Emigrazione, terremoto e spreco di risorse in un paese dell’Irpinia

    «OCCASIONI MANCATE» DI AGOSTINO PELULLO. POSTFAZIONE.

    di Donato Salzarulo

Questa è l’accurata postfazione di Donato Salzarulo al libro coraggioso di Agostino Pelullo, che è un intellettuale meridionale attore e testimone politico d’opposizione delle vicende  che hanno degradato il suo paese, Bisaccia di Avellino.  Il libro merita l’attenzione di quanti ancora insistono a pensare in modi razionali le trasformazioni del mondo; e a non cancellare le vicende locali con la scusa che nel caos (di guerra), a cui è  giunta l’odierna politica internazionale, alla quale i nostri governanti  partecipano da solerti vassalli, esse sarebbero diventate minime e irrilevanti.  Pelullo non ci richiama soltanto ad una antiquata e superata (permanente, invece!) “questione meridionale”. Narra – nuovamente, puntualmente, caparbiamente e in prima persona – il caso di un paese del Sud sgovernato dal suo ceto politico. Bisaccia, infatti, ha visto prima la perdita progressiva dei suoi abitanti a causa dell’emigrazione. (Ricorda opportunamente Salzarulo nella postfazione: «Un dato oggettivo appare subito interessante: Bisaccia nel 1911 ha una popolazione di 9.054 abitanti, nel 1951 di 7.927, nel 1971 di 6.231, nel 1981 di 4.781 abitanti.»). E poi, in seguito al terremoto del 1980 e alla gestione clientelare del post-terremoto, ha sopportato i fatti e i misfatti  di un ceto politico che ha scelto di dividere quella comunità  in due paesi, svalutare il mercato edilizio locale, abbandonare a se stesso il centro storico e sperperare il danaro pubblico (a vantaggio di una ricostruzione  monopolizzata soprattutto da imprenditori del Nord). Postfazione e libro ci chiedono di riflettere sempre con grande attenzione al legame locale-globale  e di sostenere  e collegare le forme di resistenza anche minima dovunque esse continuano a manifestarsi. [E. A.]

1.- Credo che Agostino abbia fatto bene a vincere le sue resistenze interne e a mettere nero su bianco i suoi ricordi e le sue riflessioni sulle vicende successive alla lunga e drammatica scossa di terremoto del 23 Novembre 1980.
Ha fatto bene per due ragioni di fondo:
a) Perché è stato un testimone “istituzionale” di tutto ciò che è successo prima e, soprattutto, dopo il terremoto. Ha vissuto, infatti, una storia d’impegno politico, è stato consigliere comunale, assessore, presidente del Gruppo di Azione Locale CILSI, ecc. Nessuno meglio di lui poteva, quindi, farci capire che cosa è accaduto, quali sono stati i dispositivi legislativi e le pratiche operative che hanno prodotto la situazione attuale.
b) Perché Bisaccia è stato il paese di un personaggio rilevante della politica locale, provinciale e nazionale. Mi riferisco, ovviamente, a Salverino De Vito. Si può pensare di lui ciò che si vuole. Il fatto innegabile è che questa persona non è stato soltanto Sindaco di Bisaccia dal 1980 al 1995 «per 15 lunghi disastrosi anni», è stato senatore della Repubblica per sei legislature (dalla V alla XI) ed è stato Ministro senza portafoglio per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno dal 4 agosto 1983 al 27 luglio 1987. Insieme ad altri personaggi democristiani, appartenenti al ceto politico irpino e campano (De Mita, segretario nazionale della DC dal 1982 al 1989, Mancino, Gargani, Maccanico, Bianco, Zecchino, Mastella, ecc.), è stato indubbiamente il massimo responsabile della politica di ricostruzione post-terremoto.
Agostino, tra le motivazioni che l’hanno indotto finalmente a scrivere, accenna al «tentativo di arginare la deriva reazionaria in atto e di contribuire a tenere accesa la luce della speranza in un mondo migliore».
Non so se questo suo significativo ed importante lavoro contribuirà ad “arginare la deriva reazionaria in atto”, come scrive nell’introduzione. A me basta che alimenti il fiume della verità su una vicenda che ha segnato Bisaccia e non solo.

2.- Come l’autore scrive, sin dalla prima riga dell’introduzione, il suo libro è “una memoria”. Il che può significare varie cose.

a)In diritto processuale civile e penale, presentare “una memoria”, significa preparare uno scritto in cui si espongono fatti, si esaminano problemi o questioni, si dichiarano le proprie ragioni con lo scopo di replicare alle ragioni degli avversari, al loro modo di affrontare il processo.
Agostino richiama la gloriosa “battaglia delle idee e dei valori”. Se si fa, però, mente locale sul fatto che il Senatore De Vito e il suo fiduciario, protagonisti politici e amministrativi della ricostruzione bisaccese, sono davvero finiti in Tribunale, con l’autore invitato a deporre in quanto persona informata sui fatti, forse il termine “memoria” non esclude questa venatura giuridica. Confronta, a questo proposito, il gustoso capitoletto 3.4.1 intitolato “Kafkiana”.

b) “Letteratura della memoria” è, nel linguaggio della critica letteraria quel genere di scrittura che presenta una forma prevalentemente narrativa e un contenuto, per lo più, autobiografico. Il più illustre rappresentante di questa letteratura è Marcel Proust. Ma Agostino non si affida alla “memoria involontaria” per andare “alla ricerca del tempo perduto”. Non vuole ricostruire mondi, ambienti, epoche, anche se qui e là, tra le sue pagine un po’ lo fa: il tempo della luce a forfait, della promiscuità abitativa in trenta metri quadri di padri, madri, figli ed animali, il tempo della povertà vissuta con dignità, ecc. Il nostro autore ha un’impostazione culturale e politico-sociale che lo porta a preferire sicuramente l’intreccio dei propri ricordi e della propria memoria individuale con quella collettiva. L’intento ambizioso è quello di aiutare a capire, come scrive lui stesso, “un pezzo di storia italiana”, usando il racconto delle vicende bisaccesi come “caso di studio”. La sua memoria, quindi, desidera nutrirsi di storia e di politica. Gli serve per mettere in luce “alcuni aspetti di ciò che è stato il terremoto” e la ricostruzione nell’area bisaccese per documentare che si poteva fare diversamente e che in paese (e non solo) c’era chi aveva avanzato proposte diverse, alternative: l’area sociale, culturale e politica che si era coagulata, ad esempio, intorno alla rivista locale “Controra”.

c)Storia, maestra di vita: Agostino vorrebbe che si facesse «tesoro di quest’esperienza per non ripetere gli stessi errori quando le catastrofi, purtroppo, si ripresentano». Obiettivo sicuramente lodevole, ma più controverso, rispetto a quelli del capire cosa è accaduto. Il terremoto in Irpinia favorì sicuramente l’allestimento e la crescita della Protezione civile. Quanto alle ricostruzioni, proprio la vicenda irpina insegna che gli interessi in ballo sono sempre molteplici. Si pensi a come sono riusciti a rendere “invisibile” nel discorso pubblico il ruolo svolto dalle imprese del Nord.

d)Essendo il frutto di un testimone militante nell’area della sinistra “estremista”, la “memoria” ha anche il sapore di un bilancio: noi abbiamo detto ciò che c’era da dire, abbiamo proposto una soluzione diversa ai vari problemi, abbiamo anche occupato il Consiglio Comunale per ottenere un elenco di aventi diritto alla ricostruzione, abbiamo lottato per evitare che il nostro territorio non fosse deturpato, ecc. ecc. ma chi aveva il potere quasi sempre non ci ha ascoltato. Ha preferito fare altro. Ha preferito fare ciò che viene puntualmente raccontato in questo libro nel secondo capitolo e nel terzo. Ma anche ciò che viene raccontato nel quarto capitolo.
Sarà per questo che, inevitabilmente forse, il libro abbraccia un po’ tutto l’arco di vita dell’autore (nato nel 1956): dalla Bisaccia della sua fanciullezza-adolescenza e gioventù degli anni Sessanta e Settanta, a quella del terremoto e della “distruzione” (altro che ricostruzione); da quella della lotta contro la discarica al Formicoso, a quella del nuovo millennio con l’invasione delle pale eoliche,  dall’esperienza del Gal e del Parco Letterario, al regalo di dieci milioni alla CER, alla costruzione del nuovo Polo scolastico.

Sotto questo profilo il libro non è concentrato soltanto sul terremoto e sulle iniziative di ricostruzione post-terremoto. Coprendo un periodo della storia politica e amministrativa bisaccese abbastanza ampio, l’autore è consapevole che si pone un problema di unità dell’oggetto. Da qui la sua precisazione: le vicende amministrative più recenti vengono richiamate «solo in funzione della descrizione degli eventi che hanno contribuito a far perseverare alcuni attori sulla strada della sistematica distruzione della nostra comunità».
Non è casuale questa scelta. Agostino avverte come unica, vera e profonda cesura della comunità bisaccese quella del terremoto, una ferita non rimarginabile, una sofferenza, un dolore radicato che, ad oltre quarant’anni di distanza, non si riesce ancora del tutto ad elaborare. Nei giorni, nei mesi e negli anni successivi vinse il Partito della “spesa pubblica come bene in sé” e questo Partito continua ancora a lacerare ciò che rimane di questa comunità, a piagarla mortalmente, a trasformarla in rovine. Basta dare un’occhiata alle pessime condizioni in cui è ridotto oggi il centro storico bisaccese.

3.-Il Capitolo iniziale è dedicato al “Come eravamo”. L’autore ritiene che su questo “prima del terremoto” vi sia stata una sorta di “rimozione collettiva”. Il suo intento è quello di rifuggire da “visioni nostalgiche di un passato presunto idilliaco” per cercare “di ricordare il carattere e l’essenza di quel paio di decenni precedenti”. In sostanza, gli anni Sessanta e Settanta. Ma, siccome chi ricorda, ha dei padri e dei nonni, che, a loro volta, ricordano, si può risalire con la memoria a fine Ottocento- inizio Novecento.
Un dato oggettivo appare subito interessante: Bisaccia nel 1911 ha una popolazione di 9.054 abitanti, nel 1951 di 7.927, nel 1971 di 6.231, nel 1981 di 4.781 abitanti.
Lungo tutto il Novecento l’emigrazione è l’elemento essenziale, caratterizzante questa comunità. In Alta Irpinia e in Campania non è la sola. Sicuramente, però, il contributo bisaccese alla crescita dei vari luoghi e Stati di destinazione nel mondo risulta rilevante: nella prima metà del secolo in quarant’anni perde 1027 abitanti, nella seconda metà in trenta ne perde 3.146, quasi dimezzandosi. Probabilmente l’emorragia si arrestò per qualche anno con le iniziative post-terremoto di “sviluppo industriale”, ma poi riprese significativamente ed oggi Bisaccia ufficialmente conta 3.612 abitanti.
La lunga scossa di terremoto coglie Agostino, che allora aveva 24 anni, nella Sala del Consiglio Comunale, mentre si svolge un’assemblea sulle possibili iniziative contro la disoccupazione. Su come, quindi, sviluppare la comunità e, se non arrestare, frenare l’emorragia dell’emigrazione.
Il suo impegno politico post-terremoto e, si potrebbe dire, larga parte della sua vita sarà dedicata alle iniziative di “sviluppo locale”.
Molte cose buone sono state fatte. Rallentare, modificare, cambiare verso al moto complessivo dell’urbanizzazione legato allo sviluppo ineguale del capitalismo non è stato, purtroppo, possibile. Per mille ragioni.
L’emigrazione è, dunque, l’elemento che più di tutti caratterizza la comunità bisaccese: quella trans-oceanica, definitiva, dei nonni e bisnonni verso “l’America buona”, quella col ritorno annuale nel centro-Europa (Svizzera, Germania, Francia, Belgio) dei padri, e, infine, quella verso il Nord Italia per la generazione dei figli alla quale il sottoscritto insieme all’autore appartiene.
La storia collettiva viene esemplificata con la “storia della mia famiglia” fino a quella individuale: frequenza della scuola elementare 1962-1967. La crescita con la nonna materna. Acuto e toccante il ritratto di nonna Lucia: «Mia nonna era analfabeta, ma dotata di una parlantina fatta di battute disarmanti e di un linguaggio efficace che doveva venirle dall’aver cresciuto e maritato (era stata la sua principale preoccupazione, a quel che capivo) le cinque figlie femmine sopravvissute ai tre maschi puntualmente morti». Michela, la terza di queste cinque sorelle, era mia madre; l’ultima, Elvira, era la madre di Agostino. Io e l’autore, quindi, siamo cugini. Ma non è solo il legame parentale che ci lega. Di cugini ne abbiamo una caterva. È il legame affettivo, la complicità di un’amicizia, il confronto politico e culturale, la capacità di gestire condivisioni e differenze.
Le condizioni materiali e culturali di questa famiglia, non erano molte diverse da quelle della maggioranza: la luce a forfait, il miraggio dei servizi igienici con l’acqua in casa, l’installazione dei “fontanili” dell’acquedotto pugliese, le decine di adulti ammassati nell’aula dell’UNLA, la frequenza a scuola come “ascesa sociale” dei figli di contadini, la cultura del “Sud e Magia” (esorcismo, malocchio), le rimesse degli emigrati, la legge sul Presalario…
Agostino attinge abbondantemente alla sua memoria e ai suoi ricordi, ma non disdegna i due documentari RAI: quello di Virgilio Sabel del 1958 e quello del 1968; il documentario di Luigi Di Gianni intitolato “La potenza degli Spiriti”, ecc.
Il risultato è  un affresco assai gradevole degli anni Sessanta e Settanta con la storia collettiva che  si intreccia con quella familiare, in cui si mettono in luce le condizioni economiche, sociali, culturali e politiche (tradizionalmente di sinistra ma insidiata dal “basismo” democristiano) di questa comunità fondamentalmente ancora agricola, ma attraversata da processi sociali di trasformazione (quasi scomparsa di certi lavori artigianali come calzolai, sarti, magliaie; trasformazione dei forni da quelli a paglia a quelli a legna, vendita del pane, uso delle rimesse degli emigrati per edificare la casa nuova alla Cupa o alla Cavallerizza, ecc.), da una grande voglia di libertà e modernità – quanto poi questa sia discutibile è argomento altro – nei costumi: rivolta giovanile, la minigonna, la sessualità, ecc.
Quella di Agostino è una scrittura di qualità, condotta con intelligenza, acutezza, attenzione al dettaglio e mano leggera, fluida, scorrevole. La punta elegiaca, nostalgica, per quanto la si voglia tenere a freno, è in certe circostanze inevitabile. Basta rileggere il brano che, dopo aver dato i numeri del censimento bisaccese che vedono in pochi decenni quasi dimezzare una comunità, attacca con: «Ricordo, adolescente, l’odore particolare della casa del nostro vicino che, in una trentina di metri quadrati, aveva trovato lo spazio per lui e la moglie, per i tre figli, di cui due femmine, per il mulo e il maiale ai piedi del letto matrimoniale, dove la moglie impastava anche il pane. I vicoli sprizzavano vita ad ogni angolo: nei giochi poveri dei bambini, spesso aut-costruiti, negli anziani seduti al sole o all’ombra, nel profumo del ragù della domenica che potevi annusare ad ogni porta uscendo di casa […]»

