di Cristiana Fischer
1. PANTEISMO Quanto andiamo lontano? come Achille e la tartaruga e il suono dalla sorgentee lo specchio dall'immagine e il punto dall'unico infinito si stacca e riappare nella sua unità.
Causa, principio ed uno sempiterno, Onde l’esser, la vita, il moto pende, E a lungo, a largo e profondo si stende Quanto si dic’in ciel, terr’et inferno; Con senso, con raggion, con mente scerno Ch’atto, misura e conto non comprende Quel vigor, mole e numero, che tende Oltr’ogn’inferior, mezzo e superno. Cieco error, tempo avaro, ria fortuna, Sord’invidia, vil rabbia, iniquo zelo, Crudo cor, empio ingegno, strano ardire Non bastaranno a farmi l’aria bruna, Non mi porrann’avanti gli occhi il velo, Non faran mai che il mio bel sol non mire. Non lo so, se Giordano Bruno abbia introdotto il Dio-padrone del mondo cattolico per dare un nome all'Uno Tutto e così tutelarsi rispetto ai sospetti e alle accuse che già lo inseguivano. "Cossí si magnifica l'eccellenza de Dio, si manifesta la grandezza de l'imperio suo: non si glorifica in uno, ma in soli innumerabili: non in una terra, un mondo, ma in diececento mila, dico in infiniti. Di sorte che non è vana questa potenza d'intelletto, che sempre vuole e puote aggiungere spacio a spacio, mole a mole, unitade ad unitade, numero a numero." La sua visione di una materia-vita che anima gli infiniti mondi “l'intima anima, che comprende ed è in tutte le cose” non richiede però un Dio persona: "quando diciamo Dio primo principio e prima causa, intendiamo una medesma cosa con diverse raggioni; [...] Diciamo Dio primo principio, in quanto tutte cose sono dopo lui, secondo certo ordine di priore e posteriore, o secondo la natura, o secondo la durazione, o secondo la dignità. Diciamo Dio prima causa, in quanto che le cose tutte son da lui distinte come lo effetto da l’efficiente, la cosa prodotta dal producente.”[1] Mio dio unico impossibile eppure anche unica forma che comprende la risposta a domanda incomprensibile alla domanda ineludibile sopra di noi, eterna, noi eletti, rivolta a chi divino nominiamo senza risposte mai se non contrasti alla sorte terrena che ci inchioda. 2. LA REGOLA NECESSARIA Così Immanuel Kant nella Critica della ragion pura, consapevole che ancorare il reale a una originaria ragione irraggiungibile non produce conoscenza del mondo: si tratta della "regola che, per quanto io possa procedere a questo modo nella serie ascendente, devo sempre cercare un membro superiore della serie, sia che poi questo mi possa esser noto per esperienza, sia che no.” Come fosse sempre reale e non possibile ideale il mondo unico reale tra i possibili incarnati tra i vivi compatibili e mai arresi agli invisibili. In altro modo, cioè con una logica interna al discorso, si sostiene la prova ontologica dell'esistenza di Dio. Spinoza nell'Etica: "Dio, ossia la sostanza che consta di infiniti attributi, di cui ognuno esprime eterna ed infinita essenza, necessariamente esiste." L'infinità è un concetto che non ha necessaria portata reale, come per inciso ha precisato Carlo Rovelli in un suo video: "in questa immensa sterminata nuvola di galassie, infinite... Forse finite, ma talmente tante che per noi è come se fossero infinite". Sostanza, essenza, attributi sono termini eredi di una lunga tradizione filosofica e teologica, sappiamo cosa significano in rapporto agli scritti dei pensatori che ne hanno trattato ("la stessa cosa sono il pensare e la cosa pensata”[2]**), tanto che il loro senso è diventato per noi patrimonio comune, ma non indicano una qualche realtà effettiva in sé, sono piuttosto attrezzi operativi per noi. chi sa quell'improvvisa risorgenza che mette a terra le parole di una confusa preveggenza è una dimensione una misura dell'interiorità che è superficie e varia il piccolo confine che ci accosta al nulla della specie. Non ha unità il dio che ci raccoglie non l'impianto religioso che ci avverte del legame: è la miscredente dell'oggi mia ideologia. Dio assurdo che abiura i segnali e il vuoto immenso riempie di materia. Sono troppo pochi i creatori di musica e poesia e di colori e forme che ci incantano ne ho bisogno per vivere e non trovo che aprano il presente alla speranza di un mondo che procede - e dove va? - verso dio che non esiste. La nostra razionale proiezione ristretta ai vizi dell'umanità invece che all'esistenza universale, all'essenza del mondo che non ha ragione di esistere che per la nostra ragione come fossimo un sogno, l'immagine di esistere in imperi inconoscibili di esistenze infinite immemorabili di cui siamo propaggini insensibili incoscienti di tanta profonda immensità incomprensibile. Coltiva il nulla e arrenditi alla tua fine irresponsabile. "Vergine madre figlia del tuo figlio" (Paradiso, canto 33) così volteggiava Dante tra i paradossi, per congiungere Regno Celeste e mortale incarnazione. 3. ANCHE UMANO E MORTALE Ancora nuovi ci purifichiamo nell'attesa eterna della santa eternità che – spiriti partecipanti - ci ammalia col profumo di astratta immemorabile unità. Nel tutto noi anime disperse come ciottoli d'acqua non erosi durare La vita comune tra i due sessi e le diverse età comporta tolleranza e accettazione di peli sangue merda catarro e deiezioni e piaghe infette e cure e amputazioni in debordante lunga esistenziale durata per pensare all'estenuante potenza di resistere. Se invece altra vita ci aspettasse eterna durare in materiale sfacimento ci inchioda a interrogare la domanda: se tutto è qui durare è un godimento se tutto sbocca altrove durare, se hai capito, è sfinimento anelito e speranza di un divino supporto nel conoscimento. Sarà equilibrio tra la ossi ficazione petrosa dei tessuti e ammorbi dimento degli organi sanguigni e il cervello di astratta materia neurologica e spinale indirizzato a mantenere vivo quell'orpello spirituale che scommette bastardo che infinito dio è anche umano e mortale. forse non siamo naturali interamente forse estranei o doppi appartenenti a natura speciale o un difetto un inciampo inconcludente di una specie di ordine impensato di una natura che non ha di suo nessun ordine assegnato da chi per quale forza o che pensiero e la nostra eccezione è un mistero che a nulla mai si appiglia Un passato gelato e lontano tra menzogne e abbellimenti mentre il conflitto estremo sopravvive si dispone in forze sconosciute: non è pace non è convivenza non è offa di sopravvivere pagata a parte offesa è acqua che tutto invade e scioglie. Tutto è bagnato saranno milioni di foglie che trasmettono l'acqua dal cielo e del bosco. Vivo sulla Terra dove sempre mai si affolla beatitudine celeste in speranza di altro immaginare. sulla crosta terrestre inferno a cui fuoco vulcanico impedisce ogni raggiungimento piove che dio la manda: il dio dei fulmini e del cielo tempestoso. Nessuno allargherà la prospettiva calata sulle terre nell'impresa di sollevarci al temporale cambiamento nec praeteritum tempus umquam revertitur ***[3] Note [1] La poesia e le successive citazioni di Giordano Bruno sono tratte da De la causa, principio et uno e da DE L'INFINITO, UNIVERSO E MONDI. [2] Parmenide, Sulla natura. [3] Cicerone, Cato maior, de senectute, "né mai il tempo passato ritorna".