Vladislav Vančura

a cura di Ennio Abate

Questo post su Vančura mi è stato suggerito da Antonio Sagredo, al quale devo anche la nota sul Poetismo e l’indicazione della recente traduzione e curatela di “La fine dei vecchi tempi” da parte di Giuseppe Dierna. Miei sono i rimandi dei link. [E.A.]

Notizie sull’autore:

Vladislav Vančura nasce nel 1891 nell’Impero austro-ungarico, in Slesia, territorio che confluirà nella Cecoslovacchia. Si laurea in medicina a Praga nel 1921 e apre un ambulatorio con la moglie. Nel 1920 è nel gruppo d’avanguardia Devĕtsil e alla giocosità del loro Poetismo* sono improntati le prose della Corrente del Rio delle Amazzoni (1923) e il romanzo Un’estate capricciosa (1926), che lo consacra al successo. Grande polarità avevano riscosso il suo primo romanzo Il fornaio Jan Marhoul (1924) e l’apocalittico Campi arati e campi di guerra. Dopo ulteriori volumi di racconti e romanzi (tra questi Il giudizio universale e Markéta Lazarová), nel 1934 pubblica La Fine dei vecchi tempi, altro bestseller, reputato dai critici il suo capolavoro). Scrive anche per il teatro e gira cinque film come regista. Tra i suoi libri successivi: I tre fiumi, La famiglia Horvath e l’incompiuto Quadri di storia della nazione boema. Nel 1939, dopo l’occupazione nazista della Cecoslovacchia, entra nel comitato rivoluzionario degli intellettuali. Il 12 maggio del ’42 è arrestato dalla Gestapo e torturato. Dopo l’attentato a Reinhard Heydrich, il 1° giugno viene fucilato per rappresaglia insieme a migliaia di antinazisti.

– Altre informazioni su Vladislav Vančura qui

*Il Poetismo, questo movimento letterario dei primi anni ‘20, ha un avvio poetico danzante, giocoso, spumeggiante, rutilante, spensierato, così come i suoi compagni di strada che si riuniscono in un gruppo d’avanguardia denominato Devĕtsil (che è il farfaraccio: una pianta con foglie grigiastre e pelose e fiori piccoli di color rosa o bianco). Il Devĕtsil esalta la poesia proletaria, poiché l’eco della rivoluzione russa ridesta nuove forze creatrici che percorrono tutte le generazioni europee. È puro vitalismo. Perciò il Devĕtsil attinge a mani spiegate dalle avanguardie artistiche straniere il culto della tecnica e della elettricità, della macchina e del movimento, e pure da ogni sorta di sperimentalismo linguistico e pittorico (in primis dal cubismo). Si esalta questo gruppo di poeti per tutto ciò che è sfrenato movimento, p.e. il cinematografo muto, per il western americano e il circo (come i russi), e per i nuovi toni musicali e architettonici; e infine per la scultura tutta fondata sul moto continuo e plastico della forma. Ma è che, davvero, tutte le arti sono esaltate. Il Devĕtsil è formato dunque da artisti, poeti, pittori, scrittori, registi, saggisti, caricaturisti, critici d’arte e letterari, architetti, anche da artisti delle così dette arti minori, ecc.).[Nota di A. Sagredo, 1987]

Di recente è stato pubblicato da Einaudi a cura e con la traduzione di Giuseppe Dierna:

La fine dei vecchi tempi - Librerie.coop

Nota di copertina Per la prima volta tradotto in italiano uno dei libri piú originali e divertenti del Novecento. In apparenza è un romanzo realistico ambientato nella neonata Repubblica cecoslovacca, alla fine della prima guerra mondiale, e centrato sul contrasto fra la morente aristocrazia e la nuova borghesia rampante e un po’ volgare. Ma sotto tale apparenza, elaborando in chiave modernista i modelli del Tristram Shandy e del Barone di Münchhausen (e le tecniche cinematografiche degli anni Venti e Trenta), Vančura rappresenta l’inestinguibile dissidio tra verità e finzione. Al seguito del bibliotecario Bernard Spera, uno dei piú loquaci e simpatici «narratori inaffidabili» della storia della letteratura, il lettore viene trascinato in un turbine di personaggi e vicende che sono in realtà la parodia del romanzo realistico e l’affermazione della narrazione come infinita macchina desiderante.

Se, a uno sguardo superficiale, La fine dei vecchi tempi sembrava davvero mettere in scena essenzialmente lo stridulo contrasto tra il defunto mondo dell’aristocrazia e il mondo borghese e un po’ volgare della nuova economia dei profitti, una piú attenta lettura dimostra invece che ciò che a Vančura in realtà interessa rappresentare nel romanzo è un piú profondo dissidio tra veridicità e finzione. Alla voluta semplicità della trama, dove si narra degli sforzi di alcuni intrallazzatori per riuscire a mettere le mani sulla tenuta di Kratochvíle o – variante tematica di uno stesso “oggetto di valore” – sulla ventenne figlia di Stoklasa, quasi come se l’autore avesse voluto raccontare in parallelo due volte la stessa storia, una volta dal punto di vista del romanzo degli intrighi politici, un’altra da quello degli intrighi amorosi, a questo esile schema narrativo […] si contrappone infatti – nell’architettura del romanzo – la robusta figura del narratore, autentico motore e fulcro dell’azione. Aleksandr Megalrogov è sí il protagonista del romanzo, ma Bernard Spera ne è il demiurgo. È lui […] che – nell’erratico procedere del discorso, nella sua continua messa a nudo dei procedimenti – ne modella il “senso”, raccontando col necessario distacco del servo e dell’escluso. (a cura di Giuseppe Dierna).

Una recensione del libro :

 Vladislav  Vančura, un pastiche neobarocco per beffarsi del nuovo 
di  Marino Freschi ALIAS 1.12. 2019 (qui)



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