di Cristiana Fischer
Niente è più bello di questa larga mattina luminosa, una calma piana in cui le bordure di alberi dividono i prati e i pendii degli uliveti, si intuisce laggiù l’aria fresca e il verde che ancora profuma. Se questa pace e felicità sono il bene della vita, l’aldilà lo immaginiamo come pace e gioia intensa, oggi immaginiamo che la pace di qua costituirebbe, moltiplicata all’infinito, l’altra vita in aldilà. Mi pare che ormai siamo arrivati a essere quasi tutti d’accordo con questa idea, nelle diverse culture, tranne per quelle sette in cui alcuni, veri arretrati dello spirito, riservano le pene orripilanti dell’inferno ai nemici che hanno in terra.
Il mondo antico invece, le religioni precristiane, si figuravano un aldilà scuro e umido, una condizione peggiore del limbo in cui li collocò Dante più di mille anni dopo, almeno non c’era umidità bensì i paradisi, i giardini, del medioriente arido e pietroso. Segno in ogni caso di una soglia di separazione compiuta dai monoteismi, una tappa minima ma garantita, sulla via della beatitudine mentale e mistica.
Solo poche sere fa, ma già lontane, erano arrivati E. e il marito quasi all’ora di cena. La notte prima avevano acceso alcuni punti di fuoco nei valloni oltre il paese, e già dal mattino nubi gonfie di fumo biancastro, rotte da fuochi in forma di saette, stazionavano dietro le case e il castello. Dopo il tramonto un bagliore fumoso illuminava dal cielo. Non c’era allarme per noi dove eravamo, E. e il marito avevano avuto mentre salivano la visione da diverse angolature dell’incendio che si sviluppava lontano.
Dopo cena scambiamo notizie su conoscenze comuni e i parenti che da un po’ ricominciano a farsi vivi, nella comune vecchiaia, per trovare conforto insieme. Parliamo di morti e malattie, di persone con cui non ho rapporti da vent’anni ma la loro sorte mi interessa, voglio sapere tutto quello che è successo. Ad alcuni è andata male, la percentuale è alta e la conversazione si protrae. Si parla di tumori devastanti e umilianti, e di morti fortunate – non per chi resta – con un infarto. Una cugina rimasta sola di colpo si aggrappa per vivere ai ricordi felicissimi, così dichiara. Li avevo visti in Valdarno al tempo della caccia al mostro di Firenze, tanto innamorati che si potevano mancare solo per poche ore. Da allora avevano cambiato molti posti, o affittando case coloniche in cui si prendevano cura di cavalli altrui oltre che dei propri, oppure lavorando come stallieri in alcune proprietà.
Intanto tra i boschi dei monti intorno scorrono strisce brillanti di fuoco. I crepitii, gli scoppi e i tonfi dei legni, il rombo ventoso, non arrivano fino a noi. E’ uno spettacolo di sottili linee luminose, lontano.
Si parla ancora, dei due medici sempre più taciturni e opachi. L’aver a che fare con l’ingiustizia di mali terribili provoca forse disgusto per la vita. Si rallegrano con i nipotini, ma ne scelgono alcuni, fanno lo stesso con i figli, non nascondono le preferenze. Provocando critiche serie di figlie e mogli, rigorose nel non fare differenze fra loro né con i bambini. Un terzo medico, un cugino poco più giovane, è euforico per l’arrivo di un secondo figlio da un secondo matrimonio. Ha mandato con whatsapp una foto con l’ecografia del prossimo arrivo.
Il cerchio dei fuochi. Quest’estate, oltre ai brevi incendi locali, altri fuochi sono stati accesi in diverse aree più a nord, il vento li alimentava e si faticava a spegnerli. Anzi, nuovi focolai sorgevano appena una zona risultava incenerita, i boschi distrutti, gli animali selvatici bruciati vivi, il terreno arso. Un giornale online aveva riconosciuto il disegno: un vasto arco sulle montagne intorno convergeva verso un centro ideale, da cui partivano gli ordini per gli interventi dei vigili del fuoco e della protezione civile, per i noleggi di nuovi aerei e fronteggiare la marea di fuoco, un centro dove sarebbero confluiti i finanziamenti per rimboschire con nuove assunzioni.
Si dice che leghino una miccia alla coda di gatti e animali selvatici poi la accendano e la bestia, impazzita, fugge verso il bosco.
Le autorità regionali e i prefetti hanno escluso ipotesi di terrorismo, quelle a cui molti hanno pensato. Terrorismo politico, diffuso e indecifrabile, come accadde con i delitti della Uno Bianca.
E’ ottobre ma le temperature sono ancora alte, la terra è secca e il fogliame tutto sugli alberi. Un uragano atlantico ha preso una direzione verso oriente e ha investito le coste europee. Incendi spaventosi sono scoppiati in alcune regioni di Spagna e Portogallo. Per televisione si sono visti pompieri portoghesi che lanciano secchiate d’acqua. Il nuovo governo di sinistra (però lodato dai giornali finanziari) per difendersi accusa i precedenti governi (quelli sì, di destra) di non avere disposto mezzi sufficienti per la difesa del territorio. Politici spagnoli parlano di terrorismo per la natura sicuramente dolosa degli incendi.
Per molti anni, tredici, ho scritto sceneggiature per fotoromanzi. Pianificavo in 350 foto, divise in scene, la storia che avevo inventato. L’idea consisteva nel presentare una situazione, un’occasione tipica, in cui due protagonisti innamorati dovevano risolvere certi problemi per poter vivere insieme e tranquilli. Era un secondo lavoro, necessario e pagato abbastanza.
In una sceneggiatura i dialoghi fanno camminare la vicenda e complicano la trama. La vita umana procede in effetti tra persone che si parlano e parlano di altri. E’ vero sempre, nella realtà. Ad altri livelli, dialoghi lontani si presentano per altra gente con la faccia del Caso o della Persecuzione. In certi periodi la vita si svolge solo in dialoghi fra persone vicine.
Non tutta la letteratura è sceneggiatura. Con altri tipi di scritture il dialogo diventa solo dialogo interiore per chi legge.
Allora ero io che creavo i personaggi e potevo anche ammazzarli. L’autore non si creda onnipotente perché risulterà credibile solo nei suoi personaggi, se uscirà da sé spersonalizzandosi, diventando sostanza comune, commestibile, meglio se anche appetitosa. L’arte della sceneggiatura mostra in ogni caso qualcosa che è vero sempre, in ogni scrittura: l’autore, una donna o un uomo, o alcuni e alcune, come ventriloqui, parlano a tutti nel mondo.
nella vecchiaia mi perdo
e non trovo nessuno
solo spoglie abitate intorno a me
dei fantasmi comuni ma figure antiche
come Fregoli mutano i panni.
L’io che dura si è perso in atmosfera
nell’Anima del mondo che al corpo
volatile si serra e si dispera.
Noi corpi di terra i sistemi metamorfici
combattiamo con la morte in guerra
Ho raccontato l’ansia che vivo ogni estate per il rischio che nasca un incendio vicino. Una volta si è spezzato un filo dell’alta tensione, è caduto a terra e l’erba e i cespugli si sono subito accesi. Per fortuna era già mattina e ho sentito gli schiocchi – sembravano spari – poi ho visto il fuoco e ho telefonato ai pompieri. Li hanno soppressi per i centri con pochi abitanti, ma ci sono dei volontari che si organizzano. Fosse accaduto durante la notte saremmo bruciati senza scampo.
Ho legato la fragilità e i multipli incendi che si accendono, quasi mai da soli, quando da ovest si leva un violento garbino. Allora interi valloni di erba secca, insieme ai fianchi boscosi dei monti, si consumano in fumo e cenere.
…il racconto di Cristiana F. si presenta con una scrittura molto intensa: un intreccio di racconti personali, descrizioni di una natura intatta da paradiso e di una natura devastata, da inferno dantesco, se non che “I roghi” sono incendi dolosi che dimostrano l’inferno essere solo sulla terra e per opera dell’essere umano… molti anche gli universalismi, le riflessioni presenti, così che la narrazione si offre a molti piani di lettura. Scopriamo Cristiana autrice di fotoromanzi ( immagini, primi piani, dialoghi…) e al centro di una rete di amicizie di parentele, che, nel corpo delle persone, nei dialoghi, nei monologhi si intrattiene con il mondo intero e si trasforma continuamente, come sta nell’ordine naturale del tempo e delle cose. Lo stesso invecchiare, ammalarsi, morire restituisce all’ “Anima del mondo”…Gli ultimi versi della poesia sono per me un po’ oscuri:
“…Noi corpi di terra e sistemi metamorfici/ combattiamo con la morte in guerra”, significa: “Noi…combattiamo con (a fianco del)la morte in guerra”, nel senso che ci prestiamo in guerra a contribuire all’opera distruttiva della morte oppure “Noi…combattiamo con (contro) la morte in guerra”, nel senso che la guerra, massima manifestazione della malvagità umana, è la nemica numero uno di ogni naturale trasformazione dei corpi, che comprende anche la morte , “sorella corporale”?…o cos’altro ancora?
Combattiamo contro la morte, in una perenne guerra. Grazie, Annamaria!
In questo racconto c’è un po’ di tutto, dalla visione cristiana del bene coronato in paradiso all’inferno, il secondo come appare in terra, tra fuochi e spaventi. Vi leggo anche l’inquietudine dell’animo umano: il benessere-paradiso e il malessere-inferno. E la natura sovrastante, altro specchio di risorse interiori, luoghi per la psicanalisi.
Il pregio di questo racconto, secondo me sta nella narrazione casuale, di fatto scoordinata; capace di sollevare interrogativi senza tentare fughe verso la morale. Tutto è raccontato come stesse accadendo in questo istante.
Amo questo modo di intendere la scrittura.
Cristiana, bravissima!
ho appezzato come Mayor la scrittura narrata in presa diretta e lo spezzettamento del racconto. grazie
*Non tutta la letteratura è sceneggiatura. Con altri tipi di scritture il dialogo diventa solo dialogo interiore per chi legge* (Cristiana).
Sono perfettamente d’accordo e anche per questo motivo mi affianco alla valorizzazione fatta da Mayoor sul modo di scrittura di Cristiana (*tutto è raccontato come stesse accadendo in questo istante*) e al successivo apprezzamento di L. Paraboschi in merito alla *narrativa in presa diretta*.
Infatti questo modello narrativo ha un effetto coinvolgente (è come se fossimo anche noi ospiti della sua casa e fossimo partecipi – così come nota Annamaria – delle vicissitudini parentali e professionali della scrittrice) e nello stesso tempo estraniante, quel sentirsi dentro e contemporaneamente fuori, così come accade con i sogni.
Dentro la memoria (collettiva) e fuori la storia (fattuale) e viceversa. E da questo articolarsi si possono trarre molte considerazioni.
Il fuoco – spunto reale e simbolico del racconto – non può non richiamarci alle situazioni di intimità familiare, al calore del focolare attorno al quale si incontravano generazioni diverse e si raccontavano le ‘storie’ e la Storia. Ma anche ai momenti di esperienza collettiva, i roghi propiziatori – i cui rituali si sono mantenuti ancora nelle zone rurali alla festa dell’Epifania, passaggio simbolico dal sonno della natura al suo risveglio luminoso -, roghi attorno ai quali si cantava e si ballava.
Oggi tutto ciò ci è dolorosamente ‘estraneo’: * Si parla ancora, dei due medici sempre più taciturni e opachi. L’aver a che fare con l’ingiustizia di mali terribili provoca forse disgusto per la vita*, scrive Cristiana.
Il *cerchio dei fuochi* a cui assistiamo oggi, la furia distruttrice che lo accompagna, non produce solo l’ansia, la comprensibile ansia di fronte agli eventi della natura (*l’ansia che vivo ogni estate per il rischio che nasca un incendio vicino*), ma anche l’inquietudine drammatica perché chi dovrebbe vegliare non veglia, e ciò non ha certo a che vedere soltanto con la vecchiaia (*nella vecchiaia mi perdo/e non trovo nessuno*).
Tutto questo Cristiana non lo dice apertamente, non si fa paladina di alcunché, ma ci presenta una scenografia carica di angosciose domande che sta al lettore portare dentro di sé.
R.S.
Grazie a Mayoor, a Luigi Paraboschi e a Rita Simonitto per avermi letta. Si, tutto è in presa diretta – come si fa nelle sceneggiature – tutto è al presente come nella memoria con cui si vive insieme, quando la memoria non diventa “storia” (quella magistra vitae”?). Tutto è riportato, nell’epoca del cinema, della tv, dei social, a chi vive al presente, forse perché si è in una tale epoca di passaggio in cui tra passato e futuro il passaggio non c’è, cioè siamo noi. E le angosciose domande attirano a sé tempi lunghissimi e orrori presenti.