Sulle misere gioie di un’educazione cattolica

di Ennio Abate

Questi disegni, prodotti per lo più tra 1976 e 1978 – anni della interruzione della mia militanza politica e del “ritorno del represso”(Orlando), che nel mio caso ho chiamato “gioie dell’educazione cattolica” – corrono paralleli alle mie poeterie e al mio narratorio. E perciò, suddivisi in cinque sezioni, li introduco per ora con alcuni brani dalle une e dell’altro. [E. A.]

I

Del potere pretesco

Cert’i vote m’aggia addummannate cumme mai’e chillu guaglione s’ere fatt’e accussì ‘nturtà ra mamm’e, ra’ e pariente ra mamm’e, ra e prievete ra parrocchie e ra e prufessure e Salierne. A ragione va riche subbite. Pecché e prievet’e a Salierne allore steven’e rappertutt’e. E pure e prufessure erene cumm’a prievete o arret’ae prievete. Pe vi’e se vereven’e ogne poche passà ste file longhe e seminariste, ca n’coppe Pie XI, addo abitave a famiglie e z’ Vicienze Cusimate, ng’ere o seminarie diocesane, nu palazzone ca nun feneve mai. E nu prevete ne tirav’e n’atu, comm’ ae cirase. Si pe vacanz’e r’estate ieve a Casebbarone, c’ere chille ra cappell’e miezz’a piazza. O nger’e chille r’Acquamele, addò ieve a rumeneche cu’e cuggine, Vincenze e Guglielme, pe giucà ao calcette. Si steve a Salierne, mo ‘ncuntrave pe strade ronn’Enze Q, mo ron Micheline, e mo chille ca tenev’a a facci’e ca sumegliave a san Luigie Gonzaghe. E po c’ere pure o confessore ro Duome, addo ieve Marie Barlette, ca ere istruite e nge numenaie pe primme Kant.

(da A Vocazzione inedito)

[A volte mi sono chiesto come mai quel ragazzo s’era fatto così influenzare dalla madre, dai parenti della madre, dal prete della parrocchia e dai professori di Salerno. La ragione è presto detta. Perché i preti a Salerno allora stavano dappertutto. E anche i porfessori somigliavano a preti o andavano dietro ai preti. Per strada si vedevano ogni poco passare lunghe file di seminaristi, perché su Via Pio XI, dove abitava la famiglia di zio Vincenzo Cosimato, c’era il seminario diocesano, un palazzone chie non finiva mai. E un prete ne tirava un altro, come con le ciliegie. Se durante le vacanze d’estate andava a Casalbarone, c’era quello della cappella al centro della piazza. Oppure c’era quello d’Acquamela, dove andava la domenica coi cugini, Vincenzo e Gugliemo, per giocare a calcetto. Se stava a Salerno, ora incontrava per strada don Enzo Q, ora don Michelino, e ora quello che aveva una faccia che somigliava a san Luigi Gonzaga. E poi c’era pure il confessore del Duomo, dal quale andava Mario Barletta, che era istruito e gli nominò per prima Kant.]

II

Sulla violenza nelle gioie dell’educazione (cattolica)

 Musiche d'organo, cori, incensi
 erbe del giovedì santo.
 M'inebriavo.
 Tra lei e me, un prete, due preti
 e gli amici dei preti
 la scuola (coi preti).
 Lei era più sola. Soltanto  
 un'amica e forse una zia.
 
 
 Il parroco disinvolto
 mi tira l'ostia in bocca.
 Anche lei sta al gioco.
 Sale con le altre, s'inginocchia
 e dall'altare lui, sudante, l'imbocca.
 
 
 Ma a Pasqua me la strappano.
 La stendono a terra
 e a turno la baciano tutti.
 Il prete assiste, disinfetta  
 le parti più sfiorate del suo corpo.
   
 Io non voglio guardarla.  
 Ma già mi spingono da lei.
 Occhi ipocriti e saggi
 suggeriscono la finzione
 e severissimi poi l'impongono.
 Mani callose mi premono robuste
 sulle scapole.
 
 
 Nel pozzo colorato di luce
 (ah le vetrate dei miei artigiani!)
 ora la scorgo  
 anelante, equivoca, umiliata.
 La bacio amaro per l'ultima volta.
 
 
 So che senza lei e con nessuno di loro
 più andrò.

(Da La ragazza dei preti in Salernitudine, Ripostes 2003)
 
 

III

Della faticosa ribellione al Vecchio

 
 Dialogo Vecchio  scriba e giovane giardiniere versione 2009

 Vecchio scriba –
  
 I particolari del nostro incontro sui banchi di scuola o in fredde sagrestie del sud  contano ormai  poco. E così le ragioni del distacco. Il tempo che spendesti fra noi fu di buona semina. Ti demmo pensieri e sensi ordinati. Non solo divieti. Poi trasgredisti, ci odiasti. E allora dovemmo  precluderti i nostri cenacoli. [...]


 Giovane giardiniere -

[...]
 Accumulai così parole e grafismi, d’amore e di livore. Ma salvai le stravolte immagini dell’infanzia in fiabe materne e carnevali pezzenti. Degli echi contadini restai in ascolto. Anche quando fui nelle città.  
 Se scrivo di te, di voi miei maestri, però, ancora mordo e strido tra i denti suoni sincopati e arcaici timori. Perché ora so  che quell’umano ideale e il vigore della vostra stretta autorevole  e ambigua discendeva da loro, i velati della Religione della Parola, cortigiana e clemente. Non dalle celesti figure che predicavate.  
 Perché sopportare così addentro alla mia carne la voce complice che prestavate a nemici ignoti?  
[...]

(Da Immigratorio, CFR 2011)
 

IV

Del sogno di rubare un’opera d’arte

 
 
 
 L'ingresso dell'università  è accanto ad una piazzetta, dove ogni martedì si tiene il mercato. Gli studenti vi si affollano. Io 
nelle vesti di Samizdat ci entro seguendo due monache dall'aria solerte e mi avvio per i corridoi. Là dentro vedo studenti  che si raggruppano attorno agli altari, dai quali i professori con aria solenne tengono lezione. C'è, come nelle chiese, odore d'incenso e un silenzio assoluto. Gironzolò fra i vari gruppi dandomi  l'aria di un osservatore disimpegnato. Poi,  in fondo alla navata destra, mi attira un banchetto che espone libri d'arte per me costosi  e bellissime riproduzioni di quadri famosi. A sorvegliare la zona ci sono due enormi lanzichenecchi, perché - si sa -  quando c’è folla i furti sono frequenti.  I due omoni hanno elmi, corazze, alabarde e un fare torvo, che a me pare rinascimentale e mi ricorda certe figure dipinte dal Signorelli. Ho una grande  voglia di rubare un  grande  manifesto. È la riproduzione su carta da pacchi bruna – quella che a volte  uso per disegnare -  dell’«lncontro di S. Orsola con lo sposo» del Carpaccio. Ma non so come potrei nasconderlo e ci rinunciò. D'improvviso la folla in cui mi trovo s’agita. Molti si dirigono correndo verso le uscite. Nella calca mi accorgo di un gruppo di giovani. Hanno gli occhi ansiosi dei ladri improvvisati che si sentono braccati. Nascondono parecchia refurtiva. L'allarme già suona lacerante. Allora li raggruppo e li guido verso un'uscita laterale che soltanto io conosco. Lì  c’e un guardiano - occhi ottusi, volto ingenuo dal colorito d'albicocca, lento nei movimenti – che ci fa passare senza obiezioni. Proprio  mentre i due enormi lanzichenecchi stanno per giungere trafelati. È fatta. Sfogheranno la loro rabbia sul guardiano e questo un po’ mi spiace. Ma, allontanandomi, vedo lontano altri giovani. Si sono rifugiati su un balcone e  lassù c'è una zuffa. Ne vedo uno che cerca di calarsi lungo il muro. Mentre incerto cerca un appiglio sicuro ed è ancora trattenuto per un braccio da un altro suo compagno che sta sul balcone, un'ombra alle sue spalle lo colpisce ed egli molla la presa e l’altro precipita. 

(Inedito)

V

Del mostruoso e popolaresco nell’educazione cattolica

 Oh parrocchietta del sud, teca di vetro,  dove con quei loro gracili corpi, dei quali poco e male conoscevano se ne stavano serrati!  Oh figurine di madonna, occhi in su,  col serpente occhi chiusi sotto i piedi! Oh statuina di gesso - san Giorgio cavaliere - sempre sotto teca nela stanza in campagna di nonna Francesca, di lancia armata   contro il drago, vita informe! Dimenticati, gracili corpi, assetati e  fanciullescamente famelici, già divisi ora da lusinghe ora da rigori di preti,   già schizzati per vie del batticuore   in pedinamenti di ragazze!  Per abbreviare così lo spasimo  dello stacco,  il guizzo ansioso di un tuffo, per smarrirsi  non più nel mare,   nudi  nella dolce inconcludente lussuria  che l’aria incoraggiava  e il vento sperdeva. 

( Da Immigratorio, CFR 2011) 

Per questi disegni valgono le regole stabilite da Creative Commons License Deed che si leggono qui: https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0/deed.it

4 pensieri su “Sulle misere gioie di un’educazione cattolica

  1. Mi ci ritrovo…

    SEGNALAZIONE

    Pensare il disegno
    di Giuseppe Di Napoli
    https://www.doppiozero.com/materiali/pensare-il-disegno?fbclid=IwAR27icaRNxh-Fof__ZUGzR3759iaHuFxcAWFS_xdcWFNrIR2IjzBwmfgDho

    Stralcio:

    Il disegno lineare è il mezzo che permette allo sguardo di accedere al massimo della chiarezza e di portare alla massima precisione il pensiero, sostiene Matisse.

    Il pensare condivide con il disegnare molti aspetti. Tanto la prima attività quanto la seconda si svolgono secondo un andamento pressoché lineare nel tempo: il loro fine è quello di incanalare e delimitare il flusso incessante di idee che non ha ancora assunto una propria forma. Nelle mente i flussi di pensiero possono dare luogo a reti di inestricabili connessioni, legami e combinazioni tra svariati dati sensoriali, tracce mnestiche, pulsioni e impulsi inconsci.

    Tanto la chiarezza delle idee, e la connessa capacità di distillare in modo cristallino un pensiero, quanto la confusione mentale, determinata da una caotica combinazione e sovrapposizione di pensieri irrelati e privi di alcun senso, trovano un parallelo, rispettivamente, nel primo stato mentale, nella essenzialità e nella precisione dei tratti con cui si disegna una forma, e nel secondo nella sovrapposizione di segni indistinti per mezzo dei quali una mano incerta e confusa prova a delinearne i contorni. Non vi è pensiero che non si dispieghi come un disegno mentale: pensare è già disegnare mentalmente i contorni invisibili del senso di una frase, di un concetto o di una teoria. Il modo in cui si disegna può essere il riflesso del modo in cui si pensa la stessa cosa: ciò che è chiaro nella mente lo è anche nella mano e viceversa. Non si ha discrasia tra i due piani, anche quando si eseguono disegni istintivi, generati da automatismi inconsci. Molto spesso una delle due situazioni può essere letta come il sintomo dell’altra: così come un certo modo di disegnare può rivelare un particolare stato emotivo o perfino qualche turbamento psichico, allo stesso modo anche una condizione mentale di particolare serenità e lucidità porta a discernere e selezionare i segni più essenziali ed efficaci nella raffigurazione della forma che si ha in mente. Nondimeno, all’afasia talvolta fa anche da eco l’agrafia di segni stentati che indugiano, si nascondono gli uni negli altri producendo spesso una cancellazione reciproca.

  2. …i disegni rendono forse ancor più delle parole, perchè capita che alcune cose siano indicibili nel linguaggio scritto o parlato. Ci sono tuttavia movimenti comuni, involute contorte e grumi di tenebre e di luce: le prime. secondo me, sono più cariche di energia e generano le seconde, ma c’è molta circolarità…Che dire? quando si allenano il potere patriarcale del clero con quello matriarcale della madre, l’effetto sui giovani figli è devastante…mescola sentimenti, valori e brutture in un mix intricatissimo che lobotomizza e ferisce le menti e i corpi…Penso che sia difficilissimo uscirne senza conservarne le tracce. A Lodi ho assistito anch’io, senza averli vissuti proprio in prima persona, a tali scempi proprio in piccole parrocchie, dove imperversavano le cosidette “vocazioni” indotte, però che molti giovani preti, che ho conosciuto, hanno avuto il coraggio di gettare l’abito alle ortiche dopo pochi anni dall’ordinazione…quanta vita sprecata! o recuperata, se vuoi

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