Canti del Moncayo

di Antonio Sagredo

Un canto di frasi brevi, brevissime e ritmate da una folla di esclamativi. Un caleidoscopio di teatralità grottesca, di erotismo ora fallico-macabro ora rabelesiano ora plebeo. Con una pervicacia potente (e con echi oscurantisti, eterodossi e da demonismo romantico) alla dissacrazione nichilista.  In un vortice atemporale, ricco di allusioni e riferimenti celati (o oggi semplicemente ignoti al lettore fermo a tradizioni più chiuse e nazionali) vengono frullate, conteggiate e corteggiate le figurine-marionette del Grande Immaginario Mondiale: da Don Chisciotte a Dulcinea, da Giuditta a Ofelia a Eurdice a Beatrice a Saffo alla Cenci, a varie poetesse (dalla Cvetaeva alla Dickinson alla Stampa alla Valduga) e sante donne (Teresa d’Avila, santa Lucia, Maria Stuart, Maddalena). Eppure in questo cumulo visionario e vorticare caotico di richiami letterari c’è un fondo serio e tragico: l’orrore per la storia umana. E c’è la fiducia esaltata  –  antilluministica («Oh, i pettegoli, Colomba!/ Sono zecche, tafani») e antireligiosa («Tutti i profeti sono invecchiati: asessuati molluschi che con musi/ asinini cinguettano di nuove dottrine, di sante alleanze») – del Poeta che, forse neppure più Vate ma disincantato angelo (del Klee interpretato da Benjamin), « nei cortili ama lo schiamazzo della Natura /e del Tempo che s’ingravida di orrori e di leccornie,/come un testimone antico, bambino-vegliardo,/che su un divano orientale/ si schianta appestato di rovine e di vittorie.». [E. A.]

C’è una ferita nell’acqua: è l’ala di una colomba
nella cisterna vuota e bianca la sua ferita,
come bianca è la colomba del Moncayo.
Nel deserto non batte più l’ala cava sull’acqua,
la serpe albina deforma roventi trasparenze.

Questa colomba sbiadita e biancastra del Moncayo
s’è distesa come il Cristo del Mantegna!

E la colomba è nera – clausura!
Ossario di bandiere!
Sudario di colombe oscene!
Pietra: acqua crespata del deserto!

Cisterne di occhi equini, placidi
come i defunti nella Notte delle Ceneri!
Ecate, i ventri-volti sono vessilli di fuochi lacustri!
Per il vino dei Borgia non si scordano i veleni!

Strillano  galli  ferrosi  i tradimenti,
come banderuole!
Sulle torri anche le lacrime hanno ossa eretiche!

Dietro le quinte e sui palchi sono violati i sipari.
Sono di viola  soltanto le tue ali – labbra!
Per gli arazzi su altari e croci:
la settimana santa è impazzita!

Vermicino,  15/06/2005

 

Ah, notte d’Aragona!

Pietra  del sorriso! Corpo impunito e folle!
Mai una Madonna fu vergine due volte!
Conobbe il meretricio dell’estasi gratuita… cuore del tuo sesso
è sesso di colomba!

Sono quattro ali le tue labbra!
Muore o non muore questa colomba!?
Non muore.
Oh, è morta!
Ah, notte d’Aragona!
É risorta!
No, non è risorta!
Sciocchezze: nessuno ritorna nella creazione
che non fu!

Mi circondano le tue labbra:
questi quattro candelabri accesi!
questi quattro angeli in calore – spadaccini!
queste farfalle gladiatrici!
spugne rossastre!
ventose che succhiano il mio pilastro,
e il mio capezzale!

Vermicino, 16/19-06-2005

 

Don Chisciotte ha l’artrosi: il menisco del deserto
è pure una vergogna per il suo cammino e il suo bacile.
Come resero folli i suoi sogni i Libri della Cavalleria!  ***
Il suo cuore era miniato come i libri del Medioevo!
Le quattro labbra di Dulcinea come mulini a vento
furono il sudario di marmo delle sue imprese erotiche.
La finzione eretica fu il trionfo di Santa Clitoride.

Dulcinea, la  Bella, soffriva di visioni in fotocopia,
fu una femmina fatale, cavaliera, esperta di aste armate.
Su una veronica tracciò i punti cardinali
– ah, anima candida! – dei suoi viaggi erogeni.
Pianse la  Colomba nell’alcova – pietre!
Era tranquilla, statuaria come una Iside sedotta dai misteri,
lubrificava di continuo le sue quattro ali
perché potessero le sue ginocchia sacrileghe
sollevare il Cavaliere in alto – pozzo o luna –
e abbattere i malleoli del suo Minotauro!

Vermicino, 20/09/2005

*** variante: per i suoi sogni,  folli i Libri della cavalleria!

 

(forse che per questo Sancho Panza
                                                                                 ingravidò Dulcinea:
                                                                                 leggendo, sugli avanzi dei viventi,
                                                                                 maciullati dai mulini, la Storia
                                                                                 al contrario dei sogni cavallereschi)

Non fermare il volo, Colomba!
Incurvi lo spazio
e rendi più acuto il tempo!
(sempre insieme questi due principi:
non conosco il loro sesso)
Cava è la tua voce di cavaliera
e lo specchio offusca le tue ali.

Don Chisciotte:

ah, estasi d’altri tempi!
Sarà una rotula d’ossa questa luna!?
Somiglio a Platero:
il mio pilastro è asinino
e i bambini lo prendono a sassate

Sancho Panza:

Voglio godere col miraggio della tua invocazione…
Sorellina, non so la tua far-fal-li-na,
vorrei testare le tue alucce con le mie dita

Dulcinea:

Se la giocano i fraticelli a dadi, come Dio,
nel chiostro di Santa Teresa la mia farfallina.
Ah, fratellino, mio grasso cavaliere!
Son pronti a violare la mia soglia…
Nostra Signora della Sacra Copula
proteggi la mia Voglia!

Don Chisciotte:

Mia Madonna! Signora della PornoGrafia, Gra-ziami!
Graziami per la mia visione: è maldestra la contemplazione!
Io attendo, e non sono paziente – ah, nello specchio! –
di mirare la tua apertura… alare!
Tutta la nottata se n’è andata, in veglia, sul divano:
la tua rosa era aperta, ma congelata la mia verga!

Sancho Panza:

Infine l’ho toccata, testata, tastata e tasteggiata.
L’ho leccata, saziata, benedetta 16 volte, me la son fottuta!
Di madreperla non m’è restato nulla: le sacche
si son svuotate: nemmeno un penny per sognare
un’ennesima scopata!

Canto di Dulcinea del Moncayo

Non son l’erede di Giuditta – non sono scema!
Né d’Ofelia la suicida – ancor più scema!
Euridice mi fa un baffo, Beatrice mi fa schifo!
Saffo e la Cenci mi fanno tenerezza, son dura e dolce
come la Marina, il cancelletto d’Emily m’appartiene,
corteggio come la  Gaspara torri e torroni,
mi lamento come Patrizia, e canto: medicamentar
è non dimenticar… anzi!
Amano le mie quattro labbra sette pugnali in una volta con-ficcar
(faccio concorrenza ai celebri dolor della passion)
Teresa mi protegge dall’astratto: ah, quanto è duro il mio marmo!
Lucia mi rende cieca… d’amor – ne vedo più di cento con furor!
Son più vergine di Maria… Stuart, che pensate!
Di Maddalen son la rival… poveri cristi senza pen…

Don Chisciotte:     Ah, Dulcinea!   Ah, Stella Mattutina!

Ah, Mattarel…!
Ah, Mater Dolorosa!

Sancho Panza:   TROIA MIA!

COPULA MUNDI… PER  LA  MADONNA!

 

Vermicino.  21 settembre 2005

 

La prima arena era folle di bianche corna
di colomba –  ventagli in lacrime!
Zoccoli equini scalciavano nel cielo, rotto dai singulti,
le labbra tumefatte di fanciulle in fiore.
Vagine alate serpeggiavano con occhi di salamandra
sui toreri in fuga: i tori erano deserti di furori!

L’arena ora è vuota di amori e di clamori.
Il sangue s’è ritirato nel deserto, come un Cristo innamorato.

Sognava la colomba migliaia di croci in fila
da Brindisi a Roma lungo la via consolare,
e milioni di chiodi crocefissi – appuntiti di visioni!
Sognava l’inutile martirio di chi non sa torturarsi.
I  dodici  SI  del  tradimento selettivo dei discepoli
e il Maestro-guitto che cade dalle nuvole: non se l’aspettava!

Le stelle hanno disossato il firmamento.
Maddalena – la tua carne – per Sebastiano!
Nel tempio cantici esangui di vergini e puttane,
arcieri in rendigote, garofani verdi all’occhiello!

Arlecchino scende dalla croce, maledice i variopinti riflettori.  occhi di bue *
Pierrot ha smarrito la malinconia,  i suoi attributi… lunari.
Colombina fa la spagnola a un torero scheletrico e claudicante.
Don Chisciotte piscia nel suo bacile… credetemi, è debole di reni.
Dulcinea invano cerca un’asta armata in un deserto di frattali.
Sancho Panza ha la gotta: logorrea di rosari… dissipazioni… letanie…

* Arlecchino  inchiodato dagli  occhi di bue sulla croce… bestemmia.

(variante del 13 maggio 2015)

Vermicino,  22/09/2005

 

la colomba eretica

Ieri,

hanno segato le ali alla colomba!
——————————————-ma non il volo!
hanno spezzato le zampine!
——————————————-ma non il cammino!
l’hanno accecata con due spilli!
——————————————-ma non la visione!
hanno staccato la coda!
——————————————ma non la direzione!
la lingua,
————la lingua,
————————la lingua le hanno strappato!
——————————————–ma non il canto!
il becco le hanno troncato di netto!
———————————————ma non il respiro!
poi  hanno mozzato il capino!
———————————————ma non l’intelligenza!

l’hanno bruciata!
———————–incenerita!
————————————-sparse le sue ceneri !
———————————————-ma non l’Immortalità…

…in ogni luogo… oggi – domani – sempre!

 

Vermicino, 24 settembre  2005

 

La colomba raccolse la corda dell’impiccato
come al principio il ramo d’ulivo,
ma quella era gravida di delitti impuniti
e d’infamie –  il legno muffito era tarlato
da grida inumane – il suo avvento una  creazione
innaturale da quando una creatura incestuosa
s’inventò per timore e terrore un dio:
un imbelle Signore rapace  del Tutto e del Nulla!
– e non ancora un segno sulla pietra
– e non una parola sulla lingua
ma soltanto un canto che non era:
le guerre sono il fallimento di tutte le religioni!

Il gemito della colomba si mutò in tetra letania
perché fu dato al suo volo un cielo impuro
e per nido un tabernacolo dove un leopardo ferito
potesse spiare l’amplesso fraterno tra dio e il suo demone
tra specchi incesto di diamanti arcobaleni luccichii
e per eternare la visione oscena ancora non scritta…
forca o croce da scegliere per un futuro potere,
e quali chiodi o corde per domare la coscienza?
Come a un oceano s’addice lo smarrimento d’un naufrago
e disperare d’una terra infine promessa: che schifo!
L’oblio è il principio e la sua fine è l’oblio.
Non altro, se la colomba rifiuta una fede – scellerata!

Vermicino,  25-26 settembre  2005

 

La  Colomba  Marina

Colomba – sembri un Vij
le tue ali – come palpebre!
e spazzi la visione – della Terra!
Non hai rivali – se non il cigno
e per il lungo collo – per Te – corda dell’impiccato!
Soltanto lo spazio d’un cantuccio
non conosci – ed è la tua croce
dove non c’è confessione – prigionia!
dove tu – con battito d’ali
abolisci la – sofferenza!

Ora  – tu, una luce –
sei  la più alta – Luce!

Vermicino,   28 settembre  2005

 

Compagni di  strada : Cristo e Orfeo
la Croce e il Canto

In-Croce –  Pianto!
In-Canto –  Gioia!

La luce d’Oriente:
esiliare Cristo o Orfeo?

Le acque dell’Eb(b)ro
rifiutarono la Croce e il Canto

Creazione:
l’acqua ritorna ed è resurrezione!
Il corpo non sa il ritorno alla creazione
di chi non ha creato – inventato! – che  un dio
– non è resurrezione!

Veglia della mente è Verbo!
Mente della Veglia è Canto!

Il Canto e l’acqua rifiutano la tortura di Orfeo
La Croce e la tortura gettano giù un Cristo!
(il regista: ripetere la scena)

 

Non vogliono più  un martirio – non loro!
che più non gli appartiene!

 

Vermicino,   29 settembre  2005

 

Oh, i pettegoli, Colomba!
Sono zecche,  tafani,
non sono rari come le mosche bianche,
sono delle zanzare!
Sono  uncini con sulla lingua noduli di peperino:
son  pronti a sparlare, discutere, polemizzare, questi artigli!
Sono tartufi, e odiano l’eternità!

Ma il poeta nei cortili ama lo schiamazzo della Natura
e del Tempo che s’ingravida di orrori e di leccornie,
come un testimone antico, bambino-vegliardo,
che su un divano orientale
si schianta appestato di rovine e di vittorie.

Parto primigenio:
primo urlo della Poesia!

Immortalità purissima!

Vermicino, 1 ottobre  2005

 

10°

Disincanto è una parola notturna e diabolica,
come il Verbo è incarnato e tradito dal sangue!

Noi conosciamo i mattini dopo la caduta di tutti gli dei
e le dee! – degli anticristi e antidei!
È loquace la nuova luce liberata dai libri e dai profeti!
L’alfabeto miniato è muffito: non c’è più una mano umana
che con mente divina c’inganna!

Tutti i profeti sono invecchiati: asessuati molluschi che con musi
asinini cinguettano di nuove dottrine, di sante alleanze,
che con dita d’avorio carezzano esangui l’untuosa calvizie
dei membri – studiosi bovini del sesso eretico e dei sacri testi,
sugli altari il farro e il sale dei carnefici di tutti gli amori!
Gelosi dell’orrenda voluttà della pena, del disamore amato…

Ma oblio e memoria non sono le ultime parole!
Perché siete contro natura!
Perché – più di voi, poveri topi! – il Poeta
conosce e disconosce gli dei
e finge, perché sa, che è un aborto benedetto
la risata  – dei  Dèmoni!

Co… co… come una co… co… colommmbaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!

 

   Vermicino, 3 ottobre  2005

16 pensieri su “  Canti del Moncayo

  1. Che dire di questa fantasmagorica giostra di parole-personaggi, e non sai se l’uno o l’altro… mitologie si susseguono a mitologie sino a quella kieviana (Vij è una figura terrificante): Non sai nemmeno se l’autore gioca o declama seriamente i suoi versi, se la risata o le urla sono dietro o dopo la soglia di un inferno che appena ti giri scopri invece un paradiso, ma di cartapesta: la finzione regna sovrana fra canti e sberleffi.
    Non si dirà mai abbastanza su Antonio Sagredo che da decenni domina incontrastato quel che resta dei poeti dal grado infimo in poi, poiché subentra un sublime canto, e allora… è altro canto!

    G. R.

  2. il vecchio De Sagredibus non sbaglia un colpo! Il suo canto roboante ma coerente, folle ma lucido è uno dei migliori ossimori dell’intera esangue poesia italiana contemporaneo. Uno di questi canti me lo rubo, ciao Antò, hai tutta la mia stima.

  3. Non sta a me giudicare i versi di Antonio Sagredo, di cui conosco soltanto quelli pubblicati in Capricci nel dicembre del 2016. Ma non posso fare a meno di dichiarare che sono versi esaltanti e duri a digerire tant’è che il prefatore Donato Di Stasi scrive che “il lettore si trova a sbattere i tacchi più volte, messo di fronte alla scelta di volgersi indietro alle rassicuranti buone poesie di pessimo gusto, oppure di precipitarsi in avanti a cogliere in anticipo l’ambrosia più o meno acerba del futuro”.
    E a me pare che il futuro dei versi del Poeta sia più numinoso che luminoso, il che è davvero aver raggiunto la vetta e qui regalarsi il massimo conforto, cioè quello di vedere gli altri poeti arrancare più sotto.
    Questi Canti del Moncayo, qui presentati, sono nello stesso tempo la risata del Demone e quello dell’Angelo, anche quando il Poeta finge una serietà da inquisitore. Sono ancora moltissimi i suoi componimenti che non conosciamo come p.e. quei 10 delle “Parole Beate”. Questo numero 10 pare essere un numero distintivo e ricorrente, forse una ossessione, o forse altro che non so.
    Comunque da lettore assiduo di versi di innumerevoli poeti – dagli anni ’60 in poi – devo affermare che i la parola di Sagredo è riconoscibile istantaneamente e il che ne fa un classico vivente.
    Più volte ho messo a confronto i versi p.e. P del Montale che non hanno fuoco alcuno, con quelli di Sagredo
    che ne hanno fin troppo; questo è il destino di tanti altri autori.
    Attendo o attendiamo con impazienza altre pubblicazioni sagrediane; e approfitto per dire ai lettori di questo blog, di affrontare i versi di questi canti e di dirne qualcosa.

    Dario Pella

  4. «la finzione regna sovrana fra canti e sberleffi…Il suo canto roboante ma coerente, folle ma lucido è uno dei migliori ossimori dell’intera esangue poesia italiana contemporaneo… E a me pare che il futuro dei versi del Poeta sia più numinoso che luminoso, il che è davvero aver raggiunto la vetta e qui regalarsi il massimo conforto, cioè quello di vedere gli altri poeti arrancare più sotto…sono nello stesso tempo la risata del Demone e quello dell’Angelo….Più volte ho messo a confronto i versi p.e. P del Montale che non hanno fuoco alcuno, con quelli di Sagredo….che ne hanno fin troppo» ( AA. VV.)

    Siete sicuri che Sagredo abbia bisogno di questi incensi? E che gli facciano bene? Non è che vi esonerate troppo facilmente da un lavoro critico più approfondito e distanziato?

  5. ( da > Poema (di un) idiota – 1969)

    Le mie voci
    come lanterne vissute
    per le lodi hanno voglia
    di smorfie blasfeme.

  6. …leggendo le poesie di Antonio Sagredo, sembra di assistere ad una infinita rappresentazione teatrale, dove in un palcoscenico eterno, il sipario si apre e si chiude in continuazione su personaggi e scenari che si rinnovano e si disfano istantaneamente. le maschere si smascherano, non ci credono più, lasciando un’umanità disfatta, priva di senso, denudata, oscena o crudele, sino a diventare tragicomica…Forse a salvarsi dal destino di morte e di oblio sono il martire eretico (“la colomba eretica”), che non indietreggia davanti alla tortura e resiste al tempo con la sua innocenza e verità…e la donna impersonata da Dulcinea, capace di surclassare
    con le sue grazie popolane le altre mitiche figure femminili decantate nella letteratura…

  7. Gentile Abate,

    non intendevo affatto incensare Sagredo, se appare così è involontario.
    Ma resta questo dato comunque per quel che mi riguarda: che al confronto coi versi sagrediani i versi di altri poeti nostrani e non, impallidiscono.
    Forse esagero, ma in Europa non esistono versi di tale possanza – e non mi riferisco soltanto ai versi del Moncayo, che sono tutto sommato “moderati” rispetto ad alcuni versi di Capricci.
    Ho saputo per vie amicali che seguirà una altra sua pubblicazione, che già dai titolo (La gorgiera e il delirio) promette versi davvero straordinari e unici, a cui auguro un successo senza precedenti.

    dario pella

  8. Gentile Dario Pella,
    dovrebbe sapere che, specie in quest’epoca che ha distorto canoni e criteri consolidati di giudizio, il cielo (diurno e notturno) della poesia è davvero sconvolto e confuso. Beato lei che riesce al primo colpo a distinguere versi possenti e versi impalliditi!
    Purtroppo, malgrado l’impegno del probo Abate che ha pubblicato e introdotto anche questi Canti del Moncayo di Sagredo, i commenti qui non abbondano. E quelli arrivati con il contagocce, anche se non fossero proprio incensamenti, restano omaggi occasionali e di circostanza.
    A Sagredo potranno bastare? Non credo. Pur facendo *poesia per poeti*, non pare accontentarsi soltanto dell’apprezzamento di pochi poeti e critici. E se pubblica su Poliscritture, che una volta un certo Il FuGius definì –si figuri l’alterigia e l’acutezza che c’è in giro! – una specie di plebeo “kolchoz della poesia”, è perché – suppongo – voglia anche il plauso o l’ammirazione o la fatica dei “lettori comuni”.
    E questo manca, purtroppo. Il che pone il problema di sempre: «la risata del Demone e quella dell’Angelo», così come le mette giù Sagredo, arriveranno mai alle orecchie dei comuni lettori? Sono turate queste orecchie o quelle risate sono udibili soltanto da certe orecchie? E perché?

    Forse era questo il problema che Abate ha posto ai primi plaudenti commentatori chiedendo loro: «Siete sicuri che Sagredo abbia bisogno di questi incensi? E che gli facciano bene? Non è che vi esonerate troppo facilmente da un lavoro critico più approfondito e distanziato?». Ma forse le sue parole a certe orecchie non arrivano. La comunicazione è oggi parecchio disturbata, eh!

    Samizdat

  9. “Non è che vi esonerate troppo facilmente da un lavoro critico più approfondito e distanziato? “…. è vero, proprio questo è mancante e assente; hanno ragione sia Abate che Samizdat, specie per i riferimenti slavistici nel senso che soltanto un serio specialista può accedervi dentro con perizia.
    —— Mancante perché raramente ho letto qualcosa di “approfondito e distanziato” poiché credo che manchino le menti capaci di analizzare i versi di Sagredo con tutte le fonti innumerevoli che si portano : da prima di Omero fino agli anni ’70 del secolo trascorso. E allora ci vorrebbero delle menti illuminate e illuminanti come p.e. il Praz o Ripellino (il suo maestro di cose slavistiche). D’altra parte le fonti Sagredo le deforma a suo piacimento da renderle irriconoscibili, come fossero fatte di cartapesta
    (quella salentina per il poeta) o di creta.
    —— Assente, perché nessuno se la sente di scendere negli inferni di Sagredo o di salire fino ai suoi paradisi. E come dice, più o meno. Donato Di Stasi (il prefatore di CAPRICCI) al lettore non resta che battere più volte i tacchi per la stizza di nontutta la poesia italiana riuscire a trovare una luce oppure di rivolgersi ai versi beceri, facili da capire che dicono di fiori e farfalline!
    Eppure ci deve essere (oggi?) o esisterà in futuro una tale mente critica capace di penetrare quei versi “mostruosi” di Sagredo!

  10. Gentile Giovanni Ragno,
    lei riesce a far tornare tra noi Praz e Ripellino, le uniche menti «illuminate e illuminanti» a suo parere «capaci di analizzare i versi di Sagredo»? Se sì, mi avvisi quando si metteranno al lavoro e verrò ad imparare.
    E ammesso che « nessuno se la sente di scendere negli inferni di Sagredo o di salire fino ai suoi paradisi», non potrebbe lui visto che c’è già disceso e salito, fornire – scusi eh! – qualche spiegazione in più e indicare almeno « le fonti innumerevoli che [ i suoi versi] si portano : da prima di Omero fino agli anni ’70 del secolo trascorso»?
    Quale spirito d’aristocrazia lo impedisce di grazia?
    Non lo fece persino messer Dante, che di viaggi infernali, purgatoriali e paradisiaci se ne intendeva e si fece apposta accompagnare da Virgilio e Beatrice: un po’ per non far troppo casino da solo e un po’ per assicurarsi di distribuire il « pane del sapere» agli ignoranti?

    Samizdat

  11. per essere più chiari risponderò citando due poeti:

    Puskin

    “e con gli sciocchi non entrare in discussione”

    Majakovskij

    “non capiscono nulla… ho scritto questo per voi poveri topi”

  12. Gentile Ragno,
    meglio non farsi scudo dei Grandi e specie di alcuni loro detti (tra l’altro contraddetti da altri loro comportamenti o altri detti).
    Il Mondo non è più Uno.
    Lei tessa la sua rete secondo il Modello Gerarchico. Io lo continuerò a fare la mia secondo quello Antigerarchico.

    Samizdat

  13. Perché li conoscete questi poeti russi?
    Come mai?
    E quanto ?
    Quanto a gerarchie o antigerarchie non credo affatto che siate esperti.
    Ma se volete l’ultima parola, ve la regalo, ma sappiate che è velenosa e non esiste un antidoto..
    Siete polemisti di infimo ordine.

  14. Perché Lei li conosce quelli che definisce – bontà sua! – “polemisti di infimo ordine”? E come fa a dire che non sono “esperti” di gerarchie o antigerarchie?
    (A parte il fatto che “non sto* – perché parlo a nome mio e non di un mucchio o di una consorteria – valutando la grandezza del poeta Tizio o Caio, ma il fatto spicciolo del Suo rifiuto (“non vale la pena risponderVi”) di fare i conti con le osservazioni che Le ho fatto. E nessuno vuole l’ “ultima parola”).

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