Li Yu e il tempo (della vita)

Lu hsun

di Giulio Toffoli

I tag (parole chiave) che ho segnalato per questo post indicano i temi principali su cui questo apologo dialogante dal tono brechtiano di Toffoli si sofferma. Il confronto in modi espliciti, pacati ma anche polemici («la vita viene risolta in un puro atto di memorizzazione individuale, viene vista come liberata di ogni sua asperità, da ogni contraddizione e si risolve in una vera e propria rarefazione degli avvenimenti»), è con le «Considerazioni sul tempo (di vita)» di Franco Nova (qui). [E. A.]

Una sera d’autunno, il sole era ormai già calato all’orizzonte e le prime brune della sera si erano allargate fino a coprire con la loro coltre la cittadina, Li Yu aveva invitato a casa l’amico Ming Lang.

Avevano gustato un piatto di zuppa d’anatra e una insalata di pollo con germogli di soia, carote tagliate a striscioline, pannocchiette affettate, erba cipollina sminuzzata e un peperone rosso affettato fine. Una vera delizia che avevano assaporato parlando degli ultimi avvenimenti senza un filo conduttore, lasciandosi trascinare dai giochi della memoria.

Alla fine della cena si erano alzati ed erano andati a sedere nello studio. Tenevano fra le mani una ciotola di pere affogate al pimento e la canonica tazza di tè.

Mentre degustavano il dolce in un atmosfera soffusa, la stanza era illuminata solo da una luce fioca di una lampada, Ming Lang fermò l’attenzione sul cane di Li Yu. L’animale era adagiato ai piedi del padrone e sembrava profondamente addormentato. Uscivano dalla sua bocca leggeri spasmi, mentre le pupille degli occhi sembravano muoversi in modo non usuale, accompagnati da leggeri battiti delle palpebre. L’intero corpo poi era scosso da un susseguirsi di movimenti più o meno vigorosi, vere e proprie contrazione dei muscoli. Ogni tanto poi un guaito più forte, quasi un piccolo abbaio, lacerava l’aria come un richiamo, una voce, suoni nel vento.

Ming Lang disse allora: «Ma che strano non avevo mai visto un fenomeno del genere …»

«No, hai torto caro amico. Forse dovresti dire che non hai mai fermato l’attenzione sulla complessità della vita di un cane. Siamo irrimediabilmente segnati da forme di atavica disattenzione e da non meno radicati pregiudizi. Se ci pensassi bene forse ti renderesti conto che sta facendo qualche cosa che anche per noi è usuale. Nel nostro caso però il tutto appare ovvio mentre per l’animale ci sembra un fatto fuori dal comune. Invero semplicemente è sprofondato nel sonno e sogna, si può perfino ipotizzare che stia pensando e rielaborando momenti del suo vissuto.

Di recente mi è capitato di leggere, nel testo che ti ho inviato, queste parole di un dotto maestro dell’estremo occidente: “Individui animaleschi non hanno alcuna vera concezione del tempo, né quindi dell’irre­versibilità dello stesso …”. Prova ad analizzare a mente fredda queste parole: “Individui animaleschi”? Ti chiederai subito come mai sia stata usata una circonlocuzione così complicata invece che un più banale: “Gli animali …”. Il motivo è davvero semplice, perché in occidente molti pregiudizi aristotelico-cartesiani, che vengono recisamente negati a livello razionale, non sono mai stati veramente superati dalla nostra dimensione inconscia. L’idea insomma che gli animali siano solo istinti meccanici risulta ancora incredibilmente vitale.

Invero cosa ne sappiamo noi degli animali? In alcuni casi li abbiamo addomesticati e assimilati, come nel caso del mio buon cane, negli altri li usiamo e continuiamo a violentarli senza provare nessuna forma di rispetto per loro.

Ancora di più come facciamo a sapere se gli animali abbiano o no una loro capacità di leggere il flusso del tempo, i processi di mutamento? Per quel che ne so è un terreno vergine e, se solo lo indagassimo a fondo, potrebbe fornirci della sorprese che metterebbero in discussione quei parametri positivistici di indiscusso primato dell’uomo su cui la cultura occidentale, ma evidentemente non solo essa, ha costruito il suo dominio globale sul mondo e sulla natura».

«Si, ho letto – interloquì Ming Lang – lo scritto che mi hai inviato: Considerazioni sul tempo (della vita). Interessante ma degno di un approfondimento e forse di qualche precisazione.

Certo con quanto hai detto fin qui non vorrai dire che anche per gli animali esiste una dimensione “della storia e della culturalizzazione”?»

«Non è ovviamente il caso che da un errore di sottovalutazione si cada nell’errore opposto. Ciò che caratterizza la specie umana è certo l’elaborazione di una concezione del tempo e del suo fluire che è del tutto peculiare all’affermarsi del dominio della specie Sapiens Sapiens sul globo. Quello che dico è assai semplice: è ora che si assumano i diversi elementi dell’avventura umana, quali l’elaborazione di una conoscenza, di una morale, di una religiosità, come momenti di un processo che si è articolato in modo assolutamente complesso e mai univoco. Nello stesso modo l’idea di “una freccia del tempo costantemente rivolta in avanti” non è che una fra le diverse concezioni del tempo che si sono confrontate e combattute in un faticoso processo di comprensione di cosa sia nella sua vera natura il tempo, questione che da un punto di vista ontologico appare tutt’altro che risolta.

Aggiungerei in più, che “l’idea stessa della irreversibilità degli accadimenti naturali e umani, biologici e sociali” è a sua volta l’esito di un mutamento di paradigma culturale relativamente recente, figlio dell’ultimo grande cambiamento della prassi produttiva che ha generato davvero una società inedita, difficilmente paragonabile a quelle precedenti: la società del Capitale».

Ming Lang si adombrò leggermente e iniziò a dire: «Dai, Li Yu, non cadiamo come al solito nella politica … avrai pur ragione che l’ultima radice è lì; ma ora mi interessa di più fermarmi sull’evoluzione del concetto di tempo … Che ne dici se ne parliamo un poco?»

«Al tuo servizio, cercherò di restare nel terreno del puro concetto ma rammenta anche il miglior segugio può, per un nonnulla, deviare dal suo tragitto e, se ciò si verificasse, devi concedermi il diritto all’errore».

«Inizierei a chiederti: esiste un univoco concetto di tempo nella società globalizzata in cui viviamo?»

«Carissimo Ming Lang sarei molto prudente quando si afferma l’esistenza di una omologazione ormai definitivamente realizzata nel concetto di tempo su tutto questo globo. E’ pur vero che esiste una definizione tecnica del tempo che si è imposta attraverso l’affermazione del primato della merce in quasi tutte le plaghe del mondo, sicché oggi possiamo affermare che stiamo vivendo nell’anno 2015 dell’Era Volgare. Ma questo dato è assai povero di valore se non consentire appunto che le merci si muovano senza intoppi in tutto il mondo. Come ben sappiamo esistono diverse letture del tempo legate a quasi tutte le grandi culture del mondo e che non sono state per nulla intaccate. Per cui se l’anno dell’Era del Capitale 2015 corrisponde a un determinato anno dopo la nascita di un palestinese di nome Gesù, che vale per coloro che si rifanno alla tradizione religiosa cristiana, tale indicazione ha ben poca importanza per un credente in Allah. Inoltre esistono calendari alternativi ebraici, indiani e il nostro stesso calendario tradizionale è ben diverso. Ma non solo, troppo spesso gli storici non ricordano che le definizioni del tempo sono state tante e tanto varie quanto i regni dei vari sovrani o le presunte date scelte per legittimare il momento di edificazione di uno stato o di affermazione di un nuovo sistema politico e sociale. Come dimenticare i rivoluzionari francesi che nel 1830, come ricorda il mio caro Benjamin, spararono tutti e in un identico momento contro gli orologi delle chiese di Parigi?»

«Possiamo, tralasciando questa volta la memoria dei rivoluzionari di Parigi, fare un passo avanti e chiederci cosa stia dietro queste infinite convenzioni, quale sia la sostanza ontologica del concetto di tempo?»

«Questa è davvero la domanda fondamentale. Nessuno credo abbia ad oggi dato una risposta ultima e, per quel che ne so, rimane valida l’affermazione di quel grande ideologo che fu Agostino di Ippona quando scrisse: “Che cos’è il tempo? Se nessuno me lo domanda, lo so. Se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più”.

Per seguire la pista offerta dal testo su cui stiamo ragionando accettiamo però l’idea che l’irreversibilità del tempo appartenga ormai alla cosiddetta “coscienza comune dell’uomo civilizzato”, qualunque cosa vogliano dire queste parole. Ora ci vien detto che vi è un modo tradizionale di intendere l’irreversibilità temporale; e si aggiunge: “implica pur sempre la linea di scorrimento temporale esterna al verificarsi degli eventi in successione … E’ come se il tempo (e lo spazio) fosse uno scatolone vuoto entro cui accadono gli eventi, disposti secondo un prima ed un poi, che sono considerati “oggettivi” nel senso che le scansioni temporali di questo “prima” e di questo “poi” sono calcolate secondo le unità di misura convenzionalmente stabilite”.

Ora cosa ti sembra di questa affermazione?»

«Non so che dirti – rispose Ming Lang – son venuto qui proprio per ascoltare le tue impressioni. Certo l’idea di uno scatolone che si presenta come una vera e propria alterità rispetto ai fenomeni reali mi sembra uno poco ostica da accettare. Poi ti aggiungo che l’idea dello scatolone vuoto mi fa pensare male. Quasi gli avvenimenti umani altro non siano che una congerie di materiali presi a caso e gettati dentro, certo con un prima e un poi, un poco come si faceva un tempo con le vecchie cose di cattivo gusto che venivano portate in soffitta perché non sufficientemente logore da poter essere buttate via senza remore. Tu che ne pensi?»

«Che vuoi, di scatole e scatoloni anch’io ne ho in questa vita spostati tanti, nei diversi traslochi che hanno costellato questa mia esistenza. Pensare al tempo come uno scatolone mi angustia un poco. Ti aggiungo che anche l’altra affermazione presente nel testo come corollario della prima mi lascia non meno perplesso: “il tempo è pensato dentro gli avveni­menti che si succedono, ne è parte costitutiva sostanziale, li conforma in modo specifico e attri­buisce loro una dinamica e una direzionalità che sono peculiari di ogni dato avvenimento”».

«In che senso, spiegati meglio, questo mi pare uno dei tornanti decisivi …»

«L’idea del tempo che emerge da quelle righe mi pare avere tutte le caratteristiche di qualche cosa che si situa negli avvenimenti come una specie di anima. Francamente è una lettura che mi convince poco. Quasi che il farsi delle cose assuma un particolare valore aggiunto che gli viene connotato dal tempo.

Ben più persuasiva ed efficace mi appare invece l’affermazione del maestro di Koenigsberg quando fa notare che: “il tempo non è affatto un concetto empirico, che sia tratto da una qualche esperienza … è una rappresentazione necessaria che sta a fondamento di tutte le intuizioni … è la condizione formale a priori di tutte le apparenze in generale …”. Insomma il tempo non è né interno né esterno al verificarsi degli eventi, rappresenta piuttosto la struttura conoscitiva senza la quale non ci sarebbe data la possibilità di ordinare i dati di esperienza grezzi che giungono ai nostri organi di senso. Nulla di più e nulla di meno».

«Partendo da una premessa di questo tipo, cade anche la successiva affermazione che: “ogni avvenimento (abbia) una sua durata caratteristica e non suddivisibile secondo le scansioni temporali tradizionali”».

«E’ proprio questa – riprese a dire Li Yu – la parte del ragionamento che più mi ha colpito ad una prima lettura. In un’epoca, come la nostra, che è stata segnata dalla nascita della scienza dei tempi e dei metodi, dalla analisi scientifica del lavoro nella sua struttura oggettiva, scandito secondo una articolazione definita da precise determinazioni temporali convenzionali, appare davvero originale sentire affermazioni di quel tenore. Di fronte alla enunciazione che ci sembrava ormai universalmente acquisita di tempo sociale medio di lavoro, pur con i suoi tragici esiti di reificazione del soggetto, ritornare ad affermare che la realtà è costituita dal gesto individuale: “accadimento che ha una sua unicità e singolarità, e non è suddivisibile senza che se ne perda l’intimo ed essenziale carattere e significato” mi sembra davvero difficile da comprendere. In più, appare francamente imbarazzante affermare che in questo modo sia possibile risolvere una volta per tutte il paradosso di Achille e la tartaruga. Con tutta la buona volontà del mondo non sono proprio riuscito a capire quale sia la scorciatoia a cui l’autore accenna. Forse vuol dirci che Zenone era un buontempone e che non ha preso atto del “tempo reale caratteristico di ogni avvenimento” e, più prosaicamente, che la falcata di Achille ha polverizzato la povera tartaruga, come buon senso vuole? Chissà, perché leggendo quelle righe si ha la sensazione di essere usciti dal terreno del ragionamento rigoroso per entrare in una delle Silly Symphonies».

«Mi sembra di comprendere – riprese a dire Ming Lang che non aveva un particolare interesse per la filosofia occidentale classica e le sue oscure indagini concettuali –che nel testo vengono individuati tre diversi tipi di tempo.

Per primo il tempo astratto, puro livello di connessione “esteriore” degli avvenimenti.

Un secondo livello è invece costituito dal tempo costituito da fatti con cui siamo entrati in collegamento “in dati momenti della nostra vita” che viene trattenuto nella memoria nella sua durata reale.

Questo secondo livello si sdoppia articolandosi in una memoria cosciente e una memoria inconscia. Alla memoria cosciente viene accreditata la capacità di: “ricor­dare questi avvenimen­ti nella loro astrattezza – astrazione dal contesto speci­fico, di cui fa parte anche la loro durata temporale reale, la durata che assegna loro quella particolare coloritura e conformazione – esattamente nel­lo stesso senso in cui ognuno di noi può anno­tare nel diario, ad una data particolare … un certo avvenimento della propria vita”.

L’attenzione dell’autore è calamitata soprattutto dalla memoria inconscia che: “non re­gistra singoli avvenimenti, non fissa date convenzionali; invece raccoglie e lega “in fascio”, per una particolare durata reale, una costellazione di avve­nimenti, che da quella durata – e perciò dal loro reciproco articolarsi in quest’ultima – ricevono la loro coloritura, il loro significato spirituale, cioè più profondo”. E’ quest’ultima che trova la sua rappresentazione topica ne La Recherche il vero centro dell’attenzione dell’autore.

Fin qui se non erro i dati.

Ho dimenticato qualche cosa Li Yu?»

«No, credo che tu sia stato più che esaustivo. Che dirti? Nella nostra letteratura conosciamo bene opere costituite come quella del francese Proust da diluvi di parole e non sono mancati mai in quattro millenni di grande cultura maestri che si sono presentati come veri e propri “sacerdoti della vera arte”, soli capaci di penetrare l’arcano della spiritualità umana profonda. Ma qui usciamo dal nostro terreno, il tentativo di definire il concetto di tempo, per entrare nella dimensione dell’estetico e consentimi di aggiungere dell’irrazionalità».

«Definire irrazionale un esercizio di indagine che pure riguarda l’animo di uno solo o di pochi individui è sempre da ponderare con attenzione. L’arte ha i suoi diritti che non possiamo negare senza correre il rischio di cadere in un inaridimento della ricerca umana. Perciò Li Yu ti chiedo di spiegarti meglio».

«Non è certo mia intenzione condannare una qualsiasi forma di ricerca intellettuale, al massimo posso dire che qualche tipo mi sembra più convincente di alti. Non vi è cosa che riguardo l’uomo e il suo faticoso sforzo di comprendersi e comprendere la sua condizione che non mi provochi almeno un moto di curiosità. Nel caso in questione però mi par di individuare un vero e proprio esercizio eristico nel tentativo di distinguere fra una cosiddetta dimensione astratta e oggettiva del tempo, che viene nei fatti destituita di ogni significato se non di semplice contenitore, e una dimensione soggettiva che costituisce l’unico vero orizzonte di significato dell’esistenza umana. Si tratta di una forma di estremo soggettivismo psicologistico caratteristico di questa fase della nostra esperienza umana e non è nulla di scandaloso, anche se mi è parso davvero significativo che l’autore aggiunga: “non esiste una coscienza universale di un superindividuo”. Ovviamente non si tratta di inventare una sorta di meta individuo. Per questo ci sono già religioni e spiritualità oltre ogni misura, ma come dimenticare che, invece, la società umana si è data uno strumento come la scienza storica che si è proprio assunta l’onere di sintetizzare una coscienza complessiva delle comunità umane. Appare davvero significativo che la storia esca completamente dall’orizzonte del tempo proposta dall’autore, che sembra provare disagio se non disprezzo per tutto ciò che trascende l’orizzonte del singolo soggetto».

«Sì, – fece notare Ming Lang – mi ero accorto anch’io che nelle infinite storie che costituiscono la dimensione profonda del tempo una manca. La storia con la S maiuscola. Mi sono chiesto se si trattava di una dimenticanza o era qualche cosa d’altro. Ora che me lo fai notare mi rendo conto che è davvero una mancanza significativa».

«Infatti se ci pensi bene in questo modo si cade nella smisurata congerie delle storie individuali, nell’infinito sovrapporsi dei tempi soggettivi, delle memorie personali. Come se non bastasse, anche questo livello viene ulteriormente articolato attraverso una dicotomia che appare davvero significativa. La memoria soggettiva quando è “cosciente” viene a sua volta derubricata a semplice “annotazione nel diario … di un certo avvenimento”. Mentre la memoria “inconscia” è il focus del discorso e viene così definita: “è tutta una durata reale, cioè un intero fascio di eventi, un effettivo pezzo della propria vita (con il suo più profondo, essenziale, significato) che irrompe nel presente, si mescola al pre­sente, si integra infine nel presente”.

Insomma, la vita sembra assumere la strana forma di un occasionale ritorno, quasi un rigurgito, di elementi, che da differenti livelli dell’esperienza individuale si vengono a incontrare in un presente che corre il rischio di trasformarsi in una specie di incubo, o di un evanescente sogno che assume la forza di un percorso degno del tre volte grande Ermete».

«Ti pare il caso di chiamare in causa Ermete Trismegisto?»

«Ma sì, solo così, se ci pensi bene, si può comprendere quella che appare una vera e propria fuga da ogni concreta realtà dell’agire umano materiale e storico degna di una vera e propria ascesi che può ben potrebbe confrontarsi con quelle classiche e anche con molte forme presenti nella nostra cultura: “Il protagonista (de La Recherche ma in sostanza qualsiasi iniziato alla vera vita ineffabile NDR) ha quindi qui un sussulto, un momento di vera gioia, come di recupero al presente di tutto ciò che era stato, anzi perfino di ciò che avrebbe potuto essere; un recupero, cioè, della possibilità stessa che le cose fossero andate diversamente da come in realtà erano andate”.

Ancora più interessanti appaiono gli esiti di questo percorso. Infatti la vita viene risolta in un puro atto di memorizzazione individuale, viene vista come liberata di ogni sua asperità, da ogni contraddizione e si risolve in una vera e propria rarefazione degli avvenimenti in cui tutto assume la forma di una ovattata spiritualizzata perfezione: “C’è, insomma, una sorta di pacificazione al presente di tutto il corso della vita, di tutti i suoi affanni; ogni accadimento, anche passato, pare avere al presente il suo più corretto significato. L’intera vita si mani­festa all’individuo pensante quale coordinamento necessitato di tutti gli eventi realmente accaduti che – belli o brutti che siano apparsi in passato – vengono nell’oggi ad inverarsi nel loro armonico, perché sin­cronico, signifi­cato interrelazionale complessivo”».

Giunto a questo punto Li Yu si fermò a bere l’ultimo sorso del tè e guardò intensamente il viso del compagno di quella serata.

Ming Lang sembrava divertito: «Insomma mi vorresti dire che tramite la sostanziale svalutazione del concetto di tempo esterno e, sia pure in forma meno accentuata, anche quello di memoria conscia si finisce per cadere davvero in una soluzione solipsistica e irrazionalistica. Ciò che resta, mi vorresti dire, è semplicemente il gesto dell’intellettuale impegnato in un proprio itinerario di ininterrotta ricerca intorno al proprio mondo interiore, l’unico giudicato veramente significante?».

«Credo proprio di sì. E sia chiaro non sono io che mi metto sulla via di un discorso storico-politico ma rispondo solo a una tua provocazione. La borghesia decadente degli anni a cavallo fra il tramonto del XIX e l’inizio del XX secolo, almeno in una sua corrente, persa ogni speranza in un significato dell’esperienza umana come capacità di realizzare un più alto livello di affermazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, si è ripiegata su se stessa. Abbandonato completamente l’orizzonte del fare concreto, si è chiusa a vivere nel mondo delle idee. Un paradosso estremo, se si pensa che proprio in quegli anni il mondo era in fiamme sconvolto da una delle più grandi tragedie che mai abbiano colpito l’umanità. Parlo ovviamente la Grande Guerra con tutto ciò che è venuto di conseguenza.

Ho paura che un simile percorso sia quello che si sta affermando anche in questi anni segnati da non poche disillusioni soprattutto per un ceto intellettuale facile ai miti e altrettanto facilmente capace di lasciarsi trascinare nelle più varie forme di trasformismo pur di difendere i propri privilegi. Se leggi alcune fra le ultime righe del testo che abbiamo analizzato non puoi che restare sbalordito. Si è parlato fin qui di una “freccia del tempo” e ora invece ecco tornare, quasi attraverso un incredibile refuso logico, il modello del tempo ciclico. Proviamo a rileggere per concludere quelle righe: “Il primo impeto di gioia all’irrompere improvviso e brusco del passato, il senso di stordimento provocato dalla sorpresa del suo presentarsi come allora, sfuma in genere abbastanza presto e sopraggiunge una ben diversa acquisizione: la ruota del tempo corre inesorabilmente in avanti, la durata reale … direziona i fenomeni vitali verso la fine, ed esige perciò dal­l’individuo una scelta tempestiva per la sua vita”.

Insomma tutto è una grande ruota, un tragico ritorno del sempre uguale che macina le vite segnate fin dal loro sbocciare da una inesorabile univoca e funesta conclusione. Altro senso non v’è se non quello di fugaci, individuali momenti di stordimento che non nascondono il complessivo non senso dell’esistenza. Un esito nichilistico davvero inatteso in chi ci parlava di una inesorabile, irreversibile linea del tempo».

«Vorresti dire Li Yu che concludiamo questo nostro incontro su questa nota di radicale sfiducia nel senso della vita? Mi par in fondo inaccettabile lasciarci con questa conclusione. Nel flusso del tempo, nel trascorrere delle generazioni qualche cosa di ben sostanziale permane. Vi è un tempo qualitativo che non dobbiamo assolutamente dimenticare e che trascende l’esito stesso della nostra avventura individuale».

«Certo, caro Ming Lang, quello di cui tu parli è null’altro che il tempo della storia, della memoria collettiva sociale. Un tempo fragile come una rosa ma nel contempo capace di offrire qualche cosa di mirabile e insieme ineffabile: un segno, una testimonianza. Un messaggio di speranza e di felicità che viene lanciato verso il futuro.

Certo non tutti possono capirlo. In fondo la speranza è data solo per coloro che continuano a provare, anche vivendo in una condizione di privilegio, nel loro animo, un senso di disperazione per l’umanità dolente e per la propria stessa condizione di reificazione, poiché finché vi sarà qualcuno che nell’opulenza soffre tutti siamo compartecipi di questa pena.

Questo tempo è quello che davvero ci interessa e se lo desideri su di esso fermeremo una prossima volta la nostra attenzione».

2 pensieri su “Li Yu e il tempo (della vita)

  1. Cosa hanno fatto Ming Lang e Li Yu prima di sedersi a cena? E cosa faranno, dopo il tè digestivo e la interessante conversazione? Andranno a dormire, certamente, e il giorno dopo torneranno al lavoro.
    Immagino siano due funzionari del Celeste Impero, nella sua attuale declinazione, e non due mercanti: sono sottili nei ragionamenti, ma non inquieti come chi deve inseguire senza distrarsi il guadagno. Anzi, abbastanza distaccati da poter affermare che: “Nel flusso del tempo, nel trascorrere delle generazioni qualche cosa di ben sostanziale permane” e che quel tempo, fragile come una rosa, è “capace di offrire qualche cosa di mirabile e insieme ineffabile: un segno, una testimonianza. Un messaggio di speranza e di felicità che viene lanciato verso il futuro.”
    Un messaggio di stabilità, quindi, grazie a un potere che governa in profondità tutti gli angoli del vasto regno (e può permettersi di sorvolare sulle centinaia di esecuzioni e la repressione degli oppositori, in nome del proprio interesse).
    E sorride, quindi, dell’oscillante pensiero degli occidentali, che riflette la fragilità del loro dominio sul mondo con i riverberi psicologici propri di chi è isolato, solo, e non può confidare su un governo che al tempo resista senza subirlo.
    Anche il povero Agostino s’interrogava sul tempo in tempi davvero duri, anch’egli lo trasportò dentro la propria coscienza: ” È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente dei presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell’animo e non le vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l’attesa”.
    Il futuro, soprattutto, l’attesa di qualcosa che non conosceva, gli permise tuttavia di essere un vescovo energico, viaggiatore, polemico, attivo e sollecito a proteggere i fedeli affidatigli durante le successive invasioni di Visigoti e Vandali. Il presente del futuro in realtà lo ha reso responsabile, altro che arreso a una esterna ruota del tempo ciclico!

  2. …Cristiana, ho tratto un’altra impressione dalla lettura del racconto…Certo Li Yu e Ming Lang non sono dei contadini, ma neanche dei mandarini, viste le conclusioni delle loro riflessioni sul tempo, magari poeti e scrittori oppositori del Celeste Impero…dato che svelano la vuota circolarità della ripetizione mentale e i torti di chi asseconda esclusivamente la memoria soggettiva e individualistica, mentre cercano nella Storia con la S maiuscola i ricordi della coscienza collettiva e una dimensione complessa del tempo …Il serio dialogo è sì preceduto da una cena, come tra amici, a base di cibi della tradizione cinese e del rito-bevanda del the, ma il tutto, insieme alla presenza rassicurante del cane che dorme sognando, favorisce il crearsi di uno stato di calma e il distacco dal tempo frenetico di oggi che ci vuole solo merce e denaro…

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