“Oltrefrontiera”

di Pasquale Balestriere

Riprendo in mano il cartaceo di “Oltrefrontiera” di Pasquale Balestriere con le suggestive e mediterranee pitture di Mario Mazzella. Ritrovo raffinati echi classici in tutti i componimenti e  un modo pacato di riferirsi al rapporto con la natura e contemporaneamente al dolore della vita. Mi dico: questo sentire è possibile solo al Sud; e,  per intenderlo, dovrei tornare indietro, magari ai tempi del liceo quando senza grilli critici per la testa leggevo in antologia i lirici greci e romani. Anche adesso, però, i versi  di Balestriere mi colpiscono. Perché si collocano con convinzione  in quella tradizione lirica e  i temi trattati (affetti familiari, ricordi d’infanzia, luoghi visitati, meditazioni sulla natura e la vita umana) hanno una sobrietà che smorza le inquietudini e sento  estatica ed antica.  C’è l’idillio (Presepe), il canto ispirato (La trama del giorno).  E’ una poesia di raccoglimento. Da dove viene? Com’è possibile oggi? Balestriere vive ad Ischia. E credo che il suo fare poesia sia alimentato non solo dalla contemplazione di un cielo particolare o da certi colori e suoni dell’isola, ma dall’aver continuato  tenacemente a curare di persona un suo campicello accanto agli studi letterari. E tra la cura del campo e degli studi c’è – intuisco – una stretta  e felice relazione. Mi arrischio a dire che la ripetizione  dei gesti secolari dei contadini avrà confermato e rafforzato la predilezione, derivatagli certo anche dagli studi, per la metrica equilibrata degli endecasillabi, l’aggettivazione abbondante ma non caricata,  il fraseggio senza sincopi che completa il senso delle immagini o del pensiero,  il lessico che rientra quasi interamente nel repertorio degli antichi senza sfondamenti verso il moderno. Questo “stampo” classico, profondamente assorbito e rivissuto, avrà funzionato da filtro selettivo di un’esperienza di vita ben più mossa e inquieta di quella che i versi mostrano? Può darsi. Dei singoli componimenti   della raccolta, oltre ai due sopra citati, pubblico  quelli che mi sono piaciuti  di più:  A mia figlia, Al morso delle dita, Venerdì, Scorrere la vita. E anche alcuni che non mi sono piaciuti per controllare la mia lettura con quelle di altri commentatori di Poliscritture: Piove, dove sento un’eco fastidiosa  di D’Annunzio e A Pastrengo che cede a un patriottismo retorico. E segnalo Sogno di Spagna  come poesia che più mi ha suggerito l’ipotesi  (maliziosa?) di un’esperienza di vita abbastanza “anarchica” e in contrasto con  il tono prevalentemente classico di questa poesia. [E. A.]

 

PRESEPE

Sul comò nero della nonna a tre
cassetti: il posto fisso del presepe.
Bambino, raccoglievo
ai primi di dicembre
muschio, tagliando a fette
la terra sottostante a farne prato;
e il mandarino dava
rametti come alberi.
Ad aiutarmi c’erano
felici le sorelle. Il mio presepe
di dopoguerra con pochi pastori
(un San Giuseppe incollato con cera
e la Madonna a cui mancava un braccio,
irrimediabilmente
perso, indenni lavandaia, pecoraio
e quattro pecore bianche e mansuete)
era fraterno alla severa fede
della devota madre.

Oggi al presepe s’applica Francesco
con discreta presenza di pastori
e suo padre gli taglia a fette il muschio.

 

 

A MIA FIGLIA

Quando il vento di notte si scatena
in invernali furie e urla il mare
e io insonne nel letto mi rigiro,
pesa la solitudine dell’isola,
figlia, l’irreparabile frattura,
l’ipotetico abbraccio non possibile.
Il mare ci divide come mai
altro potrebbe. E io, che posi il seme
nel ventre di tua madre
e anzi che tu nascessi vidi in sogno
i tuoi capelli – anelli di due anni –
più biondi d’ogni sole
e con trepido cuore
alimentai per te vaghe speranze,
auguro un corpo sano
ed un tempo sereno
a te, mia prima freccia
librata in alto a fare il suo cammino.

 

 

AL MORSO DELLE DITA

È già quasi l’inverno e non ancora
abbiamo disfiorato
l’origano raccolto nell’estate
per crinali di luce,
messo a seccare a lungo dentro rozzi
cartocci. Ma tu al sole
della stanza l’ hai posto perché dopo
l’umido delle acquate
ridiventato asciutto offra i suoi fiori
al morso delle dita.
Sgretolerà gli aromi alla cucina.
Ed è così che addosso
ci restano dell’anno e della vita
i tempi ed i sentori.
Fin quando audaci durano gli amori.

 

 

VENERDÍ

L’autunno soffia grigio,
pensieri e panni asciuga
che danzano in insolite figure.
La strada e il cielo vuoti.
In silenzi di seta
giace l’ampia tristezza delle case,
la memoria trascina
leziosi fantasmi di sole.
Il nudo clavicembalo dell’ore
distilla voci e note di preghiera.

Tre rose alte sul gambo
ganze si danno al vento.

 

 

SCORRERE LA VITA

Dunque accadiamo.
————————-Per altrui disegno
o caso. Ma deposti nella storia
per falchi o per colombe
sul dorso della terra
cogliamo amare bacche di fatica.

Il tempo inquieto sbalza
sbuffi di vento, il sole
è chiarità sonora.
Con  una nube ferma all’orizzonte.

Eppure è dolce scorrere la vita.

 

 

LA TRAMA DEL GIORNO

Ὁ δ’ὄλβιος  ὅστις  εὔφρων
ἁμέραν  διαπλέκει
ἄκλαυτος.
Beato colui che, sereno,
tesse la trama del giorno
senza pianto. (Alcmane, fr. 1 Diehl)

Dalla chiaría dell’alba
rotola in petto l’allegria del giorno
e accende la dolcezza di un sospiro.
Il cuore esulta e canta.

O argentati abitatori del cielo,
trilli e cascate di note versate
nella coppa di rosa del mattino.
O strepitosi araldi della luce,
innocenti nel gioco della vita
scagliate il vostro volo
nei meandri dell’anima.

 Ecco già sorge il fulgore del sole,
invade terra e mare di brillii
e volto nuovo hanno i fiori e l’erbe.
Ai campi me n’andrei. M’aspetta invece
Orazio Venosino mio fratello,
quello del carpe diem, vina liques,
di buona compagnia, con le sue etere
e il bere e del convivio l’allegria.

Passa cantando il giorno. Poi la sera
apre il suo occhio nero sulla terra
che tutta ne vien presa. Ogni clamore
già s’è affiocato in pigolii di nidi.

Timide nascono voci di luci
e tesse lieto la sua tela il ragno.

 

 

PIOVE

sul rossogiallo di foglie caduche,
sul ruzzo del sole / che lesto scolora
in pomeriggi d’autunno e vi muore,
su lucidi asfalti, / su velli di nebbia

che in coltre grigia assopiscono il cielo;
su campi virenti, / su muschi odorosi,
sul guizzo della rondine che svola
e tesse nell’aria / tra gorghi di colli

la sua tela di gioia rapinosa.
E vibra la vita. / La fresca carezza
piega la terra al possesso del cielo,
e canta la vita, / la vita feconda,

mentre, fanciullo, già grida l’azzurro;
con voce squillante / reclama il suo spazio,
le nuvole respinge con baldanza.
Consueti rumori / risorgono, e voci.

 

 

A PASTRENGO

Il Maggiore gridò, lanciò l’attacco.
Il sangue imperversò su per le vene.

Poi nella gola il nodo della polvere
bruciata, l’acre foga del galoppo
ed il lagno fischiato dei proiettili
in cerca dell’impatto con i corpi.
Cadevano soldati come bambole
di pezza, s’afflosciavano con spento
grido, lunghe le braccia abbandonate.
La vita via fiottava con il sangue,
per terra si spargeva.
———————–Ma noi fummo
carabinieri fino in fondo al cuore
e vinto ogni timore
volammo all’urto, noi salvammo il re.

Aprile se n’andava e già spirava
la primavera profumi sui campi
di Pastrengo. Passammo come un turbine,
una spietata nemesi, piegammo
il cuore del nemico rotto e in fuga.

Ora viviamo in fili di memoria,
ma siamo storia.

 

 

SOGNO DI SPAGNA

Non ci fu uno che capì il linguaggio
chiaro dell’aria espresso con la bocca
del vento: nella Spagna di carnosi
corpi e di mani fervide la gioia
su vestiti d’uccelli troverai.

E solo andai per la via romea
a cercare la gioia con un fiasco
di rosso intenso al cuore, preservato
con molto zelo fino a una locanda
della taurina Pamplona.
——————————–Ebbi in sorte
di fanciulle d’amore gli occhi neri,
grembi sodi , vertigini di sangue,
di piume d’oca in morbidi giacigli.

Il sapore di tutto divorai
irto mi diedi a procaci momenti:
e bevvi, bevvi, bevvi il vivo fuoco
finché fu sazio il cuore
——————————e vuoto il fiasco.

A giorni casalinghi riapprodai,
cercai salvezza in fondo alla saggezza
di terra, d’erbe e viti, mondo vero.

Un gallo cantò alto dal Terone,
un gallo gli rispose da Candiano

in un tranquillo sole quotidiano.

 

 

Pasquale Balestriere è nato nel 1945 a Barano d’Ischia, in provincia di Napoli, dove vive. In versi ha pubblicato: E il dolore con noi (Menna, 1979), Effemeridi pitecusane (Rassegna d’Ischia e Rivista Letteraria Editrici, 1994), Prove d’amore e di poesia (Gabrieli, 2007), Del padre, del vino (Edizioni ETS, 2009), Quando passaggi di comete(Carta e Penna, 2010), Il sogno della luce (Edizioni del Calatino, 2011), Oltrefrontiera (Edizioni Confronto, 2015). Per la saggistica ha pubblicato Assaggi critici (Genesi, 2018). Laureato in lettere classiche all’Università Federico II di Napoli con una tesi sull’Orfismo. Studioso di dialetto, usi e costumi della sua isola. Nel 2015 l’Università Pontificia Salesiana di Roma gli ha assegnata la Laurea Apollinaris Poetica.

2 pensieri su ““Oltrefrontiera”

  1. Piccolo saggio della grande abilità di Pasquale Balestriere che sa coniugare con indubbia maestria l’uso di una metrica variata con immagini semplici di virgiliana memoria. Qualche lacerto di onirico completa l’insieme, frutto di un prestigiosissimo Premio, il “Libero de Libero” tra i più seri in Italia . Complimenti
    Carla Baroni

  2. “Oltrefrontiera” è un libro che vale la pena di leggere tutto d’un fiato e restare in apnea, per poterne assaporare fino in fondo, e tutta in una volta, la cifra di indicibile tenerezza e di commossa adesione alle ragioni e alle stagioni del cuore. Siamo di fronte a una poesia di ineffabile profondità sentimentale e d’ineguagliabile nettezza stilistica, che di un endecasillabo armoniosamente musicale e suadente fa lo strumento privilegiato per un canto alto e puro.

    Umberto Vicaretti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *