Finché non si consumerà

di Arnaldo Éderle

 

Finché non si consumerà l’anima.
Ci credo? Non so, la speranza però
è tenace e non mi abbandona, forse
me la mangio ogni mattina e
la digerisco subito senza problemi
di stomaco, mi sembra facile
deglutirla e introdurla nel sangue,
ma non so se ci rimanga e se circoli
nel mio povero corpo, però c’è
e ci rimane fino al prossimo rigurgito
fino al prossimo rutto
espulsivo.

Finché l’anima non si consumerà.
Sì mi piace. Altrimenti non saprei come
dirlo questo incipit che mi dà la forza
di viverla questa vita finale.
Credo che sia per tutti la stessa
cosa, lo stesso slancio di breve
continuità, questo desiderio
questa frase terminale.
Ah, ce ne vorrebbero tanti di questi
confortanti incipit
tante cose uguali a questa
tante illuminazioni gratuite e lucide,
ce ne vorrebbero tante e tutte
così brillanti e sicure.
Chi non le crederebbe così sacre,
e religiose se non
esistenziali se non amiche dell’uomo
se non protettrici e pregne di colori
di forme?
Ah, vorrei essere un mago e avere la
potenza della visione. Essere sicuro
delle mie parole e tranquillo
della loro verità!

Non potrei dirlo, così a cuor leggero
senza l’ansia dell’avvento senza il corruccio
dell’errore che potrebbe venirmi,
confutandomi e premendo sul mio petto
come la cosa più oltraggiosa,
per il mio breve futuro.
Non potrei dirlo, ma lo faccio per rispetto
della mia anima, per amor suo.
Non mi va di pensare a un’anima mortale
un’anima timorosa dell’al di là,
a un’anima che non si cura del profondo,
pavida e sottomessa ai tempi della vita.
No, il mio bel drappo bianco nonostante
le imbrattature del mio debole corpo
deve guardare lontano oltre la barriera
della morte.

Quando i margini si restringono
i passi si accorciano, si fa
senza pensarci, te ne accorgi dopo
del passo meno potente del colpo d’anca
meno forte e più incerto del minor
vigore che ti danno le braccia.
E la mente un poco si offusca, a volte
si blocca, le ginocchia cedono un tantino,
e tu ti fermi.
Chissà se l’anima si consumerà davvero,
e che cosa sarà poi del nostro essere,
della nostra postura eretta
del nostro slancio verso l’azzurro.
Se non impariamo l’arte dei maghi
non lo sapremo mai, non lo impareremo
durante il nostro viaggio terrestre
la nostra immagine di luce e ombra
la nostra gobba orientale il nostro
grappolo familiare.
Finche l’anima non si consumerà.
Ma in che modo succederà l’incanto?
Le nostre particelle fluttueranno nell’aria
dei cieli come minime stelle? o come
coccinelle tra stella e stella
tra mondo e mondo?

La quinta pagina…
E se fosse dove si scopre l’arcano
dove si evince il trucco il paradosso
dove si scopre l’incantesimo!
Ma ciò non si dà.
Se l’anima si consuma come la foglia
gialla o come il ramo spiantato
o come il braccio reciso,
qualcosa dovrebbe restare nella mota,
cosi dicono i saggi, ma i saggi spesso
non sanno, e se fingono di sapere
non ci servono.
Come si fa a scoprire il futuro?

Chi se lo lega a un dito questo incipit
se lo scoprirà ogni mattina al risveglio
e se lo ridirà come un fanciullo che voglia
impararlo a memoria senza sapere a cosa servirà
di che discorso farà parte a quale lezione
apparterrà, sarà come illuminare una pagina
del suo caro abbecedario, una pagina dettata
dalla sua cara maestra, nulla più.
Ma intanto i suoi occhi lo vedono
e lo trasmetteranno al suo cuoricino.
Speriamo che rimanga lì a lungo.
Da quel momento i suoi occhi seguiranno
il percorso dell’anima, la raggiungeranno
oltre il cuore, si sentiranno pieni della
sua immensità e annuseranno il miracolo. Forse…

forse sarà lo sdoppiamento del percorso
del loro cammino verso la luce:
la loro eternità.

2 pensieri su “Finché non si consumerà

  1. La precisione di alcune immagini dice la padronanza di Ederle sulla sua poesia: “la nostra gobba orientale il nostro/grappolo familiare”, eccoci descritti, di profilo, nel percorso da est a ovest, tra la nascita e la morte; e poi “del passo meno potente del colpo d’anca/meno forte e più incerto”, il “colpo d’anca” (réjét) viene subito dopo avvertito “meno forte”: il gioco meccanico che indebolisce il passo.
    “Fin che non si consumerà l’anima.” è l’incipit che dà forza “me la mangio ogni mattina e/la digerisco subito senza problemi/di stomaco, mi sembra facile/deglutirla e introdurla nel sangue,/ma non so se ci rimanga e se circoli/nel mio povero corpo, però c’è”;
    ma è anche una frase terminale e ce ne vorrebbero “tante cose uguali a questa/tante illuminazioni gratuite e lucide,/ce ne vorrebbero tante e tutte/così brillanti e sicure.”
    L’anima-drappo bianco che guarda oltre la barriera della morte, è ancora un’anima personale, soggettiva, coraggiosa e vitale e, se si consumerà davvero, occorre figurarsi una morte di secondo tipo, particelle, forse viventi (coccinelle) in uno sconosciuto spazio infinito. Così quell’incipit sdoppia il “cammino verso la luce” che ci indica fin da bambini, per una eternità (anche materialisticamente intesa) che ci conservi.

  2. Grazie Cristiana. Sei il primo commento che mi piace molto: “Così quell’incipit sdoppia
    il “cammino verso la luce” che ci indica fin da bambini , per una eternità, (anche materialisticamente intesa) che ci conservi. Ancora grazie grazie Cristiana! Tuo Arnaldo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *