Inseguimenti di realtà

Letture commenti inchieste

a cura di Ennio Abate

Pubblico materiali vari comparsi  nel mese di ottobre su POLISCRITTURE FACEBOOK  e POLISCRITTURE COLOGNOM. [E. A]

8 ottobre 2020

AL VOLO/ ANNI ’70/ DARIO PACCINO, GIORGIO NEBBIA

Dario Paccino è anzitutto – e rimarrà fino alla morte nel 2005 – un militante votato alla causa degli sfruttati e al ribaltamento radicale dei rapporti di classe. Armato di un forte slancio morale e di una solida formazione teorica, combatterà sempre le derive moderate e compromissorie – con gli anni del resto sempre più forti – delle sinistre italiane e dei grandi sindacati. La sua precisa consapevolezza del carattere devastante del modo di produzione capitalista sull’ambiente rende in lui inscindibile battaglia ecologista e lotta di classe, dove però la seconda è prioritaria perché soltanto attraverso di essa si può avviare ad esaurimento il capitalismo, prima e fondamentale causa dell’ecocatastrofe planetaria. Forte di queste convinzioni ma anche di una postura culturale all’epoca predominante nella sinistra “eretica”, Paccino punta quindi a costruire, raccogliere e organizzare sul fronte ecologista le forze più coerentemente e affidabilmente anticapitaliste, senza concessioni a forme di ecologismo “moderate”.

Al fondo Giorgio Nebbia concorda con l’analisi teorica di Paccino, come farà poi sempre: è la rapacità del profitto, cioè del meccanismo che guida in modo ferreo e cieco la mega-macchina capitalista, la principale minaccia attuale all’integrità della biosfera e alla sopravvivenza dell’umanità14. Non è la sola15, certo, ma allo stato attuale dello sviluppo delle tecnologie e dei rapporti produttivi è senz’altro la principale, e in questo concorda anche con il collega e amico Barry Commoner del quale introdurrà versione italiana della seconda del Cerchio da chiudere16.

Ma Nebbia è figura più composita, poliforme e in fondo più generosa e il suo apostolato ecologista è sempre a 360 gradi, senza ingenuità ma anche senza pregiudizi e preclusioni di sorta, intimamente convinto com’è che la priorità va data alla salvezza del pianeta e a tutte le persone e a tutte le forze che sinceramente si impegnano per essa. Questa maggiore apertura di Nebbia emerge a tratti nelle lettere a Paccino, in quelle qui incluse come in quelle dei due anni precedenti, ma si palesa in particolare nella distanza tra la sua analisi e quella del resto della sinistra italiana riguardo ai Limiti dello sviluppo e all’opera di Aurelio Peccei e del Club di Roma17. Nebbia seppe infatti vedere sin dall’inizio, nonostante i suoi tanti limiti, la sincerità, la correttezza e l’urgenza dell’approccio di Peccei e lo sostenne senza riserve, garbatamente ma fermamente, all’interno di una sinistra sistematicamente diffidente e ostile, a partire proprio da Paccino.

A guardare queste lettere di quasi mezzo secolo fa alla luce dell’evolvere inarrestabile della crisi ambientale globale viene da pensare che tanto la nettezza teorica e politica di Dario Paccino quanto la generosità e l’apertura mentale di Giorgio Nebbia vadano recuperate come risorse imprescindibili per continuare l’impegno per la salvezza del pianeta e dell’umanità.

(DA http://www.fondazionemicheletti.it/altronovecento/articolo.aspx?id_articolo=42&tipo_articolo=d_documenti&id=113&fbclid=IwAR2DJFd2VChE3iNlACo3VExnbt73EoDGQYk9du-LbIofbbSPdGt1PC_xMlo

 

21 ottobre 2020

RIORDINADIARIO 1997/ DA “SAMIZDAT E IL LETTORE FELICE”

(in samizdat colognom, n.1, novembre 1997, foglio semiclandestino di critiche solitarie e stonate)

Il lettore –

Boh, tu pretendi sempre il difficile e il complicato. Ma qui, in fin dei conti, si tratta soltanto di libri, di cultura e noi siamo lettori e basta!

Samizdat –

Eh, caro mio, non lo credo proprio!

Il lettore –

Vuoi negare l’evidenza?

Samizdat –

Ascoltami. Esci dalle caselle fantasiose che oggi ti si offrono: lettori allo stato solido, liquido, gassoso, di plasma. Fatti delle domande elementari e noiose, del tipo: ma che fanno i lettori, quando non leggono? le loro esperienze di non lettura (lavoro, vita familiare, ecc.), che stanno a valle o a monte delle loro letture, agevolano, impediscono, o riducono a premio di consolazione il cosiddetto piacere della lettura?

Il lettore –

E cosa vedrei, se mi facessi queste tue maledette domande?

Samizdat –

Vedresti che l’agognato piacere della lettura è godimento di pochi e aspirazione illusoria e irraggiungibile per tantissimi.

Vedresti che il popolo di lettori non esiste. E’ un fantasma o al massimo un ambiguo concetto di comodo. Leggere anche lo stesso libro non unifica o avvicina il banchiere allo spazzino. Come consumare al mattino lo stesso tipo di caffelatte di Agnelli o Berlusconi o D’Alema non mi assimila o accosta a costoro.

Vedresti anche che con concetti di comodo così generici – questo è sicuro – puoi attivare una certa politica culturale e liquidarne un’altra possibile.

Il lettore –

Ma dai, oggi la cultura è una e uno è il popolo dei lettori… Le classi non esistono più. Tu resti un incorreggibile umanistoide veteromarxista…

Samizdat –

Forse..Ma rifletti! Un’astrazione, la Lettura, si sposa con un’altra astrazione, il Piacere, per produrre un’ennesima astrazione, il popolo dei lettori. Un travestimento continuo…Un teatrino delle apparenze… E’ uno spettacolo finto, falso, che può proseguire all’infinito.

Il lettore –

Ma è divertente! E attira più pubblico…

Samizdat –

… che fa da contorno, si divertirà e , ahimé, si ingrasserà d’immaginario ma non irrobustirà la sua mente. E la signorina Lettura, che in quest’occasione, sciolta da grezzi abbracci nazional-populistici che almeno un po’ l’ancoravano a bisogni sociali e materiali “bassi”e non soltanto virtuali e da ceto medio, viene esibita sottobraccio ad un principe immaginario, il Piacere, tornerà subito dopo una Cenerentola, gli intellettuali democratici si rinchiuderanno nei loro intrighi corporativi e il Pubblico si disperderà in caselle più reali e immutate: guai familiari, professionali, esistenziali, quotidiani…

Il lettore –

Menagramo, iettatore, piagnone d’un Savonarola! Cosa vorresti un convegno su Il dispiacere della lettura?

Samizdat –

Sulla Fatica della lettura,certo. Sulle Ragioni della non lettura, perché no. Su Altre letture, ad esempio quelle che mirassero a non escludere i non lettori. Una volta Brecht e Fortini, autori a me cari e che non sono più in catalogo né dalla Marcos y Marcos né ritrovo al bazar e neppure nell’angolo degli introvabili, lavorarono in questa direzione. Non avergli concesso neppure lo spazietto di una citazione mi pare pessimo segno, rimozione bella e buona. Erano un modello di scrittori-lettori scomodi, infelici, poco gradevoli ai salotti e ai potenti, ma capaci di guardare con occhio non mercantile i non lettori e le ragioni della crescente situazione di non lettura…

Il lettore –

Ma i tempi in cui operarono quei tuoi cattivi maestri sono per fortuna finiti. Noi abbiamo altri problemi.

Samizdat –

Abbiamo i loro problemi ed altri problemi. Se scartiamo i loro, affrontiamo i nostri (quando effettivamente sono nuovi e incogniti) con una leggerezza sospetta.

Il lettore –

Ah, tu non temi di passare per pesante, palloso, tetro. Vuoi essere fuori moda per forza!

Samizdat –

La critica vera ha i suoi costi, lo so. Ma bisogna contrapporsi alla Cultura Gioco piacevole. Altro che Lettera di un lettore felice. Io inviterei i lettori a farsi infelici, aprirebbero di più gli occhi sulle tragedie che avvengono nella parte non letta di questo mondo. Altro che Letture di un minuto. Lo faresti tu l’amore in un sol minuto? Altro che Le tracce del lettore. Depositi in calce. Il Libro-Palazzo con qualche graffito impotente scarabocchiato alla base per la gioia dei semiologi.

La critica non può tollerare destini immutabili: ai pochi la Grande Scrittura, agli emarginati gli Scarabocchi. Potrei continuare, ma mi troveresti acido e invidioso. Fatto sta che i temi che per me sono davvero seri in fatto di lettura e di non lettura qui non li trovo…

Il lettore –

Tu col tuo ardore critico non vedi mai il buono. Per esempio, la partecipazione del pubblico in carne ed ossa è prevista. E anche i tuoi intellettuali critici – ammesso che ancora esistano – potrebbero prenotarsi per interventi, far conoscere la propria opinione, proporre letture, dediche… C’è persino il Portavoce del Pubblico che riporterà in aula le osservazioni ricevute. Siamo in democrazia, c’è pluralismo… Anche tu, se volessi…

Samizdat –

Grazie, ma rifiuto di venir sterilizzato in anticipo o tollerato o incasellato nel previsto ruolo del rompicoglioni. La democrazia in forma sintetica è una truffa anche nella comunicazione pubblica

Conteggia il tempo a disposizione dei relatori e delle autorità e quello a disposizione del Pubblico e avrai la percezione degli squilibri sopportati nella tua neutra comunità dei lettori.

E lo stesso è accaduto in questi anni in televisione – con le dirette di Santoro. O alla radio statale intelligente, Radio 3, dove ti sollecitano brevi messaggi da lasciare nella segreteria telefonica o a partecipare alla Cultura-Gioco. Ci si può accontentare?

Il lettore –

Eccoti aggressivo e intollerante! Parli sempre in nome degli assenti o del passato. Ma noi siamo lettori, e basta! E’ ora di smetterla con le utopie, le analisi “profonde” che spaccano il capello. Lasciaci godere…

Samizdat –

Accomodatevi!

 

[ Si separano. Si sentono le note del nuovo inno: Avanti o popolo/ alla lettura/ siediti comodo/ corri al bazar/ Il postmoderno trionferà/ evviva il liberismo senza libertà…]

 

PARLARE AI MURI

(Mio commento a “Parlare al muro” di Andrea Cortellessa: http://www.leparoleelecose.it/?p=39532)

Cortellessa:

«Il secondo e maggior pregio dell’operazione di Zinato, Baldi, Marrucci e Marsilio è il loro intento, da ogni pagina evidente, di ragionare sulla specificità del sistema (o, come altri preferisce dire, del “campo”) letterario italiano contemplandolo, però, da un punto di vista schiettamente politico. Il maggior limite di quasi tutti i più recenti, pur in molti sensi meritevoli, panorami critici della nostra contemporaneità, come La letteratura circostante di Gianluigi Simonetti spesso citato in questi giorni, è appunto quello di non considerare come fra le cause a volte molto evidenti, di fenomeni così fittamente osservati, vi siano condizionamenti strutturali, si sarebbe detto una volta, ovviamente legati a quella che del nostro Paese è appunto la condizione politica».

«In una pagina celebre del succitato Romanzo del Novecento, paragonava Debenedetti il romanzo naturalista a un carcere che teneva chiusa e invisibile un’anima «prigioniera» che, proprio «come sogliono i reclusi nei penitenziari», prova in tutti i modi a «battere le nocche contro i muri che la chiudono, ma quei muri si rifiutano di trasmettere il suono».

Molto terra terra e in piccolo: io ho pensato che i “muri” in questi anni sono stati i neoaccademici come lei e quelli di LPLC e i “reclusi”, che insistevano a “battere le nocche”, siamo stati noi commentatori. Un solo esempio di tale sordità: questo appello rimasto ignorato e confinato (assieme a tante altre sollecitazioni) nello spazio commenti di LPLC:

Noi accusiamo

di Ennio Abate, Roberto Bugliani, Giulio Toffoli

Noi accusiamo!

Noi firmatari intendiamo esprimere la nostra indignazione per il silenzio ambiguo, quasi una complicità, con cui il ceto intellettuale sta rispondendo alla delicatissima e cruciale fase storica, politica, economica, giuridica e culturale che attraversa l’Italia. Ci riferiamo a tutti gli intellettuali che godono di maggiore visibilità sui media e sul web, che continuano a ‘distrarsi’ e a intrattenere l’opinione pubblica su questioni di natura letteraria e artistica, di per sé pur valide e importanti, ma che diventano chiacchiera, se trattate senza un legame preciso con i problemi sociali irrisolti o in via di peggioramento per le pesantissimo misure economiche di austerità e sacrifici a senso unico (le cosiddette “manovre lacrime e sangue”) imposte ex novo dall’attuale governo Monti o mutuate dal precedente governo Berlusconi. Tacendone, non dichiarando onestamente se tali manovre le si condivide o le si rifiuta, “parlando d’altro”, è come se gli intellettuali si riducessero a fioristi che decorano e nascondono le piaghe di una polis sempre più in decomposizione.

Dalla nostra collocazioni di intellettuali meno visibili o invisibili accusiamo e chiediamo da questi nostri colleghi una parola chiara: un sì o un no al governo Monti, che sarebbero entrambi dignitosi e accettabili; mentre, invece, indegno e miope è il rifugiarsi nel silenzio imbarazzato o protervo di chi crede di non poter essere più contestato e di non dover rendere conto se non alla sua cerchia più vicina. Chiediamo, dunque, ai singoli esponenti del ceto artistico e intellettuale di esprimersi sulla situazione politico-economica attuale, di fare sentire la propria voce, di dichiarare apertamente la loro posizione. Perché, dinanzi a una situazione di gravissima crisi sociale, politica ed economica come l’attuale, nessuno ha il diritto di sottrarsi con il silenzio. Non comunque coloro che vantano il valore conoscitivo, culturale e artistico universale della parola.

Prime adesioni:

Franz Amigoni, Leopoldo Attolico, Roberto Bertoldo, Roberto Buffagni, Marcella Corsi, Salvatore Dell’Aquila, Marco Gaetani, Stefano Guglielmin, Gianfranco La Grassa, Paolo Lezziero, Giorgio Linguaglossa, Gianmario Lucini, Giuseppe Natale, Alberto Panaro, Angela Passarello, Armando Penzo, Franco Pisano, Massimo Ragnedda, Flavio Rurale, Rita Simonitto, Franco Toscani, Lucio Mayoor Tosi, Franco Tagliafierro, Augusto Vegezzi

Nota

L’appello comparve sul cartaceo della rivista Poliscritture n. 9 gennaio 2013

 24 ottobre 2020

DOPPIO VINCOLO

di Pierluigi Fagan

https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/10222525617504771

Stralci:

1.

Le nostre società attraversate dalla pandemia, sono soggette ad un tipo di doppio vincolo. Da una parte la salute fisica, dall’altra quella generale, inclusa la mentale.

2.

La pandemia mette in crisi la salute individuale a numeri non altissimi ma consistenti, direttamente ed indirettamente per via della pressione che esercita su i servizi sanitari e per gli effetti che ha su i comportamenti standard, aggravati dalle disposizioni socio-epidemiologiche come coprifuoco, serrate, lockdown, su quella economica. Ci si trova così nel doppio vincolo tra salute ed economia

3.

La fotografia ad oggi ci dice che queste due forze, dopo una momentanea pausa estiva, sono tornate a tirare le nostre esistenze con forza. E continueranno a farlo in quanto nessun evento -tra i prevedibili- ci dice che smetteranno almeno fino al prossimo maggio quando beneficeremo ancora una volta delle migliori condizioni ambientali che pare abbiano effettivi positivi sulla rete dei contagi. Sono sette mesi, da novembre a maggio. L’ipotesi vaccino, a quanto ci è dato di capire, non interverrà operativamente in maniera sensibile, nel frattempo.

4.

Per capire l’entità del problema sanitario, da tempo, invito a guardare l’indice dei ricoveri ospedalieri. Questo, a ieri, dice che due settimane fa i ricoverati erano aumentati del 41% rispetto alla precedente, una settimana fa erano aumentati del 46%, questa sono aumentati del 59% arrivando a poco più di 10.000 ricoverati. Quando invitai a sedare l’ansia da eccesso di informazioni con un post del 9 ottobre, i ricoverati erano 4000 e crescevano sì ma moderatamente. Oggi invece, sono passati da 4000 a 10000 in due settimane, l’indice dice che se non si fa qualcosa, nel giro di due o tre settimane si va in default ospedaliero

5.

L’entità del problema economico non lo possiamo valutare qui in un post in maniera analitica. Diremo solo dopo la botta del secondo trimestre del -13%, ci si aspettava una moderata ripresa in virtù della stagione estiva in condizioni di semi-normalità. Il quarto trimestre porta però in previsione una botta insostenibile. Le cifre sono asettiche ed a volte fuorvianti come la statistica dei polli di Trilussa, in realtà molti esercizi commerciali e medio-piccole imprese, partite IVA, fallirebbero irrimediabilmente con una seconda botta. Ma ahinoi, poi ci sarebbero i non meno terribili primo e secondo trimestre del 2021. Una catastrofe del tipo -insostenibile-.

6.

la natura di un fenomeno del genere si può gestire solo facendo previsioni, se si aspetta la catastrofe dopo non c’è più nulla da fare se non contare vittime e danni. Corre un mese circa da positività e morte nei casi peggiori, ciò significa che alcuni tra i positivi di oggi andranno in ospedale tra una settimana, in terapia intensiva tra due e moriranno tra quattro. Se aumentano in costanza non c’è motivo di sperare diminuiscano nelle prossime settimane

7.

per coloro che hanno una confusa percezione dell’immunità di gregge. Si stima (non con la palla di vetro ma su base di dati certi) che oggi saranno massimo 2,5 milione i già contagiati, per attivare i benefici dell’immunità di gregge ne occorrono circa 36 milioni, se ne abbiamo fatto 2,5 da marzo 2020, la vedo lunga per 36 milioni. In più se oggi facciamo 10.000 ricoverati con questi numeri, arrivare a 36 milioni significherebbe la bancarotta ospedaliera prima e dei cimiteri poi.

8.

Quanto alla “protezione delle fasce a rischio”, ricordo che in Italia tale fascia conterebbe poco meno di un terzo della popolazione, poco meno di 20.000.000 milioni da chiudere non si sa dove, dargli da mangiare tre volte al giorno e portargli medicine o cibo chi-e-come, non si sa.

9.

Quando si sta in un doppio vincolo e non ci si può di-vincolare, si può tentare di allentare la pressione in uno o tutti e due i poli traenti.

Non credo che in tempi brevi ma neanche medi si possa fare qualcosa di decisivo sul polo sanitario. Si sarebbe non solo potuto ma dovuto fare qualcosa, ma non è stato fatto. Vedremo poi chi e perché non ha fatto. Non si costruiscono ospedali in un mese e soprattutto la logistica conseguente in termini di attrezzature è difficilmente gestibile, ma soprattutto è ingestibile quella umana: medici, anestesisti da rianimazione, infermieri. Questi non ci sono proprio e non si creano neanche avessimo il forziere di re Mida (che comunque non abbiamo).

10.

Si può fare qualcosa sul polo economico?[…] forse dovremmo provare a ragionare su due punti, con umiltà, modestia e condiviso interesse a difendere il bene comune.

Quanto al problema sanitario, fattivamente ed ad oggi per domani (quindi non teoricamente o a ieri per il migliore dei mondi possibili ovvero col riscorso al condizionale ipotetico “se avessimo … allora”), l’unica cosa è tenere a bada la curva sotto aumento esponenziale. Lo si può fare con lockdown programmati, brevi e locali, non nazionali. Dove le curve sono ancora non eccessive, la densità demografica media o bassa, a capacità ricettiva ospedaliera ancora capiente non c’è alcun bisogno di chiudere la gente a casa. Dove però una o due o tutte e tre le variabili sono ribelli, 15 giorni di interruzione della rete dei contagi è l’unica possibilità realistica, non ce ne è un’altra[…]Quanto al problema economico, con lo steso spirito pragmatico e concreto, dovremo forse invocare una ripresa immediata dell’idea di emettere una valuta parallela a corso forzoso. I tecnici ci diranno in che forma. Il costo economico dei lockdown, deve esser ammortizzato.

11.

Inviterei tutti a discutere questo “che fare?”, criticare è lo sfogo degli impotenti ma in questa fase non possiamo regalarci neanche questa piccola e nevrotica soddisfazione. Stiamo per passare più o meno tutti, dalla posizione spettatoriale a quella attoriale e dobbiamo scriverci la parte da noi per evitare che gli sceneggiatori ufficiali la scrivano per noi. Visto anche le loro scadenti capacità. […](Su i commenti, se fuori spirito del post, non sarò tollerante, questo -non è- il luogo per la terapia di gruppo per coloro che sfuggono alla realtà concreta. Se siete qui è perché avete una vostra pagina, scriveteci un post se dovete solo sfogarvi invece che venire qui a far del delirio pubblico)

 

25 ottobre 2020

AL VOLO/ SUL DISASTRO DELLA WHIRLPOOL

( dal Diario di Luigi Vinci: https://www.facebook.com/roberto.mapelli.568/posts/3368262689954453)

Ancora sui licenziamenti: il disastro Whirlpool ovvero l’inconsistenza dei 5 Stelle

L’analogia è impressionante tra questo disastro e quello di più lunga lena e consistenza Alitalia, già descritto nel mio “diario”. Forse, messi assieme, i due disastri (ma se ne potrebbero individuare altri) aiutano a comprendere meglio la difficoltà enorme del nostro paese a risollevarsi, in senso generale. Giova precisare, infatti, come non si tratti, in questi disastri, di inceppi burocratici, bensì di inconsistenza, pasticcioneria, supponenza di ministri.

Ma vengo alla vertenza relativa allo stabilimento Whirlpool di Napoli, di proprietà dell’omonima multinazionale statunitense Whirlpool Corporation, la cui produzione consiste in elettrodomestici. Premetto un po’ di storia.

Intanto, lo stabilimento in questione sorse come Ignis nel 1957, passerà poi come Philips nel 1972, finirà come Whirlpool all’inizio degli anni 90.

Dall’aprile del 2019 la proprietà tenterà di disfarsi dello stabilimento Whirlpool di Napoli, di smontarne gli impianti e di portarli via, ma senza successo, per via della resistenza dei lavoratori (scioperi, presìdi): e questo perché, nonostante gli elevati standard tecnologici e produttivi e i notevoli profitti di questo stabilimento, la proprietà intendeva spostarne la produzione in Polonia e in Cina, ove avrebbe beneficiato di lavoratori a bassissimo prezzo.

Ma poi i lavoratori dello stabilimento considereranno un segnale positivo, una rinuncia della proprietà alla sua chiusura, il fatto che l’attività produttiva fosse rimasta aperta anche durante il blocco delle attività economiche ordinato dal governo il 9 marzo 2020 a causa della pandemia. La proprietà ora dichiarava ai lavoratori che lo stabilimento era “strategico”. Nei dieci giorni successivi esso lavorerà a pieno ritmo. Poi però dovrà essere chiuso, mancandogli le condizioni necessarie di sicurezza, e i suoi lavoratori andranno in Cassa Integrazione.

Le condizioni di sicurezza verranno realizzate, e i lavoratori torneranno il 27 aprile a lavorare. Ma in precedenza (l’11 aprile) essi avevano appreso che il Vicepresidente di Whirlpool aveva dichiarato (mentendo) al Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) che lo stabilimento non risultava economicamente sostenibile fin da prima della pandemia, e che quest’ultima ne aveva incentivato la non sostenibilità: quindi, che lo stabilimento Whirlpool avrebbe chiuso a fine ottobre. A sua volta, l’Amministratore Delegato per l’Italia sosterrà che lo stabilimento perdeva 20 milioni l’anno.

Nel frattempo, inoltre, la proprietà aveva trasformato il piccolo stabilimento sito nel comune di Carinaro, nel Casertano, da produttivo a deposito di pezzi di ricambio.

Contemporaneamente ai rappresentanti sindacali dei lavoratori il Ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli dichiarerà di non avere gli strumenti necessari per fermare Whirlpool, essendo essa una multinazionale. In realtà, nei confronti della multinazionale ArcelorMittal, intenzionata a chiudere lo stabilimento siderurgico di Taranto, Patuanelli aveva operato in modo del tutto opposto. In sostanza, dello stabilimento Whirlpool Patuanelli semplicemente non aveva inteso curarsi.

In realtà, stando alle organizzazioni sindacali, uno strumento giuridico per obbligare la proprietà di Whirlpool a non delocalizzare in Cina c’era: il Piano Industriale 2019-2021, firmato il 25 ottobre del 2018 dall’allora Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio (siamo nel Conte 1, dunque in presenza di un ministero di coalizione di estrema destra-5 Stelle), in più firmato dai rappresentanti della proprietà, dalle organizzazioni sindacali, dalle regioni nelle quali risultavano stanziati stabilimenti Whirlpool. L’accordo precisava sia la consegna da parte del governo a questi stabilimenti di ammortizzatori sociali e di incentivi economici che l’impegno da parte di Whirlpool a investire entro un triennio 250 milioni di euro nei suoi stabilimenti italiani nonché a investire 17 milioni di euro in un nuovo stabilimento, di produzione di lavatrici di alta gamma tecnologica. Di Maio esultò, “ce l’abbiamo fatta”. Ma quest’intesa di lì a sei mesi ogni investimento verrà disdetto dalla proprietà, senza reazione alcuna da parte del MISE ergo di Di Maio.

Veniamo al 2019. Poco tempo dopo l’accordo del 27 aprile i lavoratori degli stabilimenti Whirlpool riceveranno una lettera nella quale veniva annunciato il loro trasferimento ad altra impresa, la Passive Refrigeration Solutions: una start-up svizzera fasulla, iscritta a Lugano, che non ha sede, non ha neppure un sito web, non ha mai prodotto niente (per start-up in realtà si intende un’impresa innovativa, dinamica, magari temporanea, ma intenzionata a passare a superiore consistenza e arrività). Dopo una serie di proteste dei lavoratori, così di fatto licenziati, tra cui uno sciopero, il 31 ottobre, che impegnerà la città di Napoli, e, parallelamente, un intervento di governo, il trasferimento verrà cancellato. Nel frattempo, però, dell’accordo del 27 ottobre 2018 si era persa ogni traccia. Il Ministro Patuanelli protestò con la Whirlpool. Ma rischio che essa aprisse una vertenza legale lo fermò.

Da parte delle organizzazioni sindacali si noterà come “il fatto che un accordo firmato dal governo non sia rispettato rappresenta un precedente molto grave per l’Italia, purtroppo a non rendersene conto è stato Patuanelli; e parimenti significa che tutti possono sottoscrivere un accordo al ministero e poi rimangiarsi la parola il giorno dopo senza pagarne le conseguenze”.

Al termine di una riunione a metà gennaio il Ministro Patuanelli proporrà di affidare a Domenico Arcuri, allora Amministratore Delegato di Invitalia (società partecipata al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, MES). Ma poi Arcuri sarà nominato Commissario Straordinario per l’emergenza covid-19, avrà ben altro da fare, e a sua volta il governo non si occuperà più della Whirlpool e dei suoi lavoratori.

Nel frattempo, la Whirlpool sta lavorando a un nuovo progetto, Majestic, orientato alla produzione di lavatrici di altissima gamma. Ma da fare a Wuhan, Cina, non a Napoli, Italia.

Commento

Non avevo cognizione, sino a iersera 24 ottobre, di sviluppi sindacali o d’altra natura della situazione degli stabilimenti Whirlpool, a parte la disperazione e la rabbia dei loro lavoratori, essendomi informato assiduamente dell’anno e mezzo del loro dramma. E di quello, a grandi tratti, della città di Napoli: una storica grande realtà industriale via via massacrata dal neoliberismo all’italiana ovvero dalla totalità dei governi italiani d’ogni colore avvicendatisi in una trentina d’anni a questa parte. Inoltre, guardando iersera RAI e c. i momenti più tesi della protesta dei lavoratori non ho potuto notare altro che l’intervento violento di gruppi di destra o situazionisti, intenzionati a portare allo scontro con la polizia la gente di Napoli andata a solidarizzare con quella protesta, il tentativo delle confederazioni sindacali e dei Cobas di fermare questo scontro, l’incapacità della polizia, del tutto impreparata, di fermarlo, i suoi contrattacchi caotici. Non posso aggiungere altro, semplicemente perché RAI e c. ci ha fatto vedere solo queste cose, e perché, poi, si è dilungata nei consueti dibattiti di esperti politici che non sapevano assolutamente niente della storia della Whirlpool e dei suoi lavoratori e hanno parlato e straparlato del rischio di insurrezioni di massa. Nessuno in RAI e c. si è accorto che per il 5 novembre le confederazioni sindacali avevano dichiarato lo sciopero degli stabilimenti Whirlpool contro l’ignavia di governo. C’è stata, invece, in TV una dichiarazione della Ministra degli Interni Lamorgese, che mi è parsa più che inopportuna. C’è stata anche una dichiarazione, invece opportuna, del Ministro dell’Economia e delle Finanze Gualtieri, stando alla quale il governo realizzerà un’operazione di supporto per 2 miliardi alle attività che verranno penalizzate nel paese dall’imminente lockdown o semi-lockdown che sia. Quest’operazione dovrebbe andare, a partire da metà novembre, a copertura di circa 232 mila imprese tra ristoranti, piscine, teatri, cinema, sale giochi, ecc. Ci sarà a vararla, egli ha dichiarato, un apposito Decreto Novembre. La consegna di questi soldi a queste imprese comincerà a metà novembre.

I consueti esperti politici TV e c., ancora, si sono impegnati in ragionamenti preoccupati sullo stato delle finanze italiane, senza, ovviamente, capirne niente. Sicché sono ricorsi al solito loro mezzo logorroico di attrazione a uso e consumo dei telespettatori: l’affermazione altisonante di una seconda prospettiva catastrofica da pandemia. In realtà sono a disposizione del governo, per esempio, residui non spesi per ben 10 miliardi relativi ai Decreti di marzo, maggio, agosto. La Cassa Integrazione ne abbisognerà per 3. Certo, data una prospettiva di più mesi presumibilmente molto dura, occorrerebbe anticipare i denari del Recovery Fund, caotizzati dai soliti “frugali”. E’ evidente che il rilancio della pandemia ha cambiato in senso pesantemente negativo la situazione economica e sociale, non solo dell’Italia ma di tutta l’UE.

La questione Whirlpool, in ogni caso, continua a oggi a rimanere bloccata sul tappeto come ennesima canagliata dell’ennesima multinazionale in Italia, trattata, per proprio demerito, da repubblica delle banane. E’ davvero così faticoso, politicamente, giuridicamente, da parte del governo, espropriare gli stabilimenti Whirpool, consegnarli ai loro lavoratori, mettere lì da parte dello stato un po’ di soldi? Che peraltro frutteranno?

 

26 ottobre 2020


INCHIESTA SU COLOGNO/ LE RISPOSTE DI ELENA ABATE

1. Quali luoghi (quartiere, edifici, strade) di Cologno Monzese conosci di più? E del resto della città che sai? In base alla tua esperienza, che idea ti sei fatta di Cologno?

Io di Cologno conosco gli uffici comunali, la biblioteca, gli ambulatori e il consultorio di via Boccaccio, le scuole, alcune palestre, alcuni bar, alcuni negozietti di proprietari italiani o stranieri, la ciclabile della Martesana , i parchetti (quasi tutti), la Posta, gli uffici dei Carabinieri e della Polizia, il veterinaio, il Parco delle Cave, le sedi di varie associazioni volte alla cura e al disagio sociale oppure all’arte in generale.

Per me Cologno è ancora come un grande quartiere, nel senso che, se comunque giri per un po’ di tempo nelle stesse strade, riesci a riconoscere le persone e a relazionarti con loro. Nella mia vita trascorsa a Cologno (una cinquantina d’anni circa) ho avuto a che fare maggiormente con gente d’estrazione popolare, precari ed emarginati vari. Perciò, conosco di più i quartieri popolari ma so (e li conosco di vista ) che vi sono persone che vivono situazioni agiate ed hanno case molte belle.
Per me Cologno ha sempre rappresentato una casa natia ma vissuta in modo conflittuale. Da giovane (e anche ora in forma più limitata) scappavo da Cologno perché mi stava stretta. Non sopportavo i modi spocchiosi e volgari di certi personaggi torbidi e in vista; mi rattristavano i modi remissivi e piagnucolosi dei cosiddetti poveracci; mi irritavano le “belle parole” degli intellettuali e dei sinistroidi garantiti; non sopportavo più il cemento, la monnezza, il flagello dell’eroina, il puzzo nell’aria, il rumore del metrò e degli aerei. D’altro canto, ogni volta che vi rientravo (e vi rientro), sono contenta di ritrovare le persone e le strade che conosco da sempre, sono incuriosita dalle possibili novità di ogni genere, mi piace aggiornarmi sulle storie e le vicende di vita dei vari amici colognesi. Le loro narrazioni sono indissolubilmente legate al territorio e ai servizi in esso presenti. Mi piace vedere come cambia durante l’anno il colore degli alberi e il grigio dei palazzi a seconda della luce, l’andatura della gente, lo stile del loro vestiario, etc. ‘nsomma, cammino per Cologno e so che ne sono parte. Vi sono nata e sento un’appartenenza antica a questo luogo.

  1. Cosa c’è di “bello” a Cologno per te? Cosa invece trovi “brutto” o “insopportabile”?

A me piace stare all’aria aperta, perciò amo i mercati del martedì e del giovedì, i nostri parchi/etti, la Martesana e le piazzette antiche come piazza Xl Febbraio, piazza San Matteo o la piazzetta di San Maurizio. Mi piacciono molto anche la biblioteca ed il cinema Peppino Impastato. Edifici o archittetture belle non ne vedo. La struttura della linea metropolitana in superficie ha il suo fascino per me. Avevo anche progettato un intervento di coesione sociale e di decorazione muraria per i piloni del metrò (si chiama MM25), che purtroppo fino ad ora non è stato realizzato. Sicuramente è insopportabile il rumore del passaggio delle metrò quando vanno veloci e quando nelle ore di punta ci sono parecchi viaggi.

A me piacciono le diversità etniche/culturali; e, a Cologno e nel mio palazzo, ho la possibilità di parlare e conoscere persone che vengono da altri paesi e questo mi arricchisce.

Nella mia esperienza di madre e di lavoratrice (sono precaria nella scuola da tanti anni con vari tipo di contratti e d’incarichi – mi è capitato di lavorare per vari periodi anche a Cologno) ho trovato molto “belle ” le scuole materne ed elementari. Mi sono, invece, trovata parecchio male alle scuole medie inferiori e superiori. Ho avuto esperienze traumatich; e in varie vicende ho assistito ad abusi di potere, silenzi omertosi e a favoritismi vari da parte di alcune figure professionali. Sono molto contenta del Consultorio di Cologno. Ci vado da quando sono adolescente ed ho sempre trovato dottoresse e personale preparati e disponibili, sia per il servizio alla donna che per il servizio alla famiglia.

Di Cologno trovo belli i panifici (anche quelli che ora hanno all’interno qualche tavolino) ed i negozietti piccoli. Locali per giovani (a parte il Posticino che esiste da poco) non ve ne sono e questa mi pare veramente una grossa mancanza.

Trovo insopportabili alcuni palazzoni di recente costruzione (intendo da una ventina d’anni a questa parte) in zona centro-sud, che ostruiscono completamente la vista del cielo e delle altre case. Trovo insopportabile lo spreco di uno spazio così verde e vasto come l’area della ex-cartiera Torriani.

3. Che idea ti sei fatta della gente che abita a Cologno?

Nel corso dei decenni le persone che vivono a Cologno sono cambiate. Quando ero piccola e giovane, c’erano più operai e moltissime famiglie venivano dal meridione; oggi vedo molte persone impegnate nel terziario e parecchie famiglie di stranieri.

Per lo più, almeno negli ultimi anni in particolare, conosco persone che hanno seri problemi di precariato o disoccupazione; oppure che hanno vari problemi di salute. Sono persone fragili e con loro scambio informazioni utili e pratiche per cercare di arginare o contenere il loro disagio. Vi sono poi anche gli adulti e i giovani (benvengano!) delle liste civiche e/o di qualche partito, che da anni presenti sul territorio quotidianamente e faticosamente s’impegnano a migliorare le cose. Ci sono parecchie persone che vivono qui per brevi o medi periodi legati ai loro contratti lavorativi: alcune vi sostano per qualche anno, altre vi restano per decenni. Ci sono poi i cosiddetti “italiani” che stanno qui da sempre.

4. Quali sono per te i problemi sociali più gravi di Cologno?

Credo che i problemi più grossi stiano:

– nella solitudine in cui versano famiglie in difficoltà economiche e di lavoro, che non sanno rivolgersi neanche ai servizi esistenti e non sanno immaginarsi un futuro perché sono rassegnati a prescindere;

– nella sofferenza psicologica di molti giovani ed anziani, che non hanno luoghi ricreativi e sociali di qualità e finiscono per isolarsi in casa o per seguire gli eventi mondani “da copertina”, che talvolta si tengono sul territorio ma non costruiscono una rete sociale reale e solida;

– nel fatto che le comunità straniere, ormai numerosissime e presenti da decenni, non vengano chiamate dalle Istituzioni ad integrarsi. Anzi, più stanno zitte e meglio è (per le Istituzioni). Negli umori collettivi che raccolgo per strada mi pare esista comunque un contrasto tra un “noi ” e un “loro”. Non si capisce, però, di chi si stia parlando concretamente; e perciò i tanti che non hanno voglia di ragionare si accomodano su facili appartenenze collettive (da cui personalmente non mi sento rappresentata).

– nel fatto che l’ampliamento delle aree verdi, gli ipotetici orti condivisi, i murales dei ragazzi, tutte le idee nuove e propositive, che vengono espresse da una parte di cittadini più attivi e vivaci, non vengono neanche prese in considerazione dagli Assessorati e dagli uffici comunali. Viene così trascurata e mortificata l’azione diretta e partecipata della gente, che potrebbe, alla lunga, fare la differenza.

– nel fatto che gli adolescenti siano una fascia completamente abbandonata a se stessa. Eppure con operatori validi e preparati sarebbe possibile organizzare dei percorsi su tematiche per loro importanti (sesso, droghe, paura del futuro, uso dei social, etc.) al fine di affrontare le loro problematiche e organizzare-riconoscere le loro risorse creative.

5. Quali sono per te i problemi ambientali più gravi di Cologno?

Per me sono :

– l’inquinamento acustico (metrò, aerei, ambulanze…), che a volte è continuo, senza sosta;

– l’inquinamento elettromagnetico. Siamo in mezzo a tantissime torrette e pali di centraline varie – tv-ripetitori telefono-etc – che sorgono come funghi. Non ho mai ben capito chi si cura di controllarne la loro pericolosità sulla salute dei cittadini. Ho provato a scrivere su questo tema al Sindaco ma non ho avuto risposta.

– l’inquinamento dell’aria specie in alcuni giorni.

  1. Se confronti la vita a Cologno con la vita di altre città (italiane o straniere) che hai conosciuto, quali differenze o somiglianze noti?

Non saprei. Cologno è simile a molte periferie che ho visitato vicino alle grandi metropoli (Madrid, Londra), nel senso che ci sono dei trasporti che portano in centro e la periferia sembra un grande quartiere. Forse rispetto alla Spagna o ai paesi del Nord Europa, abbiamo meno musica e arti di strada o locali alla portata di tutti, dove sia possibile mangiare, lavorare, incontrarsi. Tutto, specie negli ultimi dieci anni, mi pare – come dire – molto plastificato, anonimo.

7. Hai contatti con persone legate ad associazioni (culturali, sportive, di volontariato) operanti a Cologno? Cosa ne pensi?

Dopo aver lavorato per più di 20 anni fuori Cologno, quando la mia attività (“fare teatro” nelle scuole) è andata in crisi circa una decina d’anni fa, ho cercato contatti con quasi tutte le associazioni esistenti a Cologno. A parte due, che mi hanno accolta e con le quali ho potuto almeno avere un confronto, per il resto ho trovato solo porte chiuse e pochissima disponibilità sia al confronto che al passaggio d’informazioni.

8. Hai o hai avuto contatti con persone legate a uffici del sindacati, dei partiti o del Comune di Cologno? Cosa ne pensi?

Con i Sindacati CGIL ho avuto rapporti riguardanti le operazioni dei Caf e basta. Dopo alcuni anni mi sono rivolta alla Acli, poiché i funzionari si sono rivelati più veloci e accurati nel servizio. Per quanto riguarda il Comune di Cologno ho avuto rapporti :

– come dipendente scolastica stagionale dell’Assessorato della Pubblica Istruzione, alla fine degli anni ‘ 90. In quell’occasione subii una grossa ingiustizia mai appianata: fui “silurata”(cioè messa fuori da una graduatoria interna per la quale avevo vinto il posto con apposito concorso) da parte di alcuni funzionari dell’Ufficio del Personale in una maniera torbida e omertosa. Rivolgendomi al Sindaco di allora e ad alcuni capi- settore degli Assessorati, cercai di avere delle spiegazioni, ma venni messa a tacere ed isolata. Chi stava dietro di me in graduatoria oggi è impiegato del Comune. Io ho, invece, dovuto cercare altre strade. Quest’evento (ed altri simili di minore gravità) incise in maniera determinante sulla mia vita privata e sulla mia fiducia verso i rappresentanti delle istituzioni pubbliche colognesi.

– a più riprese come esperta creativa o sportiva a vario titolo per alcuni progetti socio-educativi . In queste brevi collaborazioni i rapporti sono stati sempre formali e molto pratici.

9.1.  Come sono i tuoi rapporti con i giovani in questa città?

I miei rapporti con i giovani di Cologno sono dati dal caso e dalla spontaneità. Diciamo che, quando mi capita di averci a che fare, mi piace il confronto. Se ci fossero progetti culturali e sociali, che vedessero la partecipazione di persone di età diverse, sarebbe molto bello, anche perché mi pare grave che il passaggio di saperi tra varie generazioni si stia spegnendo del tutto.

 

1 pensiero su “Inseguimenti di realtà

  1. …trovo interessante l’inchiesta su Cologno Monzese, per cui ho letto diverse interviste proposte a varie persone residenti, ma questa di Elena Abate mi sembra la piu’ bella e completa, sia perchè, nella descrizione della sua esperienza decennale sul territorio, riesce a restituirci quasi una mappa visiva di strade, piazze, abitazioni, negozi, anche nella loro trasformazione nel tempo, come per quanto riguarda la popolazione e la sua evoluzione e provenienza: la prima migrazione dal sud nel dopoguerra e quella degli anni piu’ recenti, proveniente da varie parti del mondo…Si dice anche come poi questo agglomerato umano cosi’ ricco di potenzialità non sia stato molto aiutato a crescere e a integrarsi dalle locali istituzioni. Leggendo l’intervista emerge poi il ritratto di una donna forte, che ha saputo affrontare con coraggio e creatività situazioni difficili e palesi ingiustzie, sempre coerentemente ai propri principi..
    Ho letto il dialogo tra Samizdat e il Lettore…Quest’ultimo, nella sue convinzioni monolitiche (una sola cultura, un solo popolo di lettori…) mi sembra troppo ingessato e poco rappresentativo, perchè il percorso del lettore generalmente è molto mutevole, un esercizio nel campo della conoscenza. In fondo la lettura è solo uno strumento che puo’ virare in varie direzioni: per difendere o per offendere, per accrescere la conoscenza o per oscurarla…percio’ si presenta anche come un laboratorio di ricerca in cui niente si nega
    all’ umano…non si danno letture proibite: si puo’ partire dalle barzellette per approdare a letture serie e “faticose” che formano la mente, si puo’ leggere con “piacere” e magari approdare a scelte difficili e rivoluzionarie…Il non lettore ha la sua dignità, ma oggi, come in passato, rischia di avere pochi strumenti di critica e di difesa, sul piano personale come collettivo…se giovane,diventa facilmente vittima del lavaggio del cervello mass mediatico…Di questi tempi poi, quando ci vediamo costretti a periodi lunghi di reclusione, la lettura ci puo’ salvare la mente e il corpo da diverse forme depressive…almeno finchè pssibile

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