MateinItaly: Visita a una mostra

matematici triennale

di Donato Salzarulo

Sabato 18 ottobre 2014. Bella giornata di sole. Starsene chiusi in casa sarebbe un delitto. Telefono a Giuseppe: «Andiamo a Milano alla Triennale?…Andiamo a vedere la mostra di matematica?…È dalle parti di Parco Sempione…Così facciamo pure una passeggiata…»
Giuseppe è laureato in informatica. Mi sembra il compagno più adatto per una visita simile. Una visita che avevo intenzione di fare da diversi giorni, da quando avevo letto sui giornali la notizia dell’apertura della mostra. «MateinItaly» l’hanno chiamata, inglesizzando e giocando sul “made”. «Porta pure le ragazze…» gli dico. «Pare che i destinatari della mostra siano soprattutto gli alunni, a cominciare da quelli di terza elementare…Le tue sono al liceo, quindi…».
Nulla. Le ragazze hanno altro da fare. È la vigilia della festa patronale di Cologno e vogliono godersela. La matematica può aspettare. Del resto, il Donato adolescente avrebbe compiuto probabilmente la stessa scelta. Non so se sbaglio, ma ho l’impressione che per certe discipline il talento (senza entrar troppo nel merito del significato di questa parola) valga più di qualsiasi educazione. Mi riferisco alla matematica e alla musica. È più facile incontrare un giovane pittore o versificatore che un innamorato di formule o pentagrammi.

Siamo in fila per i biglietti. Nessuna ressa. Davanti non più di sei persone. Poi l’usciere ci indica: «Su, al primo piano, a destra…». Saliamo la bella e spaziosa scalinata. All’entrata, una ragazza in divisa guarda i biglietti e stacca la parte che le compete. Sulla parete a sinistra un po’ di formule. Fra queste, quella di Gauss sulla somma dei numeri naturali. Giuseppe me la ravviva. Insomma, 1 + 2 = 3; 1+2+3 = 6; 1+2+3+4 = 10 e così via. Se voglio conoscere velocemente la somma da 1 a 100, applico la formula S(n) = n (n+1) / 2; cioè la somma di 100 è uguale a 100 per 101 fratto 2, ossia 50 per 101=5050… Geniale!….Meraviglioso!…
Giuseppe mi racconta l’aneddoto sulla sua scoperta. Vero e proprio enfant prodige, pare che Gauss abbia trovato questa formula in età di scuola elementare, a otto o nove anni. Per tenerli occupati il maestro aveva assegnato agli scolari il compito di fare la somma di tutti i numeri da 1 a 100 e, mentre gli altri mettevano pazientemente in fila gli addendi 1+2+3+4+5+6+…come stavo facendo io prima, Carl Friederich, in quattro e quattr’otto: «Maestro, 5050!…». Come abbia fatto non so. Evidentemente sentiva le relazioni tra i numeri come Mozart fra le note. Inclinazione, dote naturale. L’aneddoto sembra inventato a posta per confermare la mia impressione sul rapporto fra talento ed educazione in certe discipline. Ma dubito che gli organizzatori abbiano allestito questa mostra per intaccare l’autostima dei visitatori e degli eventuali studenti. Il messaggio è positivo: la matematica non è riservata ai geni e non è fatta solo di numeri e formule. Non è disciplina incomprensibile e noiosa. Se ci si mette di buzzo buono si può imparare e si può stimolare in ognuno di noi la crescita di competenze ed abilità fondamentali. Logiche e non solo logiche.

