SCRAP-BOOK DAL WEB – Selezione di letture maggio 2015

Coppia agonizzante 2 corretta0001

Un beffardo mefistofelico specchio
studiò e derise il segreto nascosto
dalle tue cosce di burattina.

Ah, impacciata paffutella ballerina!
Vòlgiti dal legnoso tuo passato
a noi, coppia reclinante
nella diagonale del lutto
nel medesimo buio:
busti incastrati, guance appaiate
volti dal silenzio e dall’amarezza tumefatti.

Il male – nel libro che leggevamo già predetto
penetrò, gigantesco pugno, dall’abbaino!

Raccogli da noi la tua monacale vergogna.
È là nella pallina sasso ormai compressa.
Tra la mano stanca e il gomito disperato.

(Da Narratorio grafico di Tabea Nineo: https://narratoriografico.wordpress.com/)

 

Dire ‘io’ in poesia

Prima domanda: in un testo poetico c’è sempre un soggetto enunciante?
Seconda domanda: la presenza di marche deittiche personali (di prima persona) comporta sempre la presenza di un soggetto? Cioè: se c’è un io, se c’è un mangio o qualcosa del genere, vuol dire sempre che c’è un soggetto anche quando poniamo che il locutore è decisamente “un personaggio”?
Terza domanda: la presenza di marche deittiche personali di seconda persona comporta la presenza di un io soggiacente? Cioè: quando ci sono tutte quelle poesie al tu(attenzione: non quando si dà del tu all’io perché questa è una cosa abbastanza tipica della poesia), quando c’è un io che non si esprime grammaticalmente, ma che evoca continuamente un tu, in quel caso dobbiamo considerare come soggiacente una qualche forma di soggettività individuale, di io?
Quarta domanda: la presenza di deittici spaziali e temporali, in assenza di deittici personali, comporta eo ipso la presenza di un soggetto? Cioè: se c’è un testo con qui, questo, ora, domani (un testo che configura in altre parole un’origo deittica), ma non ci sono marche deittiche di persona, dobbiamo comunque pensare che ci sia un soggetto di enunciazione in questo testo?
Queste sono domande a cui è veramente difficile rispondere; allo stesso tempo sono domande a cui è fondamentale rispondere, anche esprimendo comunque dei dubbi e non necessariamente in maniera definitiva.

(da Forme del soggetto nella poesia contemporanea di Paolo Zublena 29 aprile 2015 di Le parole e le cose: http://www.leparoleelecose.it/?p=18786#more-18786)

 

Una persona non è un’impresa

Pochi sanno che Sergio Bologna è anche studioso di teologia protestante, oltre che di Max Weber. Questa formazione gli permette oggi di rivelare il contenuto meritocratico, sacrificale e religioso del neoliberismo che trasforma il lavoro in impresa di se stessi. “Considerare una persona come impresa è assurdo – scrive – l’impresa è un’organizzazione complessa di cooperazione tra più persone con diversi ruoli per la creazione di profitto in cambio dell’erogazione di salari”. L’impresa di cui parla il neoliberismo è una grezza filosofia dell’individualismo. Per “salvarsi” il soggetto deve accedere ad un “merito” stabilito dall’“eccellenza”, una qualità “mistica” attribuita dal “mercato” alle sue “virtù” nella competizione individuale.
Contro questo “soggettivismo esasperato, individualismo sterile e illusorio, un dispositivo che dissolve la nozione di lavoro”, Bologna opera un corto-circuito. Gli oppone il materialismo della rivendicazione di un reddito, un salario o un onorario. La definizione di un orario di lavoro, o di un contratto, lo sviluppo della vita privata, o collettiva, la concretezza di un diritto sociale alla sanità, alla maternità, alla pensione o al trattamento fiscale equo.
Al personalismo mistico della leadership si oppone frontalmente la concretezza dei diritti di cittadinanza da parte di “apolidi” privati di tutto, anche dei mezzi di sussistenza. Se non sei ricco, crepi. Punto e basta. Quindi devi proteggerti e organizzarti. E’ evidente che questa impostazione non riguardi solo i “lavoratori della conoscenza”. Mira, invece, ad affermare una qualità comune alle attività operose che il “soggettivismo” neoliberale non riesce a catturare nell’individuo-insetto delle sue teorie del mercato
(da Fare coalizione al tempo dei freelance di Roberto Ciccarelli Pubblicato il 3 maggio 2015 • in AlfaDomenica: https://www.alfabeta2.it/2015/05/03/fare-coalizione-al-tempo-dei-freelance/)

 

C’è qualcosa di medio fra sapienza e ignoranza?

La visibilità dell’idea nella bellezza è, infatti, l’origine della mania amorosa, che il Fedro descrive costantemente in termini di sguardo, e del processo conoscitivo che essa pone in essere, il cui itinerario è fissato da Platone nel Simposio. Nello stesso Simposio lo statuto di Eros nell’ambito della conoscenza è caratterizzato come medio fra sapienza e ignoranza e, in tal senso, paragonato all’opinione vera, cioè a un sapere che giudica con giustezza e coglie il vero senza poterne, però, dar ragione. Ed e proprio questo suo carattere mediale che giustifica la sua identificazione con la filosofia:

«Ma non t’accorgi che c’è qualcosa di medio fra sapienza e ignoranza?» «Che cosa?» «Giudicare con giustezza, anche senza essere in grado di darne ragione (lógon doûnai). Non sai che ciò appunto non è scienza – perché dove non si sa dar ragione come potrebbe esservi scienza? Né ignoranza – giacche ciò che coglie il vero come potrebbe essere ignoranza? Orbene qualcosa di simile e la giusta opinione (orthē dóxa), qualcosa di mezzo fra l’intendere e l’ignoranza (metaxý phronēseōs kaì amathías)». (Simposio, 202a)

«Chi sono allora, o Diotima, replicai, quelli che s’applicano alla filosofia, se escludi i sapienti e gli ignoranti?» «Ma lo vedrebbe anche un bambino, rispose, che sono quelli a mezza strada fra i due, e che Amore è uno di questi. Poiché appunto la sapienza lo è delle cose più belle ed Amore è amore del bello, ne consegue necessariamente che Amore è filosofo, e in quanto tale sta in mezzo fra il sapiente e l’ignorante». (Ivi, 204a-b)

(da Che cos’è il gusto? Di Giorgio Agamben Pubblicato il 3 maggio 2015 • in AlfaDomenica: http://www.alfabeta2.it/2015/05/03/che-cose-il-gusto/)

 

Marx e Nietzsche

Proprio qui dunque Nietzsche costringe il lettore a pensare che nel 1887, solo da quattro anni, è morto Carl Marx, l’autore della Critica dell’economia politica, del Capitale; davvero un “contromovimento”, questo, in grande stile. Occorre chiedersi dunque, ancora una volta, perché Nietzsche non nomini Marx. Forse perché sa di essergli terribilmente vicino?
L’orrore che impediva a Marx di intrattenersi, senza la sua sovrana ironia, su tesi, su prospettive analoghe a queste, non trattengono affatto Nietzsche. Certo è che Marx, che pur scrive e discorre sempre, ad ogni occasione, di critica dell’economia, di crude giustificazioni, a modo suo, dell’economia Marx, dico, s’appassiona all’economia politica come meglio non può darsi. Marx è, a modo suo, ancora, anche uno scienziato. E Nietzsche invece non lo può essere, se non in una condizione di parossismo intellettuale che alla scienza – in generale, ma qui quella economica in particolare – non attribuisce il benché minimo valore. La cultura, anche l’economia politica socialdemocratica, nell’atmosfera della décadence, post-wagneriana, s’è disfatta, ha perso per Nietzsche ogni valore, ogni credito. La dialettica dei suoi nichilismi – (sotto, sopra, fuori) – non può servire a costruire un processo storico; che sia del passato o sia dell’avvenire. La scienza dei positivisti ha distrutto, ha dissolto nella neutralità tutti i valori. Questo è il tormento che consuma l’anima di Nietzsche: alla fine del secolo, in vista della vita che finisce, il pensiero suo vede la prigionia dell’assurdo, dell’impossibile.

Dice puntualmente il commento di Colli e Montanari al Vol. VIII: «Contro questa vertigine, neppure la scienza, a questo limite può offrire un aiuto. Già da qualche anno Nietzsche ha tolto alla scienza il ruolo del protagonista» (Vol. VIII, pag. 425).

(da Nietzsche, profezia o innocenza di Mario Cassa: http://www.sinistrainrete.info/filosofia/5098-mario-cassa-nietzsche-profezia-o-innocenza.html)

 

Moro, BR, PCI, USA e Urss

All’epoca che fu, i veri nemici delle BR – ma anche di determinati gruppi di derivazione “operaista” (le BR erano più vicine ai m-l) – erano gli ambienti predominanti nel Pci. E si diceva che ciò dipendesse dal fatto che la lotta era tra revisionisti e antirevisionisti, tra neokautskiani e neoleninisti; in ultima analisi, tra filosovietici e filocinesi. No, c’era un più sottile gioco che mirava a disturbare le mene del Pci (berlingueriano) con gli Usa e il suo progressivo approssimarsi all’atlantismo. E quando fu rapito Moro (dalle BR con qualche “appoggio” molto coperto), dopo poco tempo un certo importante piciista partì in “viaggio culturale” per gli Usa. Ma anche allora cosa si raccontò circa il perché del rapimento? Moro sarebbe stato favorevole al compromesso storico; così si diceva e si dice tuttora con balla colossale. No, Moro era contrario, anche se lavorava sotto coperta perché gli Usa stessi (con i Servizi) proteggevano certe “manovre” di loro ambienti con il Pci; e lui sapeva di rischiare, figuriamoci se dichiarava pubblicamente la sua contrarietà e i reali, profondi, motivi di questa contrarietà; che si riveleranno “quasi profetici”, ma non certo capiti dal “poppolo”, al crollo dell’Urss e all’operazione “mani pulite” in Italia. Non era vero che gli Usa fossero preoccupati dei contatti tra Dc e Pci per il “compromesso storico”, anche se così facevano credere per coprire ciò che si stava portando avanti in gran segreto (le balle si devono sempre raccontare bene, “invertendo l’ordine dei fattori”). E la lotta interna a settori governativi tra chi voleva salvare Moro (Fanfani-Craxi) e chi lo voleva morto (la sinistra Dc e il Pci, almeno la sua “maggioranza”) si è chiarita appunto più tardi. Ma non vedete cosa è accaduto con “mani pulite”? Maggioranza Dc e Craxi liquidati, la “sinistra” Dc e il Pci salvati. Non è chiaro che cosa si stava svolgendo già dagli anni ’70? Certo che le BR furono poi variamente infiltrate. Esse erano partite con l’appoggio dei Servizi tedesco-orientali e cecoslovacchi; non quelli sovietici. E anche qui, solo perché questi agivano per interposta persona? No cari miei, il gioco era diverso, molto più complicato; e i Governi dei paesi “satelliti” erano preoccupati di ciò che poteva avvenire anche in Urss; e che avvenne con Gorbaciov, che ha liquidato appunto i “satelliti! Non c’è nulla di quanto noi abbiamo stupidamente creduto che corrisponda a quanto è veramente accaduto!. In definitiva, le BR – filomaoiste – partirono credendo ad un reale contrasto insanabile tra Usa e Urss (imperialismo e socialimperialismo) e di poter giocare al Lenin dell’epoca della Grande Guerra. E furono infiltrate progressivamente da tanti altri Servizi, fra cui quelli americani appunto. O magari, più che infiltrate (meno di quanto si creda), condizionate nel loro gioco; avevano voluto giocare troppo in grande e guai a commettere questo errore. Se Lenin si fosse messo a giocare con la Germania troppo presto (non all’epoca della guerra, ma molto prima), avrebbe fatto una brutta fine; proprio come loro. Qui si vede l’avvedutezza dei veri rivoluzionari; hanno sensibilità per i tempi in cui si devono iniziare certi giochi (e se si possono iniziare). Beh, stiamo attenti perché ancora non sappiamo bene chi stia giocando e perché con i black bloc. E’ un gioco che si tiene sempre in sordina, non lo si spegne, ma lo si accende di quando in quando. Potrebbe essere cosa da nulla, che resterà a lungo endemica (credo che sia la cosa più probabile); potrebbe acuirsi solo se si verificassero determinate contingenze: ad es., se le manove accorte degli Usa, che hanno portato al governo un Renzi dopo anni di mene varie, dovessero incasinarsi e si facesse difficile la situazione in Italia. I black bloc, su scala infinitamente inferiore sia chiaro, sono come l’Isis. Questo si potrebbe distruggere non appena lo si volesse, ma serve oggi, serve molto (l’Isis intendo, non i black bloc), e allora deve vivere per il momento.

(da Gianfranco La Grassa, commento: http://www.conflittiestrategie.it/inganni-visibili-e-opposizione-nulla-di-glg#comment-22472)

37 pensieri su “SCRAP-BOOK DAL WEB – Selezione di letture maggio 2015

  1. E’ il collegamento tra i sei testi che va esplicitato ed è nel collegamento – in dialogo e in contraddizione – che si esprime la soggettività dell’autore: uno scrap book è comunque un testo, è una narrazione, è fiction, ha una trama o plot, un acme e uno scioglimento.
    Anzi è un meta-testo, un testo che ha oggetto dei testi, da interpretare secondo una propria intenzionalità espressiva.
    Questa è la premessa, adesso dovrei rintracciare nei sei testi il, o i fili tematici, e seguire lo svolgimento dell’argomentazione.
    Il fatto è che l’unico spunto di collegamento è dato, e mi sembra supposizione legittima, dalla poesia iniziale in quanto è dell’autore stesso dello SCRAP BOOK, mentre altre “marche deittiche” che riconducono al “soggetto di enunciazione” potrebbero essere non solo la scelta di quali testi proporre ma anche di quali parti dei testi riportare.
    (Per ora però mi fermo a questa premessa, infatti ricostruire il “testo SCRAP BOOK” dalle diverse scritture di più autori è un lavoro impegnativo. A più tardi.)

  2. @ Fischer

    No, costruendo questo scrap-book non mi sono proposto nessun filo conduttore né scelta in vista di una narrazione. Ho semplicemente scelto tra i pezzi archiviati in maggio dal Web quelli che – al momento – mi piacevano o mi hanno fatto pensare che potessero provocare commenti e riflessioni. Il mio testo l’ho messo in testa perché c’era l’immagine già pronta. Tutto qua.
    Altri/e posson proporre benissimo scrap-book secondo altri criteri.

    1. Ma non è vero! E’ impossibile, come lo è un giornale “obiettivo”, un insegnante che non abbia una posizione, eccetera. Hai scelto, i testi e il tuo testo, hai fatto un montaggio, hai accostato. Non è stata una scimmia a comporre, e neppure li hai estratti da un’urna a caso tra mille. Accetto che non ti sei “proposto” un filo, ma anche quando si scrive una poesia non ci si propone “quel” risultato, che comunque si produce alla fine… da sé, cioè dal soggetto che la scrive (o che fa il montaggio, o la scelta, o l’accostamento).
      Ho trovato, tra altro, in rete una tesi di dottorato di Anna Bertini, Non-fiction, forme e modelli, che affronta questi temi ecum.unicam.it/476/1/intero_per_segreteria.pdf

  3. …dire “io” in poesia…leggendo le domande che seguono, non è certo facile dare delle risposte, anzi la poesia diventa un labirinto che centuplica le possibilità di significato…Ci provo, ma per ritornare sicuramente sulle risposte:
    1-2 Penso che in tutte le poesie ci sia un soggetto enunciante, anche se nascosto, anche se personaggio, anche se impersona un soggetto plurimo (la gente, la folla, il popolo…), anche se impersonale…il soggetto può decidere di interpretare se stesso, il suo alter ego, il suo contrario, il “personaggio” del suo vicino di casa, il vento, la pioggia ma in tutte queste dimensioni calerà un pizzico di sè, con o senza la presenza dell'”io” (credo tuttavia che anche l”io” comporti una pluralità di presenze..)
    3 Per la terza domanda si può far riferimento alla poesia di Ennio che presenta diverse “marche deittiche di seconda persona” (nell’aggettivo “tue”, nelle persone dei verbi “”Vòlgiti” “Raccogli”…) e mi chiedo, cioè accolgo la domanda, se questo comporti la presenza di un io soggiacente…Ma, secondo me sì, sempre per le ragioni espresse nei punti 1 e 2. Nella poesia, inoltre, c’è anche due volte “noi” che insieme a diversi “tu” rimanderebbero all'”io” mancante…Questa è stata la mia interpretazione quando ho commentato la poesia, ma ora mi vengono dei dubbi sul significato del “tu”, (non sull'”io”) che potrebbe essere riferito al “tu” di una situazione-simbolo o anche realmente esperita, ma scelta per il suo valore in un certo qual senso universale, di schiavitù-liberazione…Purtroppo, e qui salta fuori il mio io a far confusione, vado sempre più su una visione di concretezza…perciò non resta che chiedere al poeta, se vorrà…
    4 penso che il soggetto enunciante sia presente anche in questo caso…qui, ora…sono categorie dell’uomo. Pioggia, sole e stelle si esprimono, ma non nel linguaggio poetico…

  4. Dire ‘io’ in poesia:
    penso che nelle forme dialoganti della scrittura le espressioni deittiche siano pretesti necessari: tutte, nessuna esclusa. Meglio averne coscienza, esattamente come è preferibile saper di sognare mentre si sogna. L’artista sa di essere artista, vale a dire una persona intenta a fare quel che – di solito – gli piace fare. Prima lo sa e meglio è, altrimenti si troverà sempre con qualcuno che pensa per lui, ha pensato meglio e ha fatto meglio di lui: pena la condanna ad essere un epigono per il resto dei suoi giorni; pressapoco come è detto nella bella poesia in apertura.
    Alla prossima.

  5. Seguo un filo che ho rintracciato per non perdermi tra il labirinto dei testi – un filo che apre ad altri testi collegati, e quindi a nuovi itinerari, ricostruzioni e narrazioni: ma non è ogni lettura (cioè ogni lettrice e lettore) una ri-costruzione del testo?
    Il tema è posto dall’incrocio tra il primo testo: “c’è sempre un soggetto?” e il secondo “da un soggettivismo esasperato, individualismo sterile e illusorio, un dispositivo che dissolve la nozione di lavoro … al materialismo della rivendicazione di un reddito, un salario o un onorario … qualità comune alle attività operose che il ‘soggettivismo’ neoliberale non riesce a catturare”. La soggettività che si esprime, nel primo testo – la costruzione teorico-pratica che individua il soggetto sotto il profilo lavoro-collettività, nel secondo.

    La poesia iniziale apre però un altro aspetto del tema soggettività, e si collega al testo di Agamben e in realtà al platonismo e quindi alla metafisica occidentale: “una situazione del gusto come luogo privilegiato in cui emerge alla luce la frattura dell’oggetto della
    conoscenza in verità e bellezza e del télos etico dell’uomo … in conoscenza e piacere, che caratterizza in modo essenziale la metafisica occidentale. Nella formulazione platonica, questa frattura è, anzi, così originale, che si può dire che sia essa stessa a costituire il pensiero occidentale non come sophía, ma come philo-sophía. Solo
    perché verità e bellezza sono originalmente scisse, solo perché il pensiero non può possedere integralmente il proprio oggetto, esso deve diventare amore della sapienza, cioè filosofia.” (Lo stesso testo, alcune righe prima, il grassetto è mio.)
    Nella poesia c’è il mondo del ‘privato’: la donna sola, soggetto non riuscito (burattina), un po’ extra-ideale normativo (impacciata paffutella ballerina), e dall’altra parte, in primo piano e in diagonale, una coppia reclinante e declinante. La monacale vergogna della donna sola è compressa nella pallina-sasso che non si è sviluppata.
    Perchè mi sembra che la poesia si colleghi al discorso di Agamben-Platone? Perchè la frattura dell’oggetto della conoscenza in verità e bellezza non è solo originaria per Agamben rispetto alla metafisica occidentale, ma appartiene alla concezione androcentrica della totalità.
    “Secondo Aristotele, alcuni esseri umani sono destinati a vivere per se stessi nella libertà; altri a servire i primi e a sottomettersi a loro. Alla prima categoria appartengono, insieme con lui, i cittadini della polis , liberi e di sesso maschile; alla seconda, le donne, le schiave e gli schiavi, barbare e barbari. … la visione bipartita dell’umanità è tuttora viva e produce molti effetti … il nesso tra questione sessuale e lavoro del pensiero non è ancora evidente; anzi, si continua ad avvolgerlo in una fitta nebbia. … Il luogo storico in cui ha preso forma quel pensiero, legato a precisi interessi di potere, è il mondo mediterraneo orientale, nel millennio avanti Cristo. … un sistema di segni onnicomprensivo , un ordine simbolico che rappresenta il mondo intero come una gerarchia, immaginandolo diviso in due sfere, una più alta e l’altra più bassa.” Ina Pretorius (una teologa femminista) in Penelope a Davos, Quaderno di Via Dogana, 2011.
    Platone tenta di superare la frattura con l’Amore, che è teoria di una donna, Diotima, ancorché esposta da Socrate. E Ina Pretorius nel suo libro riporta alla categoria della nascita: “Non siamo ‘gettati’ nel mondo senza senso e scopo, come pensa qualche filosofo, bensì abbiamo un inizio, unico e inconfondibile, nella relazione con una persona e con una rete generazionale”.
    Agamben non accenna al nesso tra *frattura nel lavoro teorico* e questione sessuale, anche se la questione sessuale è evidente solo la si voglia guardare. La poesia invece si inserisce, con il tema della donna sola che rompe con/la coppia, nello SCRAP BOOK sul soggetto.

    Gli ultimi due testi proposti, su Nietzsche e di G. La Grassa, potrebbero forse porsi ai due estremi della soggettività: tra la assoluta indipendenza della volontà di potenza (e l’indipendenza del Gesù di Nietzsche), e la strumentalizzazione di soggetti poco avveduti e consapevoli (e quindi anche poco affidabili) da parte di soggettività ben più strutturate in sistemi di potere.
    Di sicuro questo tema ha rilevanza politica, ma il terreno contestualmente politico è periferico per me in questa ricostruzione.

  6. il mio testo è però aperto alla politica. E, se volete, alla reinterpretazione di vicende storiche tutte alterate. Gravi le alterazioni per quanto riguarda gli anni ’70 (in specie in Italia), gravi quelle del dopoguerra, gravi in definitiva quelle dell’intero ‘900 (che partono già dagli ultimi decenni del secolo precedente). E non vado più indietro, ma credo che lo si potrebbe fare tranquillamente. Per questo mi piacerebbe lanciare un blog su “Le grandi illusioni del ‘900” (utilizzando, in modo un po’ distorto, il titolo del grande film di Renoir). Quante cose da dire (perfino da rivelare), ma tutto resterà sempre per lo più ignoto o “mutato di segno”.

  7. …ogni testo, secondo me, è aperto alla politica, magari non come noi la vorremmo, ma come si presenta e può indurre a riflessioni…Il piano personale non è solo privato, ma ha molti riferimenti al pubblico, nessuna storia si costruisce fuori da un contesto storico, anzi forse è partendo da qui, in rapporti relazionali di amicizia e affettivi, che può partire uno slancio di trasformazione o di rivoluzione…Le letture proposte hanno, sempre secondo me, un filo comune ed è l’invito a spoglirsi delle apparenze…e in crescendo per difficoltà, sino allla quasi impossibilità, se non per gli addetti ai lavori, di ricostruire un avvenimento storico, come il rapimento di A. Moro, dal testo di G.La Grassa…Ritornando alla poesia d’apertura e all’immagine, anche qui entrare nel significato non è facile. Ho pensato che la donna in ombra e dalle braccia legate potrebbe rappresentare l’umanità immobilizzata da uno sguardo mefistofelico…liberarsene è praticamente impossibile perchè il male è impresso per sempre o da sempre nel libro impresso nelle caratteristiche genetiche dell’uomo, ciò che resta invece possibile è l’abbraccio di cosapevolezza tra chi condivide la stessa sorte…

  8. Una persona non è un’impresa:
    “soggettivismo esasperato, individualismo sterile e illusorio, un dispositivo che dissolve la nozione di lavoro”.
    Dal punto di vista della persona, cos’è il lavoro se non una cessione del proprio tempo, della propria energia, della intelligenza e delle virtù, per qualcosa da cui non si può trarre altro beneficio se non quello di ricavarne reddito?
    Non può dirsi lavoro quello dei “lavoratori della conoscenza”, poniamo quello degli artisti, in quanto la loro attività è di per sé appagante e completa, al punto che ricavarne compenso di denaro può sembrare un surplus. Come poi riescano a campare resta un mistero. Personalmente ho sempre ragionato così, che il denaro arriva di conseguenza, esattamente come Pinocchio che sperava crescesse l’albero delle monetine. Ma Pinocchio non è liberista, in realtà il liberista al denaro ci pensa, e come se ci pensa, praticamente non pensa ad altro. Tutto quel che fa è in funzione del denaro; che poi si senta un missionario, un non dipendente salariato, è solo per assolversi dal peccato di avidità. Però, dico, proprio perché quel che è lavoro e quel che non lo è andrebbero tenuti separati, bisogna riconoscere al lavoro il giusto compenso. Per il non lavoro la questione resta ancora irrisolta: le opere di Enzo Cucchi sono stimate tra i cento e i trecento mila euro cadauna (con buona pace per i restanti sconosciuti). A me sembra ovvio che cifre inferiori, poniamo togliendo semplicemente almeno uno zero, dovrebbero bastare a compensare ogni capolavoro. L’esempio di Cucchi (per me bravissimo) è paragonabile al guadagno in eccesso di ogni business, se l’imprenditore non guadagna diecimila euro ma centomila o un milione. Bisognerebbe difendere la ricchezza pensando che è patrimonio di tutti.

  9. C’è qualcosa di medio fra sapienza e ignoranza?
    “Nello stesso Simposio lo statuto di Eros nell’ambito della conoscenza è caratterizzato come medio fra sapienza e ignoranza e, in tal senso, paragonato all’opinione vera, cioè a un sapere che giudica con giustezza e coglie il vero senza poterne, però, dar ragione”.
    Ma non è sempre vero il contrario, perché non sempre la sapienza e la ragione corrispondono al vero (tanto più se pensiamo che questo è solitamente anche lo spazio della manipolazione). L’ignoranza mal sopporta la dialettica.

  10. …secondo me, la vita è maestra di vita ( d’opinione, come di azione) per il sapiente ignorante, cioè è una speranza-saggezza a disposizione di tutti, ma quando la vita sfugge agli esseri viventi, perchè regolarmente offesa, allora lo stato d’ansia può diventare permanente o ricorrente…così ad una nuova rilettura la poesia in apertura mi sembra interpretare un momento disperante…C’è la donna trafitta da uno sguardo mefistofelico e c’è la coppia trafitta da un libro già scritto, come un pugnale che squarta il petto e inchioda…La pallina sasso del tutto inerme e fuori gioco…
    …noi camminiamo sonnambuli sopra una polveriera

  11. Marx e Nietzsche
    “Occorre chiedersi dunque, ancora una volta, perché Nietzsche non nomini Marx. Forse perché sa di essergli terribilmente vicino?”
    L’argomento è fuori dalla mia portata, anche perché ho letto più Nietzsche che Marx e tutto sommato poco di entrambi. Ma abbastanza per capire quando viene detto che,
    per Nietzsche, “La scienza dei positivisti ha distrutto, ha dissolto nella neutralità tutti i valori”; quindi mi chiedo se non fu così anche per Marx, se è vero che entrambi si adoperarono per scardinare e sovvertire, su fronti diversi, la struttura sociale fin dalle sue fondamenta: sociali ed economiche per Marx e umanistiche per Nietzsche.
    Due indirizzi inconciliabili? Fino ad oggi pare di sì, anche se già Freud, ponendo il problema sociale alla radice dell’individuo, in qualche modo li avvicina.
    Quel che ne penso in sintesi: se è vero che la realtà e l’organizzazione sociale sono conseguenti a dinamiche che si muovono dall’alto (Nietzsche) e dal profondo (Freud), converrebbe muoversi come fossimo su una superstrada a tre corsie. Detto e fatto, per quel che mi riguarda. Ma vaglielo a spiegare ai puristi, neo-moralisti della sinistra!

    1. Spiego perché puristi e neo- moralisti:
      per ragioni del tutto personali. Alla fine degli anni ’70, dopo aver masticato politica ogni giorno per dieci anni, ne ho trascorsi altri venti tra psicanalisi e meditazione. Al mio “rientro” mi impegnai con gioia rinnovata collaborando nuovamente con alcuni centri sociali, ma mi accorsi subito di essere diventato per loro un marziano. Per loro Freud e la psicanalisi erano tutto sommato faccende personali, private, e la meditazione pressoché inutile, tanto quanto lo zucchero filato. Era come se il loro cervello potesse oramai attivarsi soltanto in presenza della ragione e della dialettica (droghe pesantissime). Conclusione: una mente piena di stop non può percorrere la superstrada a tre corsie.

  12. Moro, BR, PCI, USA e Urss
    “Se Lenin si fosse messo a giocare con la Germania troppo presto (non all’epoca della guerra, ma molto prima), avrebbe fatto una brutta fine; proprio come loro. Qui si vede l’avvedutezza dei veri rivoluzionari; hanno sensibilità per i tempi in cui si devono iniziare certi giochi (e se si possono iniziare)”

    Gianfranco La Grassa non può dire queste cose se poi afferma:
    “Del Movimento 5 stelle non so veramente cosa si possa dire se non che sono una massa di inetti e opportunisti. Mi si dice che qualcuno si salva, che con qualcuno varrebbe la pena di intrattenere rapporti. Mi fa piacere, spero che sia così, ma per il momento nessuno si fa avanti, mostrandosi infine a viso scoperto”

    Per me è in piena contraddizione, perché il suo giudizio (ma quale analisi!) è viziato dal credere ancora alla soluzione marxista del sovvertimento rivoluzionario ( ma se, come e quando non lo sa nemmeno lui).

    1. @ Mayoor

      “Per me è in piena contraddizione, perché il suo [di La Grassa] giudizio (ma quale analisi!) è viziato dal credere ancora alla soluzione marxista del sovvertimento rivoluzionario ( ma se, come e quando non lo sa nemmeno lui).” (Mayoor)

      L’utile dei commenti su Poliscritture c’è solo quando un qualsiasi commentatore sa almeno all’ingrosso qual è la posizione del suo interlocutore.
      In questo caso dire a Gianfranco La Grassa, che da decenni ha svolto un lavoro serio – discutibile quanto si vuole – per ripensare Marx e il marxismo fuori da schemi stantii e scolastici, di “credere ancora alla soluzione marxista del sovvertimento rivoluzionario” equivale appunto a non sapere con chi si sta parlando realmente e rivolgersi ad un fantasma.
      Allora ti chiederei di cogliere la palla al balzo: proprio oggi sul sito di CONFLITTI E STRATEGIE La Grassa ha pubblicato uno scritto (http://www.conflittiestrategie.it/la-pratica-e-importante-riflettere-lo-e-di-piu-di-gianfranco-la-grassa) che riassume bene le sue posizioni.
      Prova a leggerlo e poi ne riparliamo. Tra noi. E magari con lui, dato che non è uno che si sottrae al confronto.

      1. Devo essermi espresso male. Scrive La grassa a proposito del M5S: “per il momento nessuno si fa avanti, mostrandosi infine a viso scoperto”. La contraddizione sta nel fatto che in altro contesto scriva che nel saper valutare (aspettare ecc) sta l’avvedutezza dei veri rivoluzionari.
        Sarà perché scorgo nella pur breve esistenza del M5S alcuni elementi che si possono dire rivoluzionari ( vi risulta ne esistano altri per l’adesso?), propendo a credere che il “mostrarsi a viso aperto” potrebbe essere una tragica ingenuità. Quanto all’allegoria del leone e della gazzella: quel che mi preoccupa… anzi no, è solo quel che noto, è la presenza del secondo, del terzo leone (delle avanguardie). Ma era questa la differenza che mi separava, già negli anni ’70, dai gruppi pronti a farsi partito.

          1. Perché mai? in fondo ho riaffermato quanto scrivevo sopra… tranne il giudizio su La Grassa, sul quale sono ben disposto a ravvedermi. Non considero una colpa l’essere rivoluzionari, al contrario, il timore è quello di considerare l’orizzonte che abbiamo davanti come fosse lo stesso che ora abbiamo alle spalle. Se c’è ancora un orizzonte, com’è?

  13. …come se fosse facile cancellare da quel libro troppo spesso letto ciò che sta scritto come destino dall’infanzia, e più ci provi più ritorna in sovraimpressione, ostinato…non c’è scolorina. Però se la pallina compressa ne assumesse lei un po’ il peso, ci farebbe sentire più leggeri ed innocenti, tra momenti di stanchezza e di disperazione…
    Una pallina salvagente…galleggiante

  14. non riesco nemmeno a percepire la contraddizione vista da mayoor. Comunque, adesso sono rimasto indietro con almeno tre scritti (e anche un racconto che non riesco a far diventare tale). E poi c’è un vero lavoraccio da fare. Comunque, dal punto di vista delle scelte politiche, non possiamo che restare ad un livello molto elementare al momento perché non siamo in grado di capire la nuova fase storica e le strutture sociali affermatesi già da tempo e mai prese in considerazione. Siamo al massimo fermi al “capitalismo”; ma non c’è UN capitalismo. Già Lenin prese un abbaglio vedendo nella fase imperialistica (policentrica) l’ultima fase del capitalismo. In effetti era l’ultima fase….. del capitalismo borghese, quello di cui una analisi comunque buona (con alcune previsioni importanti però errate) fu quella de “Il Capitale”. Adesso, di nuovo, alcuni vogliono vedere il capitalismo in crisi, quasi alla fine. Si accorgeranno (non loro, altri fra qualche decina d’anni) che è stato preso un ulteriore abbaglio. Qualcosa “sta finendo”, ma nessuno nemmeno cerca di analizzare che cosa sta finendo. Basta chiacchierare e si è contenti di dire delle “somme verità”.

    1. A che scopo il M5S? per raccogliere il prevedibile malcontento che il salasso della crisi avrebbe generato? A mali estremi può andare bene Grillo; e con questo la chiudiamo con la vecchia mafia, direbbero i poteri forti. In fondo Grillo potrebbe mettere le cose a posto e a noi, padroni di questo già troppo piccolo mondo, potrebbe anche tornare utile.
      Tutto sta a vedere se si sbagliano, e l’ex mov di Grillo non si limiterà a ristabilire l’ordine. Magari a crearne di nuovo, diciamo più aggiornato.
      Questa è l’incognita, ed è l’unica ragione che fa insospettire, a dir poco, ogni marxista: che senza ideologia non si va da nessuna parte perché nulla ti potrà sostenere nella rissa tra cani e gatti. Bisogna sapere da che parte stare, e ai marxisti piace poco il termine cittadino. Eppure è colto… mah, sappiamo anche come andò a finire. Comunque direi questo: che la sinistra attaccherà in tutti i modi finché collasserà. Sarebbe una rivoluzione culturale che ci avvicinerebbe alla Germania? Là non si sgarra, dicono.

  15. Ma certo!!! il pensiero che un semplice cittadino possa entrare in parlamento, e perfino fare il capo del governo, non è tra gli ideali del popolo americano?

  16. …ho letto lo scritto suggerito di Gianfranco La Grassa, non credo certo di averlo capito del tutto, ma mi ha portato ad alcune riflessioni…Intanto mi sembra di cogliere che l’apparato militare nelle varie aree del mondo, più che al servizio della politica, è diventato un potere a se stante molto persuasivo sul piano sia economico che politico…inoltre sembra che nella nostra società i bisogni primari siano ormai sottoposti a delle “sovrastrutture” complicatissime che assumono spesso la pervenza e la forza costrittiva di bisogni (pseudobisogni), dall’ impatto devastante sui cervelli e sull’ambiente…A questo punto, cosa fa il terzo leone? Cosa suggerisce al secondo e al primo? Di continuare ad inseguire la preda gazzella, pur sapendo che la carne è mescolata alle scorie? Oppure, che ne so, non potendo negare la fame, di assumere un forte antidoto antiveleno?…O di diventare vegetariano?

  17. vediamo se questo pezzo – del tutto indirettamente certo – suggerisce qualcosa.

    DALL’OLTRETOMBA, di GLG, in Conflitti e Strategie

    http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&frm=1&source=web&cd=1&cad=rja&uact=8&ved=0CCMQFjAAahUKEwj9sK-2uozGAhUnnnIKHcwRAL8&url=http%3A%2F%2Fwww.libreidee.org%2F2015%2F05%2Fcraxi-via-noi-il-regime-violento-della-finanza-vi-fara-a-pezzi%2F&ei=OgV8Vf2rLqe8ygPMo4D4Cw&usg=AFQjCNHx94c-fVNOSNsw4cZlIKELhxvhEg

    Spero che nessuno sia così ingenuo da restare sconvolto perché cito Craxi. Questo discorso – che, se capisco, è stato scritto o detto almeno vent’anni fa – è molto lucido e avveniristico. Potrei certo ricordare che forse non razzolava troppo bene nemmeno lui. Anche se sono stufo di sentir dire che era un ladro. Lo possono dire solo quelli che non sanno cos’è la politica. Un uomo politico di una certa levatura deve essere sempre pronto ad evenienze negative. E a Craxi infatti capitarono: fine della carriera politica ed esilio. Poteva restare in Tunisia tranquillo, senza correre pericoli (o comunque con sufficienti difese) se fosse stato nullatenente? Bisogna ungere ruote, eccome! Ci sono un mucchio di esiliati che hanno finto di essere privi di ogni sostentamento e protezione. Balle; altrimenti significava che erano delle nullità, ignorati da tutti. Non fu il caso di Craxi; e bisognava che non parlasse troppo. La lucidità qui mostrata gli derivava da conoscenze precise che non rivela. E del resto fa una “piccola” omissione. Anche lui si getta addosso ai “poteri forti”, finanziari, le oligarchie di qua e di là. Sapeva bene che tutto discendeva dai centri strategici Usa e da coloro che, in nome di questi ultimi, potevano emettere i comandi necessari. Esattamente del tipo di quelli che sono stati emanati quand’è venuto il momento di ridimensionare definitivamente Al Qaeda e di assassinare Bin Laden. Craxi mostra troppa lucidità per non sapere anche questo; ma lo tace, et pour cause!
    L’unico rilievo vero che è possibile fargli è circa la sua convinzione che il crollo dell’Urss e del campo “socialista” fosse una vittoria di un socialismo come quello suo. Andreotti capì subito che la fine del mondo bipolare era anche la fine sua e della sua parte politica. Craxi si illuse? Mi sembra strano, eppure subito dopo l’’89 e fino a “mani pulite” sembrò veramente esaltarsi per la propria “vittoria”. Come non sapesse – e sapeva invece – ciò che andavano tramando i postpiciisti proprio con gli Usa (o almeno alcuni loro ambienti di rilievo). Non so che pensare. Credo che quegli ambienti americani lo abbiano ingannato, gli abbiano fatto delle promesse, mentre lavoravano – con personaggi socialisti alla Amato, ecc. – per liquidarlo. Andreotti non ci cascò. Lui sembra di sì. Non poteva non sapere che il Pci, con Berlinguer (quindi già almeno dal 1969), lavorava al cambio di campo. Il viaggio di Napolitano del 1978, il rapimento di Moro, ecc. non potevano non essergli chiari nel loro significato più proprio, quello mentito, nascosto, ancor oggi! E “mani pulite” lo fece fuori mentre salvava i postpiciisti. E sembra che solo allora abbia infine capito il doppio gioco dei vertici statunitensi in merito alla guida politica dell’Italia.
    Tutto questo conta solo per cercare di capire quale gioco complesso, e tutt’altro che pulito, abbiano condotto i già ricordati ambienti Usa con al loro servizio i piciisti eredi di Berlinguer (lo ripeto per i semicolti: eredi di Berlinguer, il MORALISTA!). Qui possiamo comunque esulare dalla figura di Craxi e dal gioco politico di cui fu protagonista e vittima. Metto questo discorso perché è lucido, premonitore, dice a quale bassezza e meschinità sarebbe arrivato il personale scelto dagli Usa per servirli una volta messo in moto il meccanismo giudiziario. Dice tutto con esattezza; salvo, lo ripeto, il punto riguardante le oligarchie finanziarie. Qui si rassegna a tacere; anche lui esalta la funzione del dito, e tace della Luna che questo indica. Però, rispetto alle menzogne che abbiamo, salvo eccezioni, letto negli ultimi vent’anni….! La “sinistra” si è rivelata un’effettiva “infezione”; la “destra” ha mostrato inettitudine, incapacità di rappresentare una credibile alternativa, assenza di vera dignità nazionale. Che disastro la politica in questo paese! Quindi il discorso di Craxi sembra provenire da un Oracolo. E comunque ci arriva ormai dall’oltretomba.

    1. Non mi scandalizza questo ritratto fuori dagli stereotipi di Craxi. Che la politica di Craxi e del suo PSI fosse filoamericana (con qualche scatto simbolico d’indipendenza “nazionale” come nell’episodio di Sigonella [1])era – lui vivente – assodato, avendo quel suo partito accolto il compromesso con il liberalismo abbandonando la tradizione marxista (sostituendo Marx con Proudhon [2]). Ma resto diffidente verso il ruolo da Oracolo che ora La Grassa tende ad attribuirgli. Sì, «la lucidità qui mostrata gli derivava da conoscenze precise che non rivela» ma che sono le conoscenze di chi aveva accettato di collaborare coi « centri strategici Usa e da coloro che, in nome di questi ultimi, potevano emettere i comandi necessari» e, sentendosi scaricato, vuota un po’ il sacco e sputtana gli altri concorrenti ( tutti altrettanto subordinati come lui?).
      Due sono i punti più scandalosi, invece, per una mentalità di sinistra: 1. quando il PCI di Berlinguer viene indcato come l’attore di un «cambio di campo», cioè di un passaggio dal suo tradizionale filosovietismo ad un filo americanismo ancora più spinto e servile di quello craxiano; 2. quando si arriva a concludere che entrambi i maggiori partiti della sinistra italiana erano dei burattini degli USA (molto più della stessa DC!), sui quali si poté esercitare a piacimento « il doppio gioco dei vertici statunitensi in merito alla guida politica dell’Italia».
      Se quest’analisi politica ha un suo fondamento c’è da rabbrividire per molte ragioni che ora non tiro fuori. Comunque non condivido la tendenza del “ritrattista” a concedere al leader politico poteri per così dire “eccezionali”. Sì, «un uomo politico di una certa levatura deve essere sempre pronto ad evenienze negative». Ma, nel senso che deve salvaguardare se stesso o il progetto politico per cui si batte? E lo fece Craxi? E poi quel progetto politico craxiano era più condivisibile di quello del PCI di Berlinguer o di quello che sembrava in formazione nel calderone dei gruppi sorti dal ’68-‘69?

      NOTE
      1. «il presidente statunitense Reagan, infuriato per il comportamento italiano, si decise a telefonare nel cuore della notte al presidente del Consiglio Craxi per chiedere la consegna dei terroristi; ma Craxi non si mosse dalle sue posizioni: i reati erano stati commessi in territorio italiano[17] e quindi sarebbe stata l’Italia a decidere se e chi estradare[18]. Alle 5:30, quando il generale dei carabinieri Bisogniero fece intervenire a Sigonella (su ordine di Craxi) i blindati dell’Arma ed altri rinforzi, il reparto d’attacco americano ricevette l’ordine di rientrare». ( da https://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_di_Sigonella)

      2. « È doveroso riconoscere a Craxi un grande merito storico: di aver aggredito frontalmente la mitologia marxleninista proprio quando quella mitologia sembrava esser trionfante su tutta la linea. Prima che Craxi irrompesse sulla scena, nessun dirigente socialista o socialdemocratico aveva osato mettere in discussione il marxismo. Non lo aveva fatto Saragat e non lo aveva fatto Nenni».
      (da http://archiviostorico.corriere.it/2006/ottobre/05/Craxi_riformista_che_taglio_barba_co_9_061005078.shtml)

      1. Vero, fu il fondatore dell’anticomunismo attuale, divenuto poi cavallo delle battaglie elettorali di berlusconi.

  18. la cosa più ridicola di Craxi (e la più negativa, alla fine persino per lui) fu il suo anticomunismo che evidentemente non aveva capito sino in fondo il cambio di campo (e di orientamento ideologico) del Pci. Incredibile il tentativo di rivalutare Proudhon contro Marx, compiuto su sua spinta da Luciano Pellicani, la cui intelligenza posso “apostrofare” solo privatamente per evidenti motivi. Ormai Marx non era più in realtà il referente del Pci; ed era totalmente pasticciato e reso inconsistente come analisi della società capitalistica (almeno di quella prettamente borghese) perfino dagli “ultrarivoluzionari” operaisti e dintorni. Marx e Nietzsche, Marx e Heidegger, Marx e Foucault. E qui ancora almeno il riferimento è a grandi pensatori (che tuttavia hanno poco a che vedere con Marx). Ma poi Marx e Bateson, Marx e Prigogine, Marx e Maturana-Varela e via dicendo. Ogni anno, massimo due, in media una nuova “moda” che ha distrutto la comprensione di Marx, dei suoi errori per me “fecondi”, dai quali si può uscire ancora con ipotesi non balorde. Detto questo, è chiaro che Craxi (come i dirigenti massimi della Dc, ivi compreso Moro, di cui però si è completamente capovolto l’orientamento diffidente nei confronti del Pci, che lo condusse alla fine ben nota ma non conosciuta!) fu atlantista convinto. Craxi non fu per la ostpolitik come Brandt e Schmidt. Fu ciecamente anticomunista, ma non capì evidentemente molto del Pci e dei piciisti. Questi non erano più comunisti dall’inizio degli anni ’70. E furono conniventi con quell’antifascismo da operetta che alla fine ha condotto alla svendita perfino dell’industria “pubblica”, punto di forza di quella Dc (annientata da “mani pulite”) che l’aveva recuperata dal fascismo e rinvigorita con Finmeccanica (’48), Eni (’53) ed Enel (’62-63). Tutta una storia da riscrivere. E tuttavia non sembra che Craxi aiuterebbe a riscriverla. Volevo solo ricordare che, di fronte alla degenerazione proprio cerebrale dei “sinistri” dell’ultimo ventennio (di cui il berlusconismo è una ricaduta; e non il contrario come questa “sinistra” di voltagabbana vorrebbe far credere per far dimenticare la sua abiura), leggere Craxi, all’epoca ritenuto non certo eccelso, sembra quasi di leggere un genio. Ma solo per la solita storia che l’orbo è re nella terra dei ciechi!

  19. Ma davvero «leggere Craxi, all’epoca ritenuto non certo eccelso, sembra quasi di leggere un genio»? Sì, capisco il senso della battuta, ma fra Craxi e Berlinguer che, come ho detto, nella analisi del tuo pezzo appaiono entrambi “filoamericani” ( il primo con una qualche anticipo sul secondo) c’è davvero da fare una scelta? Se PCI o piciisti «non erano più comunisti dall’inizio degli anni ’70», forse Craxi e i socialisti avevano ancora a che fare con la loro tradizione? Se ritieni che per il PCI si debba parlare di «abiura», che dire di Craxi? Per caso sto leggendo un libro dello storico Marco Revelli. Presenta Craxi e i craxiani come «i fondamentalisti della dissoluzione delle identità politiche consolidate, di ogni tradizione e di ogni valore politico». Gli si può dar torto?

  20. non citerei Marco Revelli, il cantore della “qualità totale” alla Fiat, quello che, come tutti gli operaisti, non ha capito un c…. di nulla di ciò che stava accadendo in Italia. E chiedigli cosa ne pensava di “mani pulite”. Basta con questi presuntuosi; prima facciano autocritica per tutte le cazzate dette e poi ascolteremo. Non mi sembra di aver detto che si debba fare una scelta per Craxi. Dico solo che quanto è riportato in quel pezzo citato (il resto non l’ho letto) sembra in effetti “predire” ciò che invece la “sinistra” ha nascosto in tutto questo ventennio. Ma da questo a diventare craxiano ce ne corre; ed infatti io non lo divento certo. Basterebbe, lo ripeto, l’operazione “Proudhon”. Ma vogliamo ricordare che Report (o Reporter?), insomma il giornale di Sofri – che infatti segui, trionfalistico, tutto il viaggio di Wojtyla in Polonia – fu finanziato proprio da Craxi? A Sofri poi giocò un bello scherzetto il Pci; tuttavia, sappiamo quel che è diventato questo “grande capo rivoluzionario”. E vuoi che io abbia simpatia per Sofri (che conobbi a Pisa negli “anni d’oro” del movimento e lo giudicai subito per quello che sarebbe diventato) o per Craxi. Non scherziamo. L’ho citato solo per far capire a quale profondità di stupidità, ignoranza e servilismo siamo arrivati oggi. E Renzi è per me il peggio del peggio. Quindi, nessuna simpatia e nessun risvolto minimamente craxiano. Solo, citazione per esprimere la mia opinione circa l’infimo livello cui siamo arrivati oggi.

    1. @ Nova

      Non ho idiosincrasie così nette e definitive. Anche in quelli che non la pensano come me, anche nei famigerati “operaisti” , che tra l’altro furono una galassia variegata e non un “mucchio compatto” (Panzieri e Bologna sono molto diversi da Tronti e Negri…), continuo a trovare *a volte* cose interessanti.
      E poi non è esatto dire che Marco Revelli fu «il cantore della “qualità totale” alla Fiat». Avrò letto cose diverse da te. Nel libro di Revelli che sto rileggendo, «Le due Destre» ( Bollati Boringhieri 1996), in un capitolo intitolato «Otto ipotesi sul “postfordismo”» non vedo nessuna esaltazione dell’«esprit Toyota» ma semmai la sottolineatura di un passaggio «epocale» su cui interrogarsi. Constare un cambiamento non equivale a farne l’apologia, credo…
      Scannerizzo questa pagina:

      « L’ipotesi di lavoro è cioè che ci si trovi di fronte a una
      li quelle crisi che Gramsci avrebbe definito «organiche»
      opportunamente si potrebbe evocare lo spirito di America-
      nismo e fordismo, per rendere l’idea dell’ampiezza dei livelli
      coinvolti). Di un passaggio «epocale», in cui s’intrecciano,
      contemporaneamente, la fine di un lungo ciclo tecnico e orga-
      nizzativo di accumulazione del capitale e, insieme, la fine
      -la rottura storica – della «tradizione del movimento ope-
      raio» (per lo meno della sua «tradizione» politica più recente,
      risalente, all’incirca, al primo conflitto mondiale). La dissolu-
      zione della «forma» stessa che la produzione capitalistica si
      è data nel nostro secolo (fondata sulla centralità assorbente
      della grande fabbrica e sul dominio dispiegato della sua razio-
      nalità strategica sull’intera articolazione sociale), e l’esauri-
      mento dell’esperienza storica «novecentesca» del movimento
      operaio (combinazione di partito di massa e di «Stato sociale »,
      di organizzazione generale e di statualizzazione).
      È significativo che un tecnico del capitale come Taiichi
      Ohno, il padre della cosiddetta «produzione snella», della
      fabbrica integrata e dell’ esprit Toyota, e un intellettuale
      «organico» di ciò che resta della dispersa sinistra europea
      come André Gorz, approdino, in fondo, su versanti oppo-
      sti, alla stessa constatazione radicale: la necessità di «penser
      à l’envers». Di segnare una brusca rottura rispetto ai propri
      rispettivi modelli di riferimento, l’uno constatando – sul
      versante del capitale – la fine del modello produttivo basato
      sulla «produzione di massa», e la necessità di rovesciare com-
      pletamente la vecchia filosofia produttiva fordista-taylori-
      sta; l’altro accertando – sul versante del movimento ope-
      raio – la consumata fine del socialismo» come «ordine so-
      ciale esistente» e come «modello di società realizzabìle ». Il
      primo per proclamare l’imperativo, da parte dell’impresa, di
      sussumere integralmente la soggettività del lavoro, di farne
      un fattore direttamente produttivo; 1’altro per constatare 1’av-
      venuta eclissi del lavoro come fattore costitutivo della sog-
      gettività operaia, la sua dissoluzione come elemento fondante
      dell’identità collettiva. La loro lettura parallela ci dice quanto,
      in effetti, il balzo in avanti delle capacità produttive deter-
      minato dal salto tecnologico degli anni settanta-ottanta, e
      la successiva rivoluzione organizzativa sintetizzata nella for-
      mula della «qualità totale» – in sostanza ciò che va sotto il
      nome di passaggio al «postfordismo» -, abbia mutato le
      condizioni generali della produzione capitalistica. Il suo stesso
      «paradigma produttivo». E, nello stesso tempo, quanto tutto
      ciò abbia trasformato alle radici le condizioni stesse del con-
      flitto sociale, e le sue forme politiche».

      (pagg. 77-78)

  21. beh, io ricordo altre cose e precedenti il ’96 (seconda metà anni ’80; non era nemmeno ancora crollato il “socialismo”). E anche un incontro a Venezia (non fra me e lui, chiaro, uno di quegli incontri con più persone che si facevano all’epoca), in cui invece sembrava piuttosto entusiasta. Non è comunque cosa importantissima. Ma gli operaisti sono stati uno dei principali motori della degenerazione avvenuta in Italia, di questo resto convinto. E ambigui, con contatti molto “strani”, diciamo. Ovviamente parlo di operaisti in termini molto generici. E aveva ragione Macchioro quando li definiva “grundrissisti”. Non conoscevano Marx. A parte Panzieri, ma su di lui molti anni fa scrissi con molto rispetto e stima, anche se penso sia stato un grave errore credere che la pianificazione si estendesse dalla fabbrica verso la società tutta. In ogni modo, adesso l’analisi deve andare molto oltre e non tornare ancora alle polemiche di allora. Ci manca solo questo per diventare dei veri zombi. Ripeto per l’ennesima volta che certe affermazioni di allora, di fronte ai deficienti esistenti oggi, possono sembrare perfino avveniristiche. Ciò non significa rivalutare politicamente questo o quel personaggio. Per nulla affatto. Sono solo allibito dell’idiozia e dell’assoluta mancanza di una concezione politica purchessia esistente nei personaggi che abbiamo oggi nell’arena detta politica. Nient’altro che questo. Non merita che ci dibattiamo tanto sopra.

  22. ricordo che subito dopo il “crollo socialistico e dell’Urss”, si parlò per alcuni anni (pochi) dell’affermarsi di un mondo “trilaterale”: Usa, Germania, Giappone come le tre potenze del momento. Ma molti di quei personaggi (e fra i più noti, anche se preferisco non fare nomi, ma li so) parlarono e scommisero sul Giappone come nuovo dominus (al posto degli Usa) per il XXI secolo. Fui subito contro, ma logicamente nessuno ne sa nulla come nessuno sa che predissi quel che sarebbe accaduto al Pci fin dall’inizio degli anni ’70; come nessuno sa che nel 1986 dissi apertamente (ma ignorato) che Gorbaciov era il liquidatore dell’Urss, non il rinnovatore del “socialismo”. Il Giappone entrò subito in una depressione durata 12 anni e oggi fa ridere pensarla come potenza predominante. Ma dopo qualche anno, i soliti (sempre gli stessi), senza nemmeno ricordare le idiozie dette sul Giappone, predissero la Cina come predominante del XXI secolo. E vedrete che fine faranno. Nel 2008, iniziata la crisi “economica”, la paragonai a quella 1873-96, che dipendeva dalla fine della centralità inglese e dallo scoordinamento avvenuto per l’avvento del multipolarismo (Usa, Germania e Giappone nuove potenze in crescita) in marcia verso il policentrismo conflittuale acuto della prima metà del ‘900. Adesso ci sono quelli che cominciano a fare qualche paragone con quella crisi, anche se disperatamente si tenta di farci credere che tutto dipenda dalla “finanza cattivona” (e lo vogliono far credere anche tanti che giocano a fare i critici del “sistema”). Ho sostenuto che è una balla – fatta per deviare la nostra attenzione – che il Pacifico sia l’area che più interessa gli Usa. Ho detto subito (sempre ignorato) che è l’Europa (e le zone vicine anche dell’Africa e Medioriente, e Turchia ed Iran, ecc.) la preoccupazione maggiore degli Usa. In questi giorni dice questo l’americano Friedman su Stratfor (la conoscete?). E allora? Ho ragione di essere incazzato. E’ dagli anni ’60-’70 che “indovino” la maggior parte di quanto è accaduto e va accadendo. Ma poi le “scoperte” sono sempre degli altri. Fin dal mio viaggio alla Fiat nel 1984 (con Paola Manacorda; e ci incrociammo pure con la Fornero), manifestai dubbi sulla “qualità totale”. E quando quelli che inneggiavano al toyotismo – e al Giappone che invadeva di investimenti gli Usa, ecc. – sostennero appunto la vittoria di tale paese, senza essere tanto competente dissi: ma l’industria automobilistica è “matura”, è della seconda rivoluzione industriale. Gli Usa li lasciano “sfogare” e loro stanno andando avanti nell’elettronica, nell’aerospaziale, nelle biotecnologie, ecc. E dopo pochi anni, Giappone in piena ritirata e gli Usa trionfanti come unica grande potenza mondiale rimasta. E se va avanti così, vedrete i risultati della Cina che “ha in mano” gli Usa perché è piena dei titoli del Debito pubblico statunitensi. Però io sono ignorato sempre; e “indovino” non sempre ma abbastanza spesso.

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