Nonno, nipote e miseria del lavoro

di Ennio Abate


NON ESISTE PIU’ UNA CULTURA CRITICA (MARXISTA) DEL LAVORO. ED È UN DISASTRO PER I GIOVANI

Ieri sulla pagina FB di mia nipote Anita Dognini  è comparso un resoconto della sua esperienza di tirocinante. [1]
Anita s’accorge che il tirocinio le ha chiesto tempo ed energie. È stato, cioè, lavoro. Ma lavoro poco o per nulla retribuito. E però mi ha colpito la sua fiducia nel futuro e in particolare una frase: « se c’è una cosa che sicuramente ho imparato in questo ultimo anno è che non farò più lavori dove non possa esprimere le mie reali capacità e ricevere un (giusto) compenso per questo.» Pur augurandole, come hanno fatto altri, in bocca a lupo, non ho resistito a tirare in ballo il nome (quasi sconosciuto alla maggioranza dei giovani) di
Marx e a ricordarle che ancora oggi il lavoro (qualsiasi lavoro) resta sottomesso al Capitale e per questo il lavoratore non può (tranne limitate e singole eccezioni) esprimere le sue “reali capacità” e “ricevere un (giusto) compenso per questo.”. E che anzi, «dagli anni Ottanta del Novecento, il mondo del lavoro ha subito una sconfitta epocale, il sistema economico globale è più sfruttatore che mai» (Musto). Non so se sarà più possibile avvicinare l’esperienza del lavoro che faranno mia nipote e altri giovani come lei alla cultura critica (marxista) che è della mia generazione. Ma l’ho tentato in passato (in questo numero 1 del 2006 della rivista POLISCRITTURE [scaricabile qui: https://www.poliscritture.it/download/b-numero_1_maggio_2006-pdf/] il Diario di una discussione sul lavoro precario oggi, tra l’altro con una testimonianza della madre di Anita, Elena Abate). Altri lo tentano tuttora ( la rivista OFFICINA PRIMO MAGGIO [https://www.officinaprimomaggio.eu/] e non si vede perché non dobbiamo insistere.
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[1]Anita Dognini

Primo giorno da non-più-tirocinante
Il tirocinio è stata l’attività che nell’ultimo anno mi ha preso di più.
– “e tu cosa fai?”
segue spiegazione dettagliata:
– “ho studiato x, sto facendo tirocinio in y, nel frattempo lavoro come z”.
Se ne potrebbero dire tante a riguardo. Alcune persone che conosco definiscono il tirocinio un lavoro, vista la quantità di tempo ed energie che richiede. Peccato che qui manchi una componente fondamentale: la retribuzione. Difatti lo scambio si basa su tempo barattato con formazione ed esperienza. Ecco il nocciolo della questione. Perché la formazione fornita non è sempre adeguata e soprattutto manca la voglia di renderti veramente competente e integrarti nell’organizzazione per la quale stai lavorando. Perché poi avrebbero bisogno di te, e scaduti i sei mesi chi rimarrebbe senza essere pagato? (spero) Nessuno. Personalmente credo di essere stata fortunata: con la prima associazione le cose sono andate bene e la nostra collaborazione (adesso retribuita!) prosegue. Dopo solo un anno non mi ritengo formata a 360° ma penso di aver imparato molto e ho ancora voglia di pormi con curiosità verso l’ambito del terzo settore, quello per cui vorrei lavorare, dando del mio meglio. La strada per diventare una professionista è lunga ma se c’è una cosa che sicuramente ho imparato in questo ultimo anno è che non farò più lavori dove non possa esprimere le mie reali capacità e ricevere un (giusto) compenso per questo.
Credo che le ambizioni dei giovani stiano cambiando: se davanti a noi non ci sono più prospettive di carriera e posto fisso, perlomeno non disperdiamoci in attività che non ci danno nulla di più di quattro soldi e una pacca sulla spalla a fine giornata.

 

3 pensieri su “Nonno, nipote e miseria del lavoro

  1. Gran parte dei giovani di oggi ha interiorizzato le parole d’ordine che da più di trent’anni li martellano: precarietà, bassa retribuzione, sgobbare come matti, nessuna possibilità di carriera, ma fare ugualmente del proprio meglio. Anche le mie figlie ragionano così e una delle due ci si sta rovinando la salute. Mio figlio di mezzo è imperscrutabile, ha abbracciato il “sistema” senza metterlo in discussione, alle elezioni ha votato Calenda che gli sembra l’unica persona seria… Il più giovane, infine, si potrebbe considerare “antisistema”, lavora quanto gli basta per soddisfare le sue esigenze primarie, vive spartanamente ma quando può prende e se ne va a camminare da qualche parte. La sua filosofia si potrebbe riassumere così: lavoro per campare ma non appena ne ho la possibilità recupero i miei spazi di vita. Alle elezioni non ha votato. Che tu la apprezzi o meno, sembra che mi vogliano dire i miei figli, ma lo stesso atteggiamento lo riscontravo anche nei miei studenti all’Istituto tecnico, la vita è questa e ci si deve adattare. Molto diversi da come era la mia generazione, ma forse noi abbiamo fatto meglio?

  2. uno scempio, anche se , ahimè!, interiorizzato. Non c’è un limite di decenza verso come i giovani oggi, ma già da diverso tempo, sono trattati…Un lavoro precario significa male retribuito, non formativo e di sfruttamento…Come impostare il presente e il proprio futuro, a queste condizioni? A me sembra una forma di genocidio perpetrata verso i giovani…Pochi tra loro si salvano, credo, tra frustrazioni, umiliazioni, tradimento di se stessi e, peggio di tutto, una guerra tra poveri incoraggiata in una corsa alla competizione verso obiettivi, dove arriveranno solo i pochi disposti a seppellire i compagni…E intanto il sistema perverso ed essenzialmente distruttivo e autodistruttivo, si rigenera…Intendiamoci, capisco benissimo le situazioni di compromesso, a cui quasi necessariamente si arriva…
    Molto significativi lo slancio e la speranza che animano Anita, di poter fare, nel mondo del lavoro, scelte piu’ adeguate alla propria reale realizzazione…D’altra parte la madre, Elena Abate, ha fornito un esempio di coerenza, coraggio e perseveranza nel perseguire obiettivi in linea con la propria formazione e interessi, ma “Che fatica!” e ben poco riconoscimento…
    Per quanto mi riguarda, la figlia svolge un lavoro che le piace e per cui ha studiato moltissimo…d’altra parte ha dovuto migrare all’estero…altro risvolto non proprio piacevole…I due nipoti (11 e 18 anni) sono ancora piuttosto giovani e studiano ancora, ma si profilano tempeste nel loro come nel nostro futuro, per niente rassicuranti

  3. La questione di fondo nel rapporto che i giovani hanno oggi con il lavoro, è quello di non considerarlo più un loro diritto ma una gentile concessione di un imprenditore benevolo; i diritti legati al rapporto di lavoro (contributi, ferie, malattia ecc.) una inutile rivendicazione che si frappone alla possibilità di lavorare; la retribuzione precaria del presente un inevitabile purgatorio per accedere al “paradiso” del posto se non fisso almeno stabile e retribuito decentemente.
    Posso ritenermi fortunato che le mie figlie trentenni considerano il lavoro come il luogo dello sfruttamento e dunque non accettano qualsiasi condizione ma, allo stesso tempo, che sia anche inevitabile accettare compromessi. Sarà difficile e complicato risalire questa china, perché dovremo trovare il punto di equilibrio politico tra l’irrinunciabilità dei diritti e il pragmatismo dei bisogni.

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