Degli orrori di ieri e di oggi

di Ennio Abate

in memoria di Piero del Giudice *

In albe inferme giovani sentinelle
appostate su piramidi rilucenti
freddarono di servi un sogno.

Restarono cervici da corpi divelte,
muschi d’organi squarciati
torcigli di visceri in stracci raccolti.

Tranquilli,  gli occidentali omini
sull’oscuro pavimento degli anni
uno sgorbio color carbone vedono.

E per assenza di grida narrano
che di miti bestie in autunno macellate
il sogno fu. Non d’umanità percossa.

Mente che indaghi quel tempo
grumoso! E’ lo stesso che i freezer
televisivi surgelano ogni giorno.

A Sabra, Beslan, Bagdhad.
Orridezze certe. Le gustano
gli immemori in sugo d’angoscette.

(1983 circa/ 9 giugno 2016)

Morto a Milano Piero Del Giudice. Militante, giornalista ed uomo di profonda cultura.
Insegnante, militante politico e sindacale, giornalista e scrittore, nonché profondo conoscitore del mondo dell’arte per il quale aveva scritto alcuni saggi. Ha esordito come poeta con “L’evidente povertà dei mezzi”

MILANO – E’ morto dopo una breve malattia, a 78 anni compiuti, Piero Del Giudice. Era ricoverato all’ospedale San Giuseppe di Milano per i postumi di una polmonite che lo aveva colpito verso la fine di luglio. I tentativi di cura non hanno dato l’esito sperato e nonostante le cure è spirato ieri nel pomeriggio. Piero del Giudice era nato nel 1940 ed aveva trascorso la sua giovinezza a Casalmaggiore, dove ha ancora alcuni amici che lo ricordano con affetto. Allievo di Francesco Arcangeli al liceo Romagnosi di Parma. Insegnante, militante politico e sindacale, giornalista e scrittore, nonché profondo conoscitore del mondo dell’arte per il quale aveva scritto alcuni saggi. Ha esordito come poeta con “L’evidente povertà dei mezzi” (Guanda, 1979), ha scritto sulle campagne cremonesi-mantovane “I bergamini (Edizioni E, 1994)”, ha curato la biografia del pittore Edmondo Dobrzanski “Europa wo das Licht” (edizione bilingue, Edizioni E, 1988) e il catalogo generale dell’artista per il Museo di Casa Rusca di Locarno. Inviato nella Jugoslavia in guerra (1991-1999), ha firmato decine di reportages per le principali testate, documentari e docu-film televisivi come “Scomparso. Storia del comandante Palic” (insieme a Michael Beltrami). Ha scritto “Sarajevo samizdat e Sarajevo! Il libro sull’assedio della città” (Saraj, Milano 2005). Ha voluto e curato edizioni italiane dell’opera di Abdulah Sidran, Filip David e Marko Vesovic. Ha scritto saggi per diversi quotidiani e riviste. Ha collaborato con le maggiori riviste italiane, con radio e televisioni italiane e estere. A Casalmaggiore tornava quando poteva, e spesso per iniziative culturali. L’ultima volta il 30 giugno scorso al caffé Centrale, nell’ambito del quarantennale della legge Basaglia. Aveva dialogato con lo psichiatra casalese Franco Rotelli in un incontro dai profondi contenuti umani e culturali. Il corpo verrà cremato a Milano e le ceneri sepolte poi a Parma.

(https://www.oglioponews.it/2018/08/31/morto-milano-piero-del-giudice-militante-giornalista-ed-uomo-profonda-cultura/)

3 pensieri su “Degli orrori di ieri e di oggi

  1. Mi associo al cordoglio. Quanto alla tua poesia, Ennio, mi pare un esperimento forse troppo marcato di linguaggio aulico-alto, dove la figura dell’inversione (anastrofe in primo luogo) rimarca questo senso d’antico. Poi ci vedo, netta, l’impronta fortiniana, ossia del Fortini nel suo complesso, che a mio avviso spazia da “Foglio di via” (es. tra i tanti:” freddarono di servi un sogno”). alle canzonette del Golfo (in chiusa la forte allitterazione, e insieme l’ironica “bizzarria” lessematica: “orridezze – angoscette”)

  2. Sì, mettiamo in primo piano il lutto per la morte di Del Giudice.
    Il mio è solo un omaggio. Il testo era legato al mio vissuto di quel tempo, al rapporto epistolare che ebbi con Piero quando tra 1981 e 1985 era nei carceri speciali; e, più in particolare, alla presentazione (di cui parlerò in altro, prossimo, articolo), del suo libro “Le nude cose”, lettere dal carcere. Le presentai a Cologno Monzese insieme a Franco Fortini e a Giuseppe Pelazza proprio nel novembre 1983.
    Sicura l’impronta fortiniana (troppo forte), ma le canzonette del Golfo erano di là da venire.

  3. A.P. è la mia amica di Roma, amica storica Alessandra Pannuti, grande artista dell’arte della ceramica. Si è spenta da poche ore, consumata in fretta da un male

    nero.

    Gino Rago

    Lettera non spedita ad A. P.
    [l’eccesso di memoria]

    Cara Signora Alessandra P.

    So che conosce i confini tra poesia in prosa
    e prosa poetica, li conoscevano i maestri della creta,
    li conoscono Alberto, Cristina, Giulio, Giulia, Giovanni e Carlo.
    […]
    Atene, Alessandria, Gerusalemme, Roma? Forse ancora le tue pietre miliari,
    ma l’amica di Cracovia non è in grado di tradurre le parole che non ha mai pronunciato.
    Jolanda W. e M.me Hanska sanno che nella fabbrica dell’amore gli amanti non riescono più a toccarsi. Le mani scompaiono per eccesso di memoria… Le parole si impigliano in scuse puerili e due vacche nel prato emanano vapori.
    L’amministratore delegato della fabbrica corre sull’erba dello stesso prato come colpito da un fulmine.
    Sul fiume un vento da ponente, senza voci lo smalto del cielo, senza vetri le finestre della casa, vuote le stanze.
    La memoria? Cara Signora Alessandra P., soltanto Lei lo intuiva,

    specialmente negli ultimi giorni di silenzio anche nell’argilla:
    la memoria si è alleata con il buio, litiga sul terrazzo con le stelle. Dice parolacce anche alla luna.
    La città nell’assedio è senza luci.

    [Senza luci né suoni, come immagino Lei da sola ora in una bara].
    […]

    Cara Signora Alessandra P., a me sempre diceva:
    «L’eccesso di memoria può giocare brutti scherzi.
    Meglio mettere in vendita le case
    nelle città che lasciammo senza preavviso, il passato ci insegue,

    nessuno scherzi con il destino.
    So che Jolanda W. e M.me Hanska consultano
    gli dèi sempre di nascosto,
    ma le agenzie immobiliari non aprono i battenti.

    Nessuno compra case, non si trovano armadi,
    troppe valigie in giro per le foreste di Treblinka.
    Ma a Roma e a Varsavia nessuno più ne parla.

    Non potendo o sapendo modellare il mondo ho modellato me stessa

    a misura del mondo. L’ho fatto con l’argilla.

    Ho udito il mondo dai suoni dell’argilla,

    con l’occhio dell’argilla ho guardato il mondo.

    Lascio al mondo il frammento

    di me, di quel ‘me’ mio, tutto mio in fondo all’argilla
    che ora è solo fango…»

    Gino Rago, 3 settembre 2018

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *