«Ragazzi tanto per staccarci un po’ dall’intellettualità…»

Riordinadiario 2011

Ennio Abate a Lucio Mayoor Tosi (11 febbraio 2011)

Siamo, infatti,  passati, quasi senza accorgercene, dal ”Siamo tutti intellettuali” (ai tempi di Gramsci, quando essere intellettuali era un privilegio per pochi e un’aspirazione per molti) all’ “Abbasso gli intellettuali” (ai tempi nostri, della TV, del Web, della società dello spettacolo). E nella nostra mailing list serpeggiano eufemistici o sibillini messaggi, che in sostanza dicono: Gli intellettuali  sono non-concludenti.(Con il mio intelletto, traduco: inconcludenti; e cioè parlano e parlano ma non concludono un c…). La stessa solfa viene ripetuta in varie dosi. Con gran spreco d’intelletto e abbondanza di fumo, secondo me. Perché chi scrive un post  o mette quattro frasi in fila di commento, di un po’ d’intelletto pur necessita.

Io, che in passato mi sono definito «intellettuale periferico» e almeno periferico sono rimasto (questo è topograficamente assodato, visto che abito a Colognom), tutti questi intellettuali – provocatori o dissenzienti – che si adopererebbero per il «risveglio delle coscienze» o che dovrebbero «combattere l’ingiustizia» o «sconfiggere l’ignoranza» non ne vedo. O ne conosco pochissimi. Vedo, invece, intrattenitori o provocatori televisivi: alla Sgarbi o alla Ferrara o alla Santoro o alla Travaglio. Vedo, soprattutto, che sono ben pagati e coccolati da destra e da sinistra. Vedo pure che narcotizzano le coscienze, combattono solo alcune (lievi) ingiustizie, mantengono – per rubare uno slogan ad un intellettuale “all’antica” e chissà perché anche poeta come Majorino –  stabilmente gli italiani sotto una «dittatura dell’ignoranza».

E allora, caro Mayoor, tu, che sei un intellettuale quanto me  ed altri/e , mi vuoi  spiegare come riesci a fare una qualsiasi «verifica esperienziale, cioè l’osservazione dello stato delle cose» senza l’ausilio dell’intelletto? E aggiungo: senza che  – purtroppo – nella attività intellettuale (per vivere in una metropoli quasi indispensabile!) s’insinui comunque – cosa che succede persino agli scienziati – il venticello di una «qualsiasi ideologia»? Non  sei/siete mica delle monadi senza porte e senza finestre! Uno spiffero d’ideologia entrerà pure nei tuoi/vostri discorsi (e versi), dai! O  le bufere ideologiche si concentrano tutte nella mia capoccia e nei miei “brutti” versi?

Questa polemica – garbata, velata (tu non usi tromboni!) – contro intelletto e intellettuali io proprio non la capisco. Specie quando, subito dopo la tua articolata premessa, fingendo di aprire «una parentesi per alleggerire» – altrimenti qualcuno insinuerebbe: «Ma questo è un fottuto intellettuale!», perché –  si sa –  gli intellettuali non possono essere che aridi e pesanti – passi alla dimostrazione. Come? Strappando di mano a Kemeny la sua «ideologia della bellezza» e facendoci entrare nell’ascensore di casa tua. «Per dare esempio di come funziona la verifica esperienziale». Noi, dunque, saliamo (o scendiamo) con te e concordiamo, sempre con te, che quell’ascensore è realmente povero e brutto e – ah, la vecchia Milano di una volta! – « non ci si può sedere come su certi vecchi ascensori milanesi fatti di legno». Conclusione (esperienziale?): «la bellezza, oltre che risiedere necessariamente in chi guarda, appartiene ad una umanità di là da venire».  Caspita! Ed io che quasi alla medesima conclusione c’ero arrivato per via intellettuale leggendo e commentando come un forsennato lo scritto di Kemeny! (qui)  Se avessi scelto la «verifica esperienziale», quanto tempo (e intelletto) avrei economizzato!

Alla fine del post, sempre per dare un contentino alla specie in estinzione degli intellettuali, trovo una sottile (ma per me arzigogolata) distinzione: «L’attività intellettuale è da ritenersi non-concludente (diverso da inconcludente) se confrontata con l’esperienza». Traduco (da intellettuale): al primo posto sta l’esperienza, l’intelletto viene (se proprio volete usarlo!) dopo. E, subito dopo, trovo il dogma (vecchissimo: era quello dell’empirismo filosofico inglese pre-industriale, se non ricordo male): « l’esperienza, […] non è trasmissibile se non facendo altrettanta esperienza». Non la faccio lunga. Noto soltanto una piccola contraddizione: se le cose stessero come hai appena detto, ad essere non-concludente (= a non portare nulla a casa) sarebbe proprio l’esperienza. Forse, in qualche modo e magari a tua insaputa, salvi in corner l’intelletto (e l’intellettuale, che anche tu sei, per fortuna). Perché staremmo freschi se dovessimo capirci solo basandoci sull’esperienza!  Dovendo, cioè, fare a meno all’ingrosso di più di tre quarti del mondo e del vocabolario, credo. Solo per fare un esempio: non abbiamo fatto esperienza del mondo preistorico, antico, medievale, ecc., eppure ne parliamo, ci ragioniamo, c’immaginiamo tante cose di quei tempi. E senza intelletto cosa trasmetterebbero le vecchie generazioni alle nuove (almeno fino ad oggi, per il futuro sono più incerto)? Mi fermo qua. 

In un commento al post Da quali nemici e falsi amici etc (seconda puntata) (qui),  rispondendo a Giorgio Linguaglossa, ho scritto: «Quelli che più di me Marx l’hanno studiato Marx parlano di astrazione determinata” Sostenendo che lui, proprio perché fu capace di porsi al più alto livello di astrazione studiando il capitale, senza farsi distrarre dalle forme empiriche, nelle quali esso si manifestava nella sua epoca, riuscì a cogliere il suo concreto funzionamento (estrazione del plusvalore dal lavoro), che altri non vedevano. Io perciò non diffido della teoria, come tu dici». Ecco, in questo riferimento all’ intellettualone Marx c’è lo spunto per tirarsi fuori da certe paludi dell’empirismo. Attento, non affondarci.

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