Da ” Un gallone di kerosene”

Edizioni Transeuropa 2019

di Henry Ariemma

 Erano lunghe figure i tuoi disegni,
 occhi ubriachi felici al sorriso
 aperto un mondo,  
 linee decise per motore
 al solo cuore, sguardo per carpire
 fermezze in mani arcobaleno... 
    
 Erano lunghe figure i tuoi disegni,
 occhi ubriachi felici al sorriso
 aperto un mondo,  
 linee decise per motore
 al solo cuore, sguardo per carpire
 fermezze in mani arcobaleno...
 E i vestiti sono state le mie favole,
 creta a stringere città per parole nuove,  
 indovinelli al navigare
 pesce in carta di scatola blu  
 brillando polveri, oro ovunque
 sulla pelle nella fronte e palpebre: luce  
 di questi sogni incollati ai tuoi,  
 due monete fissate insieme nel gioco per sempre.
 _
 
 
 Un gallone di kerosene
 mi hai chiesto di comprare
 -tanto non ci sai arrivare...
 E spiegavi la strada  
 e ripetevi nuovamente
 la parola appresa
 per considerarti...
 Non è stata quell’odissea arrivarci,
 a dire il vero sono stati da bambino,  
 occhi a colpo sicuro:
 c’era il vecchio con cappello
 e camicia come dicevi...
 Aveva la barba incolta e voce
 fumata tra i barili ossidati...  
 Alle sue parole vedeva le mani  
 col vuoto e prendeva un imbuto,  
 il barattolo a fil di ferro e travasava
 piano a poca schiuma con l’odore acre  
 dappertutto tra il rumore sordo di lamiere...
 Nel cartello c’era scritto, sbavato:
 tre litri mille lire e allora poco più per quattro.
 Ti ho voluto sorprendere facendo di corsa  
 a sentirmi dire: "già qui!”...   
 e hai sentenziato vedendo il pieno: "la prossima volta
 con te risparmio le parole visto che sei uno che capisce,
 finalmente...
 Per amico, sei fratello a vederti…
 Sorriso e gesto senza parole:
 e non ci sono incontri
 né momenti al sentire
 di quest'anima appartenere...
 Sei amico con l'andatura
 sicura dei gesti posati
 al mondo che gira e non sente,
 domato inferno sopra le linee,
 dolci colline schiarite orizzonti...
 E la tua parola migliore?
 questo silenzio dosato esempio,
 occhio al lungo guardare
 cenno stoico possibile,
 in nuce del fare.
 _
 L’inizio è di terra  
 ora spazio non lastricato
 nelle linee, quadrato
 rimasto foglie e radici
 come pelle ai vestiti  
 del vivere cuore che batte
 più di amore, amicizia.
 E sono passi nel recinto
 quelli che più contano insieme,
 unico sguardo tra blocchi  
 a parete grigia incollata malta casuale,  
 gettata, mai levigata al pavimento  
 di uno spazio dove contano profondità  
 e parole, anzi silenzi e gesti  
 come ai nove anni legando una calamita:  
 filo lungo al camminare sotto i rami e scavare
 foglie pestate dai tanti aprendole acqua passata:  
 rotte sfumato marrone al cielo argenteo  
 di monete e tappi in ruggine, calcinacci comuni  
 adottati figli del cammino...  
 Mi chiedevi di questa pesca, lo strascicare chiodi e chiavi
 a pezzi di ferraglie, del bottino lasciato ai sogni di mezz’ora
 ogni giorno tra libri e finestre aperte a vedere fuori senza le case
  viste lunghe alle apertura di libertà come uno spreco solitario…  
 Noi amici, attirando al cemento la bibbia e l’uccello di una gabbia aperta.
 
 
 
 Quando ti fai la coda
 cammini distratta al mondo...
 Sei bellezza statuaria
 agli sguardi che non vedi
 e senti sul mento alzato...
 Il rombo di braccia al collo
 scopre i seni...
 Per vederti vista con le mie foto,
 mantide in luce rosa a pranzare  
 divorato cuore, saziata vanità,  
 e allontanato amore.
 _
 Non avere nulla, è meglio di vivere?  
 Abituati a non avere niente
 perpetrando non vivere,
 non amore, mancato possesso
 senza ragionare fede allo scopo
 ultimo che premi questo dover rinascere
 nuova pagina consapevole a quella scritta,
 sovrascritta specchio in ombra, spento sole?  
 È chiamare vetri i cristalli brillanti  
 perché persi inestimabili?
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 

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