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Poliscritture: declinare bene

di Ennio Abate

Esisterebbero ancora tutte le buone ragioni per continuare come Poliscritture, rivista che – ricordo – è iniziata nel 2005, un lavoro di laboratorio di cultura critica. Ma le cose – come si è visto – non sono andate e non vanno bene. Giocoforza nel 2017  abbiamo dovuto interrompere la pubblicazione della rivista cartacea (qui gli 11 numeri usciti). Anche due tentativi di rilanciare una redazione collettiva (il primo nello stesso 2017: Poliscritture 2; il secondo nel 2021: Poliscritture 3) si sono arenati. Poche e saltuarie restano le collaborazioni di autori giovani. Comunico, perciò, che abbandono definitivamente il progetto collettivo di Poliscritture. E sostituisco il suo affermativo sottotitolo con un volenteroso ma solo augurale Per un laboratorio di cultura critica. La nuova fase – declinante – della rivista sarà  a cura di Ennio Abate e basta. E in questo luogo, fin quando potrò, pubblicherò i miei scritti (poeterie, narratorio, appunti politici e di lettura), ospiterò le rubriche intestate ad alcuni amici/che ed i testi da me ritenuti validi, che altri/e ancora dovessero propormi.
Grazie dell’attenzione.

P.s.
Nei prossimi giorni ritoccherò titoli, rubriche e grafica della Home Page

 

Nota
L’immagine d’accompagnamento è di Paul Klee. Il titolo è “Senecio”. Dicono che rappresenti con  forme rettangolari geometriche racchiuse in un cerchio un volto di un vecchio e che forse il soggetto raffigurato sia lo stesso Klee. L’opera è del 1922.

Totalitario Marx? Eh, no!

di Ennio Abate

Sul blog di Elena Grammann  nell’articolo da lei pubblicato l’11 dicembre 2021 (qui) leggo con rammarico:

Un po’ più di un anno fa ho iniziato a collaborare col sito Poliscritture. È stata un’esperienza impegnativa e piuttosto faticosa, ma molto proficua. Purtroppo l’impossibilità di ammettere che il marxismo possa sfociare in qualcosa di diverso da un regime totalitario – così come un’istintiva e radicata diffidenza nei confronti di organismi spontaneamente collettivi (e ancor più, s’intende, di organismi coercitivamente collettivi) – mi costringono a defilarmi. Pubblico quindi qui l’ultimo articolo che avevo preparato. Fa parte di una sottorubrica pomposamente intitolata “Prontuario tascabile di letteratura francese” che magari, se c’è interesse, continuerò qui Continua la lettura di Totalitario Marx? Eh, no!

Il mio posto di vacanze

Piazza Duomo a Bisaccia

NOTE DI FINE ESTATE (1)

 di Donato Salzarulo

Non ho luogo migliore per le vacanze estive del mio borgo natio. Lontano dall’afa milanese, ormai pensionato, m’immergo per due mesi nel liquido amniotico di parenti e amici. Faccio ciò che per il resto dell’anno non faccio: siedo al bar, passeggio avanti e indietro in piazza Duomo, accompagno quasi ogni giorno l’amico Michele al Convento. Ha dieci anni più di me ed è tormentato dal corpo che non vorrebbe arrendersi, ma qua e là già cede e si deprime. L’ipocondria non affligge soltanto il poeta Arminio (altro mio amico). È una malattia diffusa come la malinconia che spesso ci afferra e paralizza.  Del resto, oltre all’età, la pandemia ancora imperversante non regala certo slanci ed entusiasmi.
«Ho grande nostalgia dei miei “Sonetti d’agosto”», mi capita di confessare a Michele uno dei primi giorni, mentre scendiamo per via Mancini.
«Non li conosco bene, non me li hai mandati e non li hai mai pubblicati.»
«Vero. Li scrissi qua, a Bisaccia: uno al giorno, come la mela del proverbio che toglie il medico di torno…Li scrissi nel 1987. Avevo 38 anni. In quei versi circola una grande energia. È di questa che avremmo bisogno e di cui ho nostalgia…»
«L’età è importante, molto importante…»«Sì, però anche il contesto sociale, culturale e politico conta…»
«Indubbiamente…Ma fammi sentire l’energia… Te ne ricordi qualcuno?…»
«Figurati!… Me li ricordo tutti. Allora scrivevo versi che dovevano essere memorabili, anche in senso letterale. Nel senso che la memoria doveva poterli ricordare facilmente…Ero convinto, infatti, che una poesia riuscita doveva essere musicale, imprimersi ben bene nell’orecchio e lasciare nella mente una sensazione piacevole su cui riflettere…»
«Un po’ come ci succedeva da studenti, quando imparavamo a memoria almeno quindici poesie all’anno…»
«Sì, un po’. Ma, al di là di questo utilissimo esercizio, il rapporto tra poesia e memoria è secondo me un tema fondamentale, costitutivo del linguaggio poetico…»
«Dai, allora, recitami uno di questi Sonetti…»
«Ti recito il terzo…Fa così:

 Non fuggo più, non sfuggo la calura
Io ti ricerco nella tua dimora
Non ho paura della tua statura
Non voglio che si affoghi nella gora

 Di spire in spire vengo alla tua altura
Di fragile splendor mi nutro ancora
Dei tuoi piedi conosco l’andatura
L’orrore bruci, vada alla malora

 Chiaro tormento luce di furore
Del tuo dolore antico mi coloro
Di questa storia penetro il rancore 

Le prugne acerbe colgo ed io m’indoro
Odoro tutti i petali del cuore
Così viepiù di te io m’innamoro.

«Mi piace…Sono le parole di un Io esuberante, baldanzoso, che intende innamorarsi sempre più della lingua poetica. “Di spire in spire vengo alla tua altura” è un verso bellissimo…Ridimmela di nuovo…»
Gliela torno a recitare; intanto passiamo attraverso le ortiche della Valle e cominciamo a salire lungo via Rollo. Tra poco spunteremo in piazza, dove Lina, la moglie di Michele, lo sta già aspettando amorosamente in macchina.
Domani è un altro giorno.

PROGETTI SFUMATI

Quando ai primi di luglio, parto per Bisaccia, ho in testa due o tre progetti di scrittura. Caccio nella mia borsa da viaggio una decina di libri (o forse più) per aiutarmi a realizzarli.
Quest’anno ho con me due libri di Berger sul guardare e sugli sguardi, uno di Didi-Huberman sull’immagine, un altro di Pinotti e Somaini sulla cultura visuale, uno di Dal Lago e Giordano sui mercanti d’aura e un altro di Gombrich su immagini e parole, quello assai noto di Sontag sulla fotografia e quello, altrettanto noto, di Foucault sulla pipa di Magritte che non è una pipa. L’intenzione è di andare avanti con la mia rubrica su Poliscritture.
Ma per non rinchiudermi nei miei “Punti di fuga”, nella borsa metto pure un “Ritorno a Francoforte” e alla sua Scuola di Giorgio Fazio e una conversazione di Nancy Fraser con Rahel Jaeggi sul capitalismo. Questi due libri un po’ me li sono cercati da solo, un po’ mi sono stati suggeriti dagli articoli di Cristiana Fischer sulla sua rubrica.
Poi, siccome ho scritto, oltre trent’anni fa, un testo poetico (inedito) intitolato “Sogno della casa”

– «Io meditavo
premeditavo
come scoprirti
seno fiorito» –  

e recentemente ho letto di scrittori e filosofi che hanno affrontato il tema da par loro, sistemo in borsa il libro di Coccia sulla “filosofia della casa” e quello di Andrea Baiani sull’abitare le case; proprio come volevo fare io con quelle, in affitto o in proprietà, abitate dalla mia nascita ad oggi.
Sia chiaro, non ho nessuna invidia per Bajani. Ho comprato il suo libro e sono contento che l’abbia scritto su un tema così caro. Naturalmente sono curioso di capire come lui l’ha affrontato…
Poi, per non farmi mancare niente, butto dentro, all’ultimo momento, un libro di Barenghi su Calvino; e il Siti di “Contro l’impegno”, che Elena Grammann ha recensito su Poliscritture. N’è nato un dibattito sulla letteratura che ho seguito un po’ con la coda dell’occhio, anche se il libro l’avevo leggiucchiato a maggio a Pietra Ligure.
Siccome nella mia mappa mentale (assai semplificata e sicuramente sbagliata) ho visto stagliarsi dietro le figure di Pasolini e Fortini, voglio rinfrescarmi le idee su Calvino… «Se una notte d’inverno un viaggiatore»…
Insomma, con tutti questi libri in borsa, la mia lunga vacanza nel borgo feudale sarebbe stata proficua ed operosa. Qualcosa di cui andar fieri. Avrei letto, scritto, commentato. Avrei fatto ciò che fanno gli intellettuali seri, mica gli influencer…Avrei.
Invece, come accade dall’estate del ‘68, – primo anno di ritorno a casa da emigrato (allora portai con me quasi una valigia di libri) – non ne ho letto quasi nessuno.
Per la cinquantesima volta (in due o tre occasioni non sono tornato al borgo) il comportamento si è ripetuto. Cosa da manicomio.
I libri sono i miei oggetti transizionali: la coperta di Linus, il mio orsacchiotto…
Vi prego, figliole, quando morirò, mettetemene qualcuno nella bara!…
Non desidero commentare oltre questo mio modo di fare.
Dovrei affidarmi ad uno psicologo, a uno psicoterapeuta o a uno psicoanalista, ma l’età lo sconsiglia.
Spero che prima della morte si compia il miracolo di partire con la borsa vuota o, addirittura, senza.
Anche perché nella casa del borgo ho di che leggere.
Infatti, anche quest’anno, mentre scanso accuratamente, le pagine dei libri portati, a un certo punto, non so perché, mi lancio su Moby Dick e la balena bianca, libro venduto due anni fa col Corriere della Sera prefato da Trevi e tradotto da Ottavio Fatica…
Bizzarrie della psiche, in balia della curiosità, delle seduzioni e dei dibattiti del momento…Quest’anno Trevi ha vinto il premio Strega.

Non sono un libro. E se lo fossi,
avrei molte pagine illeggibili
e tantissime altre – le più inquietanti
completamente bianche.

Cambio di passo

PER POLISCRITTURE 3

Il numero zero di POLISCRITTURE uscì nell’aprile del 2005. L’editoriale (qui) chiariva il progetto della rivista riassumibile in tre punti : – «pubblicare una varietà di  scritture (di politica, filosofia, letteratura, poesia, arte, scienze e storia) comunque tese a ripensare una cultura (antica e nuova) della polis»; – mantenere un legame – dialettico e critico, non esteriore o forzato –  tra  politica e cultura, malgrado la consapevolezza che esse vanno separandosi e frantumandosi; –  sintonizzarsi sul trapasso d’epoca che stiamo tuttora vivendo.

Continua la lettura di Cambio di passo

Aguzzi,  Fischer e Grammann

di Samizdat

Ma come si fa a passare da «Proletari di tutto il mondo, unitevi!» a «Meritevoli di tutto il mondo, unitevi!»? Da Marx a Berlusconi & C.? Continua la lettura di Aguzzi,  Fischer e Grammann

Aggiornamento 13.6.2020

Poliscritture è stata rivista semestrale cartacea  dal 2005 (numero zero) al 2017 (numero 12). I suoi numeri sono scaricabili gratuitamente qui in pdf  e continua ad essere sito (www.poliscritture.it). Dall‘aprile 2018 con il fallimento del passaggio a una Poliscritture 2 (quiqui e qui) e lo scioglimento della redazione la rivista esce soltanto on line a cura di Ennio Abate.

L’idea base di Poliscritture resta quella presentata nell’editoriale del numero zero
(maggio 2005) (qui la versione completa). E il sito continua a pubblicare una varietà di  scritture (di politica, filosofia, letteratura, poesia, arte, scienze e storia) comunque tese a ripensare una cultura (antica e nuova) della polis e della piena democrazia. E’ evidente, però, che da solo posso (e non so per quanto tempo ancora) essere un semplice supplente del noi che manca.

Ennio Abate


13 giugno 2020 aggiornamento delle pagine (sotto la testata) e delle categorie degli articoli

Su «Né acqua per le voci». Un confronto.

di Ennio Abate e Marina Massenz

In occasione della presentazione dell’ultima raccolta poetica di Marina Massenz (Milano 5 giugno 2018, Libreria Popolare di Via Tadino) lessi dei troppo veloci e frammentari appunti su questi suoi nuovi testi. Citandone brani, parlai di: un io allarmato che si osserva e registra; toni sincopati; tendenza a una sintassi “compressa”; ritualità impersonale per la frequenza di verbi all’infinito; rimandi a mondi chiusi e coatti; esaurimento, abbandono e desolazione come sottopensiero delle immagini (più spesso di animali che di uomini). Successivamente quegli appunti li mandai a Marina, che replicò, precisò, puntualizzò. Ne nacque uno scambio di mail tra noi che toccò alcuni temi più generali di poetica . Pubblico ora una sintesi della nostra discussione. Al di là dei punti in cui divergiamo o poniamo accenti diversi sulle questioni toccate, abbiamo una comune convinzione: un rinnovamento dei discorsi sulla poesia passa anche attraverso confronti schietti come questo. [E. A.]

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