Su “La disciplina dell’attenzione” di Roberto Bugliani

Oswaldo Guayasamín, Capilla del Hombre, Quito 

di Franco Casati

Ecco il primo intervento sul romanzo di Roberto Bugliani, già segnalato qui. Casati parla di “romanzo-saggio” e, per il forte descrittivismo, lo collega all’ècole du regard del Nouveau Roman francese tra anni ’50 e ’60 del Novecento. Vi legge anche “un ‘manifesto’ di denuncia contro le condizioni di sfruttamento economico-sociale” di un paese latino-americano, l’Ecuador, che l’autore ha conosciuto da vicino durante i suoi viaggi. [E. A.]

Roberto Bugliani con ‘La disciplina dell’attenzione’ (Link Edizioni, ottobre 2019) propone un modello di romanzo dove il carattere descrittivo della narrazione, da una parte, e digressioni di contenuto storico, politico-sociale e culturale in senso lato dall’altra, rappresentano i due maggiori assi portanti; scrittura narrativa e scrittura saggistica, di taglio giornalistico, si alternano ad incastro, con tanta carne al fuoco, nel filo di una trama funzionale rispetto a queste finalità di scrittura. Sicuramente un lavoro di grande impegno, portato avanti con coerenza e determinazione, senza risparmio di tempo e di energia. La lettura del romanzo richiede la conoscenza  della storia, almeno recente, dell’Ecuador e degli stati confinanti, così come la conoscenza dello spagnolo, lingua di cui l’autore fa un largo uso, sia per dare colore al dettato sia perché ritiene che certe espressioni in lingua non siano traducibili. L’autore si pone nella scia della tradizione narrativa latino-americana, soprattutto nel ritmo, e nel forte e crudo realismo che la connota. Anche se le lunghe digressioni storico-culturali che la compongono,  che ne fanno una specie di romanzo-saggio, rallentano a volte la tensione narrativa. Necessarie, se si considera, a lettura ultimata, che l’autore vuole realizzare un ‘manifesto’ di denuncia contro le condizioni di sfruttamento economico-sociale di questo paese, contro una classe politica inetta e corrotta, contro lo strapotere delle multi-nazionali che portano avanti una condizione di miseria già realizzata, nei secoli, da un’arretrata dominazione spagnola. Dove, ad aggravare la condizione di povertà dei contadini, ridotti allo stremo dai latifondisti, e della popolazione ha concorso in maniera determinante anche il cambio del sucre  (la moneta nazionale) col dollaro americano avvenuta sotto il presidente   Mahuad. 

La trama, al di là dello scarso intreccio, si affida ai commenti del narratore (che spesso si rivolge direttamente al lettore, come dall’inizio, per richiamarlo  alla ‘disciplina dell’attenzione’, per coinvolgerlo nel racconto o per sfidarlo sul piano culturale, ma rischiando anche di apparire inopportuno, spiegandogli cos’è la narrativa moderna, dove la verità dell’opera va ricercata nel dettaglio. A mio parere non sono condivisibili le riserve che Bugliani avanza nei confronti di scrittori come Emile Zola e, soprattutto, Raymond Carver), ma principalmente ai dialoghi, di un fine tessuto psicologico, e alle descrizioni paesaggistiche e naturalistiche che l’autore porta avanti con lo sguardo di una forte tradizione locale di pittura, ma anche con una solida conoscenza scientifica della natura ecuadoregna. Notevoli le descrizioni dei paesaggi,  delle pendici dei vulcani, delle valli, di grande fascino, dove la natura si palesa come un’entità viva, che parla a chi la sa ascoltare, che va protetta. Ed è proprio dalla pittura che sembra nascere quella ‘disciplina dell’attenzione’ che caratterizza la scrittura di quest’opera, dai lavori di  svariati pittori, sui quali campeggia tuttavia la figura del grande Guayasamìn e della sua ‘Capilla del Hombre’. Una pittura ispirata a un realismo tragico, a sfondo sociale, che richiede un linguaggio descrittivo e fedele, un’attenzione che carica la realtà della sua giusta valenza.

Da qui prende le mosse quel descrittivismo, che potrebbe sembrare esasperato, della narrazione di Roberto Bugliani, che porta alle estreme conseguenze la strada aperta dal Nouveau Roman francese, dall’ècole du regard. Descrizioni particolareggiate e minute, sia degli esterni che degli  interni, del mondo urbano e di quello naturalistico, dei costumi, dei prodotti artigianali, delle persone e dei volti e di tanto altro ancora; annotazioni comportamentali e psicologiche rapportate a tipi umani caratteristici dei diversi ambienti sociali. Come se la parola dovesse possedere tutta la realtà per piegarla al proprio intento, ma non  nella dimensione straniante di un iper-realismo, semmai nella volontà di rappresentare un forte messaggio.

L’azione si svolge principalmente nella città capitale di Quito, e inizia davanti al Consolato delle Stato Spagnolo, dove una massa di poveri si rivolge per ottenere un permesso di espatrio in Europa, quasi impossibile da ottenere, e il destino che li attenderà sarà inesorabilmente quello di passare dalla miseria (stato endemico senza scampo) alla povertà, condizione che forse consentirà  loro di sopravvivere, andando a ingrossare le file della manovalanza a basso costo. La loro semplice fede religiosa, nell’aiuto di Dio, viene simboleggiata da un ‘un rosario inutile’ che un’anziana  donna stringe fra le mani.  I due principali protagonisti del romanzo si incontrano in questo luogo, Edison  il’ consejero’, che si offre, dietro compenso, ai presenti per curare i documenti da presentare all’Ambasciata, e un ‘gringo’, uno straniero, che cerca di immortalare con gli scatti della sua macchina fotografica la scena. Sono due personaggi-tipo, il primo, indigeno, che cerca di sopravvivere di espedienti; il secondo, europeo, che è alla scoperta di questo nuovo mondo per sfuggire alla routine di una vita che, nel suo paese, gli era diventata banale.  Nella loro relazione di amicizia Edison mette  il gringo a contatto vero con  la realtà del paese, dove tutto è condizionato dalla povertà, dove un turismo consumistico celebra, per contrasto, i propri riti e, forse per questo, egli ha imparato ad ‘amare la vita’ e a vedere  ‘l’umano nell’uomo’.  Gli fa conoscere il pittore  Holger (una figura significativa nella sua fragilità e nella sua intelligenza creativa), che attraverso il realismo radicale della sua pittura denuncia il crimine dei bianchi verso gli indigeni, quello di averli privati del rapporto sacrale con la terra ‘Pacha Mama’, e dei loro riti ancestrali. Dietro consiglio di Edison il gringo assisterà anche a un rito sciamanico, dove attraverso l’effetto della ‘ayahuasca’, una liana che cresce nell’Amazzonia, e l’azione dello sciamano, lo yachak,, avrà delle visioni; perché la pianta attiva la vista del corpo che si sostituisce a quella degli occhi; arriverà a intuire la figura dell’oroboros, del serpente che si mangia la coda, simbolo della rigenerazione. Avrà modo, così, di collegarsi con questa cultura ancestrale verso la quale l’autore invoca, giustamente, la protezione.

Il gringo si era già avvicinato alla cultura dell’Ecuador attraverso la lettura di scrittori  e poeti come Julio Cortàzar , Carlos Montemayor, Pedro Jorge e altri, documentandosi in profondità sulla  cultura  e la storia del paese, risalente all’Impero Inca, al mitico El Dorado, ma che nella sua parte più recente, dopo la fine della dominazione dal domino spagnolo, fra insurrezioni e colpi di stato è diventata lo scenario di una tensione politica che sembra evolvere come un magma fluido. Anche nel suo girovagare da turista la realtà che incontra è spesso drammatica: subirà una rapina a mano armata ( di notevole efficacia la descrizione delle sue reazioni emotive e psico fisiche), un furto con contorno di insulti e minacce,  tristi incontri sessuali a pagamento. A spingerlo, tuttavia, nella sua ricerca di conoscenza è l’amore che sente di provare per questo paese.

Ma la svolta chiave del racconto avviene con la conoscenza che il gringo stringe con Xiomena, una giovane donna che lavora alle dipendenze della moglie del sottosegretario agli Interni, Santos, sempre attraverso Edison. Questa parte della narrazione sembra comportare uno strappo rispetto al tessuto precedente, di forte e crudo realismo. Si entra in un clima romantico, dove la grande bellezza di Xiomena viene descritta con toni e accenti di marcata idealizzazione, dove  R. B. sembra volere dar fondo al meglio delle sue qualità narrative e descrittive. Il gringo se ne innamora perdutamente, succube del suo spirito latino e mediterraneo. Ma la donna lo sprona verso un sentimento e una scelta di ‘coraggio’, che egli non riesce dapprima a comprendere, a decifrare. Durante una escursione nella città di Banos de Agua Santa, con un  bus lungo la Panamericana Highway, egli riesce ad ottenere da lei il tanto agognato assenso alla sua vocazione sentimentale, consumato con un intenso scambio erotico che l’autore descrive  con il solito realismo. Questa lunga scena erotica viene narrata nella sua realtà con l’intento di differenziarla dalle precedenti  esperienze, connotate solo dalla freddezza di un  rapporto mercenario. 

Ma questo non basta a tenere legata Xiomena, lei appare condizionata da sentimenti di inferiorità, ma soprattutto perché legata a movimenti di guerriglieri che combattono contro il regime del presidente Rafael Correo, per il riscatto della Patria Grande, così come si scoprirà esserlo anche Edison. A tal fine mantiene un legame segreto anche con Santos, con il solo scopo di procurare documenti ai suoi amici combattenti. Allontanerà brutalmente il gringo, soffocando anche il suo stesso sentimento, ed egli dovrà rassegnarsi ad abbandonarla, così come si lascia un fiore alla sua terra.

 Mi sono limitato a riassumere le linee principali di una narrazione di circa 400 pagine, molto ricca di altri argomenti che queste poche righe non possono contenere. Non c’è niente di gratuito o di facile in questo romanzo, niente di scontato, anzi. Solo una lettura attenta, che consiglio caldamente, potrà evidenziarne i tanti valori, sia formali che di contenuto.

Ma non sarà questa la fine del romanzo, che lascio al lettore di scoprire, un finale ‘ciclico’, alla Garcia Marquez, per intenderci.

                                                                             

2 pensieri su “Su “La disciplina dell’attenzione” di Roberto Bugliani

  1. …ringrazio Franco Casati per l’analisi accurata e profonda del romanzo di Roberto Bugliani, analisi che meglio mi introduce alla lettura…. Sono arrivata solo al quarto capitolo, ma da subito mi hanno colpito la complessità dispiegata del materiale umano, paesaggistico, storico, geografico sulla realtà dell’Ecuador e lo stile narrativo vario, attentissimo sotto il profilo di ogni sensazione che possa pervenire all’osservazione dai cinque sensi…L’autore ci invita all’attenzione, ma spesso si diverte anche a distrarci, sovvrapponendo a dialoghi impegnativi tra personaggi la descrizione minuziosa di situazioni circostanti a trecentosessantacinque gradi e con digressioni di varia natura…Si sale su un’altalena di emozioni: la descrizione contemplativa del paesaggio o della bellezza (e virtu’) femminile, a volte a generare un trasalimento quasi da dolce stil novo, a volte la ripugnanza improntata a un piu’ crudo realismo di situazione… la scrittura ci puo’ portare al pedinamento incalzante di una donna , quasi la sua ombra, che rincasa spaventata nelle strade notturne di Quito…a seguire, magari, la pausa descrittiva da guida turistica fuori e dentro ai circuiti canonici oppure la narrazione straziante della storia di un popolo passato dal giogo dell’impero coloniale spagnolo a quello nordamericano…E c’è un ampio spazio per la narrazione di consuetudini, tradizioni, miti e leggende, come quella dell’uomo El Dorado, non località dunque, di un popolo fortemente amato. La trama è legata all’incontro di personaggi sospesi e nello stesso tempo realistici, dove l’intrigo internazionale di una vicenda, e i relativi sospetti, mette in collegamento piu’ mondi, piu’ culture…Del resto l’autore oltre ad invitare all’esercizio dell’attenzione, sembra chiederci anche di tenere la giusta distanza dai personaggi, senza cadere nel facile tranello dell’immedesimazione… Come aver letto dieci libri in uno, e sono solo a un quarto del romanzo …Molto, molto bello

  2. Anche se tardivamente, e scusandomene, ma la vita è tutto un rincorrere, e “te trae sorpresas”, per parafrasare il (grande) Arjona, non posso non ringraziare Franco Casati per la sua intrigante recensione, che mi ha dato materiale di riflessione, e la lettrice Annamaria.

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