Da “Riordinadiario 1994”

di Ennio Abate

È una bozza di poesia che non ho mai più ritoccato. O semplicemente un appunto di diario che tendeva – come spesso mi capitava in quegli anni – a passare dalla prosa al verso. Fu steso appena ricevuta (da Radio popolare forse) la notizia della morte di Fortini. Presi a sfogliare «Composita solvantur», l’ultima sua raccolta di poesie pubblicata lui vivente; e molti sono i versi che ho intercalato alle mie parole. Rilevante mi sembra oggi che già nel 1994 la figura del Fortini personaggio pubblico andava per me sullo sfondo e tendevo a  collegarla a quella interiore (“sono come un bimbo che non ebbe nonno”) e – sempre problematicamente – a quella del mio padre reale – Mìneche, meridionale,  origini contadine,  maresciallo dei carabinieri, pensionato – così diversa da Fortini padre spirituale elettivo, “maestro a distanza” – toscano, origini piccolo borghesi, letterato e scrittore. Quando gli avevo telefonato verso fine giugno per un altro piccolo progetto a cui avevo pensato e che egli aveva accettato ma rimandato a dopo le vacanze estive (una mia intervista di approfondimento dei temi già toccati da Paolo Jachia nel 1993 in “Fortini: leggere e scrivere”) non sapevo che sarebbero stati quelli i suoi ultimi mesi di vita. «Ricordo l’ultima accorata sua telefonata. Aveva letto un mio testo poetico su Utopia concreta e mi aveva chiamato per questo. Ne rimasi quasi meravigliato. Ma com’era diventata fievole adesso la sua voce! Al funerale, che m’immaginai affollato da personaggi, preferii non andarci» (qui).

28  novembre 1994 [da agenda scritta a mano]
 
DOPO NOTIZIA DELLA MORTE DI  FORTINI
 
Soffoco il pianto
al messaggio
                  non sono più arrivato a vederti
                    ad ascoltarti
a Siena l’aula   ancora con il tuo cognome
                  e in sogno
                  in pianto per la morte del padre
                  avvertita
                  (sarebbe venuta un giorno/
               mi tacevo/
                                       il vuoto
                il buio, il nulla, l’illusione svuotata
                la fine della sua [nostra] religione
 
Come povero [?] ormai, come stanco
nella «stanza dove tutto è ordinato»
per la morte.
«lo scorpione mentecatto»
non fugge – cresce ( a Bihac, sotto noi [?]
ti ha invaso-
e  noi allora
«immobili indifesi
ragni esili» pendiamo?
 
dal tuo fantasma dovevo staccarmi («tu infuriavi contro te nel petto»)
e rimettermi tra donne e amici
calmo ( senza riprodurre in mezzo a loro
il calco di te rampognante/
 era l’esodo non più la lite
 a compiersi
 
non torneranno
non siederanno «nella poltrona sdruscita»
né loro, né io
 che ascoltavo assorbito
 dalla tua eloquenza e –
non importa - mi dicevo -
se parla solo e troppo-
è vecchio, ha visto solo e troppo
 io ho tempo e pazienza
 per ascoltarlo e non sono
 come gli altri
 già dentro il delirio nuovo
 che lui col suo combatte invano
 io sono contento di ascoltarlo
 come un bimbo
 che non ebbe mai il nonno, e non s’urta
                     delle nuvole [?]
 
 
e squarci d’anni segreti
 rapinati in sogno (quelli che, pag. 22)
nel passo [pozzo?] del pensieroso, nella gola della vergine, nella disperazione che a tutto acconsentì»
«dove ora siete, infelici studenti»
 
quante volte hai guardato in alto
«oltre gli orti ancora bui, le chiese e i culmini (46)
il cielo era chiaro in cima ai rami
dei platani, dei lecci e degli allori»
 
quante volte ho guardato basso
le cortecce, le foglie indolenzite

Note

1. «a Siena l’aula   ancora con il tuo cognome»: L’avevo vista pochi giorni prima della sua morte (28 novembre), quando partecipai al convegno su «Il  simbolo oggi. Teorie e pratiche» organizzato da Sandro Briosi (24-26 novembre 1994)

2. « in pianto per la morte del padre» … riferimento anche alla morte di mio padre..

3. « nella «stanza dove tutto è ordinato»»: da  pag. 10 Composita solvantur

4. «lo scorpione mentecatto»: pag. 9 Idem

5. Bihac: era il 5 agosto 1995. Bihać, la sua città al nordovest della Bosnia, al confine con la Croazia – incastonata tra i monti e attraversata dal fiume Una – durante la guerra era stata dichiarata dalle Nazioni Unite safe haven (area protetta) come altre cinque zone della Bosnia Erzegovina, ma non era né sicura né protetta. Bihać, Sarajevo, Tuzla, Goražde, Srebrenica e Žepa continuarono a essere bombardate e attaccate fino al 1995, senza che le Nazioni Unite intervenissero. ( notizie tratte da qui )

6. «tu infuriavi contro te nel petto»: pag. 19 Idem

7. «nella poltrona sdruscita»: pag. 21 Idem

8. « ha visto solo e troppo»

9. « quelli che»: pag. 21 Idem

10. « del pensieroso, nella gola della vergine, nella disperazione che a tutto acconsentì»: pag. 24 Idem

11. «dove ora siete, infelici studenti»: pag. 21 Idem

12. «oltre gli orti ancora bui, le chiese e i culmini/il cielo era chiaro in cima ai rami/

dei platani, dei lecci e degli allori»: pag. 44 Idem

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