di Arnaldo Ederle
Io sono qui, col mio amato computer
che tento graffio i tasti e provo
a mettere in moto, per spiegare l’alto intento
di codificare il nulla o il tutto, nell’assenza
di tutto e in presenza della sola passione
di codificarlo nell’unico colore della sua
assoluta ispirazione.
E’ questo che pensava Yves quando spruzzava sulla
tela vuota il suo vuoto il suo mondo cieco eppure
ultravisionario, cieco e onniveggente e privo
di teorie e di realistiche visioni, cieco del tutto
e privo di argomenti terrestri e provvidi per
l’ultima sentenza.
Ma chi l’ha visto questo Blu questo
enorme Blu non può certo scordarlo non può
non può intravederlo non può nemmeno
sognarlo o volgerlo in sillabe e interpuntarlo
o reggerlo nel velo della rappresentazione
non può nemmeno amarlo. Esso è, solamente,
senza paradigmi e senza congiunzioni o tratti
di memoria.
Esso è! E’ esso Yves? Non può essere
un uomo, o un animale o una città
o un paese o una scaglia di roccia, non può
essere nulla.
Chi l’ha creato s’è distrutto come il filo
d’erba verde che cade sotto il segno rosato
della falce che è facile inventare ma
che è duro sopportare oltre il sangue che cola.
Yves, chissà se lo fece mai. Certo
la sua stanza bianca e vuota ha avuto il suo
significato, era tutta bianca,
e il bianco è il colore del tutto e del nulla.
Ma la sua astrazione calibrava il pieno
del nero, e tra questi due massimi colori
si ergeva la forza del suo cuore.
Yves lo sapeva e godeva della sua sapienza
lo sapeva e lo amava come una donna immensa
che lo pedinava e lo faceva vibrare e lo sottraeva
agli impicci della vita ai trucchi dell’esistenza
e, per lui, tutti dovevano capire la sua magia
tutti dovevano amarla e tenersela vicina
al cuore come un’amante.
Il giorno dopo la baciava e la esponeva
come l’ottava meraviglia e la inseguiva
nei battiti del suo muscolo in forma
di cuore e l’abbracciava con spasimo e la
succhiava come uno splendido corpo.
Sì, era la sua fata il suo perché la ragione
della sua vita e di tutti e nulla contava
di più.
Rubava al vuoto-pieno il suo segreto
lo custodiva nel suo spazio come
una giovane donna privilegiata una
fata morgana. Ah Yves! Che grande fortuna
la tua, il tuo cervello era grande come una
piazza e l’acqua e il sole che lo bagnavano
e tutto il resto che gli navigava intorno
era il tuo resto, ciò che s’aggiungeva
al tuo piccolo corpo fradicio.
Ah, Yves Yves, ma la gente che ti viveva
intorno cosa contava? Cosa contava la tua
gente i tuoi parenti la tua terra?
Bastava il tuo Blu a farli vivere?
O il tuo grande Blu serviva a farla più
viva o più vibrante più immensa?
Io non so dire. Io non so nemmeno ripetere
il tuo enorme Blu, mi affascina sì, ma
mi toglie il desiderio di viverlo,
senza visi né corpi né anime che
sferragliano in questo mondo per
rimanere a galla per voltare la faccia in su,
per respirare come tutti noi esseri
del mondo. La tua sconfinata astrazione
mi rende muto e ansante mi toglie
il respiro. Lo guardo in continuazione il tuo
Blu, ma non lo vedo come il grande colore
cui tu l’hai eletto. Non lo sento, non
lo palpo, mi riempie gli occhi solo
di grande nostalgia e desiderio, questo sì,
di infinito cielo senza nubi e senza le frange
dorate del nostro sole e della nostra
oscura nebbia.
Ah Yves, l’avrei preferito Bianco quel tuo
immenso Blu, non sarebbe rimasto troppo
troppo stabile e immutabile.
Quando lo guardo m’è difficile farlo mio
e lo sogno bianco come le nubi leggere
bianco come l’anima pura e il corpo dorato.
Oh Yves, perché sei rimasto in quel tuo Blu
immobile ed esausto come una donna priva
di schianti e di struggenti passioni, perché
non hai osservato i corpi e il loro movimento
teso all’amore, in questa terra
di abbracci e schiaffi
violenti e trasformati in carezze un attimo
dopo. Perché il tuo Blu non li ha abbracciati
e non gli ha chiesto l’aiuto che meritavi
e che noi meritavamo?
Yves! Hai trasformato nel tuo unico
immenso colore, nel tuo ineffabile Blu
tutte le nostre gioie e dolori in un’unica
nostalgia e l’hai posta immobile distesa
sulla faccia della terra coprendo tutto
il narrabile semplificando le emozioni
chiudendo i nostri slanci e le nostre
amate baruffe, hai deciso di imbluarle
e conformarle alla tua gaia malinconia.
Io amo
il tuo pensiero, ma lo godo come uno scherzo
del tuo cerebro chiuso in un’impassibile
cella sognante l’infinito.
Caro Arnaldo, vorrei saper scrivere e che altri volessero scrivere con la stessa semplicità di frasi e di costruzioni come fai tu:
quando spruzzava sulla
tela vuota il suo vuoto il suo mondo cieco eppure
ultravisionario, cieco e onniveggente e privo
di teorie e di realistiche visioni, cieco del tutto
e privo di argomenti terrestri e provvidi per
l’ultima sentenza
per esprimere pensieri temperatamente scettici e consapevolmente ansiogeni. Altro che teorie di materialismo, di spiritualismo, di cinismo, di sconfitta, di illusioni. Un ragionare, cioè con la ragione, sulla scadenza e sulla bellezza. Non chiamiamola nemmeno “mancanza”, categoria psicofilosofica. E quel lume di senso che la bellezza ispira. In tutti i sensi.
“Nudi alla meta”, si scherza, ma: di frenesie come pastoie. Quindi, magari si volesse e sapesse scrivere nella semplicità che apre al futuro.
Ma la sua astrazione calibrava il pieno
del nero, e tra questi due massimi colori
si ergeva la forza del suo cuore.
“come una donna immensa” e “Hai trasformato nel tuo unico/immenso colore, nel tuo ineffabile Blu/tutte le nostre gioie e dolori in un’unica/nostalgia” sono in opposizione, e lo sberleffo finale a Yves e al suo blu smembra anche la donna immensa.
…mi sembra che questa poesia renda bene l’idea che Arnaldo Ederle sente davanti all’opera in blu di Y. K. , come un misto di ammirazione e di sconcerto…In effetti non avere vie di fuga dal blu luce, una trappola che immette nella terza dimensione come in una ragnatela, fa cadere ogni volontà e quindi lascia inermi davanti a un mistero ipnotico…
Grazie Cristiana del tuo primo, squisito commento. Sono felice di sapere che la mia scrittura ti sia così cara. Spero sia tutto vero quello che dici e mi auguro sia sempre così.
Un abbraccio. Arnaldo
@ Ederle. Non so se cambierò il mio ascolto della tua poesia, l’età accumula quella “grave massa del passato” da cui “il nostro pensiero è sempre attratto”, come scrive Eugenio Grandinetti. Massa difficile da attraversare e alleggerire respirando. Magari cambierai anche tu i tuoi pensieri, in leggera superficie contro la moderna frattura tra vita e colpa.