L’inspiegabile

uomo_che_ride

di Franco Nova

Questo amarissimo apologo è giocato su una intelligente costruzione di un’atmosfera che dal fiabesco passa all’horror. Il narratore ci presenta prima un gran seduttore, un «uomo sempre sorridente», gentilissimo con bambini e donne, misterioso quasi come il pifferaio magico della famosa novella dei Grimm, per immergerci subito dopo in una sequela di truculenti fattacci, che avvengono sempre alla presenza del misterioso personaggio e sconvolgono la tranquilla vita di un paese. Egli si stacca persino dalla sua funzione di narratore, canonicamente esterno ai fatti, e va in mezzo alla gente per «instillare qualche dubbio su questo stranissimo personaggio». Nulla da fare. Il finale colloquio rivelatore tra lui e l’uomo che ride – i due veri protagonisti del racconto – conferma la pessimistica visione delle cose umane che l’evangelista Giovanni (III, 19) fissò nel motto usato da Leopardì come esergo per La Ginestra: «« Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἂνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς. – E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce». [E.A.]

Un uomo sempre sorridente, e anzi afferrato spesso da convulsioni di riso, arrivò un giorno in paese. Fermava tutte le persone, faceva lunghi discorsi ridendo, ma nessuno capiva che cosa dicesse e nemmeno se fosse un connazionale o uno straniero. Continuava ad offrire caramelle ai bambini e rivolgeva loro concioni che essi sembravano quasi capire da tanto ridevano assieme a lui, divertendosi moltissimo. I genitori furono inizialmente preoccupati, ma non quando appurarono che il folle, perché tale era evidentemente, distribuiva caramelle ottime, di marche ben note e costose. Dove se le procurasse nessuno riuscì tuttavia a saperlo.
Nemmeno era possibile individuare il suo rifugio notturno. Nessuno mai lo ospitò, nei pochi alberghetti del paese non fu visto. Subito dopo l’ora di cena spariva e si rivedeva la mattina successiva ad ora piuttosto tarda. Si organizzarono turni di sorveglianza, gruppi di paesani cercarono di pedinarlo quando la sera si allontanava, ma dopo poche centinaia di metri, inevitabilmente, se ne perdevano le tracce. Nessuno lo vide mai scomparire a mo’ di fantasma, il luogo in cui si dileguava cambiava continuamente. La gente era sommamente sorpresa, ma non c’era nulla da fare; ad un certo punto non si vedeva più e non era possibile individuare nemmeno lontanamente in quale direzione fosse scomparso alla vista dei solerti inseguitori.
Ancora più sorprendente è che fosse sempre pulito, nella persona e nei vestiti; poveri, ma ordinati, perfino ben stirati e, appunto, lindi e con un buon odore di appena lavato. Qualcosa di strano, anzi di veramente straordinario, riguardava quest’uomo apparso dal nulla e che svaniva ogni sera nel nulla. Ci si abituò alla sua presenza, al suo continuo sorriso, agli scoppi improvvisi di riso del tutto immotivati, al suo parlare in una lingua mai sentita, alla sua bonomia e generosità nei confronti dei bambini. Con gli adulti era più contenuto, non mostrava particolari segni di simpatia; ma tutto sommato era sempre gentile, corretto in ogni suo atteggiamento. Talvolta, anzi, aspettava le donne all’uscita dai negozi o dal supermercato e portava loro alcune borse con somma sollecitudine. Insomma, divenne una specie di “spirito buono”, che rendeva perfino un po’ più gaia e leggera la vita dei paesani. Fu quindi benvoluto. Qualcuno lo volle invitare a casa sua, ma egli sorrideva, e anzi scoppiava spesso in una risata un po’ nevrotica, senza mai rifiutare né accettare l’invito; di fatto, insomma, non si recò a casa di nessuno. Era sempre nelle strade del paese e poi, la sera, scompariva da qualche parte, che nessuno cercò più di scoprire dove fosse.
Passarono due anni? All’incirca, difficile adesso calcolare il tempo in modo preciso. Del resto, ai paesani sembrava di avere goduto di quella presenza in fondo piacevole da tempo immemorabile. Eravamo all’inizio di una primavera bella e soleggiata. E alla gente del paese sembra di ricordare che si trattasse di un giorno infrasettimanale. Verso mezzogiorno, nel bar della piazza centrale, preceduto dal fragore di una risata stridula e singolarmente straziante del tutto fuori misura e non alla portata di una persona normale, si sentì un gran frastuono, un urlio con imprecazioni e bestemmie, un rumore di vetri infranti e di mobili rovesciati. Accorsero i passanti più vicini, che entrarono nel locale e videro due uomini in apparente lite, con rovesciamento di sedie e tavoli e un afferrare le bottiglie nello scaffale dietro il banco per scagliarle a terra o contro altre bottiglie. Il barista appariva spaventato e si era ritirato in un angolo. Dopo un breve lasso di tempo, ci si accorse che in realtà era uno dei due, un ben noto personaggio in paese, di mezza età, ad afferrare per il collo un altro ben noto individuo, picchiandolo a sangue.
Alcuni accorsero, afferrarono l’energumeno, riuscirono a immobilizzarlo per quanto costui sembrasse impazzito, con la schiuma alla bocca, gli occhi spalancati e, fatto inspiegabile, colmi di terrore. Egli urlava che l’altro aveva l’intenzione di ucciderlo. Gli intervenuti si rivolsero al barista, completamente sconvolto dalla scena cui aveva appena assistito, e seppero. I due stavano tranquillamente al bancone del bar sorbendo il loro spritz quotidiano. Improvvisamente, raccontò il barista, quello che poi divenne l’aggressore si irrigidì, i suoi occhi si spalancarono assumendo l’espressione di terrore per qualcosa che vedeva solo lui. Fece una smorfia orribile e si lasciò sfuggire quella risata intrisa di dolore e paura udita prima del frastuono, si rivoltò verso l’altro, gli sparò in volto un “tu mi vuoi uccidere” e lo aggredì come un forsennato. A mani nude, però, lo si tenga ben presente. Dopo essersi dibattuto tra le grinfie di chi lo teneva prigioniero, le forze dell’impazzito si afflosciarono ed egli divenne mite, con gli occhi acquosi persi chissà dove. Ci si assicurò che non avesse trattenuto presso di sé qualche pezzo di bottiglia o altro oggetto con cui potesse far male, e si mollò la presa.
L’improvvisamente quieto personaggio era completamente assente, non rispondeva alle domande degli intervenuti, restava immobile, indifferente, in pratica non vedeva nessuno, sembrava essersi allontanato verso un mondo da lui solo abitato. A quel punto, entrò il folle sorridente, che tuttavia, per la prima volta da quand’era arrivato, non sorrideva. Si avvicinò all’uomo assorto e sperduto e lo guardò fisso negli occhi. In questi riapparve il terrore unito ad un’espressione d’odio incontenibile. Sorprendendo coloro che lo avevano bloccato, ma da qualche minuto lasciato libero, egli riaggredì il tizio di prima, suo buon conoscente, urlando di nuovo: “tu mi vuoi uccidere”. Altro parapiglia estremamente confuso anche perché il forsennato sembrava aver decuplicato le forze. Alla colluttazione partecipò pure il folle non più ridente. Ad un certo punto qualcosa si vide lampeggiare nelle mani dell’individuo urlante, ormai uscito di senno e che mostrava segni di un terrore indescrivibile. Era un coltello, spuntato da chissà dove, con il quale costui colpì il presunto intenzionato ad ucciderlo; e così fu questi l’ucciso da una netta e precisa pugnalata al cuore. L’assassino rimase per qualche secondo fermo e attonito nel mentre si fermavano inorriditi pure tutti coloro che avevano tentato di immobilizzarlo. Poi, sempre più terrorizzato – e mormorando inspiegabilmente: “sapevo che mi avrebbe ammazzato” – egli rivolse la lama contro di sé piantandosela con estrema forza e brutalità alla base del collo appena sopra la gola. Un getto di sangue sgorgò dalla ferita e, in men che non si dica, anch’egli spirò mentre gli astanti erano come paralizzati.
A quel punto, il folle arrivato dal nulla riprese a sorridere, salutò cortesemente ed uscì dal locale; alcuni degli astanti nemmeno se ne accorsero, ma altri sì e risposero al saluto pur sconvolti dall’avvenimento. Arrivò infine la polizia, poi un magistrato per i primi riscontri. Vi furono interrogatori, accese discussioni, ma non si riuscì a formulare una qualsiasi ipotesi sensata atta a spiegare un avvenimento tanto assurdo. Se ne parlò ancora per giorni, mentre il folle aveva ripreso il suo girovagare consueto per il paese, sempre sorridendo e dando in subitanei scrosci di riso, distribuendo caramelle ai bambini, aiutando certe donne nel portare le borse della spesa; insomma tutto come prima.
Non passò però molto tempo. Nemmeno una settimana dopo, in un diverso bar della periferia, si svolse lo stesso identico fattaccio, proprio con le medesime modalità, e con quel finale a coltellate dell’assassino-suicida. E sempre con l’entrata in scena, e sempre in quel determinato momento dello svolgimento della tragedia, del folle non più ridente, che poi però tornava a sorridere e a riprendere il suo girovagare “benefico” non appena conclusosi il dramma in larghe pozze di sangue. Dopo un mese, quei fatti avvennero tutti i giorni e poi anche due volte nella giornata. Una vera carneficina che spopolò gradualmente il paese, da cui però nessuno si allontanò. Ormai non si lavorava più e la discussione sull’orrendo svolgimento della vita in quella che era stata una tranquilla ed operosa cittadina non cessava un attimo, contribuendo ad alimentare un clima di sospetto reciproco che si mutava subitamente in rancore e odio per il potenziale proprio uccisore.
Nel mentre sto scrivendo, la popolazione pur decimata continua ad affollare le strade, a recarsi nei bar dove si discute degli incresciosi avvenimenti; ed ogni giorno in uno di questi bar si ripete, almeno una volta, il doppio sacrificio. Il terrore sale, l’odio reciproco pure, ma nessuno bada più al folle ridente, che ora imperversa pure di notte. In pratica, non scompare più alla vista dei cittadini e dorme spesso, ma non più di due-tre ore, in una delle case ormai disabitate per lo stillicidio delle morti violente. Nessuno però segue più i suoi movimenti; non sussiste più la vecchia simpatia ma certamente non lo si teme, non si prova alcun fastidio nel vederselo continuamente tra i piedi. In pratica, lo s’ignora. Leggendo attentamente di questi avvenimenti, sono rimasto sorpreso nel constatare come nessuno si sia nemmeno posto il problema della costante presenza di costui negli eventi delittuosi; e sempre con le medesime modalità immediatamente precedenti il brillare della lama e la duplice uccisione. Mi sono quindi recato nel paese e ho cercato di instillare qualche dubbio su questo stranissimo personaggio ai poveri abitanti ormai ridotti a meno della metà. Mi guardano però come fossi io il folle, poi mi osservano con sospetto e parlottano fra loro, lanciandomi occhiate che non trovo amichevoli.
Ho perciò deciso di tornarmene da dove sono venuto. Si arrangino costoro, vogliono restare ignari, sperando che un giorno torni a “splendere il Sole”. Poiché non c’è alcun motivo apparente che possa far pensare ad un folle, venuto da chissà dove, che intenda distruggere il loro paese, essi preferiscono guardarsi in cagnesco; e ognuno pensa alle trame del “più vicino”, che magari, chissà, vuol impadronirsi della sua casa. Mentre uscivo dal paese, ho sentito un tramestio dietro un’alta siepe e mi sono avvicinato a guardare: il “folle”, tutto serio e con un’espressione molto assorta e concentrata sul volto, era intento ad arrotare alcune decine di coltelli; il che tagliava la testa al toro, come suol dirsi. Mi ha degnato della sua attenzione, abbozzando un sorriso proprio per nulla da folle, e mi ha rivolto la parola nella nostra lingua: “hai capito perché gli uomini in genere meritano poca stima e pietà? Si comportano come gli struzzi, preferiscono le spiegazioni più immediate e che rispondono al loro sedicente buon senso. E’ per loro meno faticoso, e non richiede grande assunzione di responsabilità, pensare che, dietro ogni mossa a loro sfavorevole, ci sia un interesse materiale di qualcuno di cui hanno lunga conoscenza. Il tuo cercare di far nascere sospetti su di me, illustre sconosciuto, non è stata una mossa molto abile. Semmai, avresti dovuto assumerti la responsabilità di sopprimermi e, dopo qualche tempo, si sarebbe preso atto del non verificarsi più di simili ‘incidenti’. Nel frattempo, però, avresti corso dei bei rischi con questa gente poco riflessiva e pronta alle reazioni più viscerali”.
Non reagii a quello che ritenni un atteggiamento a metà tra il saggio insegnamento e la provocazione. Sapevo comunque che aveva ragione; non avevo alcuna intenzione di mettere a repentaglio la mia sicurezza personale per chi, come tendenza di fondo, non vuol sapere, non vuol prendere atto della realtà, se soltanto è un tantino più complessa e non facilmente comprensibile. Se si fosse usato il cervello, ci si sarebbe accorti di quanti indizi spingevano a ritenere colpevole quell’uomo. Sarebbe però stato necessario afferrare i reconditi motivi che lo spingevano a volere la soppressione di quella piccola comunità. E certamente, sarebbe rimasto ancora tutto da scoprire con quali malefici poteri il finto folle riusciva, pur non subito presente, ad instillare il terrore a chi all’improvviso immaginava nel suo vicino l’intenzione di ucciderlo. Inutile porsi tanti problemi e domande; non si poteva ormai fare più nulla, meglio eclissarsi e lasciare che il “Destino” seguisse il suo corso, ignoto fin quando non ci colpisce con crudeltà ineluttabile.

2 pensieri su “L’inspiegabile

  1. Tristemente vero.Una sveglia per tutti coloro che nonostante abbiano di fronte il peggiore dei mali, preferiscono non sentire , non vedere, non prendere decisioni, non rinunciare ai loro sonni tranquilli, magari prendendo dieci gocce di Valium.
    Ma al risveglio verrà presentato loro un conto …molto alto.

  2. Mi sembra che questo racconto ci riporti alla tragedia di alcune forme di colonialismo in tempi moderni, anzi recenti. Si evita l’invasione aperta del territorio, lo sterminio della popolazione, si vuole salvare la faccia, si parla di voler “esportare la democrazia”, si inviano aiuti umanitari, in realtà si impiegano armi psicologiche potenti, chissà quanto provate in laboratorio su materiale umano (o é solo fantascienza?), per fomentare terrore ed odio tra gli abitanti stessi, fornire loro, sottobanco, armi perchè si autodistuggano…e il gioco é fatto. Il paese viene consegnato nelle mani dei conquistatori dalle stesse vittime. Ma sembra inspiegabile il fatto che queste ultime non riescano a dare ascolto a chi le mette in guardia sul reale nemico…resta il grande disprezzo dei vincitori: i danni con le beffe…

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