4. Il secondo e il terzo capitolo sono quelli centrali del libro.
Nel secondo racconta il momento in cui il terremoto fa sentire la sua sconvolgente potenza. Tutti coloro che l’hanno vissuto riescono a indicare con precisione il luogo in cui si trovavano e le modalità in cui l’evento si manifestò. Agostino, come si è detto si trovava col fratello nella sala del Consiglio Comunale per un’assemblea contro la disoccupazione: «Il terremoto arrivò con un boato tremendo…per novanta interminabili secondi ci sentimmo come su una barca in balia delle onde…Non finiva mai: dopo un breve intervallo, riprese a scuoterci e ricordo come fosse ora che mi aspettavo che il pavimento si aprisse o che il soffitto ci travolgesse».
Dopo lo choc, la riorganizzazione mentale e il flusso narrativo sul soccorso carente (per fortuna a Bisaccia non vi furono vittime e crolli di case ed edifici), sulla nascita della Protezione Civile, sul ruolo straordinario dei volontari e il diffondersi dei comitati popolari nei paesi più colpiti (a Bisaccia, par di capire non nacque nessun comitato), sui saperi posseduti da singole persone (come Mario, Farese di Conza, Michele, ecc. Poi la tesi centrale:
«La vicenda di Bisaccia può far comprendere l’intreccio fra un certo ceto politico (che all’epoca dettava legge in Italia) e gli interessi di imprenditori del Nord, da cui la Lega avrebbe tratto linfa.
Quest’ultimo aspetto (i benefici che il Nord ha tratto dal fiume di denaro speso al Sud) viene sempre taciuto dal sistema dell’informazione: le imprese che tanto stanno a cuore alla Lega hanno sempre fatto affari sporchi con la criminalità organizzata e grazie a questo sistema di potere politico che lo garantiva ad entrambi. E la Lega è prosperata elettoralmente anche su questo, oltre che sulle falsità di un Sud sempre assistito. Ai giornalisti di Samarcanda o di Report, di Repubblica o dei fogli provinciali (sempre alla ricerca di scoop o che, nel migliore dei casi, raccoglievano qualche considerazione sui fatti ma non scavavano nella realtà e non davano visibilità ai nodi cruciali) questo spiegavo sempre, quasi mai ascoltato».
Infine, da parte del Parlamento il varo veloce della Legge 219/81 «che stanziava un sacco di soldi».
Agostino accenna al dibattito che accompagnò o seguì il varo della legge e cita l’instant book «Situazione, problemi e prospettive dell’area più colpita dal terremoto del 23 Novembre 1980» (Einaudi, 1981) dell’Università degli Studi di Napoli (Centro di specializzazione e ricerche economico-agrarie di Portici) che fotografava la situazione delle aree interne. Cita il numero 2-3, Anno II, dell’Aprile 1981 di Agricoltura e Società, la Rivista Trimestrale di Proposta, Analisi e Ricerca cui diversi allievi di Rossi Doria come Carmine Nardone e sociologi come Enrico Pugliese e Giovanni Mottura avevano dato vita «per tenere acceso l’interesse sul Mezzogiorno»; ma, alla prova dei fatti, tutto ciò restò patrimonio di pochi.
A Bisaccia, se discussione vi fu, riguardò la corsa a inserire il paese nella categoria dei comuni “disastrati” «per avere tanti soldi».
«È vero che la storia non si fa con i ‘se’. Ma proviamo per un attimo a pensare a cosa sarebbe stato Bisaccia se non fosse arrivato un centesimo!».

