Un palco per Giò

di Cristiana Fischer

Crescono irresistibili. Come ogni primavera i rami hanno emesso nuovi spunti di verde  tenero e quindi si allungano, le querce più vicine svettano per quindici metri sopra il tetto. La piattaforma di cemento si frattura in lunghe raggiere, seguendo il distendersi delle radici. Quando i venti volano sui boschi e precipitano sulla balza, i pini marittimi alti e rotondi resistono sul fittone e si aggrappano al terreno con i palchi orizzontali delle radici, ma i tronchi gemono.
Dai nidi sui rami vicini le grosse ghiandaie, con le penne copritrici azzurre sulle ali, ripetono i richiami degli altri uccelli e rispondono alla voce di Giò che imita quei versi. Con stridi acuti i nibbi dalle lunghe ali frangiate e le tozze poiane cercano le prede dall’alto dei loro cerchi nell’azzurro.
A Giò era nato un problema quando terminò la scorta dei suoi biscotti preferiti, quelli con panna e cioccolato. La parte chiara con la panna si inteneriva nel tè facilmente mentre la parte bruna col cioccolato impiegava più tempo a sciogliersi e perdeva di gusto, Giò decise comunque di frequentare i negozi dei paesi vicini per rifornirsi. Ma le scorte cominciavano a terminare dovunque. Ebbe allora l’idea di farsi spedire confezioni di biscotti da amici e parenti che abitavano in luoghi lontani.
Arrivavano per posta, biscotti spesso ridotti in briciole, mozziconi di biscotto che si scioglievano nel té in una pappa da raccogliere col cucchiaio da minestra ma il piacere di  gustarli le ravvivava l’umore.
Un giorno, appena uscita dall’ufficio postale dove aveva ricevuto due pacchetti che contenevano confezioni di biscotti, le si parò davanti un lupo nero.
In verità lo sentiva, lui o qualche altro membro del branco, ululare di notte, ma aveva protetto in una voliera di ferro le faraone, e anche se quelle strillavano quando si aggirava là intorno (e anche quando si affacciava la volpe o scendeva dall’alto a curiosare la martora, solita volteggiare tra i rami delle querce per succhiare le uova dai nidi) finora nessun predatore era riuscito a sgozzare uno dei suoi volatili.
Il lupo la fronteggiava davanti all’ufficio postale e abbaiava e ringhiava come un cane qualunque. Giò strappò la carta di uno dei pacchetti e gli lanciò una manciata di biscotti alla panna e cioccolato. Il lupo non li guardò neppure, non gli era arrivato un odore interessante.
Per fortuna comparve, per compiere qualche sua operazione postale, un grosso cacciatore, uno dei dintorni. Gridò, batté le mani e il lupo si allontanò annoiato.
“Credevo che si battessero le mani per cacciare via i cinghiali” osservò Giò.
“I cinghiali sono spariti da quando in Appennino hanno introdotto i predatori” la informò  il cacciatore, senza spiegare come mai battere le mani allontanava anche i lupi. Comunque, per ringraziarlo, Giò gli offrì da bere al bar, così divennero amici.
A questo punto si annoda un dramma intorno alla morte del cacciatore. Pochi giorni prima sopra la casa di Giò si era annunciato un cervo con qualche forte bramito. Rimasto nascosto nel fogliame, doveva essere un esemplare adulto a giudicare dai profondi e rauchi richiami.
Del cervo, del resto, tutti sapevano e in molti lo avevano visto. Tutti i cacciatori, in diverse batterie, preparavano in segreto le battute di caccia (infatti non era ancora aperta la stagione) per guadagnare dalla carne, la pelle e il palco di corna. Di notte balenavano i fari dei fuoristrada che si arrampicavano sui costoni e si udirono parecchi scoppi di fucile.
Presto il cervo scomparve dai discorsi.
Qualche settimana dopo l’incontro di Giò con il lupo e con il cacciatore, il corpo dell’uomo fu trovato nel bosco, morto e ricoperto di mosconi. I fuoristrada dei diversi gruppi, con i motori sforzati al massimo, raggiunsero la radura dove il corpo era steso a terra e intorno  alcuni cacciatori lo osservavano.
I nuovi arrivati si accostarono e, prima che qualcuno pensasse di fermarlo, un giovane di Roccamontana ebbe l’alzata d’ingegno di girare il corpo mettendolo bocconi. Allora tutti poterono notare la rosa dei pallini sulla nuca e la schiena del giaccone bucherellata in varie   zone: l’evidenza diceva che più fucili da caccia avevano sparato. Qualche emorraggia interna si era forse verificata ma il colpo letale era quello al tronco encefalico.
Tacquero tutti ma, prima che iniziasse un duello feroce e miserabile tra la paura perversa e l’innocenza indegnata, con la costruzione associata di infamie e torture intese a raggiungere la prova della colpa, realizzarono anche che in mezzo a loro alcuni, insieme, avevano ammazzato il cacciatore. Nessuno mai denunciò i colpevoli.
Si diffusero invece teorie diverse su chi aveva realmente ucciso il cervo e venduto la carne.
Ricevuto il palco di corna, Giò lo aveva subito coperto con una vecchia tovaglia e nascosto nella rimessa degli attrezzi. Tra qualche mese, forse anche un anno, lo avrebbe appeso sopra il camino, con una targhetta dorata in memoria del suo amico.

2 pensieri su “Un palco per Giò

  1. grazie Cristiana, un racconto intenso…Una curiosità: sei tu Gio’?
    La descrizione del territorio e della natura dell’ambiente appenninico – alberi animali umani- rivela un’approfondita conoscenza e altrettanto attaccamento affettivo…La visione è tuttavia realistica; si evidenzia, ma senza alcun giudizio di merito, la grande varietà biologica presente in quella zona montana, biodiversità, lo sviluppo rigoglioso vitale di varie forma di esistenza, compresa quella umana. Apparentemente semplice, la convivenza pone problemi di sopravvivenza, quindi genera una lotta perenne tra predatori e prede, in ruoli interscambiabili…L’essere umano non ne è esente, anzi è quello che aggiunge crudeltà e menzogna

  2. Giò è il nome di una ragazza alta forte e bionda che conoscevo tanti anni fa, il nome mi è venuto spontaneo dalla memoria. Il luogo invece è proprio quello in cui vivo, in mezzo a un bosco con tutte le bestioline e bestione che ci circondano. E’ vero che faccio il verso alle ghiandaie che mi rispondono, è vero che ammiriamo i volteggi della martora ladrona tra i rami, è vero che una volta avevamo i cinghiali davanti alla porta e che poi hanno introdotto i lupi, e i cinghiali (raccatta immondizie e carogne) non ci sono più. E che le querce soopravanzano il tetto di quindici metri e che, quando viene il maestrale, c’è da avere paura che qualche albero ci crolli in testa. Però… è una vita magnifica. Basta avere il wi-fi e internet…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *