cui si celano.
      Ci vorrà un altro sguardo, che non è fornito in anticipo dall’adesione o dall’appartenenza ad una tradizione buona (scientifica o umanistica) o dalla scelta anticonformista; ma sorgerà costruendo una nuova critica a stretto contatto con questa, temibile ma non aggirabile, mondanità, prodotta o corroborata al tempo stesso da scienze, umanesimi e avanguardismi quasi pienamente inglobati.

      Quarta condizione.
      La militanza intellettuale non partitica nelle sue forme più classiche (ad es., quella sartriana o fortiniana, a me più note), non è più e da tempo alla nostra portata. Sarebbe deleterio scimmiottarne il modello.
      Essa presupponeva l’inserimento in un lavoro intellettuale ormai socialmente scomparso o in via d’ulteriore ridimensionamento; e comunque vicino alle condizioni di vita delle élites.
      Né queste condizioni di vita né quel tipo di lavoro intellettuale sono più accessibili agli intellettuali di massa, che sono (siamo) dentro circuiti di lavoro intellettuale flessibile, fungibile, periferico (davvero un lavoro come un altro) e anche di non lavoro.
      Quindi una militanza separata o esterna alle attività professionali e al “tempo libero” annesso ad esse o al tempo da disoccupati, escludente e marginalizzante, non è più pensabile.
      La funzione critica universale, svolta in passato dagli intellettuali tradizionali, va condotta perciò entro queste nuove, degradate condizioni.(1)

      Quinta condizione.
      Bisogna che nell’intellettualità di massa si sviluppi un processo politico che permetta di vivere questa condizione nelle sue possibilità di valore autonomo e non come un fastidioso limite da mascherare o rappezzare in vista della cooptazione nell’insensato ma sempre funzionante Mondo del lavoro (o, nel sempre più suo gemello Mondo della Cultura).
      C’è davvero poco di esaltante, al momento, in questa condizione sociale.
      Si tratta di un “cattivo soggetto” che, forse già dal ’68, ha preso il posto dei soggetti forti: classe operaia, Partito e – suo complementare – intellettuale tradizionale.
      E’ corretto riconoscere, senza risentimenti e moralismi, in questa figura sociale un degrado rispetto ai modelli alti dell’intellettuale borghese o eretico-borghese, e persino rispetto alle ipotesi sessantottine. (2)
      Ma allo stesso tempo essa è l’unico serbatoio da cui – non so dopo quanti sforzi e fra quanto tempo – ci si può aspettare l’emergere di singoli e gruppi capaci di una militanza adeguata ai problemi d’oggi: globalizzazione, trasformazione del lavoro, revanscismi etnici, ritorno del sacro, ecc.

      Sesta condizione.
      Devono moltiplicarsi i luoghi pensati sulla taglia di una intellettualità diventata di massa. Qui questo “cattivo soggetto” potrà farsi le ossa ed evitare gregarismo e scorciatoie.
      Quindi: no alle militanze da catechismo, riproposte di continuo da partiti di governo e d’opposizione e a quelle consimili o leggermente più oratoriali (di recente ammucchiatesi attorno alla rivista-movimento Carta). Non per un ingeneroso preconcetto verso certi benintenzionati sforzi, ma per l’evidente prolungarsi in essi di stili élitari e/o populistici, desunti senza un severo filtraggio critico dalle consolidate tradizioni italocomuniste (più statuali) e italocristiane (più sociali).
      Ben più in basso e a debita distanza dalle istituzioni storiche (partiti, sindacati, cooperative, ecc.) bisogna gettare alcune fondamenta, su cui in futuro potrà prodursi nuova militanza.
      Ci vuole un esodo dalle forme istituzionali consolidate.
      Esse, godendo di una discutibile rendita di posizione, continuano a imporre o a proporre surrogati dell’impegno politico esploso alla fine degli anni ’60 e proseguito per tutti gli anni ’70. Riproducono un ceto intellettuale, che non vuole riconoscersi di massa e, ipnotizzato dai poteri corporativi, opera da sonnambulo entro i ghetti mentali e sociali in cui è confinato. Così le sue ambivalenze non appaiono mai come contraddizioni.

      Settima condizione.
      La forma provvisoria dei samizdat (dal foglio personale, alla rivista povera, al foglio volante, al sito anticonformista su Internet, alla rivista “carbonara” accolta in qualche piega istituzionale) è quasi d’obbligo oggi per i singoli o gruppi emergenti dall’intellettualità di massa, se non vogliono restare nella nicchia di un privato ampiamente colonizzato o aggregarsi ai potentati che controllano una sfera pubblica devastata.
      Anche se è giusto restaurare e non radere al suolo quello che ancora regge (solo però quando regge!), è bene sapere che la rifondazione di vecchie e una volta gloriose istituzioni, che di solito viene preferita alla ricerca scalza o autofinanziata o periferica, confina all’ombra di un paternalismo istituzionale, sempre meno illuminato, esperienze che hanno bisogno di svilupparsi in serie forme cenacolari e diffondersi appena possibile.

      Ottava condizione.
      Si può e si deve, in queste forme cenacolari e “povere” approntare spazi per un paziente e amoroso lavoro di critica inter nos (non ipocrita, non diplomatico, severo, serio, argomentante, non cannibale/fratricida) per uscire dal guazzabuglio di marxismi residuali, psicoanalismi, ecologismi, estetismi postmoderni in cui di solito ci dibattiamo e avviarci verso un pensiero critico adeguato al paesaggio sconvolto in cui ci siamo venuti a trovare. Tale bonifica va fatta con tutti i sensi attenti all’extra nos.
      Saranno elementari spazi di dialogo viso a viso, non virtuali (senza negare il valore della comunicazione virtuale in assoluto). Perciò: singoli o gruppi che s’incontrano, discutono, si scambiano possibilmente scritti privati ma tendenzialmente pubblici, vagliano qualità e contenuto dei medesimi, si ripuliscono dalle inevitabili tensioni, invidie, antipatie e simpatie, attrazioni e repulsioni, pregiudizi, avendo presente che l’obiettivo è di arrivare ai mondi, agli altri di cui si parla (e di misurarsi con i convitati di pietra che ci dominano).
      La forma rivista-samizdat, se raccoglie questa elaborazione tendenzialmente cooperante, è strumento insostituibile e non sfigura neppure ai tempi di Internet.
      Servono riviste che accolgano singoli e gruppi disposti a mettersi in gioco, a decantarsi davvero da orecchiamenti e abiti culturali troppo effimeri o sgargianti.
      Ce ne vogliono che sappiano, al contempo, staccarsi dalle seduzioni della ricerca tutta accademica.
      Da esse potrà venire un’immagine positiva e militante dell’intellettuale massa: non succube dei massmedia, né infantilmente onnipotente, non arruffona, in contatto vivo con i bisogni degli altri/ le altre, capace di confrontarsi (senza demonizzarla) con l’intellettualità accademica umanistico-scientifica.

      Solo a queste condizioni potrà affiorare un militante, né epigono né avanguardia, né prono alle Corporazioni né tentato dai nichilismi da ghetto; un intellettuale che si ponga a mezzo – spezzandone l’incantesimo – fra il silenzio o la riflessione interiore dell’impolitico e il fracasso e gli spasimi dell’attualità politica.
      E allora forse il termine stesso di militante potrà essere indifferentemente sostituito o mantenuto, poiché il contenuto positivo, oggi inabissatosi, avrà raggiunto nuova evidenza.

      Dicembre 1999

      NOTE

      1. Nelle quali non si può contare su saldi riconoscimenti o appartenenze ai ceti consolidatisi da varie generazioni in funzioni intellettuali. Anche il patrocinio (a volte intelligente, a volte miope, ma comunque cauto) di certi poteri locali (privati, universitari, fondazioni, editori, centri studi) è venuto meno o è fluttuante e seleziona, restrittivamente e in base a criteri inevitabilmente corporativi, la pletora degli intellettuali massa che la scolarizzazione mette in circolazione nella nuova composizione della società.

      2. Ecco un “ritratto” tipizzato che ho tentato di darne in alcuni appunti:
      “Analizziamo quella sezione di pubblico d’oggi, una vasta fascia scolarizzata, culturalizzata, non analfabeta, che potenzialmente costituisce il pubblico delle riviste.
      Guardiamo nel vituperato e snobbato sottobosco culturale, alla periferia degli Istituti, Fondazioni, Case editrici, Giornali, Clubs, eccetera, nelle frange della clandestinità culturale. Qui pare venga eseguita da invisibili custodi giornalmente una sadica condanna kafkiana:
      “Entra, se vuoi, nel mondo della cultura.. ma solo come consumatore! Sii eco (“Hai letto l’ultimo libro di Eco?”) e basta…
      Esiste dunque – e anzi a volte se ne discute sui mass-media che contano – una intellettualità di massa periferica, economicamente precaria o fragilmente garantita che s’aggira alla ricerca di identità e prova tutte le strade per guadagnarsi, in forma più o meno gregaria, “spazi”: dalle supplenze all’incarico d’insegnamento agli assistentati, consulenze, ricerche di mercato, ecc.
      E, nel frattempo, si prepara, approfondisce, divora saggistica, sorbisce corsi di aggiornamento, seminari, convegni, conferenze, apparizioni fulminee dei maitres à penser doc, di cui annota religiosamente anche le sputacchiate.
      In soldoni lavora gratis: consumando cultura. E poi, quando apre gli occhi e s’accorge che tirare per la giacca il santo protettore prescelto o sgomitare a centinaia o a migliaia è vano (si è pubblico e si deve restare pubblico), si chiude nel privato, va negli orienti della mistica o riparla (a vanvera) di “rivoluzione”.
      Ma non pensa e progetta altrimenti l’esperienza coatta che soffre.
      Questa intellettualità, che coltiva riscatti individualistici immaginari e viene blandita con false promesse, può (mai dire “dovrà”!) emanciparsi, riconoscere sprechi e dissipazioni di intelligenza e sentimenti, costruire un’idea meno fantasmatica del Lavoro, della Cultura, della Storia, della Società in cui viviamo.”.

  21. Ennio, tutto condivisibile questo documento, ma il desiderio che sottende, non è praticabile, d’emblée, in uno spazio internauta…so che non aspetti godot o i super-eroi, la mia è stata infatti una gentile provocazione. Siamo partiti dal constatazione che, qui, in questo con-testo, qualcuno si facesse avanti e dopo la mia domanda e la successiva provocazione, hai descritto con il ricco documento, cosa significa per te il soggetto che si farà di fronte a te o avanti….ma non siamo, almeno per come la penso io, sullo strmento/mezzo che posssa avere quella stessa sostanza capace di trasferirsi qui per generarne una con lo stesso dna del bisogno contenuto in questo tuo documento, del farsi avanti di qualcuno o di un’entità che contenga quei sapori (tu lo chiameresti ancora militante, io , personalmente, non da ora, ma da sempre, ho avuto sempre profonda allergia verso tutti i termini , glossari, vocabolario, idiomi della cosiddetta destra e così della sinistra etc etc limitano e militano tutti dentro la stessa divisa/radice “militare”)… Ma io ho comunque un mio vissuto tale per cui da questo strumento in cui ci troviamo, (ap)prendo ciò che non ha a che fare con i sogni , altrimenti pur se così nobili in quanto politici, mi sentirei come quelle e quelli che pensano di trovarci l’amore…infine ho forti dubbi verso tutti i discorsi del “fare” lanciati dalla rete o nella rete, fin dai tempi in cui lanciarono appelli micromeghini in contemporanea alle prime campagne/propagande di avaaz.org , amnesty fino a quelle cacaleggianti grilline, la democrazia dal basso e tutte le panzane a seguito fino ai twitteramenti di don Matteo e simili… il farsi avanti in un contesto del genere, pur se lontanissimo dagli esempi appena fatti, significa, almeno per me, dare completamente ragione a chi , anche con infernet, ha tolto gli spazi naturali in cui avveniva l’incontro, amoroso o politico etc etc insomma il pensiero e l’azione prima del post-umano. Hanno però concesso la possibilità di illudersi meglio, tranne a coloro che , come per qualsiasi altro mezzo concesso alle persone, sanno , per intuito o per conoscenza, quali siano le leve azionabili per trarne i lati positivi reali, l’apprendimento, una forma lettura attiva dincontro, l’arricchimento umano, etc etc

  22. Mi inserisco, a mio rischio e pericolo (già sento nell’aria volare le conchiglie dell’ostracismo), tra i duellanti Ennio Abate e Fabio Ciriachi (se ho dimenticato qualcuno, si accomodi pure) ponendo una domanda.

    Che cosa fareste se foste una donna, con un pargolo in braccio che urla e strepita, e che con l’altra mano sta mescolando il riso perché tra un po’ scocca l’ora del desinare, e nel contempo col pensiero va ad una discussione su un Blog intelligente di politica e cultura, questa discussione però è diventata uno scambio sterile che pur lei continua a seguire ipnotizzata – perché gli uomini, si sa, hanno una marcia in più -, là dove ci sono due signori che sembrano fusi di testa che si accusano per frasi che ognuno dei due afferma di non aver detto mai (per lo meno sul Blog), ma che forse sono state intenzionate o pensate (illo tempore?) – le possibilità del pensiero sono talmente infinite! -, e che costoro, pur con le loro ottime ragioni, non vengono a capo di nulla perché, a quanto pare, fanno passare il loro tempo in questo gioco perverso mentre il bambino continua a frignare con tutto l’impegno che il suo ruolo gli permette e legittima, e il riso non è certo un riso di marca ma, data la crisi, è stato comperato sciolto, a un tanto al kilo, e quindi continua ad attaccarsi alla pentola con uno strano odore di stantìo (qualche farfallina c’era!) complice pure il formaggio che, anche quello, ha seguito le strade del mercato equo solidale … e quindi una donna che si aspetta che qualcuno di più preparato (o ‘diversamente preparato’, attenzione alle parole!) e in una sana divisione dei compiti, si occupi seriamente dei problemi che angustiano non solo lei ma la società attuale senza perdersi nei cincischiamenti del “io ho detto”, “tu hai detto”, ma andando responsabilmente al succo del discorso, a quello che una volta era “l’onore della parola”, lasciando perdere tutti i fronzoli pur affascinanti e i distinguo, e intanto inesorabilmente scoccano le 13 e il pasto non è ancora pronto perchè l’Italia s’è desta solo quando è l’ora del magna-magna … se voi foste una donna così come vi vedreste? ….ma ovviamente sto parlando di una donna che non esiste quasi più, c’è la parità, perché le donne oggi sono loro stesse impegnate a cincischiare e al pargolo non ci pensa più nessuno e che scuocia pure il riso: saranno inconvenienti pure questi oggetto di lamentazione…
    Lascio ad ognuno la ‘sua’ uscita dalla metafora!!
    Se dovete lanciarmi delle pietre, scegliete almeno quelle arrotondate!

    R.S.

  23. @ Rita Simonitto

    Davvero troppo facile questa metafora: gli uomini duellanti che non si curano della fame del pargolo e della fatica della donna. Io non mi ci ritrovo per nulla. Tra l’altro per condizioni economiche, sociali e familiari sto oggi ( e penso come tanti) di fatto più nella condizione della donna in questione che del guerriero classico o dell’intellettuale-politico che la sa lunga e te la spiega. E manco mi pare di aver preso in questa discussione la posa militaresca del duellante. Replicare, puntualizzare, ribattere mi pare doveroso anche verso i miei interlocutori. (E l’ho fatto con Ciriachi, con Mannacio, con ro). Ho smesso stamattina di farlo quando Ciriachi mi ha fatto intendere che considerava le cose che dicevo segno di « stupidaggine».
    Se risalgo poi, commento per commento, fino al post iniziale di Paolo Pagani, non mi pare che i “duellanti” siano solo Abate e Ciriachi. Né di aver perso di vista il tema Renzi/renzismo – questa la mia opinione – anche quando si è finito per parlare di Walter Siti e del suo messaggio implicito/esplicito in quel fatidico ( e premiato) libro «Resistere non serve a niente». Altra questione – centrale certo – è se dalla discussione sia venuta fuori finora una risposta risolutiva ai desideri di trovare un’alternativa a tutto tondo al renzismo, che taglierebbe la testa al toro, darebbe soddisfazione alla donna della metafora; e a Ciriachi, che per primo l’ha invocata o ad altri/e che solo questa aspettano.
    Per quel che mi riguarda ho dichiarato di non averla, ho invitato chi avesse idee più chiare a farsi avanti, ho posto – questo sì – dei dubbi verso queste attese («E se non ci fosse Nessuno capace di soddisfare il nostro desiderio di « sapere dove sto e dove è possibile andare»? Se non ci fosse Nessuno capace di toglierci le castagne dal fuoco, dicendo « guardate, la situazione è questa e quest’altra, si rischia di non uscirne a meno che non si faccia la tal cosa e la tal altra»?»); e mi sono attestato sulla posizione – sterile secondo alcuni, fondamentale per me – del resistere, del non collaborare, del non compromettersi per un qualche piatto di lenticchie.
    Infine, se si vuol evitare che la discussione si avviti in un “duello” (o duetto) tra A e B, certamente fastidioso, due soluzioni vedo: che A e B stiano un po’ più zitti (io sono disposto a tacere, se necessario e utile); che altri intervengano di più e non stiano a guardare. La polifonia può smorzare o dare altro senso anche agli acuti di A o di B.

  24. Ah se si riuscisse a scendere tutti in piazza , magari nello stesso giorno e non solo per un giorno e in tutte le città d’Italia a gridare il grande desiderio di giustizia ! Anziché “urlare” in internet e poi chiudere il pc e andarsene a dormire che tanto domani sarà come oggi o forse peggio. Solo l’unione forte e decisa del popolo che sta perdendo tutto ideali compresi potrà cambiare le cose. Perché non farlo? E’ cosi difficile? Certo difficile ma non impossibile. Si arriverà a questo molto presto, ma sarà quando non avremo davvero più nulla sia nelle tasche che nel cuore e allora sarà solo rabbia e la rabbia si sa è sempre cattiva consigliera. Non possiamo aspettare. scegliere il meno peggio, comunque un servo del potere economico che tutto ha in mente tranne che salvare il popolo dal baratro. Non c’è scelta oggi , solo l’unione potrà salvare la nostra società.Sembra un’utopia la mia, una volta era un’intelligente convinzione. Ma si sa i tempi cambiano.

    1. @ Emilia (Banfi)

      A.
      “Ah se si riuscisse a scendere tutti in piazza , magari nello stesso giorno e non solo per un giorno e in tutte le città d’Italia a gridare il grande desiderio di giustizia ! ”

      B.
      “Sembra un’utopia la mia, una volta era un’intelligente convinzione. Ma si sa i tempi cambiano.”

      Desiderio/frustrazione. Non se ne esce. Se non ci si mette a ragionare, se non si capirà in concreto, si, SCIENTIFICAMENTE, in cosa i tempi sono cambiati, saremo condannati/e a quest’altalena tra desiderio e frustrazione. E le piazze saranno riempite dalla folla dei concertoni e stop.

  25. Giorgio Mannacio
    4 maggio 2014 alle 10:38

    Vorrei portare – se possibile -una nota distensiva che permetta la continuazione di un dialogo. Ho bisogno io stesso di consigli e quindi non so darne. Non conosco Ciriachi,ma mi spiace che abbia manifestato l’intenzione di ” lasciare”. Dal punto di vista che ho manifestato sullo scritto di Paolo Pagani sono contento, in un certo senso , che si sia passato ad altro,come ampiamente prevedibile. Cosa posso dire di fronte ai lunghi approfonditi interventi che precedono queste mie estemporanee osservazioni ?
    Credo che ciascuno veda le cose seconda una certa prospettiva che è frutto di tante componenti ( le esperienze di vita che si sono fatte, le letture,le modalità con le quali,volenti o nolenti, si è fatta ” politica ” etc ). Il lungo intervento di Ennio Abate si iscrive tutto o quasi tutto in una prospettiva di chi ha ” militato concretamente ” . Ma vi sono molti modi di vivere la società e collaborare al suo migliore andamento. Non parlo dell’esercizio di voto che in alcune ” democrazie mature di paesi all’avanguardia per conquiste economiche e sociali ” sembra in declino. Intendo e lo dichiaro – anche se è facile l’ironia su questo modo di vedere le cose – che si può collaborare ad un praticabile miglioramento della società attraverso l’esercizio di una accorta critica del presente, buone letture, tolleranza, solidarietà nei rapporti umani, correttezza nello svolgimebto dei propri compiti, resistenza ai modelli della moda e – perchè no ? – anche svolgendo, come me ,un modesto lavoro intellettuale,senza essere intellettuale. Riconosco che si tratta di un modello limitato o limitatissimo ma l’azione dei ” militanti ” non può prescindere da questo background al quale ” i militantri ” si debbono necessariamente rivolgere e dal quale non possono prescindere,pena l’isolamento. Certo, i modelli di rappresentanza politica sono profondamente mutati,le prassi collettive fortemente ridotte ma “l’utopia in senso veramente innovativo” consiste proprio nell’equibrio tra memoria e progetto. Questo è,in sintesi, ciò che penso. Buona domenica e ” buon impegno “. Giorgio Mannacio.

  26. in questo con-testo che si chiama “Poliscritture”, che immagino non sia solo un blog fra i miliardi di blog ma anche , anche solo per il fatto di averla acquistata, una rivista, una redazione, una comunità di persone e così via, ho notato con piacere (da qui anche il mio intervento) che c’era l’avvio di qualcosa di discontinuo e mi spiego.

    Se i due spazi precedenti (di traferimento/apprendimento/confronto /conversazione fra profughi) avviati da Ennio, pur nella tensione dei famosi “molti” , erano alla fine suoi e solo suoi , questo nuovo spazio (perlomeno nelle motivazioni pubbliche e formali che ho letto a chiusura del precedente blog) era stato da lui segnalato come luogo di quei molti che i precedenti non avevano potuto essere se non in una certa molteplicità dei poeti e dei critici contenuti nelle proposte di lettura….credevo dunque che “politicamente” questo nuovo spazio (peraltro già parallelamente presente ai precedenti) fosse quell’insieme, ovviamente a più teste, ma a più parti delle stesso corpo. Mi sono stupita nella lettura passiva dei precedenti post, che in realtà non si appalesava tale “chi siamo” …i post sono tutti prodotti da Ennio come prima, e così le fedelissime Annamaria e Emy , così pure però ciò che per brevità riduttiva definisco anch’io “duelli”…. E’ encomiabile da un punto di vista politico tutto questo impegno di Ennio, ma gli altri dove sono? (intendo Luca Chiarei, Marcella Corsi, Salvatore Dell’Aquila, Andrea Di Salvo, Luca Ferrieri, Marco Gaetani, Paolo Giovannetti, Roberto Renna, Alessandra Roman, Donato Salzarulo, Giulio Toffoli) oppure, se appena compare uno degli assenti, come in questo Ciriachi , all’unico dei presenti che è poi il solito duellante, conviene spingere l’acceleratore per il primo e l’ultimo frontale?

    potrei continuare con le domande , che sicuramente una renziana o un antirenziana di massa (come i boccaloni antiberlusconisti da piazze , piazzette e appelli) non potrebbe porsi e porre, ma se non si comprendono i meccanismi semplici semplici di conflitto intercorso in questa pagina ( assenti e presenti tutto compreso, indifferenti pure) , ben illusorio sarà pensare al da farsi, o alla speranza o alla cosiddetta lotta, su piani di conflitti e problemi ben più critici.

  27. @ ro

    Abbi pazienza. I nominati si faranno sentire. La formazione di un gruppo è un processo. E siamo (sempre) agli inizi. Rileggiti quanto ho scritto nelle “considerazioni sulla militanza oggi” e specie nella “quinta condizione”.

  28. Qualche giorno fa, leggendo i commenti che arrivavano man mano in questa sede, avevo scritto un intervento che avevo poi rinunciato ad inviare perchè mi era parso che c’entrasse poco o nulla nella discussione. Adesso che ro lamenta l’assenza di interventi da parte di altri redattori (a parte Ennio, Fabio e, aggiungo, Giorgio), ho pensato di riesumarlo.

    Mio figlio, in IV ginnasio, sta studiando la storia greca. L’altro giorno mi ha chiesto di ascoltarlo mentre ripeteva una lezione. Procedendo, è venuto fuori il nome di Pericle.
    Senza voler porre similitudini improprie, vorrei dire che ho sempre pensato a Pericle (e le parole di mio figlio me lo confermavano) come ad un intelligentissimo opportunista e populista, molto ricco, che, mutando frequentemente intenti e direzioni politiche e belliche (con Sparta e contro Sparta, col Gran Re e contro il Gran Re), conducendo una vita privata molto sui generis per i tempi e i costumi, cedendo spesso a concessioni “propagandistiche”, tipo accesso gratuito agli spettacoli teatrali e cose simili, portò avanti quella che essenzialmente può definirsi una politica imperialista. Da un certo punto di vista, l’unica virtù personale che si è teso ad attribuirgli è che fosse onesto e che non avesse incrementato le sue ricchezze con la lunga pratica del potere.
    Allora? Si dirà, tutto ciò che vuol dire? Solo questo (e comprendo come si tratti di un aspetto parziale, forse marginale): senza Pericle non ci sarebbero stati il Partenone, Fidia, molte delle tragedie e commedie greche che ci sono giunte.
    Insomma il concetto che vorrei esprimere è: la storia e la politica sono molto ripetitive ma, stranamente e contemporaneamente, gli effetti delle situazioni che si creano non sono del tutto prevedibili. Per concludere: nessun giudizio è mai esauriente, le conseguenze degli atti umani in politica sono troppo varie e troppo disseminate negli innumerevoli aspetti della vita degli uomini per essere valutate compiutamente.
    Pagani denuda Renzi: perfetto e condivisibile. Ciriachi s’è stufato di ascoltare solo critiche e non ce la fa più di non poter aderire ad un progetto e non solo ad una protesta: perfetto e condivisibile.
    Stiamo vivendo il Declino dell’Impero Americano. Durerà ancora molti decenni. Gli aspetti parziali delle vicende periferiche (sia geograficamente che politicamente) hanno veramente una rilevanza minima (o nulla). Eppure esistono e si trasformano, malgrado tutto, in occasioni/necessità di scelte.
    Nella pratica: in questi giorni ci si trova davanti a queste ipotetiche scelte (elettorali):
    1) non votare 2) votare Renzi (smettiamo di nominare il PD che, tanto, non esiste 3) votare M5S che appare come un’accozzaglia di gente, mossa spesso da giuste istanze e principi, capitanate da un caso grave di opportunismo psichiatrico – che, consentite una nota umorale e personale, offende il mio senso est-etico- 4) scegliere Tsipras che odora di ennesima trasformazione degli arcobaleni perdenti della sinistra (almeno in Italia) 5) votare per una delle altre opzioni che su questo sito non penso (giustamente) vengano neanche prese in considerazione da qualcuno.
    Chiedo: voi che fareste? Voi che farete?
    Salvatore Dell’Aquila
    PS: per non equivocare: non intendo certo commisurare Renzi e/o Berlusconi a Pericle

    1. Provo a rompere il silenzio, e non è detto che questo non crei nuove preoccupazioni. Salvatore mi domanda se e per chi voterò. Mi tocca rispondere al condizionale: ovvero, se e per chi avrei votato se il 25 maggio fossi stato in Italia. In effetti, me ne sono reso conto solo ieri, dal 9 maggio al 4 giugno sarò a Bruxelles da mio figlio, ergo…
      Mio fratello ieri mi ha fatto la stessa domanda (lui la fa da smarrito); me la sono cavata con una risposta abbastanza realistica: leggerò i programmi dei vari partiti e deciderò anche in base ai gruppi che in sede di parlamento europeo ogni partito contribuisce a formare. Insomma, avrei applicato su scala europea un principio abbastanza simile a quello nazionale o locale. Sempre con la coscienza di muovermi nell’ambito del meno peggio e, soprattutto, consapevole di come il non voto mi collochi in alleanze di fatto molto più ambigue e contraddittorie di qualunque scelta di voto. In astratto penso che mi piacerebbe un parlamento europeo che potesse decidere come fosse il parlamento di una grande nazione chiamata Europa; trionfo della democrazia, quindi, col solito gioco maggioranza-opposizione, anche se subito il modello scricchiola se penso all’Ungheria di Orban.
      Ho risposto a un giochino on-line che poneva una grande quantità di domande su politiche economiche, immigrazione, diritti civili, al fine di capire quale fosse il partito di riferimento. Il mio podio era così costituito (con distanze minime di un solo punto percentuale): medaglia d’oro Green Italia, medaglia d’argento PD e medaglia di bronzo Tsipras. E adesso, lapidate.

    2. @ Emilia (Banfi)

      Ad ogni tornata elettorale su Poliscritture a volte prima a volte dopo si è discusso su chi votare o se si era fatto bene a votare per il partito di tizio o quello di caio. Senza mai cavarci un ragno dal buco. Perché non è possibile, a meno di non credere ancora che il VOTO o addirittura il MIO voto sia determinante, pensare di poter influire POLITICAMENTE con il voto, SE LA POLITICA SI FA ALTROVE , CIOE’ FUORI DAL TEATRINO ELETTORALE. E poi ciascuno ha GIA’ LA SUA SCELTA DI VOTO O NON VOTO PREDETERMINATA DALLA SUA STORIA POLITICA e a quella in fin dei conti si attiene, essendo quasi impossibile che dalla discussione escano argomenti tali da fargli mutare posizione.
      Perciò, più che preoccupante, è un silenzio imbarazzato quello d’oggi.

      1. A Ennio:

        La mia preoccupazione è quando penso che ci hanno svuotati di ogni ideaologia e di senso politico. L’uomo robot ora cammina, lavora, legge, si droga, ride, parla , tutto sotto controllo, pure i sogni e qui mi viene in mente lo splendido libro di Ismail Kadarè -Il Palazzo dei Sogni- da leggere oggi più che mai.

  29. Il mio piccolo contributo…

    RENZEIDE

    L’omo der destino

    Da quanno so’ cascati l’ideali
    Governi avemo avuto ner Paese
    de destra e de sinistra e larghe intese
    da risurtà però der tutto uguali

    che piano piano e mese doppo mese
    ar ricco s’aregala capitali
    mentr’ar poraccio a dosi micidiali
    la vita s’avvelena a più riprese.

    Si oggi ariparlà de communismo
    è diventato er peggio oscurantismo
    e si s’envoca la rivoluzzione

    t’ariva er movimento der forcone,
    finisce allora ch’er nostro destino
    se mette in mano an furbo fiorentino.

    A carte scoperte

    Ascorta: “Sei Cacini o ‘n chiacchierone?
    Senza troppi discorzi o bla-bla-bla
    si vòi er voto mio all’elezzione
    me devi di’ che vai a combinà

    sull’IMU Chiesa, banche, coruzzione
    e si la TAV nun è da ripenzà.
    Si putacaso pe chi fa evasione
    er carcere magara ha da scontà

    e l’Effe Trentacinque a fregatura
    so’ finarmente solo da boccià.
    Pe questo e antro leva l’armatura

    in modo che te posso giudicà
    ché si sei cioccolata o merda pura
    ancora me lo devi dimostrà.”

    L’esercito de Franceschiello

    Co na manovra propio travorgente
    er Furbo Fiorentino ar poro Letta
    dar bavero j’ha preso la giacchetta
    e l’ha buttato giù da prepotente.

    Sur carozone mo sale a cassetta
    e vento in poppa e tifo de la gente
    ce core a scapicollo come gnente
    convinto d’arisorve tutto in fretta.

    Ciò l’impressione che da st’avventura
    ciariva n’antra grossa fregatura
    perché si cambi solo er generale

    la truppa invece resta tale e quale:
    n’esercito ch’è spiccicato a quello
    che fu der re Borbone Franceschiello.

    La chiacchiera in quadrino

    S’aricconta che a le Nozze de Cana
    dall’aqqua pura venne fora er vino
    che fu pe tutti quanti un toccasana
    da nun staccasse più dar bicchierino.

    Doppo millenni da sta cosa strana
    mo c’è un regazzotto fiorentino
    che te vorebbe in quarche settimana
    risollevà er Paese dar casino.

    Se penza d’avè dietro er Padreterno
    e p’èsse er novo Capo de Governo
    co no zompo scavarca l’elezzioni

    mannanno er poro Letta a ruzzoloni
    perché co quer Tifoso lì vicino
    trasformerà la chiacchiera in quadrino.

    Cazzi amari

    A Roma c’è un proverbio popolare
    che p’innicà quarcuno che fa scena
    e vò che na pisciata è come er mare
    pe dimostrà ch’è fico e che sta in vena

    – e inzomma è tutto fumo quer che appare
    ma nun se vede arosto a pranzo e cena –
    se dice che da sera a la mattina
    scureggia ne li sacchi de farina.

    Così Renzi promette all’italliani
    che p’ogni cosa cià na soluzzione
    e che se gioca faccia, piedi e mani

    pe commannà la gran rivoluzzione.
    Saranno cazzi amari già domani
    quanno s’abbasserà sto porverone.

    Li menagger de Stato

    Si sto Governo pe trovà quadrini
    taja stipendi a menagger de Stato
    Moretti co baracca e burattini
    t’espatria ‘ndove è mejo e più pagato.

    Si fusse pe li pori cittadini
    che ciànno quer servizzio disastrato
    co treni che so’ come macinini
    da mo che te l’avrebbero cacciato!

    Se dice che c’è libbero mercato
    p’avecce grossa scerta e qualità
    e solo quello bravo e preparato

    er primo posto se guadambirà.
    Ma qui ce sta chi è riccomannato
    che da somaro a genio passerà.

  30. Mi pare che anche questa discussione intorno alla situazione politica che oggi attraversiamo/attraversa alla fine continua a riproporre i soliti temi, già letti intorno ad altri argomenti, senza che si facciano passi avanti (ammesso e non concesso che questa sia una esigenza condivisa). Dico questo perchè si eludono, non so se consapevolmente o meno, due punti a mio parere fondamentali:
    – la dimensione quotidiana dei bisogni della gente e degli strumenti normativi, del diritto e politici, per poterli esercitare;
    – i processi organizzativi e istituzionali attraverso i quali si arriva al potere per gestire anche la dimensione quotidiana di cui sopra;
    Date per condivise, dal mio punto di vista, le critiche a Renzi e tutto quello rappresenta – siano esse antropologiche, di metodo e merito e/o politiche – non possiamo ignorare (o fare finta di) che la qualità della vita della grande maggioranza delle persone passa anche attraverso le misure quotidiane che la politica di un governo di volta in volta opera. Il miglioramento di questa condizione non passa solo attraverso i cambiamenti epocali, le inversioni di rotta, le scelte radicali o la speranza nel cuore ma anche attraverso tutte quelle piccole misure di natura fiscale, previdenziale, sociale con le quali ogni giorno poi abbiamo a che fare…Sono tutte cose noiose, lo ammetto, e poco poetiche ma tremendamente concrete.
    In questo senso mi sento vicino a tutti coloro che in questa discussione hanno sostenuto che oltre a gridare che il re è nudo, è necessario porsi anche il problema – se vogliamo ragionare “politicamente” – di trovare/formare/costruire un soggetto politico che possa aggregare consenso per diventare una alternativa a Renzi, senza il quale ogni ragionamento in politica diventa velleitario.
    Certo non lo chiedo a Pagani, ne a Mannacio o a Ciriachi, ne la redazione di “poliscritture” può avere un ruolo in questo senso. La domanda però di quale alternativa sia possibile è corretto porsela, individualmente e collettivamente, anche se al momento non ha risposta alcuna.
    Se la nostra condizione è quella di un carcere a cielo aperto, immagine suggestiva e probabilmente anche reale, non è il caso di domandarsi anche chi l’ha costruito questo carcere …. Berlusconi? I prezzolati fedigrafi del PD? Le politiche di austerity? Il consumismo? Gli smartphone?
    Beh, chiunque sia stato io penso che qualche mattone ce l’abbiamo messo anche noi, se non altro nel senso che non ne abbiamo messi di altri e diversi. Il vuoto si sa, nella fisica come in politica, non esiste, e se il pieno ora non ci piace è un atteggiamento lagnoso prendersela quasi esclusivamente con chi l’ha riempito.
    Le mura di questo carcere non credo che le abbatteremo con le schiere degli eletti e dei puri ma solo affondando le mani nelle contraddizioni, del presente come nelle nostre, accettando di avere, soprattutto davanti a noi stessi, un po’ meno ragione di quello che ci piacerebbe e anche andando a votare…comunque.

  31. Certo che andare a votare coloro che ci hanno fatto o che han contribuito a farci naufragare è angosciante. E’ come se ci aggrappassimo ad un salvagente bucato.Siamo in una fogna , tapparci il naso e nuotare è impossibile- Qualcuno lo farà senza chiudere il naso ma dove arriverà? La gente è arrabbiata e stanca , andrà a votare (chi andrà)senza idee, senza voglia di capire come cambiare il nostro Paese, voterà chi soddisferà al meglio la rabbia , senza idee . Così stanno le cose e se vogliamo girararci intorno facciamolo pure , continueremo a girare…

    1. Mi appoggio all’intervento di Luca perché vi trovo un minimo di accoglienza “umana”, non indica un modo di risolvere i problemi ma aiuta a non morire di solitudine nelle difficoltà (impossibilità?) che il tentare di farlo comporta.
      A Emilia, alla sua angoscia, non so che dire. Non voto perché torno in Italia solo il 4 giugno, ma se avessi potuto farlo penso che avrei oscillato intorno all’asse Tsipras-PD, con poche o nulla aspettative, ma senza preoccuparmi troppo della “gente”; ho esperienze, in merito, allucinanti, c’è un surriscaldamento, almeno nei social network, che riduce in modo preoccupante la possibilità di ragionare; provo a rimanere freddo, ad articolare pensieri argomentati, a essere anche esemplare, in questo, perché davvero il clima di fanatica ipereccitazione mi sembra possa sfociare solo verso forme di violenza integralista, quindi reazionaria. Non vorrei trovarmi, insomma, a rimpiangere la fogna.

  32. Certo angosciarci non porta a nulla, ma in questo momento non riesco a censurare questo mio sentimento. E poi io non sono all’estero e vorrei andare a votare come ho sempre fatto. Nel clima di surriscaldamento ed eccitazione ci vivo , ma non è questo il problema, il problema triste molto triste è che non mi riconosco più in questo nostro Paese se non nella protesta ,sana, della gente che oggi non può nemmeno organizzarsi per scendere in piazza e protestare, la legge ha posto talmente tanti paletti che è diventato quasi impossibile per il popolo far sentire la sua voce. Auguro comunque a chi andrà a votare con idee chiare , che non si prodighi per dare ancora una volta una mano per uccidere definitivamente la democrazia italiana,

  33. @ Chiarei

    Duri e puri da una parte, duttili e sporchi (nelle mani soltanto?) dall’altra? Gli uni con la testa in nuvole idealistiche o poetiche, affascinati dai cambiamenti epocali e gli altri appena un po’ noiosi ma in fondo concreti come Sancho Panza?
    Questa sintesi della discussione su Renzi, posta nei termini di una contrapposizione tra idealisti e pragmatici, mi pare del tutto insoddisfacente. Perché sorvola sulla questione concreta e accertabile: la funzione politica (per me) nociva del renzismo. Che del resto tu pure sembri riconoscere, senza trarne però le necessarie conclusioni. Lasciamo perdere « i cambiamenti epocali, le inversioni di rotta, le scelte radicali o la speranza nel cuore», teniamoci proprio terra terra, come auspichi, e chiediamoci: chi le prende queste necessarie sante e benedette «misure quotidiane» che a te stanno a cuore? Quelle spifferate da Renzi sono del tipo che tu desideri?
    Chi critica Renzi (e il PD) a ragion veduta – per le dichiarazioni, i sottintesi, i programmi, le alleanze, la collocazione nei giochi politici internazionali – lo fa non perché ciecamente prevenuto nei confronti suoi o del PD, ma perché vede oggi nel suo governo l’ostacolo politico reale che impedisce di affrontare la crisi senza menare il can per l’aia .
    Chi, invece, pur criticandolo (o dicendo di accettare le critiche a lui mosse), sposta subito il discorso su una astratta necessità di « trovare/formare/costruire un soggetto politico che possa aggregare consenso per diventare una alternativa a Renzi», paventa il peggio in arrivo (Grillo gemello della Le Pen francese) pensa che Renzi in fondo sia comunque un argine; e se lo sopporta (o se lo vota addirittura). Nega anche che egli (e il PD) sia il muro, che impedisce letteralmente di guardare oltre.
    Questo ci divide in una discussione – prima arrestatasi e ora ripresa – il cui sano obiettivo per me può essere soltanto uno: misurare la coerenza o l’incoerenza *di fronte alla realtà* (complessa, sfuggente, ecc.) del proprio modo di pensare politicamente.
    I volenterosi come te (e lo dico senza ironizzare), che vogliono dare ascolto ai bisogni della gente, sporcarsi le mani con i problemi quotidiani, puntare sui diritti (al lavoro, all’istruzione, ecc.), lavorare nelle istituzioni non tengono conto di un fatto ineludibile e di continuo confermato dai fatti: tutto il buono che essi riuscissero a tirar fuori dalle loro azioni viene nullificato con un tratto di penna dalle decisioni di segno stabilmente e programmaticamente contrario del governo. Sottovalutano cioè la gabbia della dimensione politica ostile. La mettono troppo facilmente tra parentesi.
    Eppure anche nella nostra italiana Fattoria degli animali il Napoleon di turno ce l’abbiamo e comanda (magari per conto d’altri) e tiene a bada il Palla di Neve di turno. E sempre vige in essa il principio che «tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri».
    La diffidenza poi verso la teoria e i discorsi generali in nome della “concretezza” è cosa pessima. Come se i vigili del fuoco accorsi per spegnere un incendio intervenissero sul primo focolaio in cui s’imbattono senza farsi velocemente almeno un quadro generale della situazione. Ma come si può pensare che cogliere l’insieme delle cose sia operazione da contrapporre al capire con precisione i dettagli delle cose? Come si può agire efficacemente sui dettagli delle cose senza badare al contesto generale da cui sono condizionati?
    Purtroppo scontiamo ritardi di comprensione sia sul generale che sul particolare. Ma non se ne esce – ahi noi – “specializzandoci” solo sul primo o solo sul secondo.
    In conclusione – ripeto – non mi pare proprio che in questa discussione ci siamo divisi tra chi grida soltanto che il re è nudo e chi più responsabilmente vuole e costruirebbe (solo volendolo o desiderandolo?) l’alternativa positiva. Ma tra chi pensa che nessuna alternativa apparirà all’orizzonte finché si continuerà a pensare all’incirca restando *nei dintorni del PD* e chi pensa che un’alternativa possa affacciarsi solo fuoriuscendo dalla logica politica del PD.
    Qualcuno sussurra: si passerà dalla padella alla brace.
    E qui s’affaccia il discorso delle responsabilità. Mi chiederei quali sono quelle da attribuire a noi stessi? Se questo « pieno» che ora non ci piace (ma a me non piaceva neppure prima), «le mura di questo carcere» ce le siamo costruite “noi”, dobbiamo dirci che è avvenuto proprio perché moltissimi hanno obbedito ai diktat o ai suggerimenti dei leader in questione e altri sono rimasti *comunque* – con nobili o capziosi distinguo – nella loro sfera d’influenza. E hanno accettato e accettano proprio di avere «un po’ meno ragione di quello che ci piacerebbe». E se, così facendo, la brace l’avessero alimentata proprio quelli che hanno scelto di restare nella padella PD ritenendola sopportabile?
    Molti, pur sapendo che l’obbedienza non è più una virtù almeno dal ’68 hanno preferito o preferiscono lo stesso starsene lì dentro ( o nei dintorni, che è *quasi* lo stesso), piuttosto che praticare la buona ma faticosa e magari in solitaria via della disobbedienza. (E della critica).

    1. Molta energia di Ennio è spesa per criticare le posizioni di chi esprime non un programma politico o un’analisi della situazione – e lì sarebbe utile farlo, argomentando e possibilmente ponendo alternative dopo il disaccordo – ma la difficoltà di far convivere la vita quotidiana con lo stato delle cose in mancanza di una opposizione praticabile. Quasi nessuno ha detto la sua sulle prossime elezioni (non dimentichiamo che sono europee). Io, che non sto in Italia il 25 maggio, ho provato a suggerire come avrei votato, con ciò quanto meno ammettendo che avrei votato, quindi che non mi riconosco nell’astensione per quanto questa mi fa stare fianco a fianco con persone la cui vicinanza, per me, è più insopportabile di quella che vivrei votando. Mi rendo conto di essere un bersaglio perfetto per qualunque lessico duro e puro, e questo mi dà un senso, almeno una funzione la svolgo, faccio sentire in pace con la coscienza chi mi vede come responsabile di tante cose che non vanno a sinistra. E’ per me, individuo, e per altri come me che Renzi e il PD prosperano. Stabilito questo che si fa? Non c’è riga di qualunque commento a questo tema (l’intervento di Pagani) che non potrebbe essere presa e messa sulla graticola delle più feroci e argomentabili critiche; ma è un impiego del tempo che non mi trova più d’accordo. Sintesi, s’è capito, andiamo oltre. Che fare? Ma porca miseria dei vecchi vizi della sinistra, non ho rispettato il rituale, ho chiesto di andare oltre senza tirare il mio sasso a Renzi e al PD, fosse che sotto sotto mi piacciono? Parliamone. E lì giù a non comprendersi, a citare tra virgolette, a citare fra doppie virgolette il modo improprio con cui si è stati citati. Di questo non ne posso più. Del resto, vediamo. Al momento io non ho idee ma non è escluso che prima o poi ne abbia una. La comunicherò. Il che non m’impedirà di aspettare, con una certa apprensione, che altri possano proporre progetti condivisibili.

    2. Per intanto ho letto questo e lo propongo alla vostra attenzione. Allego anche alcuni commenti (i primi) perché sono utili. Alla fine dei commenti aggiungo alcune righe di chiusura.

      Il blog di Giuseppe Civati
      Sì, ma allora, se sei di sinistra, perché voti Pd?

      La domanda più ricorrente di queste ultime settimane.

      Mi chiedono perché non esco dal Pd e, nell’imminenza delle elezioni, perché voto il Pd. E addirittura faccio tre, quattro, cinque iniziative al giorno per la sua campagna elettorale.

      E, allora, mi tocca spiegarvelo. E vi prego di seguirmi.

      Per prima cosa, non voto M5s perché sono di sinistra e non mi piacciono i partiti e i movimenti che dichiarano di non essere né di destra, né di sinistra. Non mi piacciono tante altre cose – per esempio, incrociare le mani a forma di manette in aula, per rimanere all’episodio di ieri -, non mi piace la volgarità, non mi piace un programma che – per essere iperdemocratici – alla fine è deciso da poche, pochissime persone.

      Faccio questa battaglia nel Pd, per riportarlo nel centrosinistra e perché torni a frequentare una logica dell’alternanza, contro ogni tipo di trasversalismo e di oligarchia interna, e me ne toccherebbe una ancora più clamorosa nel M5s.

      Per le Europee, c’è un problema in più: con chi si alleerà il M5s? Con i no-euro di ogni sorta? Con la sinistra radicale? Con i verdi? Non è dato saperlo. Sulla base di quanto è accaduto in Italia, il M5s non si alleerà con nessuno, portando gli altri a fare accordi tra di loro, per poi dire che sono tutti uguali.

      A me, invece, l’idea di stare finalmente nel Pse e da lì guardare a Tsipras e ai Verdi europei non dispiace affatto.

      In secondo luogo, non voterò per la lista Tsipras, che ovviamente sento molto più vicina e in cui militano molte persone che stimo. Non lo farò non solo per la collocazione europea (il Gue mi sembra orizzonte troppo stretto e orientato), ma anche perché credo che la sinistra per potersi definire tale debba essere grande e aperta, capace di governare, di allearsi con altri soggetti, con un messaggio che sia comprensibile alla maggioranza delle persone. Il fatto che anche all’interno di Sel si siano manifestati molti mal di pancia, in questi mesi, ci fa capire che c’è qualcosa che non ha funzionato, nel lancio di una lista dal messaggio affascinante e importante, in questa Europa da cambiare.

      Non mi è piaciuto, da ultimo, che dalle liste di Tsipras fossero esclusi i politici, come se fossero «malati». Per operazioni del genere esiste già il M5s. Né mi è piaciuto che persone che voterei, come Barbara Spinelli, abbiano detto che se saranno elette, si dimetteranno. Mi sembra un’idea sbagliata, proprio per quanto vi sto per scrivere.

      Se voto il Pd è proprio perché si possono esprimere quelle preferenze per cui ci siamo battuti invano nel corso della discussione della legge elettorale (torneremo a farlo, non preoccupatevi).

      Perché è un partito grande, nel quale certo ci deve essere più pluralismo, come sostengo da tempo. E perché è l’unico soggetto politico che, se vorrà, se vorremo, potrà ricostruire quel centrosinistra che ci porti al governo dopo (e con) libere elezioni (motivo per cui non ho apprezzato la lunga teoria di governi di larghe intese che ci stanno facendo male, a mio modesto avviso).

      Il voto, questa volta, può essere tutto politico, manifestandosi nell’adesione di questo o quel candidato, che sono certo mi rappresenterà meglio di quanto avrei potuto fare se, per andare a Strasburgo, mi fossi candidato io.

      Se seguirete il mio consiglio, in Europa andranno persone capaci di rappresentare una sinistra moderna, innovativa, liberale, radicale nelle intenzioni e lucida nella scelta degli obiettivi. Che ha dimostrato di saper lavorare insieme, in una straordinaria campagna delle primarie. Che ha costruito migliaia (non esagero) di iniziative politiche in tutto il paese. Con il desiderio di cambiare tutto, senza urlare e fare i gestacci. Con «metodo democratico» come richiede la nostra Costituzione. Con la speranza di riportare il paese alla dialettica tra destra e sinistra e avere quel voto in più che serve in Europa e servirà in Italia.

      L’ultima obiezione la conosco bene: ma così fai vincere Renzi. Scusate, ma per me è più importante il Pse che guarda a sinistra, il Pd che ricostruisce il centrosinistra, le persone che mi rappresentano della dialettica interna e di una rivalità personale e politica che non ho certo voluto.

      Gli elettori del Pd, per altro, a valanga, hanno scelto Renzi sei mesi fa, lui poi ha scelto di fare una cosa per me molto sbagliata, ma gli obiettivi che abbiamo di fronte superano me (che è poca cosa) ma anche lui. Se il Pd sarà grande, non solo elettoralmente, anche politicamente, ci sarà bisogno di tutti, anche di chi sta a più sinistra di me. Sempre che si voglia costruire una sinistra di governo.

      Questo è il mio progetto, da sempre. E spero sia il nostro progetto. Perché in Europa ci siano tanti come Daniele, Paolo, Renata, Andrea, Elly, Ilaria e Elena. Nel gruppo del Pse, in grado di cambiare le cose. Senza uscire da tutto quanto, dal Pd, dall’euro, dalla buona educazione. Senza perdere l’entusiasmo, però, per qualcosa che ancora non c’è. In Europa, in Italia e anche nel Pd.

      Di civati, 16 maggio 2014 alle 11:38. 230 commenti

      Maurizio Bucco · Ancona
      Ciao Pippo, ottimo e lucido ragionamento come sempre. C’è un problema però, è uno sforzo immane per una persona di sinistra votare il PD targato Renzi. Dopo lunghe riflessioni, malgrado i ragazzi fantastici che sono candidati tra cui Elly che stimo tantissimo, questa volta mi dispiace proprio non ce la faccio, Renzi rappresenta molto di quello che vedevo in Berlusconi, autoritarismo, immodestia, sfrontatezza, arroganza e cinismo, forte coi deboli e debole coi forti, dove sono i rottamati del PD, sono tutti li dove erano prima, mi dispiace ma questa volta passo, nella speranza che il PD domani sia qualcosa di diverso.

      Andrea Corritore · Educatore – operatore sociale presso Cooperativa sociale il quadrifoglio
      Un punto di vista comprensibile ma secondo me non condivisibile. C’è tanto che non va nel PD targato Renzi, mai difetti che tu gli imputi sono moltiplicati per mille se parliamo di M5S (partito reazionario e padronale, ne’ a destra ne’ a sinistra ma soprattutto MAI a sinistra). E c’è un altro fattore da considerare: il M5S è un partito intimamente autoritario e pericoloso. Renzi lo si può incalzare ed affrontare da dentro, Grillo e la sua azienda no, sono un blocco monolitico nel quale chi contesta è fuori. Detto ciò io voterò L’altra Europa con Tsipras, ma mettere all’indice Renzi mi sembra ingiusto oltre che molto, molto pericoloso.

      Mariliana Pignataro · Università di Napoli “Federico II”
      Andrea,condivido quanto hai detto:alle europee Tsipras,alle politiche PD che ,pur con i soui enormi limiti,è il meno peggio.

      Maurizio Bucco · Ancona
      Andrea Corritore condivido, anche io voterò Tsipras alle europee, non certo il M5S. Più che attaccare Renzi, io mi difendo da Renzi 🙂 Prendi l’ultima che ha detto, tra tante soggetti doveva attaccare in questo modo la CGIL che con i suoi mille difetti cmq è un organo importante della democrazia

      Stefano Modafferi · Università degli Studi “Mediterranea” di Reggio Calabria
      Del tuo ottimo ragionamento io non condivido affatto l’ultimo punto, quello su Renzi.
      Il “si cosi’ fai vincere Renzi” non e’ un problema di rapporti personali fra te e lui, ma del fatto che se vince Renzi, si vota nel 2018, Napolitano non si dimettera’ mai e ci teniamo le larghe intese benedette dai poteri che Renzi rappresenta!
      Per ottenere quelle elezioni che tu stesso invochi, e quindi per il bene dell’Italia e del PD e’ NECESSARIO, purtroppo, che il PD perda e di brutto in Europa, cosi’ che il buon MAtteo si dia una calmata e cominci a ragionare davvero per il bene dell’Italia!

      Marco Buseghin · Segui · Università commerciale Luigi Bocconi
      Delle due l’una: se Matteo vuole che il PD vinca le elezioni, non ci riporta al voto se andiamo male alle Europee; se Matteo non vuole che il PD vinca, ci riporterà al voto al momento peggiore e poi ci ritroveremo le larghe intese.

      Su, su: il PD e i suoi predecessori prendono mazzate elettorali da anni, e non mi sembra che la linea politica si sia spostata a sinistra. Anzi.

      Sil Bi · Top Commentator
      Se il Pd perde di brutto, mandiamo in Europa un sacco di parlamentari del M5S, così potremo vergognarci delle loro sceneggiate anche a livello continentale 🙁

      Riccardo Urbani · Top Commentator · Università statale di Milano
      Interessanti queste parole: è necessario (purtroppo ovviamente) che il PD perda e Renzi con lui. Pazzesco, davvero pazzesco. Purtroppo credo che sia pieno di vaccate simili nel mondo della sinistra perdente e residuale. Grazie a Dio esiste Matteo Renzi che sconfiggerà questo cupio dissolvi da pizzicagnoli. Il segretario è Matteo Renzi, fatevene una ragione. E se non vi va c’è sempre quella massa di perdenti di Tsipras. Credo che di un simile pensiero ci si debba vergognare. R.

      Maria Rita Gattide Maltese · Segui · Top Commentator · Lavora presso L’isola che non c’è
      Anche a me piace molto! Voterò la lista Tsipras anche se Civati mi piace! Però secondo me il suo obiettivo di cambiare il PD dall’interno è un po’ utopistico!

      Gabriele Palomba · Sapienza Università di Roma
      Io vi auguro davvero tutte le fortune e un grande successo, la guerra fra poveri non mi è mai piaciuta.
      Tuttavia ci sono diverse inesattezze. Dalla Lista Tsipras non sono stati esclusi tutti i “politici” in quanto tali, si è preferito dare spazio a quelli che negli ultimi anni non ne hanno avuto. Di politici ce ne sono, e validissimi (Furfaro, Medici, Amato solo nella mia circoscrizione). Si chiama “rinnovamento”, e a guardare le liste del Pd (fatta eccezione per i vostri) non mi sembra che al Nazareno ce l’abbiano molto presente, nonostante le smanie renziane.
      Poi non ho capito la critica al Gue: si ha ben presente che per cambiare le cose bisogna allearsi, e infatti Tsipras ha detto che lui sarebbe ben disposto a votare Schultz come Presidente.
      Piuttosto bisogna vedere se effettivamente Schultz e il Pse hanno voglia di guardare a sinistra. A me sembra che Renzi, portando finalmente il Pd nel Pse, sia però entrato in questo “da destra”. E visto che il Pd potrebbe essere il primo partito del gruppo socialista, vedo un forte rischio di “cambio verso” anche in Europa, dove l’odore di larghe intese è sempre più forte.
      Auguri di nuovo, personalmente spero in un buon risultato sia vostro che dell’Altra Europa.

      e tanti altri ancora, ecco la gente, ecco con chi idealmente parliamo quando ci poniamo dei problemi e diciamo la nostra, questo passa il convento, noi siamo quello che passa il convento, e fino al guizzo di qualche intelligenza propositiva capace di un altrove possibile, qui siamo (non specifico a caso “intelligenza propositiva”, perché l’intelligenza critica che volesse fare a pezzi uno qualunque dei punti di vista qui espressi avrebbe gioco facile, ma alla fine del gioco facile ci sarebbe il solito nulla)

  34. Non lo cancello subito io, ma propongo di cancellare questo commento di Fabio Ciriachi.
    Non è nei compiti di Poliscritture diventare una Tribuna elettorale.
    Una cosa è esprimere le proprie convinzioni politiche, un’altra farsi megafono o medium dei leader di partito. Di qualsiasi partito oggi presente in Italia.

  35. Aggiunta.
    Semmai Ciriachi può segnalare a suo piacimento i link che ritiene da leggere, ma non ricopiarli in questo spazio di Poliscritture.

    1. Bravo Ennio, cancella pure, a me sfugge la sottile differenza fra segnalare un link o citare da un blog, ma non importa. Lascia però i tuoi commenti e rifletti su “tribuna elettorale” (non sono stato io a sollevare “in questo spazio di Poliscritture” il tema “per chi si vota, se si vota, alle europee”), “megafono o medium dei leader di partito” (mi sembra un’obiezione grillina), e l’ultimo, dove brilla quel “Semmai” (che sa tanto di concessione) subito bilanciato (sic!) da “a suo piacimento” (che liberalità!). La citazione mi sembrava uno spaccato non temibile ma preoccupante di cosa, e come, si muovono le cose a sinistra (le vigilie elettorali fanno da evidenziatore). Il merito non ti interessa, il metodo sì.

      1. Senza fare nessuna questione di megafoni o tribuna elettorale (sarebbe arduo e mortificante dover distinguere tra propaganda e opinione, leader di partito e leader di qualcos’altro), e concordando tra l’altro con alcune cose che dice Ciriachi (un po’ meno con Pippo Civati…), suggerisco anch’io però di sostituire il taglia-incolla con un link. Si tratta di una misura tecnica coerente con il medium che stiamo usando, tutto qui. Su un blog la citazione lunga si fa con un link, quando c’è: è più rispettoso della proprietà intellettuale, restituisce l’intervento al suo contesto e alla sua grafica originaria, rende tutto più leggibile. Col taglia-incolla non si capisce mai chi sta parlando, qual è il testo principale e quale quello derivato, qual è il commento, e quali le interpolazioni ,ecc.

        1. Allora, vediamo: cito per intero la fonte, è all’inizio, “Il blog di Giuseppe Civati”, cito l’intero intervento, per correttezza e perché è breve, specifico, sempre all’inizio, che citerò anche i primi commenti (chi volesse leggerli tutti può andare sul blog), specifico che aggiungerò alcune righe di chiusura. Cosa che ho fatto. Ho costruito un piccolo discorso mio senza stravolgere le fonti perché volevo testimoniare uno spaccato di realtà e non fare propaganda. Ma capisco che il suo fantasma aleggi. Da ospite, comunque, rispetterò le regole del gioco di chi mi accoglie, e la prossima volta, se dovesse servire, pubblicherò l’URL. Chiarito il metodo, nel merito, però, che silenzio!

  36. Dimenticavo: i commenti sono tutti preceduti da nome e cognome di chi li ha fatti e, dove c’è, dal ruolo sociale, oltre a essere separati l’uno dall’altro da uno spazio bianco. Capisco che la grafica originale sia più chiara (ci sono anche le facce dei commentatori), ma la minaccia di cancellazione mi sembra animata da sentimenti diversi da quelli di una più agevole percezione.

  37. … ho anch’io copiato parte di una informativa in rete (sulla manifestazione per i beni comuni il 17 maggio a Roma) cui avrei potuto rimandare con un URL. L’ho fatto non solo perché non sono sicura di riuscire a postare un URL che metta davvero in comunicazione col sito (potrebbe invece richiedere d’essere ricopiato in google e via discorrendo) ma anche perché ho l’impressione che poi il testo nel sito cui si rimanda pochi lo vanno a leggere mentre, se invece se ne copia una parte, la cosa è più immediata e il ritaglio viene letto. Con tutta probabilità è questo l’intento che ha mosso anche Fabio. Certo quando ho visto il mio intervento pubblicato mi sono rammaricata di non aver tagliato di più. Ma per una questione di dimensionamento che sempre, credo, si debba ad un intervento in un blog. In questo senso mi infastidisce ugualmente una lunga teoria di poesie, come quelle di recente postate da Francesco di Stefano, o altro intervento troppo espanso: credo non aiuti il blog, che spesso viene letto con tempi abbastanza contingentati. Su questo la puntualizzazione di Luca Ferrieri, che anch’essa distingue tra ritaglio breve e ritaglio lungo, mi sembra condivisibile.
    Qualche tempo fa, quando Fabio aveva concluso il suo intervento con qualcosa come “e adesso lapidatemi”, avevo iniziato a scrivere qualcosa in risposta che poi non ho avuto modo di concludere né di postare inconcluso. Forse posso farlo ora perché in fondo per chi come me pensa che sia opportuno andare a votare di questo si tratta ora: confrontarsi su chi ci sembra proponga un’ottica e degli obiettivi più condivisibili. Scrivevo dunque:

    Caro Fabio,
    non lapidiamo nessuno. E il tuo intervento ha avuto il merito di citare i verdi, che vengono interpellati e mostrati ancor meno di Tzipras. Credo che alcuni di noi non escludano nemmeno i cinque stelle dal novero dei votabili.
    Anch’io penso sia opportuno votare, e con il criterio che tu hai esplicitato. Certo il mio voto non conterà che come un granello in una lunga spiaggia. Però credo, al contrario di Emilia, che nelle ultime tornate elettorali molti siano stati capaci di rivedere le loro posizioni di partenza, anche tra “noi”. Quindi perché non confrontarsi… Sappiamo che le scelte sostanziali si fanno soprattutto altrove ma, qualora ci fosse uno spazio anche non grande per una politica onesta (intendo volta al bene comune) mi sembra sia bene utilizzarlo.
    Tornando al confronto che si è sviluppato a partire dalla iniziale valutazione dell’operato di Renzi (ma forse più che il fare si valutavano i modi del fare), devo dire che mi sembra un po’ presto per dare giudizi tanto netti da sembrare conclusivi: sono poco più di due mesi (ora quasi tre) che Renzi è presidente del Consiglio ed è costretto comunque a governare, per dirne una, insieme con la destra di Alfano. Quanto ai suoi modi di agire e di comunicare credo che siano i modi oggi vincenti e anche per fare qualcosa di buono in politica bisogna vincere. Osservo dunque ora e sospendo il giudizio sull’operato entro i confini nazionali.
    In Europa ho la sensazione che una presenza forte del PD entro il partito dei socialisti europei potrebbe dare un poco di forza in più alle richieste che il governo italiano intende avanzare in Europa. D’altronde le problematiche portate avanti dai verdi mi sembrano di grande importanza e collegate con quasi tutto quello d’altro che mi sembra rilevante. E però gli eredi degli europeisti di Ventotene… E siamo poi sicuri che, con tutte le sue contraddizioni, Grillo non stia permettendo la formazione di una nuova classe politica attenta al bene comune?
    Do importanza alle elezioni europee perché sono convinta che se i problemi non si affrontano in una dimensione globale non c’è oggi alcuna possibilità di soluzione.
    Ma l’ottica nella quale dovremmo porci è secondo me quella che, a partire dal tuo intervento iniziale, sottolineava Luca: individuare qual è l’avversario (o meglio le pratiche e gli orientamenti da avversare e chi li mette in atto) e le vie percorrendo le quali questi si possono battere.
    Da qui vorrei che ripartisse il confronto tra chi è in grado su queste questioni di confrontarsi. Per quanto mi riguarda credo che voterò GreenItalia. Per fortuna dopo il pronunciamento della Consulta non si rischia che, se non si raggiunge il 4%, i voti vadano persi. E poi m’infastidisce l’ostracismo pressoché completo che è stato loro riservato in TV e affini (ma anche in rete non mi sembra si trovi molto)…

  38. E’ strano come questo blog (al pari del precedente) susciti in me promesse che non riesco a mantenere sia a me che ad altri.. ogni volta dico che è l’ultima, poi,continuando comunque a leggere le varie pagine e via via certi interventi, mi ritorna sù il desiderio di dire la mia di fronte a cose che non stanno né in cielo né in terra né in alcun pre-spazio “comune”…avevo sorvolato sul primo intervento di Luca Chiarei che saltando a piè pari gli interventi precedenti, liquidandoli come senza passi (o avanti o passi avanti), diceva la sua, sì, come tutti noi, ma con un particolare e inconfondibile modus operandi di uomo di partito, così percepisco ed elaboro l’ultimo di Marcella Corsi. Forse a questo punto la novità di questo blog rispetto ai precedenti è che chi vorrebbe parlare addirittura di beni comuni, ha in comune sì qualcosa ma potrebbe coincidere con certe parrocchie che al massimo se fanno i dissidenti, lo fanno all’interno di un green-calderone che va bene per primo al pd perché fa figo essere pluralisti tanto come non nuoce a nessuno dei potenti pensare che “una presenza forte del PD entro il partito dei socialisti europei potrebbe dare un poco di forza in più alle richieste che il governo italiano intende avanzare in Europa. “…la cosa che fa male di questi interventi per me non è però la parte politica o le contraddizioni evidente fra chi di comune ha ben poco, ma s’illude di averne parlando di acqua o di altri beni comuni, la cosa che fa male è quella poetica e pre-poetica ….prendere carta e penna per sputtanare un poeta, sic et simpliciter , non entrando per giunta nel merito del suo incisivo contributo, è stato fatto da una poeta (Corsi) contro un altro poeta (Di Stefano), e ciò non ha nulla o nessun connotato di bene comune….

    E’ triste questa pagina perché ci si illude sempre di fronte a un plurale, quale poteva essere anche il vostro “collettivo”, di essere di fronte a un moto-re pensante in modo veramente eretico, base di una linea comune a quella compagnia degli scalognati di pirandelliana memoria che invece per ora non vi siete dati di modo di essere.

    1. Scusate, ma nel tentativo di capire, tra digressioni e incomprensioni, lungo quale corso si fosse svolta la discussione aperta dall’intervento di Pagani, ho riletto gli interventi in ordine cronologico e ho colto un piccolo dettaglio che mi era sfuggito nonostante la sua rilevanza. E’ di Ennio Abate, in risposta a me, il primo maggio: “Anche se oggi non c’è nessun “faro rivoluzionario” a illuminare le tenebre, usiamo i faretti delle nostre singole intelligenze, senza introiettare nei nostri discorsi gli argomenti dei dominanti”. Il linguaggio non è mai neutro, e se Ennio, che pure non ama metterla sullo psicanalitico, usa il linguaggio della psicanalisi (introiettare) per togliere validità al punto di vista altrui (in sostanza mi dice che, senza accorgermene, sto usando gli argomenti dei dominanti), beh, mi sembra che questo segni la fine del dialogo, perché quale interesse si potrebbe avere a confrontarsi con un robot stupido che, pur senza guadagnarci niente, fa il portavoce dei dominanti? Una persona del genere la si decondiziona, la si rieduca, la si libera del male, se proprio la si vuole recuperare, sennò la si elimina. Così il dialogo fra gli intelligenti, i liberi, i vedenti può continuare, fertile; mica per cambiare le cose, per carità, ma tanto per tenersi in forma, non perdere smalto, avere ragione.
      Ecco, io considererei una disgrazia scoprirmi impegnato a dialogare con un “introiettato”, tanto che, prima di dichiararlo tale, vorrei esserne certo e andrei fino in fondo per capire se è proprio vero che così sia, se quello che credevo un compagno di strada, in realtà, è un “nemico” sotto mentite spoglie. Mi sorprende, invece, quanto facilmente Ennio forzi i dati di realtà per disegnare prospettive così inquietanti (per me) con le quali lui non sembra mai a disagio.
      Per tornare in argomento (Pagani), riletto e condiviso il suo intervento, che fare? Nell’immediato: qualcuno di voi vota alle europee? Se sì, per chi e perché? Se no, perché? Oltre le europee: che fare?

      1. Ciao Fabio, non credo che l’articolo di Pagani debba portare per conseguenza logica all’espressione da parte nostra, ognuno con il suo vissuto, alla semplice propagazione della sua scelta ( con tanto di rischi di propaganda, di ulteriori protagomismi, soliloqui etc etc e in una guerra di tutti contro tutti come da desiderata del nostro nemico comune che non a caso ci ha consegnato, democraticamente claro!, anche questo spazio in cui ci troviamo, ) …inoltre trovo inutile impostarla sul “che fare”, tanto più se non si è nemmeno d’accordo su qualche linea comune riguardo alle cose da non continuare a fare e da non fare da sempre.

        Infine, io avrei una sfilza di perché voterò non votando, ma a che pro lasciarli qui dove ogni comunicazione è fatta nella stessa logica di tutti contro tutti di qualsiasi altro luogo tranne quelli in cui si recita qualcosa di comune? oppure ancora, perché lasciarli qui dove al massimo, così come hai esposto, bene che ti vada rimarresti una o uno con qualcosa che ha a che fare con una “troia” dentro se stessi? (cosa che peraltro – viste certe puttane di cui è piena non solo la politica italiana da dx a sx , dalla lega alla sx radicale fino a grilllo- rende onore alle troie stesse).

        ciao

        ps
        “che fare”, è l’ultimo dei problemi, se ancora non si è messo in atto un sentiero individuale e poi plurale e poi comune sulla conoscenza dei problemi che hanno portato a tanta gigantesca necessità di fare, di fare qualcosa da azzerrarla.. anche perché la storia insegna che la democrazia dal basso, dell’uomo comune quale sono io o tu e tutti gli altri qui con noi, è una mega gigantesca bufala: bene che ti vada è come diceva e dirà sempre Lao Tzu ” Se non conosci il nemico, ma conosci soltanto te stesso, le tue possibilità di vittoria saranno pari alle tue possibilità di sconfitta.”.

        1. Cara Ro,
          il “che fare?” riguarda un po’ tutte le mie scelte individuali (quelle che sono politiche in virtù dell’evidenza che ogni personale lo è) e per questo sento di spenderlo anche nella ricerca di scelte collettive da elaborare, senza garanzie di riuscita, con persone che condividono, da prospettive simili, il rifiuto dell’attuale deriva (che è politica, sociale, etica, antropologica). Credevo, fino a questo momento, che l’area di Poliscritture implicitamente connotasse queste “prospettive simili”, ovvero quelle di una sinistra, per dirla in modo sintetico, alla Fortini. Mi accorgo, invece, che il contenitore è più stretto di quanto non immaginassi, gli ostacoli più numerosi e imprevedibili; per dirla in breve, mi sono ritrovato addosso l’etichetta di propugnatore del “resistere non serve a niente” (per aver citato il libro di Siti come fonte di una notizia per me nuova), di sostenitore del renzismo al punto di argomentare coi suoi valori introiettati. Energie buttate al vento, non ne vedo il costrutto; se Ennio condivide quello che scrive dovrebbe chiedere il mio allontanamento da Poliscritture, perché i margini di differenza non mi sembrano tollerabili in vista di un lavoro da fare assieme, dal momento che una cosa è l’intelligenza dell’avversario e un’altra “con” l’avversario.
          Ennio compone poesie sarcastiche sul voto come se io ne fossi un fautore. Ho già detto come la penso in proposito. Ho anche chiesto agli altri cosa faranno, e soprattutto perché, ma cercare risposte a questa domanda (che non ho posto io per primo) non sembra politico, dire come ciascuno di noi attraversa il presente non lo è. Fare la tesina su Renzi invece sì.
          Appena avrò un po’ più di tempo, racconterò come rispondo al mio “che fare?” individuale. E sai cosa ti dico? Se anche il nostro compito fosse quello di parlare solo dei massimi sistemi, ebbene ho l’impressione che non sarei fuori tema. Varrebbe, almeno, quanto un’analisi su Renzi.

    2. prendo atto del tuo giudizio( personale? politico?), al quale non posso rispondere visto che non ha argomenti a supporto. In ogni caso se salto degli interventi è che per limite mio personale alcuni non li comprendo proprio, non ci arrivo…

  39. Un po’ per non piangere, un po’ perché non resisto a non dialogare con gli “introiettati” e sperando di non pregiudicare le altre dichiarazioni di voto. [E.A.]

    EUROPEE 2014.
    DICHIARAZIONI DEL MARTIRE DEL VOTO.

    Tsipas
    mi sta un po’ sul cass’
    ma la voto

    Grillo
    è sempre più brillo
    ma lo voto

    Il Piddì
    mi ricorda la Diccì
    ma lo voto

    Berlusconi
    è ormai bocconi
    ma lo voto

    Alfano
    è di B. il corrimano
    ma lo voto

    GreenItalia
    è un protocalco verdastro di Forza Italia
    ma la voto

    E così seguitando, ma sempre votando
    in questa vuota elettoralità s’annega il pensier mio:
    E il naufragar m’è dolce in questo mare.

  40. “Ennio compone poesie sarcastiche sul voto come se io ne fossi un fautore” (Fabio Ciriachi)

    A votare saranno milioni. Perché dovrei prendermela proprio con te?
    Il mio sarcasmo è indirizzato alla “vuota elettoralità” che domina e alla oscillazione nevrotica dell’elettore tra fede abitudinaria nel voto e sensazione che sta disobbedendo alla propria (residua) ragione che, come il grillo parlante, gli ricorda che sta cedendo.

    1. A domanda risponde: perché in uno scambio di commenti su uno spazio non frequentato da milioni di persone (e stranamente non nell’ordine in cui compare) la tua poesiola succedeva alla mia seguente clausola: “Nell’immediato: qualcuno di voi vota alle europee? Se sì, per chi e perché? Se no, perché? Oltre le europee: che fare?”. Sono malizioso se penso che fosse una risposta alla mia domanda? Qui ci vuole Totò: “Ma mi faccia il piacere!!!”.

      1. @ Fabio (Ciriachi)

        Sinceramente non pensavo a te nello scrivere i miei versetti satirici. E resta il fatto che saranno milioni a votare ancora. E’ il comportamento di massa che mi preoccupa e m’interessa.
        Se tu poi ti rispecchi, son fatti tuoi. Oppure vuol dire che saranno milioni i “Ciriachi”. E tu ti trovi in buona e folta compagnia, mentre io in cattiva e demonizzabile.

        1. E’ sorprendente la tua propensione alla malevolenza; pare chiaro anche al più distratto degli stolti che non “mi rispecchio nei milioni di votanti” giacché l’interesse era (è) limitato ai partecipanti a questa discussione. Mi preoccupa, invece, che ti preoccupa che si voti. E ribadisco: le cattive compagnie dei non votanti le trovo peggiori di quelle dei votanti. Non esiste solo il peso del singolo voto, o il programma del singolo partito. Esiste l’esercizio di un diritto che se anche inquinato nelle dinamiche a cui dà luogo, ha dietro sé una storia che merita qualcosa di più di un’irridente supponenza o di una paternalistica preoccupazione.

      1. Grazie Emilia. Magari se volessi argomentare, in breve, capirei meglio. Non te lo chiedo per pignoleria. Ieri ho provato a rispondere a un questionario articolato in 25 domande relative alle prossime europee per stabilire la vicinanza ai programmi di questo o quel partito. Ebbene, su molti dei temi toccati ero impreparato, e senza l’ausilio degli approfondimenti avrei avuto difficoltà a rispondere. Quanto poco so, in realtà, sui temi specifici!

  41. Volevo solo dire che andare a vota re secondo me è indispensabile – Il voto per me è ancora la miglior forma di democrazia. Chi decide di non andare a votare può dire di tutto e di più , criticare , eliminare, ridicolizzare ogni pensiero, per questo mi è parso logico dire per quale partito ho deciso di votare. Ora fate pure. Bacioni.

      1. Grazie per l’informazione. Non ne ero al corrente. e grazie per il link non sapevo come fare ad inserirlo.

    1. CITAZIONI AD HOC

      1.
      Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι µᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς
      E gli uomini [ma anche le donne…] vollero piuttosto le tenebre che la luce.
      (Giovanni, III, 19)

      2.
      Qui mira e qui ti specchia,
      secol superbo e sciocco ,
      che il calle insino allora
      dal risorto pensier segnato innanti
      abbandonasti, e vòlti addietro i passi,
      del ritornar ti vanti,
      e procedere il chiami.
      Al tuo pargoleggiar gl’ingegni tutti,
      di cui lor sorte rea padre ti fece,
      vanno adulando, ancora
      ch’a ludibrio talora
      t’abbian fra sé. Non io
      con tal vergogna scenderò sotterra;
      ma il disprezzo piuttosto che si serra
      di te nel petto mio,
      mostrato avrò quanto si possa aperto;
      bench’io sappia che obblio
      preme chi troppo all’etá propria increbbe.
      Di questo mal, che teco
      mi fia comune, assai finor mi rido.
      Libertá vai sognando, e servo a un tempo
      vuoi di novo il pensiero ,
      sol per cui risorgemmo
      della barbarie in parte, e per cui solo
      si cresce in civiltá, che sola in meglio
      guida i pubblici fati.

      (Da “La ginestra” di G. Leopardi)

  42. ….rifiorirà rifiorirà
    e che importa se noi non la vedremo
    né il suo profumo per l’aria sentiremo
    sulla mia tomba una gialla ginestra
    o rosa o viola
    qualcuno posar vorrà.

  43. ciao Fabio, mi è piaciuta molto la tua risposta e oltreche augurarti il meglio per il tuo viaggio interiore sul da farsi, auguro a te e ai componenti di Poliscritture l’avvio della ricerca vera, umana, concreta e fattiva di denominatori “minimissimi” comuni, che è già un bel “fare” , sempre che i tempi oscuri che viviamo non ne abbiano spento o fatto crollare il desiderio (o più brutalmente ne facciano crollare le palle, come alla sottoscritta, se dovesse iniziare una simile ricerca come la vostra) …il crollo, per ottenere alzata di muri più alti dei precedenti, non è stato solo esterno ma come ci insegna lao tzu e tutto il taoismo, al primo è corrisposto il secondo, quello interno, quelo individuale, quello più utile, moltiplicando i crolli per i grandi numeri, al successo su cui contava l’impero d’occidente, quello per cui voterà anche Emy , obbedendo e credendo che la compagna di uno dei padri del Britannia (oltre che dei bamboccioni),tale signora Spinelli e compagnia non se la ridano e sghignazzino per tutte le Emy che passando da un partito all’altro fino a Grillo, convintamente osannato fino alla penultima elezione, ora ci provano con Tsipras perché il voto è il voto. Povera poesia, non conta proprio una mazza anche per Emy.

    detto ciò, vista l’assoluta apocalisse per cui non occorre aspettarsene una speciale a fine tempo, un forte abbraccio a te , a Emy e a tutti.

  44. Immaginavo che intervenendo in quel modo mi sarei tirata addosso qualche pietra ma mi è sembrato giusto farlo, pur consapevole della mia poca capacità di valutazione politica.
    Una sola precisazione per rò, di cui apprezzo la capacità di conservare nell’apocalisse la voglia di comunicare: non credo di aver “sputtanato” nessuno dicendo che un intervento (in quel caso in forma di poesie) mi era sembrato troppo lungo per un blog. Era solo l’ultimo esempio incontrato, quello che ricordavo (nessuna valutazione nel merito dei testi). Il primo post troppo lungo di cui mi rammaricavo d’altronde era il mio…
    Un’altra cosa: l’ecologia italiana (e intendo le idee di chi ha passione ecologista) ha ricevuto tra i tanti anche lo schiaffo della strumentale attenzione animalista di Berlusconi ma forse in Europa potrebbero avere spazio le idee e le azioni con queste coerenti. Non posso pensare che tutto dovunque sia corrotto.

    1. Ciao Marcella , non ho lanciato pietre, ho solo avuto la visione della tua nella sua traiettoria verso “poesia” sui temi in oggetto, incarnata in questo caso da Francesco Di Stefano ….se inoltre dici di avere scarsa “capacità di valutazione politica”, devi gioco forza ammettere ( sul piano istintivo e intuitivo prima che logico), che ogni discorso connesso, compreso quello ecologico, rischia di rimanere spezzato, disconnesso, poco credibile se non a chi, che è poi la massa di riferimento, si potrebbe accontentare di semplici evidenze / slogan che riducono ancor più i temi ambientali , e peggio ancora quello sui beni comuni.

      Non volere conoscere tutte le forze e le armi del nemico, implica la totale inefficacia delle battaglie opposte in merito.Anziché togliere terreno definitivamente dalle mani di chi, recitando green economy e ambiente come Al Gore, Avaaz.org, Change e tutte le puttanate imperiali a seguito (molto più subdole e pericolose addirittura dei camorristi, dei cementificatori ), l’ha meglio ucciso come la storia dei nostri legaverdisti ha dimostrato in varie biografie, per non parlare di greenpeace, ormai assoldata per fare operazioni mediatiche a rafforzamento dell’impero d’occidente, come se il gas e il petrolio di zio Putin fosse la peste, e il resto, purché occidentale (compreso il gas di scisto degli Usa o del Canada) , aria pura per i nostri polmoni.

      Non volere conoscere tutte le forze e le armi del nemico, implica prima o poi la totale inefficacia delle battaglie opposte. Pertanto, non si tratta di avere una visione del mondo meno corrotto, ergo come e quanto meno tu lo vedresti (rispetto a me povera e così ridotta indirettamente alla categoria dei pessimisti, dei disfattisti e chi più ne ha ne metta), ma più semplicemente aver sedimentato storie, storia, fatti, biografie, retroscena, etc etc su fili, meccanismi, palcoscenici, truman show, manipolazioni e ogni infiltrazione della belva che è il POTERE in ogni suo aspetto padrone , ma soprattutto servo (e tanto più laddove creda di non esserlo con azioni che invece, come quelle di certi ribelli in libia o in siria o in ucraina, fanno meglio il diritto umano, o in questo caso ambientale, dell’impero). Servi, compresi fra questi ultimi quelli allevati a batterie in ogni ala e latitudine degli ex stati europei, e per noi da Padoa Schioppa a Spinelli, dagli Agnelli a De Benedetti, da don Silvio a don Matteo, da Realacci a Casaleggio et cetera et cetera….paesi così ricchi di sangue da prelevare in mille e infiniti modi, più visibili e più occulti, da parte di colui che facendo finta di liberarci, ha corrotto come primo ambiente, sopra tutti gli altri, la pelle (non come semplice colore) e il cervello dei suoi milioni di coloni europei, che già buggerati da una pseudo liberazione, sono passati di epoca in epoca all’importazione di merci fra le piu tossiche, a cura degli esportatori più abili al mondo della cementificazione di ogni flusso e passaggio coronarico e neuronale grazie ai prodotti truffa della rivoluzione sessuale e del sessantotto fino a quelle in corso sulla pace, i diritti umani, i diritti di genere, dalle femen a luxuria fino al mitico femminicidio etc etc…di fronte ai quali, il parco, pur salvato a instabul, rischia di diventare un simulacro , un anestetico e un contentino concesso dallo stesso Potere per non far raggiungere mai i livelli da cui viene generata ogni tipo di ruspa anti-uomo (stesso discorso vale, per loro stessa ammissione, seppur formulata ben diversamente, per tutti coloro che come la Leganord una volta e ora Beppeggio, “comunicano” che sono stati utili per contenere le masse – ridotte peraltro a semplice folla, canetti docet)

  45. @ Marcella ( Corsi)

    Per favore lasciamo perdere queste metafore della lapidazione o del lancio di pietre. Stiamo semplicemente discutendo. E sappiamo, prima ancora di cominciare, che mai e poi mai convinceremo uno solo dei nostri interlocutori a votare diversamente da quello che ha già deciso o a non astenersi o annullare la scheda.
    E’ per questo che ho invitato a non ridurre questo spazio a Tribuna elettorale e ad usarlo per ragionare possibilmente non solo sulle elezioni europee, che prevedibilmente andranno come si è già visto in Francia.
    A me personalmente già parlare solo di elezioni ( e di elezioni europee) senza aver prima macinato qualche analisi approfondita sulla costruzione (fasulla) dell’Europa, sul contesto internazionale, sul ruolo degli USA in Europa non mi pare un ragionare ma un chiacchierare sulla spinta di emozioni o desideri vaghi. Allora tanto varrebbe seguire zitti e buoni le tribune elettorali TV.

    @ Fabio ( Ciriachi)

    Sulla tua “scoperta” che in POLISCRITTURE convivono da tempo prospettive non “simili” e non riconducibili tutte alla “sinistra” non so che dire. Credo che tu sia poco informato sulla storia precedente della rivista, sui nostri vecchi dibattiti (che pur ho richiamato) in occasione di precedenti elezioni, sul dilemma che avevamo grosso modo circoscritto nella formula “rifondazione della sinistra o esodo”.
    Che poi arrivi a pensare che “se Ennio condivide quello che scrive dovrebbe chiedere il mio allontanamento da Poliscritture, perché i margini di differenza non mi sembrano tollerabili in vista di un lavoro da fare assieme, dal momento che una cosa è l’intelligenza dell’avversario e un’altra “con” l’avversario” a me fa un po’ ridere. Perché o dovrei “allontanare” quasi l’intera redazione o quasi l’intera redazione dovrebbe allontanare me.
    La tua dichiarazione per me significa che: 1. hai una inconscia nostalgia per il tempo dei partiti che radiavano o allontanavano i dissenzienti; 2. chiedi a me di esercitare un atto autoritario che dovrebbe risolvere le *tue* difficoltà a confrontarti con posizioni che non rientrano ( a quanto pare) nei tuoi schemi di confronto; 3. non ti accorgi che il lavoro di una rivista (e di un sito) ha un orizzonte e una logica diversa da quella degli attuali partiti (che pur ti accingi a votare o voteresti). Da tempo, pur polemizzando tra noi, abbiamo imparato a confrontarci pur essendo tanto “diversi” e a lavorare (faticosamente) a tirar fuori dei testi tutto sommato decenti, anche se votiamo X o Y o non votiamo. E non per opportunismo, ma per la semplice ragione che viviamo una situazione di crisi talmente complessa, che richiede senz’altro il confronto più coi “dissimili” che coi “simili”. Non possiamo adagiarci in un tranquillizzante dialogo *inter nos*. (Perché il ‘noi’ appunto non c’è ed è tutto da costruire).

  46. Emy cara, anziché vedere le ferite che noi stessi provochiamo a Poesia (molto probabilmente anch’essa mitizzata nella testa di quei pochi che ancora la fanno e/o la leggono), è preferibile e umano, molto umano, fare come hai fatto tu : darmi della catastrofista (e chi più ne ha ne metta, come già scritto a Marcella per altre questioni comunque affini) pareggerebbe 1-1 quella partita in cui non volevo fare nessun goal sul tuo fuori gioco o campo poetico. Infatti l’abbraccio, che era il minimo da me dovuto, c’è tuttora per la consapelovezza del “male comune” in cui siamo …la differenza o il dissimile ( per usare la terminologia di Abate nel commento di cui sopra) è insieme al simile, in questa barca o caverna bucata da mille e infinite ombre; il problema è che pochi, e così pochi da millenni, sono coloro che ne sentono, vivono, conoscono le falle e le cause del progressivo affondamento . Le pecorelle hanno bisogno di recinti tanto più laddove gli hanno fatto credere di essere liberi e, oddiomamma!, di essere liberi di scegliere. Le pecorelle hanno assoluto bisogno di questi pseudo-punti di riferimento e mica è stupido il mondo dei pastori! anzi per fare meglio il loro compito hanno addomesticato meglio anche i lupi, e creandone per giunta altri ben più feroci fra le pecorelle stesse ( e se no tu mica avresti votato Grilleggio! e poi, adesso, non staresti certo per mettere la tua croce su “la compagna” di Padoa Schioppa e compari e altre pecorelle su dudù o don Matteo, etc etc) …no, non so affatto stupidi i pastori e oddio quanto lo sanno che alle pecorelle piace farsi raccontare le favolette , che il flauto magico sia in mano a Salvini, o Renzi, o Spinelli poco importa . Non c’è miglior schiavo di chi si crede libero, confermi anche tu la regola sposata da miliardi del pianeta….il sogno (americano) ha funzionato meglio del tempo e della spazio e di qualsiasi poesia. Sì, una catastrofe.

    1. Emy più che ai vecchi democristiani (o all’orientamento del proprio voto, ma a questo punto pure alla mancanza di autocritica, almeno a posteriori , sul proprio entusiasmo del tutto illusorio, riposto su questo o per quel salvatore paraculo dei nostri destini) direi che siamo ridotti a due e più alfabeti così diversi ma così diversi , e a due e più grammatiche/processi di elaborazione senti_mentali su ciò che ci circonda, che è tale il punto della catastrofe (ben al di là sia del singolo orientamento di voto, che non è manco il tema di questo post), da essere gli uni , gli altri e gli altri ancora tanto tanto impossibilitati a fare contatto fra noi, così tanto da doverne almeno aver “introiettato”, in ognuno di noi ( a seconda della sua sensibilità), il minimalissimo denominatore comune : la necessità di prenderne atto, con capacità di assurmersene responsabilità e dolore, tanto dolore. Sempre che il desiderio di vedere, ognuno dalla sua posizione, quanta e come sia la distanza siderale dell’altro, perché è come se vivessimo su pianeti talmente distanti da dover convivere (chi più dolorosamente chi meno) il paradosso che fra noi non c’è nemmeno un abitante di Plutone o di Marte e siamo tutti sullo stesso pianeta e sulla stessa realtà. La situazione relazionale fra le persone ( offerta dentro lo spazio di questi interventi/pagine), oltre che offrire molti spunti ( anche artistici, anche poetici, anche teatrali) è paragonabile al campione di pari entità catastrofale che il quotidiano di ognuno di noi può registrare nella sua vita di relazione (personale e pubblica)…chi non ha a che fare con tali registrazioni, ovviamente appartiene a un pianeta diverso dal mio, dove ci si accontenta o di cantare trallalerò trallalà o di ammucchiarsi con chi va per la maggiore sia a destra , che a manca, che sotto che sopra..ma comunque dentro lo stesso ovile.

  47. SEGNALAZIONE

    Chi volesse leggere la dichiarazione di voto alle europee di Aldo Giannuli la trova qui:
    http://www.aldogiannuli.it/2014/05/voto-m5s-auguri-tsipras/
    Per quel che mi riguarda trovo interessante non tanto l’indicazione di voto ma le sue motivazioni, che tra l’altro rispondono chiaro e tondo alla domanda che si faceva Marcella (Corsi) su “qual è l’avversario” da individuare: non Grillo ma il PD.

  48. Fabio Ciriachi
    21 maggio 2014 alle 18:02 Modifica

    Sul tema votazioni, che è una delle tante porte che affacciano sul politico, propongo la lettura di questo intervento.
    http://esseresinistra.wordpress.com/2014/05/21/europa-false-e-vere-soluzioni/
    Proporre e leggere non è complicità con le tesi in oggetto; meglio dirlo, prima di essere arruolati in qualche fazione, venire incolpati di qualche infezione.

    *Nota. Ho spostato qui il commento. Mi sembra il posto più adeguato. [E.A.]

  49. @ Ennio Abate

    Luca Chiarei
    21 maggio 2014 alle 0:02 Modifica

    Non riesco a comprendere come sia possibile interpretare quello che ho scritto come il sostegno alla tesi per cui ogni analisi generale, di contesto e di prospettiva, sia da me rigettata a favore del qui ed ora, del primato del quotidiano assunto in maniera acritica. La mia intenzione non era quella di fornire un contributo sostitutivo di altri ma di aggiungere una riflessione in più, di sottolineare un corno del problema che non mi pareva sufficientemente sviluppato, o meglio, da parte di alcuni sottovalutato. Tutto qui. Poi ovviamente non ho la pretesa di essere io a rispondere politicamente con una proposta convincente e praticabile ai dubbi di tutti o risolvere le divergenze a volte profonde, che vedo con chiarezza, presenti nella discussione su poliscritture e che in alcuni casi non sono da poco.
    Con buona pace dei grillini e di quanti esaltano la rete le proposte politiche non crescono con i post, tanto meno i miei, ma ancora tra la gente. Tant’è vero che questa campagna elettorale Grillo non la fa mica dietro ad uno schermo ma di piazza in piazza, in quella che dovrebbe essere la migliore tradizione della sinistra, ma tant’è.
    Il mio riferimento alle misure concrete non era per sostenerne alcune anziché altre; conosco bene la frustrazione dell’impegno “nullificato con un tratto di penna dalle decisioni di segno stabilmente e programmaticamente contrario del governo” soprattutto con i governi tecnici degli ultimi anni; ma anche questo non è vero in assoluto. Ritengo, anche per esperienza diretta, che nei meandri tecnici dei provvedimenti riuscire a introdurre una aliquota al ribasso, una detrazione fiscale in più, una modifica della normativa previdenziale, un ammortizzatore sociale più ampio, può fare la differenza nella dimensione del quotidiano di tanta gente. Come la farà, ci piaccia o meno, questi 80€ a coloro che hanno redditi inferiori a 26000 (ovvero meno di 1000€ al mese…).
    Per entrare in questo ambito, che non possiamo considerare estraneo alla politica, ci vuole anche una sinistra con capacità di governo e non solo di opposizione, capacità che è un altro dei modi possibili, per me, di uscire dal carcere a cielo aperto. Un carcere che abbiamo costruito tutti, con i nostri limiti e insufficienze personali e collettive e non solo perchè qualcuno ha obbedito per convenienza. Perchè la lezione di Don Milani, lasciamelo dire, che l’obbedienza non è più una virtù l’ho ben presente visto che negli anni settanta ero obiettore di coscienza al servizio militare e alle spese militari (e la controparte allora era la sinistra storica e nuova che ci tacciava come anime belle quando invece la lotta da fare era quella dura e a volte armata…) ma non è stata sufficiente perchè come vedi gli eserciti, come il carcere di oggi, ci sono ancora…
    Due parole sul voto: penso che non andare a votare, per quanto comprensibile e degna di rispetto sia questa posizione, sia un “tradire” la storia di questo paese che il diritto di voto se l’è ripreso e sappiamo tutti come. E’ con questa motivazione che l’ho sempre fatto e lo farò anche questa volta, con la convinzione – ormai piuttosto datata- che sia una scelta per la quale ci si debba sempre e comunque tappare il naso e si debba scegliere sempre il meno peggio. Non penso che la politica sia il luogo dove si possa affermare l’assoluto del bene, dell’interesse generale, della bellezza magari…
    Cosa voterò non lo so ancora.
    Con la premessa che non tutti i partiti politici, per il solo fatto che si presentano alle elezioni, diventano uguali di certo non voterò il centro destra, area nella quale io ascrivo anche il M5S, non voterò gli euroscettici, sceglierò nell’area che va dal PD alla lista Tsipras passando per i verdi e non per questo mi sento un traditore (di chi?…) qualsiasi cosa alla fine sceglierò so bene che non sarà la migliore delle scelte possibili ma solo una possibile. Se devo naufragare in questo mare preferisco farlo così…

    * Nota. Questo commento è stato spostato dalla collocazione in cui era. Ho aggiunto all’inzio il destinatario principale a cui è rivolto. E’ più facile seguire i commenti se viene indicato il destinatario specifico (quando c’è) e se vengono collocati alla fine della sequenza. [E.A.]

    1. A proposito dell’intervento di Giannuli ho commentato così sul suo blog (commento in attesa di accettazione dalle 18,17):
      “No, i 5S no. Si domandi, signor Giannuli, perché la sinistra è quella che è, oggi. Le sue menti migliori l’hanno abbandonata via via – frazionamento dietro frazionamento, dissenso dietro dissenso, distinguo dietro distinguo – ai politicanti affaristi. Mi perdoni l’esempio evangelico: se si ama il tempio vi si entra e se ne cacciano i mercanti, non ci si allea con chi butta via il bambino assieme all’acqua sporca.
      Se ha visto i “7 punti per votare M5S” sul blog di Grillo, non può ignorare la risposta contenuta in questo link.
      http://micheledisalvo.com/2014/05/programma-m5s-sette-punti-sette-balle.html
      Se per informare si mente (ad arte, perché di primo acchito sembra convincente, o almeno lo è dove la conoscenza delle cose è relativa) io il problema me lo porrei. Se si è virtuosi, la virtù dovrebbe bastare.

  50. Non posso fare a meno di solidarizzare con Luca Chiarei (e mi scuso per l’intromissione) circa l’estremismo interpretativo di Ennio. Ne sono stato vittima più volte e so quanto sia negativo, perché sposta dal dialogo e costringe a difendersi. Non c’entra la diversità di opinioni e di posizioni, è altro, è costruire, sull’interlocutore vero, un interlocutore fittizio a cui attribuire pensieri e posizioni che appartengono solo ai suoi incomprensibili solipsismi. La dialettica che questo comportamento nutre attiene all’accidia (quanto a dispersività), a dividere, anziché unire. Mi stupisce che Ennio lo faccia spesso suo, perché so quanto gli sia pesato esserne vittima nel corso di una diatriba con Giorgio Linguaglossa. Io l’ho risolta facendomene una ragione e lasciando cadere le cose. Non mi piace, perché a volte le cose sono fragili, e se cadono si rompono. Ma il male minore è così.

  51. @ Luca (Chiarei)

    Nel mio precedente commento a te rivolto avevo scritto: « Purtroppo scontiamo ritardi di comprensione sia sul generale che sul particolare. Ma non se ne esce – ahi noi – “specializzandoci” solo sul primo o solo sul secondo.». Possiamo concordare almeno su questo? E cioè che ci sarebbe bisogno di « analisi generale, di contesto e di prospettiva» capace di illuminare il «qui e ora» e non viceversa? O almeno che le due dimensioni del generale e del particolare non possono divaricarsi tanto da perdersi di vista?
    Se sì, capiremmo che oggi proprio questa divaricazione è arrivata all’estremo e le analisi generali ( sulla globalizzazione, ecc.) non riescono ad illuminare il che fare «qui e ora». E quindi – con tutto il rispetto per chi si sporca le mani nel «qui e ora» o riesce faticosamente e lodevolmente a « introdurre una aliquota al ribasso, una detrazione fiscale in più, una modifica della normativa previdenziale, un ammortizzatore sociale più ampio», che pur fa la differenza per i diretti interessati a quella questione – quest’azione sindacal-politica rispettabile e ammirevole (ripeto) è come un brancolare al buio e prima o poi trova l’alt di poteri più schiaccianti, quando non viene fermata dalla paura del peggio degli stessi interessati (lavoratori, pensionati, ecc.).
    Se, come tu sembri pensare, le proposte politiche crescessero «ancora tra la gente», vedremmo ogni giorno i politici nei posti di lavoro, per strada, nelle scuole, nelle carceri, ecc. Non è così.
    Le proposte politiche vengono nella sostanza preparate, discusse, valutate in massima parte in luoghi ristretti e riservati (se non occulti). E da pochi, pochissimi. Solo dopo averle confezionate ( e con lotte atroci e compromessi impensabili tra varie lobby, gruppi dirigenti, tecnici specializzati, ecc.) si creano (certo non solo a freddo, ma annusando umori e malumori, calcolando spinte e controspinte, ecc) i movimenti, le messe in scena, le tribune elettorali, gli scandali per sputtanare Tizio o la pubblicità indiretta per Tizio che deve essere il nuovo leader prescelto.
    Bisogna togliersi le fette di salame dagli occhi. Io nel ’68 ce l’avevo. La storia successiva me le ha tolte. E mi ha mostrato – cosa che non sospettavo o intuivo malamente – che c’è un sommerso della politica che è all’incirca tre quarti della punta d’iceberg che ci fanno vedere e in esso agiscono forze occulte, lobby organizzate, faccendieri. E “noi” non solo lo ignoriamo, ma non riusciamo a intravvedere o a capire cosa in esso si muove. Questo è il difficile, il dramma.
    Il nostro “carcere a cielo aperto” (usiamo questa metafora, sapendo che tale è), però, non l’«abbiamo costruito tutti». Tant’è vero che solo una parte della popolazione (numericamente la maggioranza) lo abita, non tutti. Non possiamo perciò accettare questa corresponsabilità per scelte che al massimo da parte nostra sono state solo di consenso manipolato o per lo più inconsapevole o disinformato. Scaricati da questo falso senso di colpa (introiettato e/o indotto), siamo più in grado di operare politicamente? No. Ci mancano gli elementi per una nuova scienza politica adeguata a questa situazione che ha completamente disgregato le classi a cui facevamo riferimento e ha impoverito e confuso il ceto medio al quale ancora faticosamente apparteniamo. Questo è il punto dolente su cui riflettere. Ciascuno per conto suo. A me proprio non interessa spuntarla in una discussione su un blog tra quattro amici . Se ritieni che questo che ti ho posto sia un falso problema, chiuso lì.

    @ Ciriachi
    È davvero fastidioso che, appena qualcuno si trovi in disaccordo con il mio presunto «estremismo interpretativo», tu corra giulivo a complimentarti o a “solidarizzare”. Comunque, fa’ pure. Ma mettiti un po’ d’accordo fra quanto qui dici e quanto scritto nella mail di domenica 18/05/2014 10:15

    1. Vedi Ennio che continui a sbagliare? Io non corro “giulivo”, procedo lento e “addolorato”, invece. Ma è più forte di te, tu non senti il dispiacere che provochi agli altri con questa tua attitudine, mi vuoi “giulivo” (per ragioni che non comprendo); anzi di più. Tu scrivi: “È davvero fastidioso che, appena qualcuno si trovi in disaccordo con il mio presunto «estremismo interpretativo», tu corra giulivo a complimentarti o a “solidarizzare”” lasciando intendere che questo tipo di solidarietà sia una mia consuetudine, mentre invece, se non sono proprio smemorato, mi sembra di averlo fatto per la prima volta (e me ne scuso ancora con Luca).

  52. Cara Rosanna, sai perché mi son venute in mente le poesie di Francesco di Stefano come esempio di intervento a mio avviso troppo lungo nel blog? perché per leggere poesia (leggere per comprendere) ho bisogno di più tempo di quanto non me ne serva per leggere qualunque testo in prosa. Leggere poesia mi interessa e voglio leggerla con il rispetto-tempo che merita… in quel caso non son riuscita a farlo (colpa anche della mia poca disponibilità di tempo naturalmente ma…).
    Quanto al resto, a partire da tutto quello che hai capito sulle dinamiche di gestione del consenso che chi detiene il potere mette in atto per irretire e deviare, cosa riesci a fare o comunque hai capito che potresti fare, tu e altri, per opporti a tutto ciò? Cercare di chiarirsi le idee su queste dinamiche è lavoro che mi va bene di fare, cerco di farlo e durerà una vita ma solo capire (sempre che si riesca) fa male, rischia di condurre ad un senso di completa impotenza e frustrazione, ad una depressione mortale. Insieme all’esigenza di rendere la propria visione del mondo più lucida e aderente alla realtà, c’è l’esigenza di individuare percorsi costruttivi di opposizione (e chi più ha capito più dovrebbe impegnarsi a costruire), e di agire anche collettivamente per far andare le cose in una direzione diversa, di rispetto, di responsabilità. Per quanto possa sembrarti inadeguato, a me piacerebbe usare anche il voto per tentare di farlo. Certo il panorama è desolante…

  53. mi rendo conto che il mio commento arriva due giorni dopo, me ne scuso.
    e vedo con piacere che Fabio è tornato sul tema del voto. ho letto con interesse sia la dichiarazione di voto su Esseresinistra che quella su Micromega.
    mi piacerebbe che anche altri redattori intervenissero, almeno quelli che intendono votare…

  54. Condivido lo stato di sofferenza di rò quando scrive: **E’ strano come questo blog (al pari del precedente) susciti in me promesse che non riesco a mantenere sia a me che ad altri.. ogni volta dico che è l’ultima, poi,continuando comunque a leggere le varie pagine e via via certi interventi, mi ritorna sù il desiderio di dire la mia di fronte a cose che non stanno né in cielo né in terra né in alcun pre-spazio “comune”…**
    Anch’io ogni tanto sono tentata, seguendo quanto espresso sopra, a dirmi ‘ancora un intervento e poi basta’: perché è davvero penoso assistere alla guerra tra i capponi di Renzo (o Renzi?).
    Volevo fare però alcune precisazioni, aiutandomi con la poesia di B. Brecht (messa in calce), rispetto alle ‘introiezioni’ (e ‘proiezioni’) che, se non ho capito male – e può anche succedere in questo bailamme in cui ognuno cerca di avere ragione – F. Ciriachi sembra affidare solo alla parte ‘consapevole’: *…[Ennio] usa il linguaggio della psicanalisi (introiettare) per togliere validità al punto di vista altrui (in sostanza mi dice che, senza accorgermene, sto usando gli argomenti dei dominanti) ….”* e, più avanti sostiene che *Ecco, io considererei una disgrazia scoprirmi impegnato a dialogare con un “introiettato”, tanto che, prima di dichiararlo tale, vorrei esserne certo e andrei fino in fondo per capire se è proprio vero che così sia, se quello che credevo un compagno di strada, in realtà, è un “nemico” sotto mentite spoglie*.
    Nello stesso tempo, senza pensare che anche lui può operare delle proiezioni ‘inconsce’, sostiene che Ennio * usa il linguaggio della psicanalisi (introiettare) per togliere validità al punto di vista altrui*.
    Oppure , sempre riferendosi ad Ennio * E’ sorprendente la tua propensione alla malevolenza…*.
    Allora, un conto è dire che il linguaggio non è mai neutro: ma una cosa è sostenere, nella verità di questo assunto, che c’è una intenzionalità consapevole (del genere ‘Parlare a nuora perché suocera intenda’) altra cosa è l’inconsapevolezza che ci fa sempre ritenere ‘innocenti’ (!!!) come pargoli (che non sono ‘innocenti’ per niente).
    Invece Introiezione e Proiezione sono, perlopiù, movimenti inconsci: magari ce ne rendessimo conto pienamente da soli.
    Se così fosse, gli psicoanalisti potrebbero chiudere gli studi e non avrebbero senso certe osservazioni di P. Pagani (da cui è partita questa lotta a coltello), di Ennio e di Rò. E nemmeno della poesia di B. Brecht che, ripeto, trascrivo qui sotto.
    L’articolo di Pagani invitava a ri-flettere (ovvero a pensarci su senza partire per le sante crociate) sul pericolo di un assorbimento ‘pseudoculturale’ che avveniva in modo inconsapevole. E metteva in guardia su una sudditanza che era già in atto e che la cosiddetta sinistra non faceva nulla per contrastarla ma anzi ci andava a nozze.
    P. Pagani: * In altri termini, Renzi non è il sintomo di una tradizionale arretratezza etico-culturale italiana, come appunto potevano essere Craxi o Berlusconi, o le vecchie gerontocrazie postcomuniste. Renzi è il segnale della punta estrema della malattia della modernità, di quella deriva antropologica che ci sta sottilmente pervadendo (prova ne sia il consenso – forse effimero ? – con cui sta abbagliando l’opinione pubblica): una volta tanto, l’Italia non insegue, è all’avanguardia dei tempi!*.
    Poi ri-flettere sul richiamo di Ennio: *“Anche se oggi non c’è nessun “faro rivoluzionario” a illuminare le tenebre, usiamo i faretti delle nostre singole intelligenze, senza introiettare nei nostri discorsi gli argomenti dei dominanti”.* Mi sembrava un invito più che doveroso, data la confusione esistente.
    E, successivamente, su quello di rò: **Le pecorelle hanno bisogno di recinti tanto più laddove gli hanno fatto credere di essere liberi e, oddiomamma!, di essere liberi di scegliere. Le pecorelle hanno assoluto bisogno di questi pseudo-punti di riferimento e mica è stupido il mondo dei pastori! anzi per fare meglio il loro compito hanno addomesticato meglio anche i lupi, e creandone per giunta altri ben più feroci fra le pecorelle stesse* ….. * Non c’è miglior schiavo di chi si crede libero!*
    Commento che passa inosservato!!!

    Quanto alla democrazia (*il voto è ancora la migliore forma di democrazia*, dice Emy) dovremmo pur porci delle domande. Io penso che si tratti di una democrazia ‘monca’. Non solo per gli esempi di governi abbattuti (e da chi?) dopo che erano stati eletti da libere elezioni, o esautorati, come abbiamo visto in Italia. Ma anche perché questo tipo di democrazia non prevede il tertium. Ovvero non si può mostrare il dissenso. Devi votare per qualcuno, il meno peggio che sia, turandoti il naso, ma lo devi votare. Io invece vado a votare ma per esprimere il mio dissenso. Io non accetto più di essere succube nè della minaccia di disastri, di sanzioni, di spread e tantomeno di specchietti per le allodole che si appoggiano ai miti del fare e del rivoluzionarismo a go-go.

    Bertold Brecht – Il nemico

    Al momento di marciare
    molti non sanno
    che alla loro testa marcia il nemico.

    La voce che li comanda
    è la voce del loro nemico.

    E chi parla del nemico
    è lui stesso il nemico.

    R.S.

  55. Cara Rita, per la parte che mi riguarda direttamente. Pare chiaro che non mi ritengo immune dai più incontrollabili condizionamenti, nessuno potrebbe esserlo, ma un conto è considerare la possibilità di parlare, senza accorgercene, una lingua non nostra, un conto fare di questa possibilità la diagnosi con cui si certifica il torto dell’altro. Soprattutto in una discussione il cui ambito non mi sembra relativo all’avere ragione o torto ma all’esprimere il proprio punto di vista e ad aprirsi a quelli degli altri nello sforzo di mettere assieme le visioni per disegnare uno stato delle cose che ritragga la realtà quanto più fedelmente si può; preliminare importantissimo se ci si vuole porre responsabilmente davanti al “che fare?”.
    Ma voglio uscire dallo sterile contenzioso con Ennio e dire qualcosa ancora sulle elezioni, un argomento che non mi sembra fuori tema rispetto all’articolo di Pagani da cui tutto ha avuto inizio. Prendo spunto da un’affermazione contenuta nel lungo intervento di Iannuli in cui, per spiegare le ragioni del suo votare M5s, tra molto altro afferma: “Il M5s è lo strumento più efficace che ho per colpire questa classe politica” (e mi sembra inconcepibile, perché certe operazioni, poi, si ritorcono sempre contro chi le pratica: gli americani sostennero i talebani per colpire i sovietici, sostennero Saddam Hussein per colpire l’Iran, molti compagni, che fanno riferimento a Pandora TV, sostengono Putin perché è antiamericano ecc. ecc.) e riporto una parte del sintetico commento che ho lasciato sul blog di Giannuli il cui link ha pubblicato ieri Ennio: “No, i 5S no. Si domandi, signor Giannuli, perché la sinistra è quella che è, oggi. Le sue menti migliori l’hanno abbandonata via via – frazionamento dietro frazionamento, dissenso dietro dissenso, distinguo dietro distinguo – ai politicanti affaristi. Mi perdoni l’esempio evangelico: se si ama il tempio vi si entra e se ne cacciano i mercanti, non ci si allea con chi butta via il bambino assieme all’acqua sporca”.
    Penso che sia l’unica cosa possibile: non distruggere il tempio ma cacciarne i mercanti. Per farlo, però, occorre essere consapevoli che bisognerà rinunciare a qualcosa del più perfetto dei mondi nel cui nome si è abbandonato il tempio per la ineguagliabile solitudine dell’impotenza e della disperazione. Imparare a mediare, stabilire un confine alle concessioni ma, una volta stabilito, farle, se servono, renderle un bene comune. Certo bisogna mollare l’arroganza, il fondamentalismo, stabilire quale rigidità sia utile e quale nociva. Io penso che se si entra in massa nella casa degli usurpatori – che noi abbiamo lasciato, da interni o da esterni, perché avevamo troppa ragione rispetto ai loro torti – forse, col tempo, chissà. Ma temo che per molti la catastrofe sia irreversibile, e il desiderio di vendetta superiore a quello di giustizia, e strappare preferibile a ricucire.

  56. Rita, Grazie!…ti confesso, qui, pubblicamente che mi sarebbe piaciuto raggiungere qualcuno di un pianeta molto lontano da quello in cui mi trovo, ma è bello che fra il tuo e il mio ci siamo raggiunte…

    ps per Fabio
    la catastrofe , ovviamente per me , al mio sguardo, è poter pensare di riprendersi una casa crollata…. completamente marcita sotto le tempeste, inagibile e inabitabile, ma utile, molto utile —per questo tipo di macerie (a cui hanno lavorato lentamente mattone su mattone)— ad essere riempita di soldati, perfettamente ricoperti di abiti civili ( e democraticamente mercenari), e più questi soldati hanno dimostrato biografie doc, pedigree d’impegno civile, o no global come Pinotti e simili, e più questa casa da zona rossa , rossa peggio del centro rosso dell’Aquila, che tu vorresti prendere a fare e ristrutturare, è una base militare di un altro, che ti hanno fatto chiamare “alleato” con il suo sovrano, e che ti tiene in pugno altriment diventeresti una maceria unica (fuori e dentro il palazzo dellla tua chiesa o del partito) come la Somalia o se ti è andata meglio(eufemismo) come le Filippine , come la Nigeria o il Sudan, la Libia o la Siria e l’Ucraina.

    1. Tutti coloro che non andranno a votare, seguiranno poi il risultato delle elezioni.
      Certo non sarà un risultato che cambierà le sorti della nostra Europa, ma qualcosa succederà , io lo spero. Agli astensionisti chiedo: per quanto tempo pensano di non andare a votare? Aspettano che le cose cambino attraverso chi invece crede nel voto? Qual è il loro programma ? Perchè non si danno da fare per creare un movimento popolare? Non è possibile? Molti hanno vissuto il ’68, con proteste, e la voglia di fare per cambiare dove è finita?
      Le mie parole criticabilissime possono anche essere dimenticate, subito , ma non ditemi che la mia sia semplice utopia.

  57. Cara Ro, tanto per conoscerci un po’ meglio. Non sono mai stato nel partito, la cui architettura interna vedevo troppo complessa per le mie elementari istanze di giustizia sociale; né ho cercato di complicarmi la vita nel tentativo di essere all’altezza di quella complessità. Nel ’68 ho trovato quotidiane vivibilità in area Lotta Continua (senza farne parte), fino al ’72 quando ho lasciato Roma e ho vissuto per otto anni l’esperienza “libertaria” di una comune agricola in Toscana. Negli anni Ottanta, ad Arezzo, dove ho vissuto per sei anni, ho lavorato molto bene, in ambito culturale, in una sezione di Democrazia Proletaria; la rassegna di poesia creata dal nulla con le sole nostre forze, Confluenze, ha portato ad Arezzo, un anno via l’altro, decine e decine di poeti, tra noti e meno noti (ci sono stati, fra gli altri, Volponi, Rosselli, Fortini, Sanguineti, Pagliarani, Frabotta, Bellezza, Porta, De Angelis, Magrelli eccetera eccetera eccetera). Naturalmente DP era all’opposizione in una giunta PCI-PSI. Tornato a Roma dopo quindici anni di assenza, ho preso a battere la mia strada di cane sciolto (era giunto il momento di cominciare a fare lo scrittore), dove sto tutt’ora, con gli acciacchi dell’età e le responsabilità di una paternità tardiva per la quale trascorro lunghi periodi a Bruxelles (dove sono ora, ragione per cui non voto). Tutto questo non per mero autobiografismo, ma per farti capire meglio (e farlo capire anche a Ennio che mi appioppa atteggiamenti da nostalgico delle censure interne al partito) come viva le difficoltà di ora da una prospettiva lontanissima da certe dinamiche di potere. Questo non toglie che la tragedia in cui navighiamo a stento sia meno cruda; c’è solo che io, quanto meno per dovere genitoriale, mi sforzo di vederla non troppo nera, e continuo a credere che se le tante teste pensanti che hanno abbandonato la nave facessero un atto di inimmaginabile creatività confluendo su un progetto che evita i comici di tutte le parrocchie sarebbe meglio, per dirla alla Giannuli, che allearsi col diavolo per punire gli attuali politici.

  58. ciao Fabio, apprezzo la tua risposta e innanzitutto perdona, se dovendo io rendere idea di come non sia possibile la pura illusione, espressa da Emy in un verso, e nell’altro da tutti coloro che di rottamazione in rottamazione penserebbero di poter vedere colori diversi dal nero, ti abbia dovuto collocare all’interno di un qualcosa , partito o chiesa o , udiamo udiamo, da Emy, “movimento”, in cui la tua vita come del resto la mia non si è mai svolta….

    il tuo accenno a tuo figlio è molto importante e prezioso per me, anch’io ho una figlia e ti comprendo appieno, anche perché ho dovuto sia attivare che subire un carico di emarginazione eccessivo a causa del mio modo di sentire le cose della vita, sia personale sia pubblica…il mio modo di essere e di pensare, neanche da scrittore, ma da semplice invisibile uomo comune, mi ha dato problemi anche con mia figlia nel momento in cui i conflitti da viversi non fossero quelli intimi-familiari, su cui al contrario ci ritroviamo sempre anche nei peggiori momenti di difficoltà emtiva intellettiva. La realtà esterna al nostro nido è però di una ferocia e spietatezza che,sia lo scrittore o l’artista in un modo, “protetto”( faccio per dire o per rendere) da un ambiente legato ad altre produzioni , sia ‘uomo comune come me tende a rimuoverne l’uomo anti-uomo un po’ come fa con la morte, ma anche di più….perché la morte è un fenomeno naturale, e con la vita puoi imparare a morire, ma senza la vita no, non puoi impararlo ed è questo il piu profondo crimine contemporaneo e postcontemporaneo in cui siamo imbevuti, perché è questo l’acquario in cui ci allevano e in cui, coscienti o meno di questo crimine, cerchiamo di dare la vita, di regalarci ‘altra’ vita per poi barcamenarci, un po’ come in queste pagine, per ritrovarne il senso laddove chi conta sulle cose della vita stessa ne ha tolto l’essenziale per poterla chiamare tale e così per poter chiamare la morte…Di conseguenza questa è per me la ferita e la frattura relativa alla vita intima di un uomo ma anche alla vita nel pensiero politico su di essa. E’, almeno per me, proprio questa e occorre viverserla sapendone portare la piaga che sanguina senza cura possibile, ridendoci anche sù …perché sai , prima o poi, che sei nato con questa dis_grazia addosso e lo sai perché non ti sei fatto ridurre a pollo di allevamento dei vari becchimi ormai per ogni tipo di target uomo pseudo uomo (esche o trappole per tutti i gusti, da quelli più smaccatamente riconoscibili come liberisti anti-uomo a quelli più subdoli e mediatici pseudo-rivoluzionari, ambientalisti o diritti umanitaristi etc etc

    Credere, ad esempio come fa Emy, che le rivoluzioni del passato siano state qualcosa che hanno liberato l’uomo comune, organizzato come in un autogestione, per appunto emanciparsi dai suoi ladroni /padroni, è quaalcosa che non è stato nella storia ma che purtroppo, invece, hanno fatto credere all’uomo comune per farlo sentire meglio in colpa laddove, come nel periodo che viviamo, la pecorella di un certo tipo possa di nuovo come nel passato : 1 pensare che può cambiare certe condizioni con certi strumenti e mai con altri; 2 pensare che se non attiva quelli propinati dalla storia, fatta e propinata dai suoi vari vincitori, diventa pure colpevole e, con lo stesso metro, ed anzi più spietato, valuta ancor più colpevoli, dannati, e chi più ne ha ne metta, quei rari spiriti che indicano, prima di qualsiasi fare per fare, la necessità di una corretta diagnosi storica, o autopsia per rianimare la vita intrappolata dai reali rapporti di forza, in cui la partecipazione del “popolo” è stata solo un’invenzione calcolata per occultarne le pesanti manovre ( né più né meno, del resto, delle manovre sulle rivoluzioni arabe e le rivoluzioni arancioni, anche se indubbiamente alcune rivoluzioni sono state più nobili e più “romantiche” e sono potute entrare, nell’inconscio collettivo, come d’ottobre o di luglio popolari)…

    un abbraccio con una carezza per i nostri figli

    1. Cara Rò,
      sapessi quanto il ’68 ha deluso anche me! Ma c’era la voglia di cambiare ,non è detto che oggi le lotte debbano essere come quelle degli anni passati. Mi riferivo comunque a tutticoloro che nella lotta hanno creduto ed oggi si sono spenti, senza alternative schiacciati come tu ben dici dai ladroni-padroni.Andare avanti spinti dalla rabbia e dall’indebolimento dello spirito è ciò che di peggio possiamo fare. Le lotte del ’68 , per chi ci credeva erano così importanti da far crescere la convinzione che qualcosa sarebbe cambiato. Allora scioperare non voleva dire perdere il lavoro, operai e studenti potevano organizzarsi senza problemi, c’era lavoro e voglia di sentirsi uniti. Oggi le cosesono cambiate, oggi sarebbe vera lotta, per riavere tutti i diritti che abbiamo perso, per alcuni è tardi. Che facciamo allora? Constatiamo la nostra sfortuna in gran parte causata da coloro che i ladroni li hanno votati o vediamo di rimediare al disastro? Certo la parola lotta appare strana quasi ridicola , impossibile. Ma lottare significa anche credere fermamente che il Paese possa cambiare, attraverso un atteggiamento più critico , meno rabbioso e sempre più proiettato verso un futuro in cui l’essere umano possa riprendere la sua dignità. Anche per questo io voto.

  59. @ Ennio
    certo che concordo con te quando dici che “ci sarebbe bisogno di « analisi generale, di contesto e di prospettiva» capace di illuminare il «qui e ora» e non viceversa? O almeno che le due dimensioni del generale e del particolare non possono divaricarsi tanto da perdersi di vista?”
    E’ quello che cerco da anni, per ora senza esito, anche se avere trovato almeno un luogo, comunque pubblico, nel quale c’è qualcuno che abbia voglia di parlarne non è poco. Non appartengo certo al genere di persone che per fare qualcosa di collettivo con altri ha bisogno di sentirsi in perfetta sintonia, fino al DNA,…se mai ce ne fosse uno uguale all’altro…per cui non vado avanti per spuntarla ma perchè ritengo che l’incapacità di dare una prospettiva politica a questi tempi che hanno disgregato le classi come l’ambiente, sia tutt’altro che un falso problema.

  60. A PROPOSITO DI “RESISTERE NON SERVE A NIENTE” DI WALTER SITI

    In un commento del 2 maggio avevo scritto: “«“Resistere non serve a niente” di Walter Siti» mi pare davvero una rinuncia, un rassegnarsi a masticare il cibo (avariato) che passa il convento. Che poi venga tirato fuori dagli scatoloni con la scritta «Premio Strega del 2013» aumenta la mia diffidenza.”

    Oggi trovo che anche altri la pensano come me. In un interessante articolo appena pubblicato su LE PAROLE E LE COSE , “Gli scrittori italiani che parlano di sesso” (http://www.leparoleelecose.it/?p=15170#more-15170), tra l’altro, si legge:

    ” Quello che è certo però è che si è passati dalla rappresentazione di una sessualità repressa, e poi trasgressiva e liberatoria (tra l’inizio del romanticismo e gli anni Settanta del Novecento), alla rappresentazione di una sessualità non liberata, ma piuttosto annoiata, ossessivamente annoiata. La crescita della scandalosità sulla pagina è però inversamente proporzionale allo scandalo effettivo che quelle pagine danno nella loro ricezione dentro la società del proprio tempo. Il piacere (1889), da cui è tratta la prima citazione, contribuisce a creare un’aura di leggenda intorno al suo autore, quel D’Annunzio oggetto della riprovazione e della curiosa prurigine dell’Italia fin de siècle. Resistere non serve a niente (2012) ha vinto il premio Strega, rassicurante riconoscimento dell’establishment letterario e garanzia di affidabilità (le attempate signore borghesi leggono sempre l’ultimo premiato, magari nella loro poltrona e in calzerotti di lana).”

    1. Depistaggi critici. Siccome sono stato io a citare il romanzo di Siti a inizio dibattito, rivendico la ragione per cui l’ho fatto (tutti possono controllare testualmente). Nel mio commento di allora mi domandavo se la prospettiva “finanziaria” evocata dal suo romanzo, ovvero che mafia e ndrangheta avessero fatto un salto qualitativo mandando i loro giovani a studiare alla London School of Economics in modo da entrare direttamente, e non per alleanze, nella gestione della grande finanza, corrispondesse a realtà. Ennio, come al solito, non ha risposto alla mia domanda ma ha usato il titolo del romanzo “Resistere non serve a niente” per arruolarmi fra i rinunciatari, renziano eccetera eccetera. Non pago, oggi legge un commento critico su Siti, e siccome ritiene che quel commento gli dia ragione (sic!) lo cita a sostegno di non si sa bene che cosa. Qualcuno di voi ricorda un dibattito critico su Siti aperto in questo spazio? Mi rendo conto che ingenuamente, allora, non avevo previsto la trappola di Ennio; non perché non ne avessi conosciute in passato ma immaginando che aspirasse a una comunicazione più fruttuosa avevo dato fiducia alla sua intelligenza e . Fiducia tradita, purtroppo.

      1. Fabio caro, la questione , che è come tu dici, sia cronologicamente che sostanzialmente (che quindi non ti vede dalla parte di siti o di renzi o del librificio premificio show), purtroppo rivela al di là di ogni essere ferito ( che ci va di mezzo, che sei tu nel caso in questione e altri in altri casi simili) le stesse dinamiche del delirio di potere …nulla di diverso anche se questo, di Ennio, sarebbe non si sa bene perché diverso, una specie di non potere, in quanto esercitato per la critica al potere (politico o letterario, sulla società mediatica etc etc ) ….la cosa che fa male, che fa male addirittura oltre il proprio io, spirito, e sè profondo (o insomma oltre l’ autentica parte inviolabile e non manipolabile che ognuno può sentire come nucleo sacro di se stesso e dell’altro come se stesso) è che Ennio rappresenta una delle concause del crollo e dello sgretolamento della parte che vorrebbe ogni due e per tre reclamare, rappresentare, richiamare alla memoria di noi poveretti…credo tutto sommato che dopo infinite ripetizioni della sua arte manipolatoria, non gli stia manco tanto a cuore la moltitudine degli argomenti , dei testi e degli autori, poetici e/o politici o critici portati alla luce di noi poveri morti, ma più brutalmente la sua sconfinata vanità; se veramente gli fossero stati a cuore i temi che propone, avrebbe adottato , anche dall’alto delle sue sconfinate conoscenze, una strategia e una tattica ermeneutica “necessaria” ai tem(p)i … una volta si diceva perderemo sempre con certa classe dirigente di (pseudo)sinistra, adesso, dopo ventanni di vario dissenso, minore o maggiore, invisibile o da carcassa di società pseudocivile, possiamo dire, anche grazie a ogni Ennio sparso nel pianeta dei vari esodanti, che perderemo sempre se questa rimarrà l’élite degli eretici.

  61. ps
    in ambienti dove il delirio è all’ordine del giorno, del minuto del secondo, l’equipe che deve affrontarla, delira con il / i delirante /i , ma questa combinazione è solo adottata per sopravvivere in ambiente che è un eufemismo definire parecchio insalubre….ma c’è di più , perché la tecnica appena esposta dovrebbe essere adottata in goni e dove, il delirio di potere è ormai talmente diffuso in ogni ambiente che chi non riesce a delirare può solo incassare e cercare di sostenere la propria sofferenza, accontetandosi di non essersi ancora ammalato dello stesso morbo e cercando disperatamente di autoimmunizzarsi di continuo.

    1. Sono del parere che abbiamo l’obbligo si chiedere scusa a chi abbiamo offeso. Gli scontri servono per maturare e non per offendere . Quindi si continui pure il dibattito , ma penso che pareri strettamente personali o scuse vadano fatti in privato, a meno che l’offesa non sia stata fatta pubblicamente, coinvolgendo cioè altre persone.
      Il mio pensiero spero possa servire a qualcosa.

      1. Parere per parere, spirito di servizio per spirito di servizio, non credo che la categoria qui richiamata sia qualcosa che appartenga alle offese o alle scuse, ma a un modus operandi , di per sé sistemico, in cui l’altro serve al (falso)superamento delle proprie problematiche …”depistando” il pensiero dell’altro, chi manipola, finisce per primo ad autodepistarsi, infatti la situazione di questo post ne vale un altro o un altro ancora in cui ciascuno di noi c’è andato di mezzo per cazzi e mazzi e mazzate dell’altro. Le scuse dunque non servono né a chi è stato di volta in volta manipolato, né ha a chi le dovrebbe per poi ripartire daccapo.

        1. Secondo me ci sono anche delle offese.Forse io sono all’antica…
          ma sono fermamente convinta che il mondo possa cambiare in meglio. Qui chiudo il discorso offese.

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