Netanyahu: “Siamo in guerra”

Riordinadiario

7 ottobre 2023

 

A. LA NOTIZIA

Massiccio attacco di Hamas contro Israele: migliaia di missili lanciati da Gaza e irruzioni militari. 250 i morti israeliani e 1400 feriti, decine gli ostaggi. Netanyahau: “Siamo in guerra”. E ordina la rappresaglia: 232 morti e oltre mille feriti tra i palestinesi. Hezbollah cerca di sconfinare da nord

(https://www.rainews.it/maratona/2023/10/attacco-contro-israele-missili-da-gaza-e-irruzioni-militari-morti-e-feriti-d0475654-0b54-4d79-9004-28919ec99e08.html)

 


B
. I PRIMI COMMENTI1. Lanfranco Caminiti oggi sarebbe stata la quarantesima settimana di protesta contro netanyahu.


2.
Giorgio Mascitelli Credo che per collocare nella sua dimensione politica più propria questo attacco di Hamas a Israele, dovremo attendere che gli esperti militari spieghino l’altissimo numero di vittime israeliane sia militari che civili ( tra 70 e 100 in poche ore, secondo le varie fonti, basti pensare che in tutta la guerra del Libano del 2006, non andata proprio bene per Israele, le vittime furono di poco superiori): a seconda se ci diranno che questo è frutto di un effetto sorpresa o di una mossa disperata di Hamas oppure di un salto di qualità negli armamenti, sarà più facile supporre la radice regionale o globale di questo episodio del conflitto israelopalestinese. […]

3. Claudio Vercelli Hanno molti ostaggi. Vedo un susseguirsi di tragedie, un tragico stillicidio.

4. Pierluigi Fagan IPOTESI. In merito all’attacco di Hamas ad Israele, ricordo un dato di quadro forse utile per inquadrare gli eventi. Poco tempo fa, da Blinken in giù, si annuncia un nuovo e potente piano americano di pacificazione della questione israelo-palestinese, particolarmente caro a Biden, forse anche in funzione dell’incipiente campagna elettorale per le presidenziali dell’anno prossimo. […] l’azione di Hamas potrebbe aver avuto in vista la volontà di incendiare irrimediabilmente il tutto. Evitare l’Autorità svenda la causa, evitare l’emarginazione di Gaza e di Hamas stesso, evitare che i sauditi si possano ritrovare col nucleare che però è inibito agli iraniani (sicuramente vicini ad Hamas), financo evitare che la Cina si ritrovi una concorrenza logistica di tale tipo. […] Un’azione molti obiettivi, che dispiacerà a qualcuno ma piacerà non poco a molti altri. È solo un’ipotesi, magari serve o magari no, fate voi. Hezbollah la legge così e penso abbiano ragione…

Mi rimane però un dubbio. Chi aveva pensato a questo ipotetico progetto di pacificazione non aveva messo in conto una reazione di questo tipo? E se sì, la questione non si esaurisce allo stato attuale delle cose e dobbiamo prevedere qualcosa di più grosso in preparazione per tornare ad incendiare l’intera area dopo i tentativi di pacificazione promossi dai cinesi? P. s. come si può escludere che N.[Netanyahu], sapendo, non abbia lasciato fare? In fondo anche a lui conviene avere “cause di forza maggiore” per di non dover parlare con i palestinesi. Con quel governo, col paese spaccato, ha solo che tirato un sospiro di sollievo secondo me. 5, Marco Amici È possibile accumulare migliaia di razzi sotto il naso del servizio segreto israeliano? Me lo sono chiesto pochi minuti dopo aver letto la notizia. A me anche sembra più probabile che sapessero.

 

 

8 ottobre 2023

SEGNALAZIONE 1

Israele sotto attacco: un primo commento
di Claudio Vercelli
8 Ottobre 2023

Un attacco terroristico, un atto di guerra senza precedenti che avrà conseguenze di lungo periodo. Materiali, politiche e militari
Le analogie con la guerra del Kippur sono molte: i tempi, i modi, forse gli obiettivi. In una giornata di riposo, lo Shabbat, Sheminì Atzeret e Simchàt Torà, Israele è stato attaccato. L’intera parte meridionale del Paese è sottoposta ad una violentissima pressione che parte da Gaza. Nella regione settentrionale, Hezbollah ha animato le sue milizie. Le modalità degli eventi di queste ore presentano alcune affinità con il passato, sia pure con la sostanziale differenza che l’aggressione è, al momento, voluta da Hamas, con il pressoché certo concorso dell’Iran. Non si tratta di un evento destinato a rimanere isolato. Avrà senz’altro conseguenze di lungo periodo. Materiali e politiche.
Le forze armate e di sicurezza israeliane si sono impegnate, pressoché casa per casa, nel tentativo di sgominare i nuclei terroristici che, in un’operazione di gigantesche proporzioni, hanno minacciato un grande numero di insediamenti e centri abitati, a partire da Sderot, facendo diversi ostaggi tra i civili. Le vittime al momento sono più di duecento, ma i conti si faranno a violenze concluse. Nel mentre, i corpi dei soldati israeliani assassinati sono stati esibiti come degli osceni trofei. Al pari delle carcasse di alcuni veicoli militari, blindati e corazzati. Nelle grandi città del Paese le sirene hanno suonato ripetutamente. Israele è stato colto di sorpresa, come cinquant’anni fa. Il cordone di sicurezza israeliano nel meridione, a isolamento di Gaza, è saltato con una sorprendente facilità. Questa, in fondo, è la similitudine più evidente rispetto al passato.
C’è poi il resto. Oltre Gerusalemme, è comunque evidente che sono in gioco altri attori ed obiettivi. Primo tra tutti, l’ipotetico accordo in divenire tra Israele e l’Arabia Saudita, che avrebbe dovuto mettere definitivamente in sicurezza i rapporti politici tra Israele e i Paesi del Golfo. L’Iran va da sé che non lo voglia, intendendo pertanto giocare un ruolo pesantissimo al riguardo. Non di meno, ed è un secondo passaggio, già da tempo è aperta la questione del transito di potere in Cisgiordania, dove l’anacronistico potere dell’ottuagenario Abu Mazen, cristallizzato e ripiegato da almeno due decenni su di sé, è come una sorta di vuota icona: nel momento in cui cesserà, tra i più diretti pretendenti alla sua sostituzione c’è Hamas che, in tale modo, estenderebbe al West Bank il suo dominio. Una parte del mondo musulmano, che per nulla ha digerito i tentativi di “normalizzazione” nei rapporti con Israele, ora valuta gli scenari che si potrebbero aprire di fronte a questa fiammata di inaudite violenze. Che per molti aspetti sembrano assomigliare ad una sorta di guerra, ancorché perlopiù di carattere civile. E che chiama in causa, sia pure tra le quinte, il disagio che da molto tempo attraversa la componente araba della società israeliana. Tanto più dal momento che nei confronti della maggioranza politica che sorregge l’esecutivo in carica, dall’inizio di quest’anno è maturata una diffusa opposizione nella stessa società israeliana.
Un terzo elemento è infatti la tangibile difficoltà nella quale l’attuale governo Netanyahu – che ha costruito, altrimenti, anche sul tema della sicurezza parte della sua credibilità – si trova adesso a dovere operare. L’iniziativa militare è destinata a raggiungere i suoi obiettivi, rintuzzando l’aggressione in corso. Ma il prezzo politico non verrà risolto con il ristabilimento di un qualche ordine, più o meno certo, basato sulla mera compressione dell’avversario. Si apre infatti un nuovo capitolo del conflitto tra Israele, i palestinesi e il mondo arabo. Siamo entrati già da più di due decenni in un nuovo secolo. Il confronto tra Israele e le società arabe e musulmane ha assunto fisionomie del tutto differenti da quelle del Novecento. Anche da ciò bisognerà quindi ripartire, per ritessere una rete di sicurezza che, evidentemente, richiede non solo la capacità di risposta militare ma anche una negoziazione in grande stile che dal 2000 è invece completamente assente. Ovvero, che si consuma solo per piccoli passi, perlopiù con l’intenzione di sanare singole screpolature senza tuttavia avere un obiettivo tanto generale quanto definitivo. Il conflitto è tanto armato quanto politico. Ci vuole forza e determinazione in entrambi i campi, posto che Israele stesso, al suo interno, è attraversato da complesse trasformazioni ed è diviso su molti aspetti del suo medesimo futuro.
Un quarto fattore è la presenza di civili (e militari) israeliani come ostaggi a Gaza. È il tema per molti aspetti più urgente. Bisogna verificare in queste ore, con la più assoluta certezza, quale sia la reale situazione. Poiché il quadro potrebbe essere ancora più fosco di quanto già non sia al momento in cui scriviamo queste poche, immediate, affannate, tumultuose note. Si ha come l’impressione che si sia verificata una violenta scossa sismica alla quale potrebbe accompagnarsi un lungo sciame, destinato a durare nel tempo.


SEGNALAZIONE 2
Peter FreemanIsraele comunica, fornendone i nomi, che 26 soldati sono stati finora uccisi nel corso dell’attacco di Hamas, e che il computo delle vittime di parte israeliana si attesta intorno alla cifra provvisoria di 350. Se ne deduce che meno del 10 per cento delle vittime sono militari, gli altri sono civili. Quando si dice “civili” vuole dire uomini e donne di ogni età, inclusi anziani, bambini, infanti.
Ci sono inoltre 750 dispersi e, per ora, oltre 160 ostaggi che Hamas ha dichiarato custoditi in luoghi sicuri a Gaza: case, sotterranei, bunker. Molti degli ostaggi sono donne.
Sul fronte palestinese le vittime della risposta israeliana è di almeno 250 morti e un migliaio di feriti. Anche queste sono cifre provvisorie.
Mentre scrivo queste righe c’è una colonna di carri armati di Tsahal diretta verso Gaza e i soldati stanno sgomberando i villaggi palestinesi a ridosso del confine. Non sappiamo se saranno soltanto evacuati o anche distrutti: lo sapremo nelle prossime ore. Non sappiamo nemmeno se l’esercito di Israele entrerà fin dentro Gaza City. Anche questo lo vedremo. Invito comunque a non rilasciare commenti da esperti militari della domenica.
In Israele si tiene intanto sotto osservazione il Nord, i confini con il Libano, dove opera Hezbollah, e I territori della Cisgiordania. C’è preoccupazione per l’evolversi della situazione e l’apertura di altri fronti di guerra.
Ieri il parlamento iraniano ha salutato con giubilo l’attacco di Hamas, poi i portavoce e i consiglieri di Khamenei hanno comunicato che l’operazione ha visto la collaborazione iraniana e che sarà “vittoriosa”, accelerando la fine dello “Stato sionista”.
Ho provato a mettermi nei panni di chi fino a ieri esaltava la rivolta delle donne iraniane contro il regime e oggi, pur con qualche imbarazzo, saluta in Hamas un liberatore. Non ci sono riuscito. L’evolversi della storia propone sempre scenari complessi e notevoli testacoda e questo bisognerebbe saperlo. La verità, piaccia o meno, che tra i palestinesi l’egemonia del confronto militare (e dunque politico) è in mano a Hamas, non ai laici, non ai “moderati”. È Hamas a distribuire le carte, non l’ANP. Per ora è così e ogni premessa “sto con la rivolta ma non con Hamas” è flatus voci.
Lo Stato di Israele esiste dal 1948 e continuerà esistere. Chiunque ne invochi la distruzione o non sa quel che dice o è un folle guerrafondaio. Negli anni Israele si è coperto di innumerevoli e gravissime colpe e anche di crimini che ritengo inutile elencare uno a uno. E i palestinesi ne hanno sofferto. Anch’essi hanno una responsabilità: essersi affidati a una leadership a volte inadeguata e poco lungimirante (ANP) in altri casi orrenda e liberticida (Hamas). Il risultato è che non se ne esce.
Poi c’è l’intero scacchiere mediorientale ed è un vero casino, opaco e spesso indecifrabile, e gli attori in campo sono uno peggiore dell’altro. Ci vuole un certo fegato per schierarsi o di qua o di là. Io non ce la faccio.

SEGNALAZIONE 3

Nevio Gambula
Di nuovo il mantra del diritto di Israele di difendersi. Di nuovo l’infamia riservata ai soli palestinesi. Eppure, i crimini di Israele sono noti: apartheid, uccisioni e ferimenti gravi, distruzione di abitazioni e infrastrutture, espropriazione di terre e sfollamento arbitrario di migliaia di persone dai propri villaggi, insediamenti illegali, punizioni collettive, arresti illegittimi, persino di bambini … Per decenni nessuno ha condannato questi crimini, e ciò che non si condanna diventa lecito: e infatti Israele gode di una sostanziale impunità.
Agli occhi degli occidentali, la colpa è sempre dei palestinesi; a Israele è assegnato il ruolo di vittima innocente e mai, nemmeno di fronte ai crimini più evidenti, si sente l’urgenza di condannarlo. Di conseguenza, i palestinesi diventano “terroristi”, persino quando manifestano pacificamente o si limitano ad esporre la loro bandiera. Perché tra Israele e i palestinesi c’è una distanza incolmabile: quella che separa il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, la civiltà dall’inciviltà.
L’impunità di Israele è la causa primaria dell’orrore, ed è un’impunità che ci riguarda, giacché essa ci chiama in causa come Occidente: siamo noi ad avere consentito che si perpetuasse la violenza insita nella politica di Israele nei confronti dei palestinesi, che è una politica profondamente COLONIALE; ci riguarda, e ci rende corresponsabili.
Quando i cecchini israeliani sparavano a persone inermi, persino a disabili (ci sono video raccapriccianti che lo provano), ci siamo girati dall’altra parte; siamo sempre pronti a protestare o a invocare sanzioni se i russi uccidono un giornalista, ma quando sono gli israeliani a farlo, preferiamo tacere. E così via, in un silenzio che è connivenza, reiterando all’infinito quel ciclo di occupazione e resistenza che non può che sfociare nell’orrore.
Ci siamo immedesimati in Israele, al punto di non vedere quello che sta facendo da decenni, e senza renderci conto di come di fronte ai suoi crimini diventa ipocrita la nostra protesta di fronte ad altre violazioni della legalità internazionale o ad altri crimini di guerra. Perché le violazioni e i crimini di Israele sono, per così dire, certificati (esistono decine risoluzioni di condanna dell’ONU); accadono realmente, ma ovviamente essi trascendono il nostro giudizio. Sono troppo spiazzanti per essere oggetto di condanna, giacché ci rimandano indietro la nostra stessa immagine.
Chi, come noi, si appella al diritto di Israele di difendersi, non ha bisogno di affannarsi a capire le motivazioni profonde della rabbia palestinese. Non occorre cercare ciò che non riconosciamo, ossia il diritto dei palestinesi a resistere all’occupazione coloniale. In fondo, a noi occidentali non interessa l’effettiva applicazione del diritto internazionale o la difesa dei diritti dei popoli oppressi; per noi un’unica cosa ha valore: guardarci allo specchio e assolverci.

SEGNALAZIONE 4

Andrea Zhok
(pagina FB)
·
L’operazione militare di Hamas di ieri ha suscitato l’usuale ondata di dichiarazioni di circostanza.
In quasi tutti i paesi ci si è affrettati o a “dichiarare solidarietà a Israele per la vile aggressione” (blocco americano, cioè UE e Commonwealth) o invece a “esprimere sostegno al popolo palestinese per l’iniziativa di resistenza all’invasore” (paesi islamici).
Eccezioni importanti sono state le dichiarazioni di Russia e Cina, che hanno cercato una posizione di equidistanza, chiedendo una de-escalation e l’avvio di una durevole trattativa di pace.
Ora, l’atteggiamento meccanico di schieramento e sostegno purchessia, specificamente nei paesi non direttamente coinvolti come i paesi europei, è precisamente ciò che ha supportato nei decenni quella infinita carneficina che è il conflitto israelo-palestinese.
Si tratta di un atteggiamento schiettamente irresponsabile e vile.
Almeno dagli anni ’80 la situazione dei rapporti tra lo stato israeliano e i palestinesi dei territori occupati è un rapporto di squilibrio di forze tale per cui la conflittualità non è più definibile come un confronto, ma solo come un’oppressione unilaterale punteggiata da episodi insurrezionali.
In precedenza esisteva un continuum tra irrisolta questione palestinese e conflittualità con i circostanti paesi islamici, ma a partire dalla pace firmata nel 1979 tra Israele ed Egitto, il destino del popolo palestinese si è sostanzialmente distaccato da quello degli stati arabi, almeno sul piano dei rapporti di forza.
Ora, l’asimmetria di potere è sempre anche un’asimmetria di responsabilità.
In un contesto di superiorità militare ed economica incomparabile da parte israeliana, i rapporti conflittuali tra Israele e la Palestina occupata non sono rapporti in cui è possibile chiedere alle controparti responsabilità, iniziative e disposizioni simili.
La responsabilità di proporre percorribili strade verso una risoluzione pacifica dei rapporti ricade necessariamente sulla componente più forte.
Provenendo da quella più debole una proposta di pace non può che presentarsi nella forma di una resa e di una subordinazione.
Ma l’ultimo tentativo concreto di formulare un realistico percorso di pace risale a 23 anni fa: la proposta del governo di Ehud Barak, nel 2000, che venne rifiutata dall’allora leader del OLP Arafat.
E’ passata da allora una generazione e la conflittualità ha preso la forma di una pura e semplice oppressione senza limiti e remore, in un crescendo di abusi e soprusi, come la chiusura da parte dei coloni dei pozzi di rifornimento idrico palestinesi o i ripetuti raid nella moschea di Al-Aqsa, ecc.
La vita nei campi palestinesi è la vita di un enclave senza prospettive, priva di sovranità, integralmente dipendente letteralmente per la vita e per la morte da uno stato ostile.
In questo contesto sono nate oramai quattro generazioni di palestinesi.
In Israele il processo di radicalizzazione etnica e di opposizione frontale ad ogni mediazione è cresciuto progressivamente, in parallelo con la crescita di influenza dei partiti ortodossi. L’aumento demografico delle componenti più radicali dipende anche dalla normativa degli anni ’90 che conferisce alle famiglie ortodosse grandi privilegi fiscali e condizioni di favore nel mantenimento della prole.
Questo processo di radicalizzazione è culminato anche simbolicamente nel 2018 con l’approvazione di una legge che trasforma ufficialmente Israele in uno stato etnico, uno stato dunque dove ad oggi 1.200.000 cittadini (arabi o cristiani) sono trattati come stranieri in patria.
Ecco, ora molte altre cose potrebbero dirsi volendo fare un’analisi storica di una vicenda che parte almeno dalla colonizzazione inglese della Palestina antecedente alla prima guerra mondiale. Ma anche limitandosi a questi pochi tratti di prospettiva credo debba risultare chiaro come sia insensato e irresponsabile trattare questo – come ogni altro – conflitto svegliandosi al mattino di un evento militare eclatante solo per dichiarare a costo zero il proprio schieramento di tifosi, per poi tornare ai propri videogames o all’apericena (cit.).
La mancanza di una prospettiva storica è cecità autoinflitta e sfocia sempre nel dogmatismo autoritario.
E’ noto che l’unica prospettiva risolutiva di questo conflitto pluridecennale, esacerbato oramai in odio viscerale può essere solo il riconoscimento di due stati sovrani, ciascuno con il proprio diritto all’autodeterminazione e all’autodifesa, e con una distribuzione territoriale che consenta alla popolazione palestinese un’organizzazione unitaria e funzionale. (Nessuno crede che si possa davvero ritornare all’unica definizione territoriale dello Stato di Israele che è stata internazionalmente riconosciuta, cioè quella della risoluzione ONU 194 del 1947, ma non si può neppure immaginare uno stato Palestinese ridotto a frattaglie di territorio prive di accesso a risorse minime per la sopravvivenza, a partire dall’acqua.)
Al netto di quali siano le soluzioni effettivamente percorribili, in questo quadro gli unici peggiori dei violenti e dei prevaricatori sul terreno sono le tifoserie esterne, comodamente assise nei propri salotti.
Ed un particolare posto all’inferno verrà riservato all’ignavia delle classi dirigenti europee, che avendo sia l’interesse che la potenziale credibilità per mediare in questo conflitto si sono da tempo ritratte nell’asservimento alle disposizioni degli USA – che non hanno né l’interesse, né la credibilità per alimentare una pace duratura in Medio Oriente.

SEGNALAZIONE 5

Pierluigi Fagan
(stralcio dalla odierna pagna FB)

[…]Passiamo ad Israele. Lasciamo perdere la storia del Paese, com’è nato, che problema questo ha creato agli indigeni (palestinesi) e la complessa stratificazione di torti ed odii sedimentati reciprocamente.
C’è da notare, che i palestinesi di Gaza hanno uno degli indici di riproduzione più alti al mondo, gli israeliani suppongono ci sia dietro una precisa ideologia ovvero la “demographic bomb”. Così, hanno cominciato ad importare massicciamente famiglie di origine ebraica (ma qualcuno sospetta che tale origine non sia sempre vera), soprattutto dall’Europa dell’est dopo il crollo sovietico, il che li rende soggetto interessante anche per i russi, oltreché per la loro posizione nel Mediterraneo e nel complesso “gioco” con il mondo arabo su cui Mosca ha da sempre forte interesse strategico.
Questa importazione massiccia è anche alla base dell’attuale frattura interna la società israeliana dove sono aumentati di tanti, in poco tempo, i fondamentalisti religiosi, una partizione storica di quella società, ma storicamente molto minoritaria. Accanto, c’è l’Autorità palestinese, ovvero un governo di fatto di un non stato che ha precaria definizione giuridica, con un territorio fatto a macchie continuamente allargate dalle occupazioni israeliane che debbono far posti ai loro nuovi importati e che ed è abitato da palestinesi una cui parte ha perso il fuoco sacro del conflitto e vorrebbe solo lavorare, far soldi e vivere anche solo come classe subalterna dei più agiati israeliani, in pace.
La popolazione di Israele, al 20% è araba.
Poi ci sono, storicamente, i soliti britannici che il problema Israele hanno creato ab origine, i francesi, l’UE che tanto non ha senso geopolitico ma fa presenza e naturalmente gli americani su cui spero non sia necessario dire perché sono sempre della partita, quali interessi hanno e perché. Spero sia tutto noto.
Attorno all’arena, il “popolo” vociante del nostro Colosseo di opinioni disinformate ma potenziate da emozioni che traboccano che incita “ammazza quello!” o “sventra quell’altro!”. Di lato, il coro corrucciato che invoca “pace” “pace” come s’invoca l’acqua del deserto, cioè sapendo che non c’è.
A questo punto torniamo al titolo. Chiunque di noi, comunque la pensi o non la pensi e si limiti a sentire la pena umana per quel decennale massacro permanente, penso invochi la pace. Il problema però è che, come spero risulti chiaro sebbene questa nota sia molto stilizzata e superficiale, non puoi immaginare di trovare la pace a tutto questo casino se non mettendo tutti intorno ad un tavolo cercando il punto di mediazione. La pace tra parti prevede sia contrattata tra tutte le parti, siamo all’ovvio.
Tutto ciò a dire che il presunto piano di pace americano che vorrebbe mettere assieme sauditi ed israeliani, è chiaramente un piano di guerra, un piano che piace solo ad alcuni, quindi dispiace a molti altri, è esso stesso se andasse in porto, motivo per future guerre.
Nessuno degli attori citati vuole la pace, è tutta commedia di un sottostante che, come al solito, è groviglio di interessi. E’ un tentativo di riportare la guerra in Medio Oriente dopo che i cinesi, del tutto alieni da questo gomitolo di questioni (immagino i cinesi che studiano l’area sfogliando il libro della storia e delle religioni e si domandano quanto strane sono queste genti) hanno cercato di fargli voltare pagina dopo le ferite della Siria. Naturalmente, anche loro, non per bontà, per interessi ma almeno interessi di “doux commerce”.
L’area è una sterpaglia imbevuta di odio e sostanze infiammabili, “pace”, detto da Biden, è il nome del cerino.
[Il post è scritto di getto, riletto una volta, ho pescato nella mia memoria di conoscenze ma possono esserci imprecisioni, me ne scuso ed accetterò correzioni se corrette. Preferisco comunque la tempestività di dire qualcosa a caldo]

 

SEGNALAZIONE 6

Diego Vanni Macaluso
·
Hamas essendo filiazione della fratellanza musulmana è antiebraico a prescindere da Israele. E’ integralista a prescindere dalla costrizione in cui si vive a Gaza. Noto che a sinistra, campo vasto di cui mi sento parte, c’è sempre una difficoltà a vedere l’altro per come si autorappresenta e Hamas è quella roba lì. Bisogna per forza ribadire che Hamas è stato “incentivato” da Israele. Ebbene Hamas resterebbe, a prescindere dall’incentivo, un movimento razzista, misogino e bigotto. E il bisogno di ribadirlo anche dopo i fatti di ieri, è fastidioso perché ributta l’onere sulla vittima, perché nella giornata di ieri Israele è stato aggredito. La repressione israeliana, che non si esercita però in quelle forme e talvolta la forma è sostanza, non farebbe pari e patta con quanto visto ieri ma semmai si sommerebbe nell’orrore. Ieri abbiamo visto un pogrom più che un atto di resistenza.
Allo stesso modo pensare che quella di Hamas sia una semplice “reazione” è riduttivo. Hamas ha organizzato e pianificato questa mossa ragionando politicamente: pensando al simbolo del cinquantesimo del Kippur e calcolando la profonda divisione interna della società israeliana, con una leadership che divide, come propizi all’offensiva. Mandando all’aria poi il “grande disegno” di Netanyahu di un accordo coi paesi arabi per aggirare i palestinesi. Che Israele possa avere tatticamente appoggiato l’insediamento di Hamas nella società palestinese in funzione anti Fatah è molto probabile, e che Hamas sia parsa più credibile alla società palestinese di Fatah come classe dirigente perché più attenta ai bisognosi e meno corrotta è solare.
E’ però altrettanto solare che Hamas, per statuto, abbia come obiettivo la distruzione di Israele e che punti a minare la già compromessa autorità nazionale palestinese.
Non si può patteggiare con chi vogliamo distruggere o, negli estremisti dall’altro campo, con chi vogliamo espellere.
Quella di Hamas è una forma di guerra santa, di liberazione dei luoghi santi, che usa anche la resistenza. Contro l’occupazione israeliana e contro le forze “laiche” palestinesi. Quest’ultimo tratto è comune con la fratellanza musulmana in Egitto che fu sempre acerrima nemica di Nasser. Infine: che l’occupazione israeliana sia alla base dell’instabilità di quell’area, che abbia giovato all’insediamento di un movimento come Hamas in un società un tempo molto più laica di altre in quell’area e che sia un fattore destabilizzante è vero.
Tuttavia mi permetto di dubitare che Hamas rinuncerebbe ai suoi obiettivi se d’incanto Israele si ritirasse dai territori.
La fine dell’occupazione, da me auspicata, sarebbe la fine di tanti alibi. E sarebbe già tantissimo. Che possa essere la fine del conflitto ne dubito. Soprattutto viste le forze estremiste di entrambi gli schieramenti.
Infine questa spasmodica ricerca di mandanti esterni: Iran, Russia, USA, che si sta scatenando da ieri, è offensiva sia per chi crede nel diritto di Israele di difendersi sia per chi difende la lotta del popolo palestinese. Non si fanno atti simili per conto terzi. La parti in causa vedono questo scontro come fondamentale per la loro esistenza. E questo dovrebbe bastare e avanzare per temere ciò che il futuro potrebbe riservare, anche al di fuori di quel territorio.

SEGNALAZIONE 7

Wlodek Goldkorn

sto pensando alle tv israeliane che in queste ore trasmettono le testimonianze delle persone coinvolte nell’attacco del Hamas ieri. Non le riporto. Dico solo che sono soggetti che parlano e riflettono. Non è tv del dolore. E non hanno paura di dire cose spiacevoli (si parla di chi è scampato alle stragi e di chi ha parenti ostaggi del Hamas).
In questo momento, è questa la mia impressione, Israele è una società che riflette sull’accaduto, criticamente, non per dare le colpe (ci sarà il momento della chiamata alle responsabilità) ma per poter pensare al futuro, per non perdere la voglia di vivere, per fare società civile, civile. Insomma vedo quella che Hannah Arendt chiamava la sfera pubblica (e da vecchio mi viene da piangere)

 

9 ottobre 2023

 

Segnalazione 8

 

 

POSIZIONE SALOMONICA? /GIANNULI
miei appunti – a volo e a frammenti – ascoltando l’audio

ostaggi altrettanto aveva fatto israele- fallimento intelligence di Israele |controllo satellitare|incursione di terra non invasione| penetrati in profondità|castagna bollente degli ostaggi| Primo: salvare la pelle agli ostaggi| Seguirebbe il massacro dei prigionieri in israele|rappresaglia dare una lezione ad hamas e hamas reagirà| imbecille, sei in guerra ma non da oggi!| Stai facendo finta di trattare! Non vuoi trattare con Hamas| guaio culturale. Bestialità della categoria di terrorismo! Si finisce per non capire l’avversario | devi entrare nella testa del nemico| esorcisma| il terrorismo non esiste. Esiste la guerra irregolare ma anche nella guerra regolare si fanno azioni terroristiche| il più debole tende a difendersi tirando su di sé un cono d’ombra| tecniche adottate anche dai nostri partigiani: il più debole colpisce restando nascosto| qui esiste un conflitto irregolare| entrambi hanno compiuto aggressioni almeno dal 2006 in poi| entrambi i contendenti sono ubriacati dall’idea di vincere militarmente| rottura profonda in israele: Netanyhau cancro| hanno vinto gli estremisti delle due parti, i falchi di opposte fazioni| tutti devono fare un passo indietro| non puoi fare il tifo per uno dei contendenti| occidente mai capace di influire su Israele| hamas ha percepito la debolezza politica di Israele| situazione internazionale favorevole| se non adesso quando| Hamas si illude di fare una guerra di logoramento| Israele o tratta o fa la rappresaglia militare esponendo alla morte i suoi ostaggi o invade Gaza alla ricerca degli ostaggi| ci sono degli automatismi| Netanyhau per non passare per debole deve fare un’azione più grossa: è la continuazione della guerra da 70 anni| dannosa la posizione europea sbilanciata a favore di israele|rafforza l’incendio| tocca ad israele fare il primo passo| perché contendente più forte| io chiederei la testa dei vertici dei servizi israeliani| inevitabile un intervento di paesi terzi| già c’è la guerra in Ucraina, abbiamo la situazione africana che per ora non precipita ma è a rischio, ora la guerra tra palestinesi e israeliani: stiamo spingendo conflitti locali legati tra loro e che portano verso l’abisso di una guerra generalizzata| posizione russa tiepida (film già visti) ma oggi il quadro generale è pieno di focolai che forse non saranno più controllabili| i russi non sanno più come uscire dalla guerra in cui si sono infilati| gli ucraini pure| tendono a distrarre l’altro| basta con l’elenco dei paesi canaglia| non servono politicamente| usare la politica: diplomazia e pressioni: sganciare Hamas dall’Iran:|dall’altra parte non si può dare per scontato che Israele venga appoggiata qualunque cosa faccia| riconoscere torti o errori di entrambe le parti| da tutti e due lati lo sforzo dev’essere di ragionare in modi diversi| logica di potenza è logica paraimperiale| non sono un pacifista ma odio le guerre che vanno evitate con la politica| anche in Ucraina flop dell’intelligence delle varie parti| come rimettere in moto la politica?| classi politiche di imbecilli| non è un caso che sta succedendo questo disastro| anche Xi sta uscendo ammaccato…

24 pensieri su “Netanyahu: “Siamo in guerra”

  1. Se è lecito pensarlo, è in corso anche un conflitto tra culture: da tempo ci sono testimonianze di donne di Gaza discriminate dalla cultura patriarcale, per non dire, poi, della situazione delle donne nell’Iran, sponsor di hamas.
    Vale quello che vale, dati i rapporti tra Iran e Russia, la terza Roma! Eppure, anche le immagini sul trattamento riservato alle donne in ostaggio…
    Oppure: à la guerre comme à la guerre?

  2. DA POLISCRITTURE SU FB

    Ezio Partesana
    E meno male, viste le “segnalazioni”, che le noiose tifoserie erano state bandite…

    Ennio Abate
    Se ritieni che una o tutte le 4 segnalazioni da me fatte vadano categorizzate come “noiose tifoserie”, segnala tu.

    Ezio Partesana
    Al momento l’unica cosa che segnalerei sarebbe la nostra poca intelligenza ripetitiva e la scomparsa di qualunque prospettiva non dico critica ma almeno sensata. Se a te, amico mio, far l’elenco di chi ricorda i “torti” di Israele è sufficiente a comprendere cosa è accaduto, che Dio ci abbia in gloria…

    Ezio Partesana
    Bene. Provo allora una prima domanda e confido negli interlocutori: Qual è l’obiettivo politico di questo attacco?

    Ennio Abate
    Scusa, Ezio, fa’ pure le domande ma comincia a dare anche tu qualche risposta. Oppure facciamocele insieme e cerichiamo le risposte.
    Ad es. Pierluigi Fagan (nel precedente post ho segnalato la sua posizione…) una risposta ( una ipotesi per la precisione) l’ha fatta.
    La riporto qui per comodità tua e di altri:
    “4. Pierluigi Fagan IPOTESI. In merito all’attacco di Hamas ad Israele, ricordo un dato di quadro forse utile per inquadrare gli eventi.
    Poco tempo fa, da Blinken in giù, si annuncia un nuovo e potente piano americano di pacificazione della questione israelo-palestinese, particolarmente caro a Biden, forse anche in funzione dell’incipiente campagna elettorale per le presidenziali dell’anno prossimo. […] l’azione di Hamas potrebbe aver avuto in vista la volontà di incendiare irrimediabilmente il tutto. Evitare l’Autorità svenda la causa, evitare l’emarginazione di Gaza e di Hamas stesso, evitare che i sauditi si possano ritrovare col nucleare che però è inibito agli iraniani (sicuramente vicini ad Hamas), financo evitare che la Cina si ritrovi una concorrenza logistica di tale tipo. […] Un’azione molti obiettivi, che dispiacerà a qualcuno ma piacerà non poco a molti altri. È solo un’ipotesi, magari serve o magari no, fate voi. Hezbollah la legge così e penso abbiano ragione…
    Mi rimane però un dubbio. Chi aveva pensato a questo ipotetico progetto di pacificazione non aveva messo in conto una reazione di questo tipo? E se sì, la questione non si esaurisce allo stato attuale delle cose e dobbiamo prevedere qualcosa di più grosso in preparazione per tornare ad incendiare l’intera area dopo i tentativi di pacificazione promossi dai cinesi?
    P. s.
    come si può escludere che N.[Netanyahu], sapendo, non abbia lasciato fare? In fondo anche a lui conviene avere “cause di forza maggiore” per di non dover parlare con i palestinesi. Con quel governo, col paese spaccato, ha solo che tirato un sospiro di sollievo secondo me.”

    Ezio Partesana
    Se ho capito bene, dunque, Hamas ha attaccato in questa forma per bloccare gli incontri diplomatici di Israele con l’Arabia Saudita e per mettere in difficoltà l’Anp; consideriamo questi obiettivi giusti o almeno legittimi?

    Ennio Abate
    E insisti? Ho già scritto sopra: fa’ pure le domande ma comincia a dare anche tu qualche risposta.”
    Vuoi dialogare o fare l’inqusitore? (Tra l’altro solo nei miei confronti, perché altri non mi pare abbiano voglia d’intervenire).
    P.s.
    Chi semina odio (soprattutto odio), raccoglie odio.
    La storia è crudelissima: O Israele elimina Hamas (ei palestinesi) come fecero i colonizzatori bianchi nelle Americhe coi pellirosse e gli indios. O Hamas e gli arabi eliminano Israele. O ci si spende per una possibile convivenza. Vale in Medio Oriente, in Ucraina, dovunque.

    Ezio Partesana
    La mia risposta, ammesso che abbia senso ragionare da ignorante, è che Hamas intenda quello che dice e scrive, e che i suoi obiettivi non abbiamo nulla a che fare con la libertà per il Popolo palestinese (per non parlare poi di una società un poco più giusta). Con facile spirito di sventura prevedo la morte di persone che non c’entrano un cazzo. E con quello che mi è rimasto di furore politico, lo trovo inaccettabile.
    Un saluto.
    Ezio.

    Ennio Abate
    “La mia risposta, ammesso che abbia senso ragionare da ignorante, è che Hamas intenda quello che dice e scrive, e che i suoi obiettivi non abbiamo nulla a che fare con la libertà per il Popolo palestinese (per non parlare poi di una società un poco più giusta)”

    Questo vale altrettanto ( e forse di più, vista la maggiore potenza militare ed economica) per l’Israele di Netanyhau. Non puoi tener fuori la sua politica negli ultimi decenni. (non dico che lo fai sempre, ma in questa replica sì).
    Lo dicono diversi commentatori non certo filo Hamas. Vedi Fabio Della Pergola citato da Brunello Mantelli sulla sua pagina FB:
    “Tuttavia è indiscutibile che il deterioramento delle prospettive di soluzione alla questione israelo-palestinese, che ha trovato nel ventennio Netanyahu un interlocutore sordo, cieco e muto (oltre che strategicamente ottuso e violento), ne sia una evidente concausa.
    Resta il rimpianto delle occasioni perdute; come nel 2000 quando l’ultimo governo israeliano laburista offrì alla controparte palestinese un pacchetto di proposte che accoglievano in larga misura le sue richieste”.
    Noi continueremo a ragionare “da ignoranti” ma vale ancora la pena di farlo fino alla fine della tragedia in arrivo.

    1. Il conflitto è profondamente radicato in secoli di storia, sia in quella regione che altrove, così come nell’antisemitismo culturale di lunga data, che è stato in aumento e che ora, in alcuni paesi, è a livelli molto elevati. Per quanto mi riguarda, sto cercando di essere cauta e di non fare speculazioni su questioni di cui non sono esperta.
      È comunque innegabile che per 75 anni, il governo israeliano ha mantenuto un’occupazione militare sui palestinesi, gestendo un regime di apartheid. I l massacro di oggi e degli ultimi 75 anni è direttamente riconducibile alla complicità degli Stati Uniti nell’oppressione e nell’orrore causati dall’occupazione militare di Israele. Il governo degli Stati Uniti costantemente favorisce la violenza del governo di Netanyahu e ne porta la responsabilità in questo momento.

  3. ‘chi semina vento raccoglie tempesta’..
    in questo caso però la tempesta non è tanto risultato diretto ed immediato dei nazisionisti al governo quanto il frutto avvelenato dell’accordo USA-Arabia-Israele. Biden l’ha forzato dopo l’Ucraina, dopo la creazione un mese fa della ‘Nato dell’Est’ con Giappone e Corea sud insieme (!), nel suo piano non solo e tanto per il contenimento e annientamento della Cina quanto anche per il dominio mondiale. Nella sua follia è ancora peggio dei Bush, che si limitavano a un solo continente per volta.
    I Palestinesi ormai da lungo tempo avevano smesso di essere protagonisti, in un lungo strascico di sfinimento e corruzione e di promesse mancate da nemici e amici. Dopo questo accordo avrebbero smesso ufficialmente di esistere; si sono trovati anche loro in Zugzwang, di fronte a due alternative entrambe cattive: accettare di sparire, o giocare il tutto per tutto in uno scontro disperato e costoso (quanto lo capiremo nei prossimi giorni). Per sfortuna di Israele la loro iniziativa militare (la necessità aguzza l’ingegno) è stata variata e tragicamente efficace. Ed ha raggiunto il suo scopo precipuo: hanno fatto sapere al mondo che esistono ancora.
    Che si critichi Hamas, che ci si chieda cosa può venirne non ha senso rispetto a questo obiettivo. L’unica cosa su cui i governi si dovrebbero interrogare è: se togli a un popolo la speranza, cosa gli resta?

  4. DA POLISCRITTURE SU FB

    SEGNALAZIONE 9

    IL POGROM, OVVERO UN POST MOLTO DIFFICILE-
    di Claudio Vercelli
    https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=pfbid04G4MRtZfooC8wEaZU7k8v75JsBMDDhgy3kFAGKdPeWJkTJWNuRL4GisazBnGChMql&id=100070172837452

    Devo scrivere e parlare, per più “committenti”, a volte contemporaneamente, di quanto sta succedendo tra Israele e Gaza. Tuttavia, sono tanto angosciato quanto avvilito. Quasi annichilito. Per davvero. Perché mi sento inadeguato. Quindi, anche di ciò, in fondo, stanco. Molte cose fatico a comprenderle. Per capirci: non posso dire, in piena franchezza, di essere stato preso completamente di sorpresa, ossia in contropiede, dalla violenza dei fatti concreti. Ciò, non perché abbia più capacità di coloro che – da sempre – monitorano, direttamente sul campo, la situazione. Al pari di essi, in fondo, semmai mi aspettavo – prima o poi – un surplus di ferinità, di ferocia, di barbarie. Sapevo che il fuoco covava sotto le ceneri e le braci. Hamas, e non solo l’organizzazione gazawita in sé, ma anche – e forse soprattutto – altre soggetti, saldamente presenti in tutta la regione MENA (Middle East-North Africa), costituiscono un robusto microcosmo di movimenti fondamentalisti e totalitari, il cui islamismo va a braccetto con il lascito europeo di radice nazifascista. La butto così, non per “épater le bourgeois” bensì per offrire, a chi mi dovesse leggere, delle subitanee, quanto incerte, chiavi di comprensione, (Basta spostarsi nel Sahel, e nelle regioni subsahariane, per capire da subito di che cosa io stesso vada parlando, con la feroce pressione che da molto tempo si perpetua contro le comunità cristiane.) La caccia, nel caso di questi ultimi due giorni, è stata -invece – all'”ebreo”. Non al “sionista” e, ancora meno, al militare in armi. Le immagini e i riscontri, al riguardo, sono incontrovertibili. C’è quindi un universo di significati da comprendere, dietro ad una tale configurazione. A partire da tre cose, tra le tante altre possibili: 1) per quel che mi riguarda personalmente, il fatto che certuni – più impegnati di me nelle riflessioni di ordine nominalistico – a breve mi contesteranno certi accostamenti tra Islam (chi, dove cosa, per capirci?), islamismo radicale (i gruppi di violenza sistematica e sistemica, animati da una vocazione di potere tanto predatoria quanto criminale) e ribellione popolare: me ne dorrò, nel qual caso, ma più per una questione di reciproca comprensione che non di altro genere; 2) non appena la controffensiva israeliana avrà corso, quindi a breve, il piatto della bilancia dell’esecrazione collettiva penderà a favore di Gaza (dventata, nel mentre, un principato di Hamas): se ne può stare certi, posto che entrare con truppe di terra in Retzu’at ‘Azza implica, inesorabilmente, colpire civili indifesi e innocenti (è in fondo la vera strategia di Hamas, che cerca “martiri” attivi e passivi, quindi consapevoli così come involontari; Israele, in quanto Stato sovrano, non può fare troppo diversamente da quella che è laa sua attuale condotta ma, proprio come tale, per vincere una partita rischia di perdere l’intero campionato); 3) nessuno ha veramente compreso che, nell’attuale stadio di morte della politica, così come era già avvenuto negli anni Venti e Trenta del secolo trascorso, ad essa – altrimenti intesa come campo della mediazione tra interessi contrapposti – avanza in sostituzione, come una sorta di asso pigliatutto, il ritorno dell’identitarismo etno-ideologico, quella cosa che in Europa chiamiamo, a vario titolo, con il nome di “populismo” e che, nel suo essere una specie di principe sovrano del razzismo, si sta di nuovo sostituendo agli altrimenti fragili tentativi di costruire democrazie inclusive. Tra di esse, per capirci, lo stesso Israele. Che in ciò è l’esatta cartina di tornasole, quindi la contraddittoria prova del nove (ossimoro, lo so), di ciò che abbiamo cercato di diventare lì come qui (In Europa così come in Medio Oriente) e che, per più ragioni, rischiamo invece di non essere più. Quanto meno, di qui in avanti. Ci ho ragionato a lungo scrivendone in libri già editati e, non di meno, in testi che sto cercando di concludere. La realtà dei fatti, quindi la cronaca, ci travolge. Ci mette, infatti, con le spalle contro il muro. Rendendoci, assai spesso, anacronistici nelle nostre riflessioni. Faccio il mio modesto lavoro. Mi sento molto inadeguato. E non lo dico per una sorta di furbesca captatio benevolentiae. Sono semmai un umile osservatore. Tutto trascorre, in fondo… anche se ognuno di noi vorrebbe consegnare e suggellare, una volta per sempre, la propria personale “mortal imago” ad un tempo che pensa, illusoriamente, come imperituro. No, ancora una volta non sto filosofeggiando. Semmai, mi interrogo su cosa sia per davvero, per ognuno di noi, quella indefinibile cosa che chiamamo con il nome di “identità”, il più delle volte esibita come un trofeo, nel mentre è tutto fuorché ciò, che è altrimenti chiaro solo ai fondamentalisti di ogni genere, colore, tempo e risma: ossia, un’ascia di guerra. Non a caso, infatti, costoro – Hamas piuttosto che altri – hanno esposto al pubblico disprezzo nel mondo arabo-musulmano (così come all’angosciosa ricerca in quello restante) – i corpi, vivi o morti che siano, delle “prede” catturate. CHI NON CAPISCE IL LIVELLO BRUTALMENTE ETOLOGICO AL QUALE IL FASCISMO, DI OGNI TEMPO E RISMA, CONDUCE LE PERSONE, VITTIME O CARNEFICI CHE SIANO, NON MERITA DI POTERE GIUDICARE IL SENSO DEI TEMPI CHE STIAMO VIVENDO. Non sono nessuno per dire, e scrivere, queste cose. Anche come tale, in fondo, me ne prendo comunque la libertà. Semmai, sono un antifascista genetico, ontologico, Per questo rigetto Hamas, il suo antisemitismo (gabellato per “resistenza”: ogni nazifascista ha detto, di sé, che “resisteva” ad una qualche barbarie, a partire da quella “giudaico-bolscevica”). Non difendo ad oltranza qualcosa o qualcuno, per qualsivoglia debito personale o di altro genere. Semmai, Cerco di capire cosa distingua il principio dell’umano da quantro, invece, si trasforma ben presto in macchina del disumano

    Ho lasciato questo commento:

    “2) non appena la controffensiva israeliana avrà corso, quindi a breve, il piatto della bilancia dell’esecrazione collettiva penderà a favore di Gaza (dventata, nel mentre, un principato di Hamas): se ne può stare certi, posto che entrare con truppe di terra in Retzu’at ‘Azza implica, inesorabilmente, colpire civili indifesi e innocenti (è in fondo la vera strategia di Hamas, che cerca “martiri” attivi e passivi, quindi consapevoli così come involontari; Israele, in quanto Stato sovrano, non può fare troppo diversamente da quella che è la sua attuale condotta ma, proprio come tale, per vincere una partita rischia di perdere l’intero campionato); 3) nessuno ha veramente compreso che, nell’attuale stadio di morte della politica, così come era già avvenuto negli anni Venti e Trenta del secolo trascorso, ad essa – altrimenti intesa come campo della mediazione tra interessi contrapposti – avanza in sostituzione, come una sorta di asso pigliatutto, il ritorno dell’identitarismo etno-ideologico, quella cosa che in Europa chiamiamo, a vario titolo, con il nome di “populismo” e che, nel suo essere una specie di principe sovrano del razzismo, si sta di nuovo sostituendo agli altrimenti fragili tentativi di costruire democrazie inclusive. Tra di esse, per capirci, lo stesso Israele.”

    Lo sgomento che suscitano questi eventi anche in chi è meno direttamente implicato nella tragedia che si profila è indispensabile ( “e se non piangi, di che pianger suoli?”). Ma bisogna pur sempre “uscir di pianto in ragione” e avere il coraggio di dire che l’Israele di Netanyhau non rientra più nei “fragili tentativi di costruire democrazie inclusive”. E che, come nota Aldo Giannuli nel video che linko, entrambi i contendenti si siano ubriacati dall’idea di vincere militarmente e che hanno prevalso gli estremisti delle due parti, i falchi delle opposte fazioni. L’unica via è usare la politica. Ammesso che sia ancora possibile. Giannuli parla di diplomazia e pressioni: sganciare Hamas dall’Iran e dall’altra parte non dare per scontato che Israele debba essere appoggiato qualunque cosa faccia. Sarà una posizione astrattamente salomonica riconoscere torti o errori di entrambe le parti ma le alternative inevitabili a me pare siano entrambe terribili: lo sterminio di Hamas e dei palestinesi o l’eliminazione di Israele come democrazia (una volta) inclusiva.

    P.s.
    Ecco il link all’intervento di Giannuli: https://www.poliscritture.it/2023/10/09/18829/

  5. Mi ripeto, se si considera come vivono le donne nei due raggruppamenti: Istraele e Arabia Saudita (?), hamas Iran, risulta difficile distribuire torti e ragioni e soprattutto scegliere. Strano come anche nel nostro civilissimo paese manchi l’attenzione per il 50% della popolazione umana.
    Ma che fare? Informarsi sui rapporti tra le femministe europee e quelle dei paesi nominati, in rete c’è molto materiale. Sostenere e dare visibilità alle femministe di quei paesi.

  6. E’ incredibile come tutti questi signori, Ennio Abate, Ezio Partesana, Paolo Di Marco, Claudio Vercelli, parlino dottamente e diffusamente di questioni mondiali come se fossero tutti e solo tra di loro: maschi, cioè. Si potrebbe dire un cenacolo, se non fosse troppo numeroso per esserlo; d’altra parte, di un’altra equivalente parte di mondo: non esiste. Davvero?
    Farei una domanda a tutti costoro: cos’è stato per voi il femminismo da fine anni ’60 in poi? In che modo vi ha toccati, cambiati, forse?

      1. Hai “spiegato” nel libro cosa è stato per te il femminismo, che peraltro dai per sconfitto e “rovina”, ma non hai saputo capire cosa significavano quelle comunità di donne di cui coglievi -pare- solo l’inaccessibilità.
        Invece ci era diventato chiaro che la tradizione storica, politica e culturale, era stata dominata dall’universale-maschile.
        Il femminismo significò “solo” la costruzione di un “simbolico femminile”, così lo chiamavamo, cioè non solo una immagine del mondo, ma anche un esplicitarsi delle differenze femminili che le relazioni tra donne rendevano molteplici, ricche e profonde: è stato come un “nuovo venire al mondo”, riconoscersi ed essere riconosciute.

    1. Una risposta, seppur veloce, è dovuta.
      Dovrei rivangare il mio passato personale per dire quanto il femminismo abbia cambiato la mia vita, gli studi e il pensiero; ma sarebbe storia lunga e, credo, di poco interesse pubblico.
      Constato invece che il potere di parola e l’abilità del suo uso, è ancora, ahimè, assai diseguale e ci vorrà del tempo (delle azioni), mi pare di poter dire, per migliorare un poco.

  7. “Sola Scriptura”.
    Perché non prendere sul serio Hamas?
    Hamas non è una setta segreta, i suoi membri non si nascondono in qualche anfratto, non usano una lingua sconosciuta o sotterfugi per scomparire alla vista. L’obiettivo, l’ideale di Hamas, è scritto e i suoi membri lo hanno ribadito e ripetuto centinaia di volte: Israele deve essere distrutto e conquistato, e gli ebrei uccisi.
    Molti hanno cercato di interpretare quanto accaduto, dalle rotte commerciali della Cina alle elezioni negli Stati Uniti, quasi nulla è rimasto fuori. Tranne quello che Hamas dice apertamente.
    Si è ragionato sopra l’oppressione del popolo palestinese, la corruzione del governo israeliano, la miseria della stampa e l’ottusità dell’Occidente, con ardente speranza di trovare una ragione che desse corpo a qualche speranza, o più ragioni diverse che facessero chiarezza della violenza appena accaduta. Tra un giubilo e un appello a eliminare per sempre i “terroristi”, non si è trovata tuttavia una ragione del male accaduto. Del male palestinese e del male israeliano.
    Ma Hamas non ha mai detto di voler promuovere i diritti civili o la dignità dei lavoratori, non ha destinato i così detti “aiuti” internazionali a Gaza per risollevare un territorio, per responsabilità che tutti conosciamo bene, in condizioni terribili. È possibile che le ingiustizie patite siano una spiegazioni psicologica, politica no. Le responsabilità politiche non si misurano in quanti anni di carcere fece Petra Krause o nel numero di bambini uccisi.
    Tutto quel che vedo o riesco a sapere è sconsolato. La propaganda più stupida inquina chiunque scriva anche solo una mezza lettera, e dunque anche la mia. Non ricordo guerra di liberazione, da Cuba alle valli liguri, che abbia agito in questo modo. L’amico Ennio giustamente mi rimprovera: “Dì tu allora cosa si dovrebbe e potrebbe…”, non lo so.
    Non abbiamo più neanche bisogno di essere confusi, siamo già persi.

    1. direi appunto che non è la vita, i bambini e le donne, cui si ispirano, ma uno scontro di guerra solo tra maschi

    2. “L’amico Ennio giustamente mi rimprovera: “Dì tu allora cosa si dovrebbe e potrebbe…”, non lo so.
      Non abbiamo più neanche bisogno di essere confusi, siamo già persi.” (Partesana)

      No, non è questa la richiesta che ti ho fatto. Ho detto (e scritto) invece: “Se ritieni che una o tutte le 4 segnalazioni da me fatte vadano categorizzate come “noiose tifoserie”, segnala tu.”, intendendo: indica tu un autore, un articolo, un saggio più valido delle cose da me segnalate.
      Sulla tua conclusione (“siamo già persi”), forse illudendomi, non ci sto. E ho scritto: “Noi continueremo a ragionare “da ignoranti” ma vale ancora la pena di farlo fino alla fine della tragedia in arrivo.”

      P.s.
      Ricordandomi del passato, sono andato a rivedere le nostre rispettive posizioni di quasi 10 anni fa. Evito di riportare alcuni stralci per me significativi e mi limito a segnalare i link:
      1.
      https://www.poliscritture.it/2014/11/19/scrap-book-dal-web-gerusalemme-ancora/
      2.
      https://www.poliscritture.it/2015/11/24/isis-nazisti/
      3.
      https://www.poliscritture.it/2014/08/25/su-una-mia-critica-a-israele-mediante-slogan/

  8. ogni guerra appena iniziata è già persa, su entrambi i fronti e nuoce alle donne quanto agli uomini…Infatti a chi “giova” mi chiedo? Agli uomini potenti che l’hanno preparata, costruita ordinata per interessi discutibili, quali potere, ricchezze territori popolazioni sottomesse? Una vera miseria… ma sono i piccoli uomini che la combattono e subiscono che infine contano il maggior numero di vittime e, se fatti prigionieri, conoscono torture, lavori forzati…
    Le donne sopravvivono piu’ numerose ai conflitti, lo stato di vedova è frequentissimo dopo una guerra, ma la loro vita è ugualmente scovolta durante e dopo. Spesso subisce violenze, deportazioni, stupri ma le è piu’ spesso risparmiata la morte non affrontando la prima linea…
    Fin qui credo che la mia parziale riflessione mi porta a pensare che la guerra non giovi davvero a nessuno…pero’ in quanto a sofferenza forse il primato tocca alle donne…Perdere i compagni di vita penso sia terribile, ma perdere i figli in guerra scava una ferita inguaribile soprattutto nell’animo femminile …L’ultimo esempio che mi viene in mente, ma potrei portarne altri del campo avverso…in sole sei ore i soldati di Hamas hanno falciato 260 giovani inermi, donne e uomini, mentre le madri per la gestazione di ogni figlio impiegano nove mesi…fare il calcolo delle ore complessive in rapporto a 260 persone è quasi impossibile…le donne pero’ lo sanno e bene e provano sofferenza e rabbia indicibile
    Altra domanda sarebbe: chi sbaglia di piu’? Ma non sarebbe necessaria, la risposta è implicita…leviamocela dai piedi una volta per tutte in uno sforzo comune…per un futuro insieme

  9. Al momento sono due le chiavi che ho in mano per la lettura di quanto sta accadendo in Medio Oriente: una “esterna” a Israele e una “interna”.

    Secondo la prima, Hamas – mossa dall’Iran – vuole sabotare non tanto un’intesa U.S.A. – Israele per la soluzione della questione palestinese, ma il cosiddetto “Patto di Abramo”: cioè l’accordo concluso tra Israele e l’Arabia Saudita, in funzione anti-iraniana, in primo luogo; e anti-russa in secondo; perché non dobbiamo scordare che l’Arabia ha il dente avvelenato anche contro la Siria e il suo regime laico; il quale, anche per pararsi il culo e sopravvivere, favorisce la Russia con la sua unica base navale nel Mediterraneo: fu per questo che aizzò contro Assad l’ISIS; e la cosa – tanto agli israeliani che agli statunitensi – andava benissimo.
    Ovvio che questo attacco offre il destro a Israele per una soluzione finale verso i Palestinesi; e – di nuovo sia ad U.S.A., Israele e Arabia Saudita – per far fuori pure il regime degli ayatollah, pedina fondamentale della Cina in quest’area; dopo che le varie rivoluzioni in technicolor hanno in sostanza fallito l’obiettivo.
    Se quest’ipotesi fosse vera, a Teheran potrebbero aver ragionato come fece Putin a Mosca riguardo all’Ucraina: “visto che il blocco anglo-statunitense sta perdendo il suo primato in ambito politico, economico e strategico; e visto che non vuol mollarlo in nessun modo, anche a costo di una guerra globale (non dimentichiamo la Cina, con la questione di Formosa, che è la bomba ad orologeria pronta ad esplodere nel Pacifico), a questo punto e perso per perso, la guerra tanto vale che la iniziamo noi: sarà più facile gestirla a nostro favore.”

    Secondo l’altra, Hamas – che parrebbe creata da Israele per indebolire Arafat, allo stesso modo per cui Al-Qaeda fu creato dagli statunitensi per colpire i russi in Afghanistan – è andata fuori controllo, o da Tel Aviv hanno lasciato che ci andasse.
    Nel primo caso l’impreparazione di Israele a causa di falle nell’intelligence sarebbe stata casuale: ricordiamoci che già nel ’67 furono còlti con le braghe abbassate e che anche i migliori qualche volta fanno cilecca.
    Nel secondo, analogamente a quanto accaduto in tempi meno recenti con Pearl Harbor e in quelli più vicini a noi con l’attacco alle Torri Gemelle (sempre che non l’abbiano fatto i Servizi statunitensi in prima persona) e con le stragi in Francia proprio dell’ISIS otto anni fa, i servizi avrebbe avuto delle comprensibili amnesie e disattenzioni.
    Ma comunque sia andata, anche partendo da questa ipotesi gli obiettivi del blocco N.A.T.O. e relativi alleati d’area sarebbe lo stesso.

    A questo punto mi permetto una di quelle provocazioni che tanto amo, nei confronti delle persone che in questo blog si stanno chiedendo che ruolo potrebbe avere il Femminismo, dato che – messa così – la questione sembra riguardare solo i maschi.
    Beh, il “Femminismo delle origini” è ormai acqua passata; sempre ammettendo che non nacque fin dall’inizio affetto da “finalità distrattive”, come fu per i Radicali a suo tempo e M5S pochi anni or sono.
    Il Femminismo di oggi ha come compito l’appropriazione dei comportamenti deteriori maschili, allo scopo di meglio arrivare alle posizioni di comando; operazione che, se la vogliamo guardare dal lato comportamentale, è – semmai – il riconoscimento implicito della superiorità maschile e del modello patriarcale, anche se declinato parzialmente in altra maniera.
    L’icona di queste “femministe” è Margaret Thatcher, della quale è giusto ricordare la virile maniera con la quale trattò i prigionieri politici e risolse i problemi socio-economici di casa sua; per non parlare dell’intenso flirt (per fortuna solo politico) col “diversamente democratico” Augusto Pinochet.
    E forse farebbero meglio interrogarsi su quell’aspetto affatto paritario che sono le “quote rosa” (che permettono di ottenere un posto – specie di potere… – a donne che dal punto di vista del merito verrebbero scartate); o a non esultare troppo per i “me-too” del tipo “Ricordo improvvisamente, che quarant’anni fa quel porco di regista mi diede un bacio sulle labbra. Ma giuro che davvero non volevo.”

    Dài, ditemi che sono un porco maschio sciovinista…

    1. sul femminismo dici un monte di sciocchezze, ti rimando a un mio commento del 12 alle ore 11, perché io c’ero nel femminismo e ci sono

      1. Per rendere costruttiva la discussione, facciamo prima così: sciocchezze riguardo a
        1) L’appropriarsi dei comportamenti deteriori del maschile?
        2) La figura di Margaret Thatcher?
        3) Il vero scopo del “me too”?
        4) Il vero scopo delle “quote rosa”?
        Se restringiamo il campo, è già un buon inizio.

        1. Riporto in fila le tue affermazioni, che sono solo quello che “tu” rimugini ma non riguardano le femministe:
          * il “Femminismo delle origini” è ormai acqua passata: ?
          * sempre ammettendo che non nacque fin dall’inizio affetto da “finalità distrattive”: !!! 
          * Il Femminismo di oggi ha come compito l’appropriazione dei comportamenti deteriori maschili: questa poi!
          * allo scopo di meglio arrivare alle posizioni di comando: comando de che?
          * è – semmai – il riconoscimento implicito della superiorità maschile e del modello patriarcale: ma che t’inventi?
          * L’icona di queste “femministe” è Margaret Thatcher: riconoscere la forza di M.T. non significa farla diventare un modello
          *  le “quote rosa”: la maggior parte del femminismo le respinge
          * sul me too e i ricordi di 40 anni fa, nemmeno commento!

          1. Bene; vedi che siamo riusciti a iniziare un dialogo, invece di “andar per slogan?” O almeno mi hai dato la possibilità di precisare, passando dalla provocazione al ragionamento. Quindi:

            – Penso che tu sappia che un po’ tutti i tentativi di progresso sociale (dalle “revisioni” alle rivoluzioni), hanno finito per essere più o meno in fretta vuotate del loro significato e fatte proprie dalla controparte politica: affinché “cambi tutto, perché nulla cambi”, per citare un noto romanzo. E ci vedo anche il rischio che questo “doppio gioco” sia messo in conto fin dal loro inizio, almeno in certi casi: a casa nostra mi riferisco al Partito Radicale e al Movimento 5 Stelle. Dai risultati, a me sembra che nemmeno il Femminismo ne sia stato esente, quindi mi permetto di sollevare il dubbio fin dal suo inizio; anche se non è un’accusa, è solo mettere le mani avanti secondo la logica “a pensar male si fa peccato, ecc. ecc.”.
            – Probabilmente non ti rendi conto di quanti di questi comportamenti (a cominciare dall’oggettivizzazione del partner, se vogliamo passare “dal politico al personale”) sono stati introiettati. Non intendo convincertene, mi son limitato a segnalare, per chi vuol rifletterci obiettivamente su.
            – Posizioni di comando e basta. Il Potere per il Potere, secondo il proverbio mafioso “Cummannari è megghiu ca futtiri”. Secondo te, il 95% degli uomini che bramano una qualche forma di potere, perché lo fanno? Per avere gratis i biglietti dell’aereo, o un passaggio sui mezzi d’informazione a giorni alterni? Dal punto di vista della mentalità la parità di genere è stata più o meno raggiunta; i risultati arriveranno.
            – Se faccio mio il comportamento di un altro soggetto, ne stabilisco esplicitamente la sua superiorità sul mio; e quindi anche la superiorità di quel soggetto – almeno in quel determinato campo – su di me.
            – Beh, calma… Ammirarne la forza è già un inizio… Se io andassi a dire in giro che ammiro l’indubbia forza che dimostrò di avere il Fuehrer, non so cosa mi arriverebbe addosso.
            – Non ci avrei messo la mano sul fuoco, ma prendo atto. Però, ripensando anche al fatto che tu l’hai definito invenzione di noi maschi, non mi sembra di aver visto manifestazioni dietro allo slogan “un altro trucco per salvare il modello patriarcale”, o qualcosa del genere.
            – Anche il Movimento del “me too”, nato per nobili scopi, mi sembra stia venendo strumentalizzato. Inutile anche dire che le numerose denunce che finiscono spesso e volentieri in una bolla di sapone (e che alla fine dimostrano di avere lo scopo di riaccendere i riflettori su chi addosso non ce li ha proprio), non servono ad attirare l’attenzione sul problema, che è reale.

  10. @Alberto Rizzi
    Non mi pare che si sia iniziato un dialogo, che richiede apertura di sé ad altro: questo perchè è chiaro che insisti a dare per scontate PER TUTTI posizioni, generiche, solo tue:
    * “tutti i tentativi di progresso sociale (dalle “revisioni” alle rivoluzioni), hanno finito per essere più o meno in fretta vuotate del loro significato e fatte proprie dalla controparte politica: affinché “cambi tutto, perché nulla cambi”, per citare un noto romanzo.”
    TUTTI i tentativi di progresso sociale SVUOTATI?  Non so, il cristianesimo, la ragione illuminista, gli stati nazionali, il suffragio universale, e poi le rivoluzioni scientifiche… Ma scherzi? E come dimostrazione ti appoggi a una frasetta del, mi pare, Gattopardo?
    * “che questo “doppio gioco” sia messo in conto fin dal loro inizio, almeno in certi casi: a casa nostra mi riferisco al Partito Radicale e al Movimento 5 Stelle”, “a me sembra che nemmeno il Femminismo ne sia stato esente”.
    Giudizi definitivi su 1) partiti che hanno milioni di voti e su 2) un femminismo di cui, evidentemente, niente sai.
    * … e così via…
    Mi pare che tu abbia una pulsione irriducibile al bisogno di controllare fenomeni importanti e diffusi che ti colpiscono, controllo che eserciti SVALUTANDOLI. Non è un buon sistema: meglio cercare di capire le ragioni per cui tante persone, anche in tutto il mondo come è per il femminismo, condividono e sostengono certe posizioni, meglio capire in che cosa consiste la loro forza.
    E se proprio vuoi contrastare queste posizioni, fallo entrando nel merito, e non rifacendoti a una specie di senso comune svalutativo, con l’unico risultato che la sostanza ti sfugge.

    1. Vero. Purtroppo il dialogo non decolla; inevitabile, quando ci sono blocchi, preconcetti…
      Noto che dà poco valore proprio a un romanzo storico, che illustra molto bene lo svuotamento di quella che, per la Penisola, fu una Rivoluzione (o almeno fu presentata come tale al popolo: perché la Storia ha già ampiamente dimostrato come l’Italia fu la colonia dei Savoia, non certo un territorio da liberare dall’oppressione…), affinché il vecchio potere continuasse a perpetuarsi.
      I tentativi di progresso sociale che lei cita, sì, furono svuotati; l’esempio del Cristianesimo per tutti: se questo Cristianesimo ha qualcosa in comune col Cristianesimo delle origini, io sono un ortaggio. Senza dire che il “messaggio” del Cristo fu un messaggio prima di tutto politico in funzione di una certa popolazione, di un certo periodo storico e di area e cultura completamente diverse dalle nostre. Solo che, citando stavolta Gaber (sperando non mi sminuisca pure lui…), “alla gente piace interpretare / e fa ancora più casino”.
      Potrei salvare il suffragio universale, sì: ma quello fu semplicemente aggirato coi sistemi di controllo sociale e di manipolazione, che guarda caso presero piede poco dopo la sua introduzione.
      E mi scusi, lei si appoggia “ai milioni di voti”, per valutare l’importanza e la validità di una forza politica? Quantità contro qualità, in questo momento riceverà il plauso per esempio di Meloni…
      Dei Radicali potrei far notare che la sua più importante esponente copre un’importante carica all’interno del Bilderberg: una delle istituzioni che ci hanno portato a questa deriva “diversamente democratica”. Quanto al M5S (col quale lavorai per anni, uscendone appena mi resi conto che la vera faccia di Grillo & C. era un’altra; e appena in tempo per salvarmi la mia), ancora non ha capito che la lotta alla corruzione, le critiche all’Europa (come per Meloni, a proposito), il rinnovamento della classe politica erano solo il cavallo di Troia, lo specchietto per le allodole per raccogliere consenso e voti, come già il divorzio e l’aborto per i Radicali? E davvero questa strategia non le ricorda nulla? L’ascesa politica del neonazista Zelensky, magari?
      No, purtroppo il tentativo finisce qui. Quanto scritto potrà essere utile – mi auguro – ad altri lettori. Bene, non scoraggiamoci: altro giro, altra corsa.

  11. La sua concezione della storia io la respingo: tutta cacca, secondo lei, invece io sono realista: questo è il passo e questo il trotto – a volerlo leggere così: siamo in democrazia (oddio, mica troppo, lei dirà!) – della nostra umanità. Ma certo gli angeli, come lei forse si sente: cioè sopra ogni ignobile carenza e tradimento umani … quelli stanno in paradiso!

  12. Mi piacciono questi giudizi da social, basati sul rifiutoe sul disprezzo a priori delle idee altrui e soprattutto delle esperienze che le hanno formate.
    Per risponderle a tono, potrei scrivere che mi confermano superiore alla media: cosa che beninteso so, ma che non viene così automatica. Perché gli angeli, quando si ritrovano in mezzo alla cacca nella quale la maggioranza è fiera di sguazzare, proprio non si sentono in Paradiso.
    Ecco; e adesso che abbiamo incrociato i guantoni, la chiudo qui, ripetendomi: a un altro giro e a un’altra corsa. E buona giornata.

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