di Antonio Sagredo
I cembali dei presentimenti a te, Eleusina, incantata
che muori nella neve imminente e risorgi al primo fiore
e il mito ti è fedele ancora, e le tue labbra ora
sono spente da cingolati che radono l’Oriente – svegliati!
Sui divani hai appreso il mistero che ti sostiene intatta,
sei lontana da quei riti che il Fato abbandona al tuo diniego,
e ai tributi di chiodi e di lavande ricordano un sangue
appestato dall’oblio – ossuto è l’mbrunire su tumuli boemi.
Ma quest’alba è in cenere! Il suo cammino australe è putrescente!
Con un torbido decreto ha prescritto il tramonto d’ogni nostalgia, per Te!
e il pianto che tu, gioiosa, trattieni non è il tuo – l’orbita è una tinozza
vuota! – quadrante e meridiana hanno confuso le colombe del Moncayo.
Bèccati questi simulacri di ghiacciai da un recinto orfico e spettrale!
Traccia i passi d’Alessandro che non ha sogni, né specchi su cui sputare,
e non su un greco nulla, ma ride, farfuglia d’estinzioni e stragi, starnazza
di stermini fra stanze e canzoni, larve di torce umane e legioni di testuggini!
Eleusina, non sei che un avanzo, di non so – cosa! Non ricordo di volto
e d’anima! Non un’afa ti sorvola, né oscurità, né neve, né secca foglia,
né un bocciare di – di cosa? Alberi, che sono? Altari di catastrofi!
E se mai vi fu un canto tuo, o un grido, non fu di gola, o labbra umane,
—————————————————————————–né di bestie!
Vermicino, 12 aprile 2007
Nota di E. A.
Oltre a rimandare ai testi di Antonio Sagredo già pubblicati e ai commenti critici che gli ho dedicato, credo che, per inquadrare gli echi oscuri e mitizzanti che risuonano nella sua poesia, sono utili le notizie contenute in questo lungo ed eruditissimo saggio sui misteri eleusini (qui) che ho trovato sul Web.
Il viaggio eleusino di Antonio Sagredo con Omero, Sofocle, Pindaro, Aristofane, un viaggio tra mito e rito
1- Omero
“…e Demetra a tutti mostrò i riti misterici,
a Trittolemo e a Polisseno, e inoltre a Diocle,
i riti santi, che non si possono trasgredire né apprendere
né proferire: difatti una grande attonita e atterrita reverenza
per gli dèi impedisce la voce.
Felice colui, tra gli uomini viventi sulla terra, che ha visto queste cose:
chi invece non è stato iniziato ai sacri riti, chi non ha avuto questa sorte
non avrà mai un uguale destino, da morto, nelle umide tenebre
marcescenti di laggiù.”
2- Sofocle
“… O tre volte felici
quelli fra i mortali che vanno nell’Ade dopo aver contemplato
questi misteri: difatti solo per essi laggiù
c’è una vita, mentre per gli altri lì vi sono tutti mali”.
3- Pindaro
“Felice chi entra sotto la terra dopo aver visto quelle cose:
conosce la fine della vita,
conosce anche il principio del tutto dato da Zeus”
4- Aristofane
“Avanziamo sui prati fioriti
dove abbondano le rose,
giocando alla nostra maniera,
la più vicina alle belle
danze, sotto la guida
delle Moire felici.
Per noi soltanto è gioioso
il sole e il lume delle torce,
per tutti noi che siamo iniziati
e abbiamo condotto una vita
religiosa verso gli stranieri
e i concittadini”.
5- Antonio Sagredo
I cembali dei presentimenti a te, Eleusina, incantata
che muori nella neve imminente e risorgi al primo fiore
e il mito ti è fedele ancora, e le tue labbra ora
sono spente da cingolati che radono l’Oriente – svegliati!
Sui divani hai appreso il mistero che ti sostiene intatta,
sei lontana da quei riti che il Fato abbandona al tuo diniego,
e ai tributi di chiodi e di lavande ricordano un sangue
appestato dall’oblio – ossuto è l’mbrunire su tumuli boemi.
Ma quest’alba è in cenere! Il suo cammino australe è putrescente!
Con un torbido decreto ha prescritto il tramonto d’ogni nostalgia, per Te!
e il pianto che tu, gioiosa, trattieni non è il tuo – l’orbita è una tinozza
vuota! – quadrante e meridiana hanno confuso le colombe del Moncayo.
Bèccati questi simulacri di ghiacciai da un recinto orfico e spettrale!
Traccia i passi d’Alessandro che non ha sogni, né specchi su cui sputare,
e non su un greco nulla, ma ride, farfuglia d’estinzioni e stragi, starnazza
di stermini fra stanze e canzoni, larve di torce umane e legioni di testuggini!
Eleusina, non sei che un avanzo, di non so – cosa! Non ricordo di volto
e d’anima! Non un’afa ti sorvola, né oscurità, né neve, né secca foglia,
né un bocciare di – di cosa? Alberi, che sono? Altari di catastrofi!
E se mai vi fu un canto tuo, o un grido, non fu di gola, o labbra umane,
né di bestie!
*(I testi di Omero, Pindaro, Sofocle, Aristofane in G. Colli, La Sapienza Greca)
Che dire di questi strepitosi versi di Sagredo?
Ci vizia troppo questo poeta, ci ha abituati alla brillantezza come alle oscurità, tanto che taluni lo hanno paragonato a un novello Quevedo. (O Gongora?, aggiungo io). Ma non bisogna esagerare altrimenti verrà giù una cascata di insulti su un poeta mai uditi nella nostra poesia!
Ma è pur vero che sono stati fatti tantissimi nomi “grandi” .
Telefono a Sagredo e lui si fa una risata squillante e se la ride a causa della sua età non più verde e mi risponde che quanto si dice o si sparla su di lui bisognava che fosse stato realizzato trenta/40 anni fa, e che adesso gli importa pochissimo, e che non poteva esser così perché occupato a “fare” poesia e non badare affatto al mondo di fuori.
Intanto ha scritto un critico lottatore, G. L. : “Mi chiedo chi oggi in Europa può permettersi di scrivere con la libertà e la genialità di un menestrello e di un alchimista, di un fool e di un mago, così… poesia inimitabile, inclassificabile, irricevibile, inospitale…” ecc.
Come suo ammiratore e amico devo dire che i suoi finali sono irripetibili nella loro bellezza spietata!
In riferimento all’immagine di accompagnamento che ho scelto per questi versi, il testo che ho linkato in nota dice:
Una ragazza in ginocchio, la testa nel grembo di una donna seduta, gli occhi chiusi, mentre la donna seduta le stringe le mani e tira via la veste dalla schiena nuda della fanciulla, e dietro una figura femminile d’aspetto sinistro che solleva una verga – questi sono particolari affatto realistici di una fustigazione. Ma la minacciosa figura che brandisce la verga ha ali nere; non è di questo mondo: è piuttosto una personalità allegorica. Si sono raccolte alcune allusioni alla fustigazione in contesti bacchici, da Plauto a sarcofagi del periodo tardo. Qui troviamo Pan o fanciulli-satiri che vengono puniti con un sandalo, ma la situazione e l’iconografia sono affatto differenti. D’altra parte, la pazzia è descritta come il sentire le sferzate di una frusta sin dai tempi della tragedia attica; Lyssa, come «frenesia» personificata, appare con la frusta nella pittura vascolare, e in ogni caso la mania è il territorio particolare di Dioniso. Neppure Afrodite disdegnerebbe un sublime flagellum per far agire una fanciulla arrogante secondo i suoi ordini, suggerisce Orazio. Ciò dissolverebbe la scena di flagellazione in puro simbolismo; al momento critico, con una sferzata la divina follia si impadronirà dell’iniziata, e la ragazza inginocchiata, mutata in una vera baccante, si leverà e si muoverà liberamente in una danza frenetica, proprio come l’altra danzatrice che segue immediatamente questa scena. E tuttavia il simbolismo non esclude la pratica rituale, e ci sono accenni alla possibilità che una forma di purificazione, katharsis, consistesse effettivamente nella fustigazione. Ancora una volta l’arte è riuscita a rimanere intenzionalmente ambigua riguardo a ciò che effettivamente accadeva nei misteri. L’uso moderno della parola «orgie», rispecchia i peggiori sospetti del puritano sui segreti riti notturni. Non c’è dubbio che la sessualità avesse un posto preminente nei misteri. Abbiamo la parola di Diodoro che Priapo itifallico giocava un ruolo in quasi tutti i misteri, per quanto egli venisse introdotto «con risa e umore scherzoso», e difficilmente questo sarà stato il nucleo centrale del mistero.
Giovanni Ragno coglie a malapena una parte della grandezza della poesia di Antonio Sagredo, non per incapacità di comprenderla nella sua interezza, ma forse per il timore di scatenare sul poeta salentino dal respiro cosmopolito-universale ingiurie immeritate e invidie.
Dalla sapienza greca noi apprendemmo che accedono al MITO, sottraendolo al semplice racconto, soltanto 3 figure elette: il sacerdote, il filosofo, il poeta.
Antonio Sagredo le racchiude in sé tutte e tre. Proprio perché, come accenna Ennio Abate nel suo commento a proposito di catarsi, Sagredo è tra i pochi che si è purificato prima della scrittura e purifica chiunque legga i suoi versi…
gr
@ Giovanni Ragno e Gino Rago
Ma che modo è questo di commentare? Elogi così iperbolici e non fondati su argomenti sono ridicoli. A me suscitano fastidio e ve lo dico apertamente. Quanto agli insulti, su Poliscritture non ce ne sono mai stati. E allora chiariamoci. Qui c’è bisogno di commenti critici non di incensi. Lo stesso saggio, che ho linkato in nota e dal quale ho stralciato un brano, va discusso e non usato per attribuirmi opinioni che non hanno nulla a che fare con quelle che ho espresso nei commenti e nelle introduzioni ai testi di Sagredo pubblicati su questo blog. ( Cfr. in particolare: https://www.poliscritture.it/2015/12/04/date-a-sagredo-quel-che-e-di-sagredo/)
Pienamente d’accordo con Ennio. Senza nulla togliere al valore della poesia dell’amico Antonio Sagredo, trovo eccessivo il commento di Gino Rago “Sagredo è tra i pochi che si è purificato prima della scrittura e purifica chiunque legga i suoi versi…”. Anche perché non viene detto cosa si intenda con “purificato”, se purificato da sani percorsi letterari, quindi dalla critica, oppure psicologici o spirituali, o che altro. Rago è sempre generoso ed entusiasta nei suoi giudizi. Ma il lettore non è infermo di mente, altrimenti perché e per chi tutte queste poesie?
Sì, il lettore (di poesia, in questo caso) non è “infermo di mente” e non è nemmeno uno che deve sorbirsi elogi sull’autore non argomentati. E’ stato pubblicato un testo di Sagredo. Lo si discuta, lo si interroghi, si dimostri la “grandezza” della sua poesia rendendo accessibile il suo “viaggio eleusino” a chi questo viaggio non lo ha fatto o neppure ha voglia di farlo, si mostri se e come Sagredo racchiuda in sé le “3 figure elette: il sacerdote, il filosofo, il poeta” della “sapienza greca”. ( Ammesso che di questo si tratti e che di questo ci sia bisogno oggi).
Caro Ennio Abate,
le 3 figure elette che hanno accesso al mito, oltre che da Forma ed Evento, di Carlo Diano, le ho apprese anche da
Giorgio Colli, Adelphi
La sapienza greca
(Dioniso, Apollo, Eleusi, Orfeo, Museo, Iperborei, Enigma).
Ma hai ragione tu non quando insinui ‘ammesso che di ciò si tratti’ ma quando
dubiti:’ammesso che di questo ci sia bisogno oggi’.
E non è il caso che mi impegni ulteriormente su tale fronte classico, a me davvero caro… e irrinunciabile.
Grazie, caro Ennio, della ospitalità sul tuo blog.
gr
Il mio “ammesso che di ciò si tratti” non era riferito alle “tre figure elette che hanno accesso al mito”. Indica il mio dubbio sul fatto che oggi qualcuno – Sagredo o altri – possa racchiuderle in sé. E sia chiaro chenon disapprovo affatto lo studio del mito o dei miti ma l’uso astorico e spesso politicamente ambiguo che ne è fatto.
P.s.
Poliscritture è uno spazio pubblico e non mi pare necessario ringraziare per parteciparvi.
Nello stralcio del commento, relativo alla immagine che accompagna i versi di Sagredo, di Ennio Abate:
“[…]una forma di purificazione, katharsis, consistesse effettivamente nella fustigazione. ”
ho appuntato l’attenzione su una parola-chiave della recente poetica sagrediana, da ‘Capricci’ in qua, per l’esattezza: catarsi.
E catarsi, caro Lucio Mayoor Tosi, l’ho tradotta direttamente in ‘purificazione’, una purificazione anche per fustigazione, com’è stato nella storia della scrittura poetica di Sagredo.
Una lunga storia di autocatarsi, e di autofustigazione linguistica, a partire dall’ellenismo di Mandel’stam, all’ellenismo di Forma ed Evento di Carlo Diano, passando per le frequentazioni intense del magistero di Angelo Maria Ripellino e della Voce di Carmelo Bene…
E poi la ricchezza lessicale di Sagredo è innegabile.
Così, caro Lucio Mayoor Tosi, spiego il passaggio da te incriminato del mio breve commento:
“[…] a proposito di catarsi, Sagredo è tra i pochi che si è purificato prima della scrittura e purifica chiunque legga i suoi versi…”, cioè ‘scrittura poetica’ come catarsi, per Sagredo, che la scrittura realizza, catarsi-purificazione per il lettore che si imbatte nei versi sagrediani.
gr
Non avevo dubbi, caro Gino Rago, che avresti colto l’invito. E’ solo che buttata lì sembrava un’affermazione priva di senso. Ora ne ha.
il mito greco sposa la commedia dell’arte; o viceversa?
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Eleusina, insegnami l’arte dell’estremo martirio,
il tramonto s’è sgozzato in una tazza occidentale
quando il trivio ha inforcato la rossa lanterna
e la fiammella s’è spenta per mutarsi in fuoco fatuo.
L’anima, questa invenzione, l’anima quanti specchi ha ingannato!
Io non potevo beccarla a sangue come i gabbiani, questi marosi alati!
Che di biacca truccano la mia maschera dalle altezze fin dietro le quinte
Per tradurre un Pierrot d’altri tempi in terrorista suggerito dalle scene!
Gli applausi, queste mani votate al chiacchiericcio, dagli altari a migliaia
Per tortili colonne mastini discendono dopo il sacrificio dei loggioni in fiamme,
Ed eccoti serafini in lacrime, Arlecchini incolori, Colombine assunte in lupanari…
Maschere queste anime orfane di corpi indistinti in giro dalle notti ai mattini!
La finzione che dagli specchi mi ritorna con disincanto
Eleusina, insegnami l’arte del disamore, il verso che disarma le parole!
Antonio Sagredo
Luogo (?), 19/20 agosto 2014
*Commentare* è per me impegnarsi in una *critica dialogante*. Misuro e voglio essere misurato su questo. Esibizionismo e chiacchiera da letterati, no grazie.