Nel capitolo terzo, Agostino racconta lucidamente “Le fasi della distruzione” del Centro Antico.
È un capitolo, per così dire, avvincente ed estremamente istruttivo. La narrazione è chiara, fluida e scorrevole.
Cosa sarebbe stato Bisaccia se non fosse arrivato un centesimo? Prima di tutto non ci sarebbero due paesi. Non ci sarebbe stata la svalutazione pazzesca del mercato edilizio locale. Non ci sarebbero state tante porte chiuse e tante case in stato di degrado. Non ci sarebbe stato l’abbandono del centro storico e non si sarebbero buttati tanti soldi per non risolvere nessuno dei problemi che affliggevano questa comunità prima del terremoto: dalla mancanza di lavoro, all’emigrazione, al mancato sviluppo locale, ecc. ecc. Non so come la pensino i bisaccesi. Ma basta fare una passeggiata per i due paesi per arrivare a questa conclusione. Oltre che opera di distruzione, si è trattato di uno spreco gigantesco di risorse. I bisaccesi sono contenti?…

5.- Per concludere, alcune considerazioni critiche:
a) Non c’è stato a Bisaccia un vero e proprio dibattito pubblico sul futuro del Paese. Si è cercato di coinvolgere la popolazione, ma come è accaduto recentemente con la scelta del Polo scolastico, non c’è stata mobilitazione di rilievo. Non c’è stata, tanto per fare un esempio, la mobilitazione che si vide nella lotta contro la discarica al Formicoso.
b) Il ruolo di Controra è stato assai importante, ha indubbiamente avanzato proposte alternative. Ma Controra è rimasta sempre un’area dai confini incerti e politicamente disomogenea. Non si è mai trasformata in una associazione sociale e culturale con un suo statuto, delle sue finalità, un suo programma, una sua organizzazione, un insieme di regole per gestire il dibattito interno.
c) Il libro racconta onestamente ciò che Agostino e quest’area ha fatto per contrastare la distruzione del centro storico. Ma non si preoccupa di raccogliere testimonianze altre, soprattutto testimonianze sociali. Le famiglie traslocate nelle stecche del Piano Regolatore come hanno vissuto questo loro trasloco? Hanno patito effettivamente una perdita di socialità e comunità? Oggi come vivono? Come è accettata la realtà dei due paesi?..,
d) La legge 219/81 non aveva l’obiettivo soltanto di ricostruire i paesi terremotati. Se non ricordo male, voleva utilizzare l’occasione della ricostruzione per favorire lo “sviluppo” dell’area terremotata, un’area importante del Mezzogiorno.
Forse sarebbe necessario uno sguardo critico, oltre che sulla “mediocrità” del ceto politico, sulle contraddizioni stesse della legge. Questa “memoria” accenna solo marginalmente al PIP – anche qui le industrie del Nord fecero probabilmente il bello e il cattivo tempo. Quasi certamente è stato un errore della legge quello di affidare al solo Comune le competenze in materia di ricostruzione. Comuni poveri con qualche migliaio di abitanti che hanno dovuto in quattro e quattr’otto dotarsi di Uffici tecnici improvvisati, condizioni che hanno sicuramente favorito discorsi come la Multiproject.
e) Occorrerebbe forse esplicitare meglio il contributo che questo libro può dare alla crescita di un dibattito politico e culturale che affronti le questioni odierne delle nostre comunità meridionali. Sicuramente il quinto capitolo è immerso in parte nei problemi dell’oggi. Ma forse occorrerebbe qualcosa di più netto e incisivo: penso ai problemi dell’autonomia differenziata, a quello dei servizi sociali, ecc. In fondo, lo spreco gigantesco della ricostruzione (distruzione) post-terremoto è stato usato per “punire” il Mezzogiorno. Sicuramente il “partito trasversale della spesa pubblica come bene in sé” va combattuto. Ma come far sì che vi sia, comunque, una spesa pubblica qualificata di cui Bisaccia e tante comunità del Mezzogiorno hanno bisogno?
Questo libro è importante. Il contributo di chiarificazione e di verità offerto è sicuramente notevole. Occorre, però, che tutti noi lo leggiamo e lo accogliamo come un primo passo per riprendere il dibattito politico e culturale sulle tante questioni che affliggono Bisaccia e il nostro Sud.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *