Ierogamia fallita

da “Morfeologie”, Iod edizioni 2019

di Stefano Taccone
Pubblico uno dei 12 brevi racconti che compongono “Morfeologie” di Stefano Taccone. Il titolo del libro richiama la figura di Morfeo, la divinità del sonno e dei sogni, il cui nome in greco indica anche il concetto di forma. Il racconto scelto sembra fondato su un onirismo che manipola con ironia i miti inserendovi (metamorfosando, bisognerebbe forse dire) inquietudini e problemi d’oggi . [E. A.]

Solo, in una terra sconfinata e stranamente rigogliosa, che ci faccio? Appena un po’ più in alto, su di un leggero declivio, in tempo e luogo adatto per assistere, senza essere visto, a un evento meraviglioso. Le viscere della terra si stanno aprendo per partorire una giovane donna: alta, snella, formosa, in terreno massiccio, ma leggermente umido, e con una cascata di densa edera per capigliatura; terreno fertilissimo insomma, ché se si coltivasse su di lei spunterebbe immediatamente qualsiasi cosa, o forse crescerebbero tranquillamente erbe spontanee, se solo lei non si diserbasse come una donna in carne e ossa si depila.

Contemporaneamente il cielo piove un giovane uomo: alto, snello, muscoloso, di una materia un po’ meno solida, appena un po’ più gassosa eppure possente; ogni parte del suo corpo corrisponde a una gradazione di celeste: pelle più chiara, capelli e occhi più carichi; parimenti umido, tanto che

l’intero corpo trasuda di goccioloni d’acqua che però sono l’antitesi del sudore: se il sudore umano è indice di calore e fetore, il suo “sudore” è certezza di freschezza e fragranza.

Completata la sua discesa, lui poggia i piedi sulla terra; completato il suo parto dalla terra, lei si pone in piedi. Si guardano negli occhi bell* e l’un dell’altr* ardent*, perché il tempo non fugge e inganna, quando a loro è sottomesso il tempo. All’unisono le braccia dell’un* stringono l’altr*, si scambiano umori e vapori, la terra che sollevano si mescola al vapore acqueo; presto collassano al suolo, non per mancanza di forze ma per eccesso di attrazione, rotolando ripetutamente in costante amplesso.

A un tratto, un fiotto di rosso sembra rigare la gamba di lui, come ferito da qualche impurità puntuta scaturita dal corpo di lei – un coccio aguzzo di bottiglia? –, ma nel contempo il corpo di lei è come corroso da quello di lui, dal quale non fuoriescono più piogge salubri, ma acide, impure. Più va avanti l’amplesso e più il corpo della donna si scopre devastato da rifiuti organici e inorganici, si ricopre di crettature come un quadro di Burri. Quello di lui non ne parliamo: alterna scrosci di liquidi che tutto sono tranne che incolori e inodori a momenti di preoccupante siccità, allorché quasi scompare: il suo stesso corpo appare floscio, si scopre meno tonico di quanto possa percepirsi.

Lei ha cominciato a innervosirsi da un po’, ma lui non è da meno. Se lei sembra incolpare lui per come stanno volgendo le cose, lui si mostra altrettanto severo e attacca naturalmente più che difendersi. L’amore ardente si sta trasformando in una ardente polemica. Più si va in fondo e più l’un* respinge l’altr*: dapprima credendo di preservarsi dalla tossicità altrui; quindi anche perché l’un* appare mostruoso all’altr*. Il piacere si è trasformato in paura, pericolo e poi in dispiacere, nausea, schifo!

E intorno non è diverso: quel suolo così florido da partorire una donna si è trasformato nell’iconografia della sterilità. Ormai la consistenza è desertica. Ma sarebbe ancora niente: se solo non si fosse progressivamente popolato dei migliori rifiuti della civiltà: frammenti antiform di plastiche combuste in cui trovano casa e di cui si nutrono le bestie meno immaginabili, viscide quanto perfide, ostinate quanto malate, vivide quanto moribonde, se non già morte. Brandelli di carni, schegge di ossa e rivoli di sangue completano infatti il paesaggio, distopico quanto una discarica abusiva o meno. Pare che il loro amplesso, senza che se ne accorgessero, abbia prodotto tutto questo: dall’albero si vede il frutto e da cieli e terre infette non possono che scaturire creature infette, senza neanche che si raggiunga l’orgasmo.

Lampi e tuoni arrivano puntuali: l’acqua scenderà inesorabile a confondere ancora le acque in cui naviga la Terra, a fungere da conduttore dei terrificanti aborti che di questa ierogamia fallita sono i residui. Residui di cosa però? Quando siedi intorno a una colazione, un pranzo, una cena produci una quantità incredibile di rifiuti, ma sono tali appunto rispetto al buono che assimili, irrorando la tua vitalità. Ma qui dov’è più il buono, dov’è più il bello? È rimasto solo il vero e si può solo sperare che non sia tale, che sia solo un malaugurato incubo!

Il cielo bianco freddo cinereo sta emettendo secchiate aritmiche, irregolari, distoniche; prima che si trovi nel bel mezzo di un mare in tempesta, travolta da onde cavalloniche, alla coppia – che non sa più se dirsi coppia – conviene provare a mettersi in salvo. Come e dove è tutto da inventare, così come le possibilità di successo sono tutt’altro che assicurate. L’unica opzione immediata è in coppia o scoppiati. Ogni esitazione è tempo che fugge; ogni non decisione è scelta che inganna. L’un* e l’altr* hanno già tentato una o più volte una fuga disordinata finché non si è rivelata una falsa partenza: l’un* invertiva la rotta e si riapprossimava all’altr* che accompagnava con lo sguardo. Finalmente all’unisono, le dita delle loro mani si incrociano senza scosse né traumi, e altrettanto coerente pare la loro fuga. La mano regge ancora nell’altra mano, malgrado gli ostacoli fisici dati da putridi o tossici oggetti galleggianti e dall’attrito dello stesso liquido.

Ora sorge però un problema per me, visto che stanno arrivando nei miei pressi. Anche io sto per evacuare, benché nemmeno io sappia dove e come. Essendo sul morbido declivio mi sono potuto permettere qualche minuto di inazione in più, ma ora neanche io posso più concedermi il lusso di stare con le mani in mano e con le gambe incrociate, benché non abbia mani da stringere, ma solo necessità di spingermi, spingermi laddove… chi lo può sapere? Quello che invece accade ora è l’incontro inatteso tra post-performatori e monospettatore senza biglietto e senza autorizzazione. Il loro radar avvista me che corro qualche metro più in là, ma tendo a incedere verso la medesima ignota direzione. Dovrei essere arrabbiato io con loro per quello che hanno combinato oppure dovrebbero piuttosto scannarmi loro per il mio spettacolo rubato? Credo che loro credano che se è avvenuto tutto il disastro la colpa sia mia che ho violato col mio sguardo impuro l’epifania del sacro, che il mio voyeurismo gratuito abbia pregiudicato il perpetuarsi dell’ordine cosmico. Ma sarà davvero così? Forse sarò colpevole, ma sarò forse l’unico colpevole che respira sulla Terra? Tra sette miliardi sono forse io il più empio di tutti?

Potrebbero anche desiderare di scuoiarmi come Apollo scuoia Marsia; può darsi che se non lo facciano è perché prevale in loro la volontà di salvarsi dal diluvio che li minaccia come gli ultimi dei mortali. Loro che si credevano piuttosto causa efficiente dei fenomeni ora si scoprono in balia degli stessi. Troveremo una grotta o qualche altro rifugio dove ripararci, ma chi ci dice che non sarà per noi una trappola per topi piuttosto che la bocca di un lupo che non dovrebbe crepare? E quando anche ci mettessimo in salvo non comincerebbe per me il momento del redderationem? Saranno pure due poveretti con grosse incompatibilità di coppia, saranno anche soggetti ai capricci naturali più di quanto siano essi natura, ma possiedono comunque qualcosa di ultraumano.



Stefano Taccone (Napoli, 1981) è addottorato in Metodi e metodologie della ricerca archeologica e storico-artistica presso l’Università di Salerno. Dal 2013 al 2015 ha insegnato storia dell’arte contemporanea presso la RUFA – Rome University of Fine Arts. Ha pubblicato le monografie Hans Haacke. Il contesto politico come materiale (Plectica, 2010); La contestazione dell’arte (Phoebus, 2013); La radicalità dell’avanguardia (Ombre Corte, 2017). Collabora stabilmente con le riviste “Frequenze poetiche”, “OperaViva Magazine” e “Segno”. Ha pubblicato saggi e recensioni sulle riviste “Boîte”,“roots§routes, “sdefinizioni”, “Sudcomune”,“Titolo”, “TK-21”, “Tracce”, “undo.net”, “Walktable”. Con raccolta di racconti “Sogniloqui” (Iod, 2018) esordisce nel campo della scrittura narrativa.

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