8 pensieri su “Guerra, guerra, guerra…

  1. Quella è la guerra. E quelli i vincoli che il nostro paese subisce. E Assange credeva alle favole democratiche. Possiamo far finta di non sapere, ma chi tocca i fili muore.
    Se queste sono le condizioni reali, quale è la realistica politica? Quale lo spazio possibile? Entro quali limiti ci possiamo muovere?
    E, soprattutto, in quale prospettiva? Per ottenere cosa? Con quali alleanze?

  2. @ Cristiana Fischer

    Sono buone domande a cui ciascuno/a dei rubrichisti di Poliscritture 3 dovrebbe dare una risposta per arrivare, se possibile, ad un documento concordato. Senza escludere che chi vuole cominci a farlo anche pubblicamente qui.

  3. Io partirei dal non buttarsi in braccio alla Cina, in una immaginaria riedizione del bipolarismo post IIGM.
    Il secondo passo riguarda la Ue: armata o no? Entro la Nato?

  4. nonostante siano tutti in trepida attesa delle nostre prese di posizione
    principerei dal chiedersi chi è il noi di cui si parla, e quale il suo ruolo nella storia..
    anche se echeggia il noto ‘la situazione attuale e i nostri compiti’
    che però un tempo era riservato ai partiti
    e anche se non ho obiezioni di principio all’armarmi
    non saprei bene come entrare nella Nato, o uscirne
    Assange ha dato informazioni, che sono lo strumento principale di ogni guerra
    anche civile
    forse dovremmo limitarci a questo terreno

    1. “Assange ha dato informazioni, che sono lo strumento principale di ogni guerra
      anche civile
      forse dovremmo limitarci a questo terreno”
      Scrive oggi sul Manifesto Franco «Bifo» Berardi: “La mera identificazione del vero e del falso talvolta può produrre degli errori politici: quando, nel 2016, WIkileaks rivelò che il partito democratico stava manipolando le primarie per eliminare il candidato scomodo e favorire Hillary Clinton, fece un’azione moralmente legittima, e anche ineccepibile dal punto di vista professionale. Ma in quel contesto politico la verità finì probabilmente per favorire il Re del Falso, Donald Trump che in effetti vinse le elezioni.”
      Prima, a Bifo, Assange “rispondeva che aveva solo fatto il suo lavoro e il suo lavoro era dir la verità, e che per dirla occorre usare ogni stratagemma e ogni tecnica.” Bifo commenta: “Continuo a credere che la sola colpa di Julian Assange sia quella di avere preso sul serio le parole che stanno a fondamento della democrazia liberale: verità trasparenza e democrazia.”
      Ma chi non sa già per cosa vera, verissima, che in guerra si ammazzano i civili, si sostengono i governi fantoccio, si dilapidano milioni per fabbricare armi e sostenere l’accoppiata militari-imprese?
      Forse, dico forse, ripeterlo ogni tanto, e far giungere ai molti gli scambi reali tra governanti militari e indistria, con il cinismo che li caratterizza tutti e tre, è informazione necessaria. Soprattutto se, come è, l’informazione ufficiale coprirebbe volentieri lo stato reale dei fatti. Ah!, i partiti di una volta non esistono più, quelli che formavano e informavano.

  5. SEGNALAZIONE DALLA PAGINA FB “Conversazione con Adriano Sofri”

    Ancora su Assange: l’obiezione di Grasso a Iacona, e la mia a Grasso
    Ho un supplemento alla Piccola posta sul programma di Iacona (ed Elena Marzano, Elisabetta Camilleri e Massimiliano Torchia) dedicato ad Assange, dopo aver letto l’autorevole recensione di Aldo Grasso per il Corriere. Grasso rimprovera agli autori di aver sposato senza riserve la versione di Assange, evitando “qualsiasi accenno alla sua forte simpatia per i governi autoritari, dalla Russia ai regimi latinoamericani, al ruolo di Wikileaks nella campagna di disinformazione della Russia nei confronti di Hillary Clinton”, e ignorando libri come quello di Andrew O’Hagan, ‘La vita segreta’, 2017, che presentano Assange “come un piccolo despota, incoerente, bugiardo, viziato, paranoico, una sorta di rovescio grottesco delle istituzioni che attacca”. Ricordo che un ritratto non più benevolo emergeva dal film di Bill Condon, “Il quinto potere”, 2013, basato su altri due libri, “Inside WikiLeaks. La mia esperienza al fianco di Julian Assange nel sito più pericoloso del mondo” di Daniel Domscheit-Berg, già suo braccio destro, e “Wikileaks. La battaglia di Julian Assange contro il segreto di Stato”, di Luke Harding e David Leigh, ambedue del Guardian. E’ noto inoltre che Charles Snowden ha trovato rifugio in Russia.
    Ho un’obiezione: l’eventuale parzialità o faziosità o peggio di Assange può essergli addebitata se si sia tradotta nel silenzio o nella reticenza sulle malefatte russe o di altre cattive compagnie, ma non riduce di un millimetro l’interesse dei kilometri di rivelazioni sulle malefatte degli Usa (e di altri numerosi Stati e dei loro Servizi), se risultino veridiche.
    Grasso conclude chiedendo, retoricamente: “L’hackeraggio è grande giornalismo?” Risponderei, non retoricamente: dipende. L’hackeraggio che mette a disposizione del pubblico mondiale documenti autentici del modo di azione illegale e sleale degli Stati, tanto più di quelli che si vogliono democratici, e dei loro servizi segreti, è una fonte formidabile di giornalismo, come mostra l’uso che ne hanno fatto il New York Times, il Guardian, lo Spiegel, il Monde e il Pais, e tanti altri. Wikileaks ha replicato all’argomento dei rischi cui le rivelazioni esporrebbero informatori e militari sul campo, che non c’è stato un solo caso in cui si siano realizzati. Infine, vorrei richiamare un dettaglio che a Grasso dovrebbe piacere, affascinante come un dilemma di filosofi sofisti: come si considererà l’hackeraggio che permette di svelare la registrazione permanente, segreta e illegale, dei movimenti e delle parole di Assange e dei suoi interlocutori nel ripostiglio dell’ambasciata ecuadoregna, lungo anni (e infine pubblicata dal Pais)? Chi ha spiato chi? Somiglia un po’ al paradosso del mentitore, no? Potremmo forse concordare che, simpatia o antipatia di Assange, c’è un uomo in una galera inglese minacciato di una galera senza scampo americana contro il quale sta la potenza accanita degli Stati Uniti e della loro influenza, fatta pesare platealmente. Non i soli Stati Uniti, ma mezzo mondo contro Julian Assange: sembra una buona ragione per mettere il proprio peso di piume sul suo piatto della bilancia.

  6. Un elemento interessante è apparso sul NYT; curiosamente rimasto l’unico dei due quotidiani al mondo (l’altro è il Manifesto) che fanno ancora giornalismo alla vecchia maniera, con inviati, esperti, gente che legge e si documenta prima di parlare. Il che significa che in Italia chi si documenta attraverso i giornali è meno dell’1% della popolazione…
    Internet non conta, dato che non ci sono ‘filtri intelligenti’ e quindi anche persone intelligenti e avvedute quando si documentano prendono cantonate, dando retta a gente che parla invece che a dati controllati.
    Quello che compare sul NYT in
    ‘America Is Giving the World a Disturbing New Kind of War’
    di Samuel Moyn (3 Settembre)
    è il primo tassello di un lungo discorso il cui nucleo è: gli USA sono usciti dalle guerre aperte (e Kabul è l’ultimo atto) per dedicarsi completamente a quelle coperte.
    Ma guerre coperte è molto di più di quello che è stato letto nelle rivelazioni di Assange:
    significa mettere insieme controllo totale dell’etere e di tutte le comunicazioni che vi passano con attacchi di droni e uso di quelle informazioni anche per la guerra commerciale. Con protagonisti i servizi di spionaggio ma anche i privati (Elon Musk che usa i suoi satelliti per portare Internet alla ‘dissidenza’ bielorussa).
    È di questa fase che è interessante oggi parlare.
    Kabul è solo una fase e un falso bersaglio; siamo oltre la ‘guerra umanitaria’ del discorso Nobel di Obama (un’altro dei Nobel della vergogna, dopo Kissinger), anche se in ritardo per il vero 1984.

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