Intanto, entriamo a giriamo a sinistra. Siamo agli inizi del percorso.
Primo pannello. Chi sono i matematici. Persone simpatiche, per quanto mi riguarda. La maggioranza delle prof. o dei prof. per carità!…Sarebbero capaci di far odiare la matematica allo studente più ben disposto. Ma i matematici, quelli veri, quelli che fanno ricerca, più o meno alla Gauss, ti lasciano a bocca aperta. Sono persone ammirevoli. Risolvono problemi. «La matematica è semplice», sostiene un aforisma riportato sul pannello. Non ricordo più di chi. Ricordo bene, invece, quello di David Hilbert. Rivolgendosi forse a un suo collega e parlando quasi certamente di un suo studente: «Sai, per essere un matematico non aveva abbastanza immaginazione: ma ora è diventato un poeta e se la cava davvero bene». Giuseppe ride. «Ce l’ha con te!…» «No…Ce l’ha con quei poeti che credono d’avere in appalto l’immaginazione. Un po’ come quei filosofi che credono di essere i soli a pensare.» Dal nostro Benedetto Croce che parlava di “pseudo-concetti” all’uomo della Foresta Nera, Martin Heidegger, secondo cui la scienza non pensa. I matematici, invece, sanno il fatto loro. Conoscono i loro poteri mentali. In genere, sono persone molto libere. Più avanti apprenderemo che Vito Volterra, ad esempio, uno dei nostri più grandi matematici, non firmò il giuramento di fedeltà al fascismo. Appartenne alla piccola schiera che ebbe questo coraggio e questa audacia. Dodici accademici su oltre milleduecento.

Giriamo gli occhi e vediamo di fronte Achille che insegue la tartaruga senza mai raggiungerla. È un’animazione visiva del famoso paradosso di Zenone. Lo scopo del filosofo d’Elea, sulla scorta del suo maestro Parmenide, era quello di dimostrare l’impossibilità del movimento e l’assurdità di dividere all’infinito un intervallo continuo. Col suo ragionamento “paradossale” faceva così emergere il problema dell’infinito (potenziale e attuale, secondo la terminologia aristotelica), del continuo e della problematica identificazione di “istanti temporali”, “posizioni spaziali” e “punti geometrici”. Nella realtà sappiamo che Achille raggiunge la tartaruga; i matematici col calcolo infinitesimale e il concetto di limite hanno fornito delle soluzioni al paradosso, ma il problema del rapporto fra “discreto” e “continuo” rimane. Una retta lunga 1 cm è potenzialmente divisibile all’infinito: ½ , ¼ , 1/8 … Le parti in cui rimane divisa potranno mai superare l’intero?…
Accanto al cartellone animato del pié veloce che insegue la lenta tartaruga, ecco il pannello sulla scuola pitagorica, quella per cui il Numero era tutto. Cos’è questa storia di vedere quantità dappertutto? Zenone un po’ ce l’aveva con Pitagora. Scrive Giorgio Israel: «I paradossi di Zenone trasmettono il messaggio che la pretesa di trattare quantitativamente (matematicamente) l’infinito spaziale e temporale porta a contraddizioni insolubili. L’infinito va visto come un’unità indivisibile. Il continuo non può essere suddiviso: esso va colto nella sua integrità con un solo atto dell’intuizione. La via d’uscita sta nell’abbandonare la pretesa di fare del numero l’essenza del mondo. È evidente che i paradossi di Zenone – anche se nella loro formulazione originaria non potevano esplicitare il problema nei termini in cui lo si è visto in seguito – centrano la difficoltà del rapporto tra matematica e realtà, tra numero da un lato, spazio e tempo dall’altro. Di fatti, anche se di numeri non si parla, sono in gioco le quantità, e quindi i numeri: la metà di un segmento, la metà della sua metà e così via; gli intervalli sempre dimezzati dei salti di Achille, l’intervallo di tempo minimo.» (Giorgio Israel, Gli indistruttibili paradossi di Zenone, academia.edu)

Sul pannello della scuola pitagorica, c’è il disegno di un quadrato di lato 1 e sulla diagonale radical 2. Sappiamo il perché. Importantissima per i contributi dati alla matematica, la scuola era notoriamente una setta mistico-religiosa. Quando al loro interno fecero la scoperta che la diagonale di un quadrato di lato 1 non dava come risultato un numero razionale, entrarono in crisi. Infatti, stando al teorema del fondatore della scuola, 1 al quadrato più 1 al quadrato è uguale a radice di 2 che corrisponde a questo numero irrazionale: 1, 414213562373095…E si potrebbe continuare ad approssimarlo alla trentesima cifra decimale, alla quarantesima, alla cinquantesima e via di seguito. Roba da capogiro. Il fatto “scandaloso” per la ragione è che si vede un segmento definito da un punto A a un punto B e non gli si può far corrispondere un numero preciso. Ciò significa che identificare i numeri reali con una retta geometrica è un’operazione “efficace”, valida intuitivamente, ma concettualmente dubbia. Il continuo geometrico e quello numerico, infatti, non sono la stessa cosa, non si identificano.
Io e Giuseppe continuiamo a ripassarci queste idee. È da un quarto di secolo, infatti, che ogni tanto ci lanciamo in queste scorribande tra il matematico e il filosofico. Lui a ripassarsi le sue conoscenze ed io le mie.

Ora siamo di fronte a uno schermo animato. Sopra la rappresentazione del nostro pianeta che gira con le sue acque e le sue terre, immerso nel blu. Ancora più sopra un aforisma di Nelson Goodman sulla descrizione del mondo. Non rammento con precisione le parole. Il significato mi è sembrato molto simile al principio del filosofo e matematico polacco Alfred Korzybski sulla mappa che non è il territorio. Siamo, in tutta evidenza, esseri limitati dalla struttura del nostro sistema nervoso e da quella del nostro linguaggio. Un faccia a faccia diretto col mondo ce lo sogniamo. Costruiamo mappe sulla base dei nostri bisogni. Le nostre stesse parole non si identificano con gli oggetti, gli eventi, le relazioni che designano. Come dice la canzone: “sono soolo parooole, le nostre”. Cioè rappresentazioni, segni, astrazioni mentali che stanno al posto di qualche altra cosa: nomi, numeri, concetti, categorie che organizzano mappe mentali a diversi livelli d’efficacia. In fondo, se per poter girare una città ci interessano soltanto le sue strade, è inutile disegnare palazzi e, magari, indicare pure il materiale con cui sono costruiti e gli eventuali gradini per accedervi. Ci basta una cartina…
A sinistra dello schermo, ecco così il pannello sulle “cartografie”. Bel rompicapo appiattire la sfera terrestre sulle due dimensioni di un foglio. Al centro del corridoio lo dimostra la bella riproduzione della Tavola Peutingeriana. In sostanza, è la copia di un’antica carta romana con le strade, le città, le foreste, i monti, i fiumi, i mari (quello nostrum è ben in vista). Così, ci diciamo, appariva la Terra al tempo di Augusto: l’Impero romano, il Vicino Oriente, l’India, la Cina…Manca il Nuovo Mondo. Da questo lato dell’Oceano si è dovuto aspettare le scoperte geografiche.

Una manciatina di passi avanti e sulla parete vediamo una conchiglia nautilus e un’altra tartaruga col carapace ben in mostra. Una sapiente proiezione disegna sulla conchiglia le curve di una spirale logaritmica insieme a quadrati di varie dimensioni. «Sono le sezioni auree» spiega Giuseppe. «Ricordi i numeri di Fibonacci?…» «Vagamente…» «È una successione. Parti da 1, ripeti 1 e poi prosegui sommando sempre col numero precedente: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55…Salvo i primi numeri, se dividi 5 per 3 ottiene 1, 6 periodico, 8 diviso 5 è esattamente 1,6; 13 diviso 8 è uguale a 1,625; 21 diviso 13 a 1,61 e lo stesso quoziente si ottiene dividendo 34 per 21; 55 per 34, ecc…Questa è la sezione aurea.» Seguo un po’ distrattamente la lezione di Giuseppe, continuando a far cenno di sì col capo. Intanto penso a quel famoso disegno di Leonardo con la figura umana inscritta in un quadrato e in un cerchio…L’uomo di Vitruvio, mi pare si chiami. Spirali e sezioni auree si incontrano spesso in natura. La spirale è un modello di crescita. Io l’ho sempre usata per indicare la dinamica che dovrebbe avere l’apprendimento.
Dai poligoni del guscio della tartaruga intanto si animano linee che disegnano simmetrie, sviluppi, strutture.
La matematica è anche questo: guardare il mondo come se il suo alfabeto fossero soltanto quantità discrete, ma individuarne anche elementi ricorsivi, forme invarianti, sezioni che seguono precise “leggi” o rapporti tra le parti. Individuare variabili dipendenti e indipendenti di un fenomeno, costruirne un modello. Ho cercato sempre di mettermi in testa che i “numeri naturali”, in realtà, non hanno nulla di naturale, se non nel senso che sono dei nostri prodotti mentali. E, siccome, noi e il nostro sistema encefalico siamo parte della natura, costruiamo numeri grazie alle semplificazioni e astrazioni che naturalmente facciamo. Ma queste non rappresentano tutta la realtà (aveva ragione Zenone). Rappresentano soltanto “modelli di quantità”. Ricordo Popper: se in una fruttiera ci metto due mele e poi altre due, 2 + 2 = 4; ma se ci metto due gocce d’acqua e poi altre due, il risultato fa quattro?…

Nel frattempo Giuseppe si è già piazzato nel cerchietto nero disegnato sul pavimento da cui guardare una riproduzione de “La Città ideale”. Di questo dipinto rinascimentale esistono tre versioni: una è conservata ad Urbino, un’altra a Baltimora e un’altra ancora a Berlino. Se ho capito bene, nella mostra è riprodotta quest’ultima. Dico così perché vedo in profondità un porto e delle caravelle. Non è questo, comunque, l’importante. La riproduzione sta lì per farci capire il discorso della prospettiva e dell’alleanza fra matematica ed architettura. La Città è animata e se il visitatore si sposta dal punto di osservazione (cerchietto) a destra, a sinistra o avanti, essa si muove e muta la prospettiva. Neanche una Città ideale è immobile. È fondamentale capire da quale punto la si guardi.
Il tema ha secoli alle spalle. Comincia dalla Repubblica di Platone che parla dello stato-città ideale da un punto di vista strettamente filosofico e politico. Nelle tre Tavole rinascimentali è la struttura dello spazio urbano, invece, ad essere ricercata. Il dipinto data tra il 1480 e il 1490. Il suo autore è ignoto. Fra gli storici dell’arte, c’è chi lo attribuisce verosimilmente a Leon Battista Alberti.
Vero o non vero, esso è l’emblema di ciò che è stato definito il “Rinascimento matematico” che si sviluppò alla corte di Urbino, prima col duca Federico da Montefeltro (dal 1474 al 1482, anno della sua morte) e poi col successore Guidobaldo.
Uno degli illustri animatori di questo Rinascimento fu il grande matematico Luca Pacioli. Appartenente all’ordine francescano, fu affascinato dai rimandi culturali fra aritmetica, geometria, architettura, musica, astrologia e cosmografia. Nel 1497 pubblicò il De Divina Proportione che ebbe un’influenza assai vasta sugli artisti dell’epoca.
Frate Pacioli viaggiò molto e incontrò Leon Battista Alberti, Leonardo da Vinci e tanti altri. Il suo pensiero oscilla tra una visione platonica e pratica della matematica. Come credente ritiene che la realtà sia creazione divina e sia ordinata e regolata da rapporti aurei e proporzionali. La “Città ideale” è, quindi, una città razionale, frutto di criteri urbanistici fondati sull’applicazione della prospettiva ed elaborati secondo calcoli aritmetici precisi e rigorosi.
Tutto bello e interessante. E, però, guardando il dipinto, il cuore mi rimane freddo. L’organizzazione geometrica dello spazio attraverso la prospettiva è solo una delle possibili operazioni mentali. Anche in questo caso è all’opera un processo di modellizzazione, sostenuto da una metafisica piuttosto influente. Come ci faranno capire scienziati ed artisti dei secoli successivi lo spazio che noi effettivamente percepiamo è il prodotto di distorsioni ottiche, del variare delle fonti luminose, della densità atmosferica, ecc. La prospettiva semplifica e impoverisce. Come qualsiasi astrazione. Con questo non voglio dire che non bisogna compierle. Produrre astrazioni è necessario e inevitabile. Ciò che forse occorre evitare è il rischio di confondere il modello con la realtà e di vivere nel modello. Il vero mondo non è l’iperuranio delle idee e noi non ne siamo la copia mutevoli. Come dice il verso di un amico poeta: «L’esistenza educa le forme ad appassire». Cambiano anche le immagini e i sogni delle città ideali.

Mentre sto qui a cercare di capire e a contestualizzare, Giuseppe si sposta dietro di me, dalla parte opposta del corridoio e si mette a parlare con una ragazza bassina, con la maglia gialla. Probabilmente una studentessa universitaria. Gli sta spiegando come funziona lo schermo del sistema planetario riprodotto sulla parete. Se clicchi sul bottone che indica la Terra, supponendo che essa sia al centro del sistema, i pianeti si muoveranno secondo il modello tolemaico o geocentrico. Se, invece, clicchi sul bottone che indica il Sole vedrai le orbite circolari del modello copernicano o eliocentrico.
Quando m’avvicino, la ragazza sta andando via. Giuseppe ripete a me la spiegazione e vedo Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove e Saturno compiere i loro moti. Pure la Luna, oltre che su se stessa (rotazione), si mette a girare intorno alla Terra (rivoluzione) e insieme a lei intorno al Sole (traslazione). Ricordi scolastici.

Dopo aver letto il pannello, ci mettiamo ad ascoltare la breve lezione registrata di un illustre professore sui modelli. Sia detto tra parentesi: su tutti i contenuti della mostra, oltre che illustrazioni animate, lettura di sintetici cartelli, attivazione di dispositivi interattivi, è possibile ascoltare sempre brevi lezioni di specialisti. Così come stiamo facendo noi…
Dunque, un modello l’avete visto poco fa. È una riproduzione in miniatura del Duomo. «Bella!…» abbiamo esclamato, girandole intorno. È come il trenino per i bambini. Un modello si fonda su un rapporto analogico.
Se voglio capire qualcosa di una situazione che mi si para davanti come un problema, devo individuare quale domanda mi pongo, costruire analogicamente un modello materiale o mentale della situazione, verificare se la domanda riceve o no una risposta e, in caso affermativo, procedere alla sua validazione. In concreto: se la situazione è quella di un motociclista che può ruzzolare sulla strada e la domanda è quale può essere il casco migliore per preservarne quanto più possibile la testa, modellizzare significa individuare grandezze, variabili, fattori della situazione, costruire su questa base un modello, progettare il casco migliore (materiali, forma, spessore, ecc.) e validarlo.
Tutta una grande parete della mostra è dedicata alla presentazione dei molti modelli matematici utlizzati nelle più diverse attività: dallo sport alla medicina, dalla meteorologia all’ingegneria, dall’economia all’astronomia, dalla fisica all’informatica, alla biologia…Moltissime sono le attività umane (comprese quelle belliche, ma nella mostra mi pare che non siano indicate) rese più efficaci dal lavoro di modellizzazione. Il messaggio è chiaro: la matematica, nel bene o nel male, è presente nella nostra vita quotidiana. Non solo come calcolo, misura, risoluzione di problemi; ma come stimolo all’immaginazione, educazione alla semplicità e bellezza, laboratorio per il mestiere di pensare e ragionare e, perché no?, attività per giocare e divertirsi…

Quando giriamo sulla destra e imbocchiamo il corridoio del ritorno, siamo verso le ultime stazioni della mostra. Il mio Virgilio matematico è stanco ed io con lui. Leggiamo velocemente il pannello sulle caratteristiche dell’astrazione matematica, poi scorriamo i nomi illustri della scuola di matematici italiani del primo Novecento (fra questi Vito Volterra con ben esposta la cronologia della sua vita). Giuseppe legge un aforisma di Bruno de Finetti: « La probabilità non è nient’altro che il grado di fiducia (speranza, timore, ..) nel fatto che qualcosa di atteso (temuto, o sperato, o indifferente) si verifichi e risulti vero». Ecco,vedi che ho ragione! Se vuoi vincere al totocalcio, devi almeno giocare la schedina e crederci. Altrimenti, attaccati al tram!… Non è la prima volta che gli sento ribadire questo suo assenso alla concezione soggettiva della probabilità. Il contenuto è molto simile a ciò che in psicologia si chiama “effetto Pigmalione”, la profezia che si autorealizza. Se uno studente crede di non essere bravo in matematica non lo sarà. E se un professore confermerà la sua credenza, il circolo vizioso sarà inevitabile. Torniamo al discorso spinoso sul rapporto tra talento ed educazione… Pregiudizi, aspettative, credenze sono importanti …Però, caro Giuseppe, per quanto riguarda il totocalcio, rimango fermo al consiglio dato da Orazio a Leuconoe: nec Babylonios temptaris numeros…
Andando avanti ci soffermiamo un po’ sull’ipercubo e sull’affascinante modello del poliedro con 120 celle. Quasi saltiamo la sezione della matematica divertente coi suoi “giochi intelligenti” proposti ai visitatori giovani e meno giovani (vediamo un bambino di scuola elementare che si dà da fare insieme col padre), diamo un’occhiata distratta alla mappa delle cattedre di matematica in Italia col numero degli studenti iscritti (non molti), infine consultiamo frettolosamente il catalogo (purtroppo, non in vendita al bookstore della Triennale) e usciamo all’aria aperta.

Continuando a scambiarci le nostre impressioni positive sulla mostra, aperta fino al 23 novembre (le ragazze hanno ancora tempo per visitarla!…) percorriamo il breve tratto di parco Sempione e costeggiamo il Castello Sforzesco per risalire da piazza Cairoli verso il Duomo. Ci fermiamo un po’ sull’Arengario e sbuchiamo, infine, di fronte alla Madonnina. Davanti ai nostri occhi un mare di gente accalcata intorno a un palco. Dai microfoni provengono frasi di giubilo per l’imponente manifestazione in corso: «Molti pezzi di corteo non riescono ancora ad affluire in piazza…»
Giuseppe vuole andare in Galleria. Procediamo contro mano, lungo le vetrate dei ristoranti, scansando file e file di persone in corteo provenienti dal Trentino, dal Friuli, da Vattelapesca e urlanti “STOP ALL’INVASIONE”. Ce l’hanno con gli stranieri. Innalzano cartelloni, bandiere, striscioni, rumoreggiano. Molti sono i cartelli con la foto di Putin, con su scritto BENVENUTO!…
Restiamo senza parole. Quasi nascosti tra la folla, sbalorditi e timorosi. La Lega di Salvini si sta riprendendo?…
A metà della Galleria, tagliamo trasversalmente il corteo e ci incamminiamo verso la stazione MM di Piazza San Babila. Siamo desolati. Una mostra di matematica difficilmente riuscirà a combattere ed arginare le sacche d’irrazionalità di questa nostra città.

Ottobre 2014

6 pensieri su “MateinItaly: Visita a una mostra

  1. …Ringrazio anch’io Donato Salzaruolo per questo averci condotto per mano attraverso le varie sezioni di questa mostra sulla matematica, che conto di visitare. La matematica che mi piace e non solo perchè mi ricorda i miei studi giovanili, quando era tra le mie materie preferite…ma soprattutto perchè, attraverso i numeri, le geometrie, le sezioni auree, le relazioni, i modelli…evidenzia le armonie della natura. Grazie allo studio, alla ricerca, al talento naturale di alcune menti portentose, altre menti sono state guidate a godere di tanta bellezza, che già é impressa, come marchio d.o.c., sulla persona di molti animali, fiori, frutti, verdure, foglie, rocce, pietre…a significare, credo, l’armonia originaria. Insieme alla spirale di crescita, che suppone il movimento verso l’infinito e che sarebbe anche dell’uomo, in quanto natura, ma é sotto agli occhi di tutti quanto ci siamo allontanati…

  2. È vero, cara Annamaria Locatelli, “quanto ci siamo allontanati”…

    Una persona che ora non c’è più (sposò una sorella di mia madre), docente di matematica, tentò molto, ai tempi del liceo, di migliorare la mia conoscenza in quella, per me, ostica espansione di equazioni e oscure selve di parentesi tonde e quadre, di richiami al quadrato e al cubo, di astrusissime formule (per lui chiarissime…), e a un certo punto mi disse “Anna, ma sono delle frasi”.
    Una conversazione, dunque.
    Invierò a suo figlio, che, e “beato lui”, ebbe fin da piccolo “il verso” della matematica – e della fisica -, il link del magnifico scritto di Salzarulo sul viaggio in “MateinItaly”.

    Il Nautilus, conchiglia affascinante, come lo è l’Architectonica – progenitrice di tutte le scale dell’architettura barocca -, e le altre, a spirale stretta, con piccoli rigonfiamenti – e queste ultime, anche se non di frequente, le trovavo da ragazzina lungo l’Adriatico.
    Cara Annamaria Locatelli, il suo dire di pietre, rocce, foglie…

  3. Ringrazio il curatore del sito per averci dato la possibilità di leggere quest’articolo sulla matematica disciplina sempre un po’ in ombra. Ringrazio Salzarulo per la bellezza della sua scrittura, i due personaggi che accompagnono queste visioni sono teneri…
    C’è bisogno di bellezza e tenerezza
    Angela

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