Moltitudine poetante 2004

RIORDINADIARIO.

BILANCIO RETROSPETTIVO DI UN’INCHIESTA NON PUBBLICATA.

di Ennio Abate

Con questa  inchiesta del 2004 sulla “moltitudine poetante” (termine più tardi sostituito da “moltinpoesia”)  cercai di condividere con alcuni amici di Milano  le riflessioni sulla poesia che avevo maturato in anni precedenti nel confronto con Franco Fortini e Giancarlo Majorino. Tema dell’inchiesta: la scrittura di massa (di versi soprattutto), fenomeno che riceveva allora e riceve tuttora condanne moralistiche e snob invece che indagini serie. Il questionario [1] fu preparato  e limato da me, Paolo Rabissi, Lelio Scanavini, Franco Tagliafierro e Adam Vaccaro. Lo inviammo a un centinaio di potenziali interlocutori e, tra dicembre 2003 e giugno 2004,  ci occupammo della raccolta  e sistemazione delle risposte. Ne arrivarono trentuno. Nel 2005 stavamo  per pubblicare  un libro-rendiconto di quel non trascurabile lavoro di gruppo,  ma per le divergenti valutazioni dei risultati dell’inchiesta [2], pur avendo preparato persino una prefazione di compromesso [3], non se ne fece nulla.  E il materiale già pronto rimase in una delle cartelle del mio PC  e forse in quelle degli altri promotori.

Oggi, a distanza di tanti anni, pubblico: – il questionario; – due note (di Franco Tagliafierro e Paolo Rabissi) della discussione interna al gruppo; e la prefazione concordata.  Non – almeno per ora – le pur interessanti e articolare risposte dei 31 interlocutori [4]  che occuperebbero troppo spazio.

Perché questa tardiva pubblicazione? Per  un consolidato scrupolo documentario:  il mio “riordinadiario” non è mai solo intimo o privato e  riflette spesso sulle iniziative collettive in cui sono stato attivo. Per  una residua (ma disincantata) speranza: la lettura di questi materiali potrebbe spingere a riflettere qualcuno/a, che ancora insiste a scrivere versi, a discutere criticamente di poesia, e avvertire dei trabocchetti  di tale ardua pratica. (Da giovane qualcosa imparai  da un’inchiesta consimile, anche se d’altro taglio e sicuramente d’altra epoca: “Il mestiere di poeta” di Ferdinando Camon, libro che conservo nell’edizione Lerici del 1964). Per intendere io stesso meglio le ragioni di quella rinuncia repentina a continuare  un lavoro in gruppo appena iniziato; e che poi proseguii con altri ne “Il Monte Analogo”, nel “Laboratorio Moltinpoesia” e in “Poliscritture”, andando incontro –  non lo nascondo –   a  fallimenti analoghi, sintomatici perché  segnalano problemi irrisolti, non solo miei ma di una vasta  area intellettuale  che  brancola sempre più smarrita e rassegnata in mezzo al caos sociale e politico.  

Non credo, però, che ci fossimo illusi sull’importanza  del tema messo a fuoco. E nessuno si aspettava che la nostra inchiesta confermasse l’incoraggiante esistenza di una “moltitudine già poetante” o di “un soggetto sociale unificato da bisogni comuni”, come sosteneva Paolo Rabissi.  Avevamo ben presente, invece, l’ambivalenza (se non la sartriana malafede) di chi scrive poesie  o partecipa a  cenacoli o salotti di poesia. La ferocia realistica – critica (e autocritica) –  con cui Franco Tagliafierro, sempre in quella discussione interna del 2004, descriveva la “moltitudine poetante”,  poteva essere la base di un ragionamento per meglio proseguire il lavoro, non una sentenza disfattista o liquidatoria. E perciò anche dopo tanto tempo resto convinto che avremmo dovuto continuare. Proprio perché avevamo avuto anche una conferma “sociologica” che, tra i poetanti,  i modelli  di comportamento erano  individualistici o  che essi al massimo si adattavano ad allearsi solo nei termini di “quell’antichissimo costume italiota […] votato al gruppettarismo settario” (Rabissi), avremmo dovuto contrastare con più fermezza quel modello, metterlo in dubbio,  incalzare criticamente i “moltinpoesia” a non rifugiarsi nella tana solipsistica e narcisistica del  “meglio soli  che  male accompagnati”.  Certo,  a volte è giusto separarsi dalla “compagnia malvagia e scempia” delle piccole sette degli “ombreggiatori della Parola” o dei salottieri assaggiatori di prelibatezze poetiche per raffinati esteti, ma per ricostruirne di buone e aperte. Mai per  tornare a inseguire o  blandire i deliri dell’io/io adagiatisi nelle  residue corporazioni pseudoumanistiche.  [E. A.]

1

PER UN’INCHIESTA SULLA MOLTITUDINE POETANTE

Questa inchiesta nasce da un gruppo di lavoro che si propone di far uscire dal vago la ricerca poetica che tanti conducono in solitudine o in piccoli gruppi di amici. È un fenomeno complesso, ambiguo e carico di potenzialità positive, sul quale vorremmo riflettere e confrontarci con gli individui concreti che come noi, più o meno consapevolmente, ne sono gli attori. Da qui la molteplicità dei temi da indagare e la meticolosità sociologica delle domande, di cui un po’ ci scusiamo. Lasciamo però ampia libertà di risposta a quanti – amici/he, sconosciuti/e – decideranno di collaborare con noi: se troveranno troppo gravoso rispondere a tutti i punti o a tutte le domande, potranno scegliere quelli o quelle che più sollecitano la loro riflessione. Un’unica raccomandazione: la risposta ad ogni singolo punto non dovrà superare all’incirca le 2000 battute (due paginette se scritte a mano). Ovvio il motivo: il gruppo di lavoro si propone di entrare in una relazione alla pari e sperabilmente duratura con quanti risponderanno e non può essere sommerso da una valanga di parole che impedirebbe ogni serio dialogo.

Le risposte dovranno pervenire entro la fine del dicembre 2003, preferibilmente per e-mail, e vanno inviate al seguente indirizzo: […]. Chi preferisse la posta tradizionale potrà spedire a: INCHIESTA MOLTITUDINE c/o IL SEGNALE, Via F.lli Bronzetti, 17 – 20129 Milano. Gradito avviso di adesione entro il 15 giugno.

[ Ennio Abate e Franco Tagliafierro (INOLTRE), Paolo Rabissi (LA MOSCA DI MILANO),  Lelio Scanavini (IL SEGNALE), Adam Vaccaro (MILANOCOSA)]

*

PUNTO 1. Dati biografici

Nome, età, residenza, occupazione, titolo di studio.

(Livello espressivo)

PUNTO 2. Genesi del lavoro poetico

2.1.1. In quali fasi della tua vita hai scritto poesie? Potresti precisare gli anni?

2.1.2. Quali sono i motivi principali che ti inducono o ti hanno indotto a insistere nella pratica della scrittura poetica?

2.2.1. Hai dei temi ricorrenti o privilegiati? Quanto peso ha avuto il tuo vissuto esistenziale o l’“ispirazione” (se per te essa ha un senso)?

2.2.2. Se vuoi, puoi accennare alle emozioni che hanno preparato la produzione di alcuni dei testi che ritieni più significativi. Se l’impulso l’hai vissuto in modo positivo o negativo, piacevole o faticoso, utile alla tua crescita umana o ininfluente rispetto alle altre attività.

PUNTO 3. Poetica

3.1.1. Quali riflessioni sulla poesia sono scaturite dalla tua attività di poeta?

3.2.1. Hai una tua definizione del linguaggio poetico da te praticato?

3.2.2. Cosa pensi della definizione della poesia come linguaggio totale?

3.2.3. Scrivi in lingua e/o in dialetto? Se scrivi prevalentemente in dialetto, quali ne sono i motivi?

3.3.1. “Scrivere per essere” o “Essere per scrivere”. Con quale di queste due proposizioni ti identifichi maggiormente?

PUNTO 4. Contatti

4.1. Stimolato da chi o da quali letture, hai cominciato a scrivere poesie?

4.2. Quali contatti diretti con poeti o scrittori hanno favorito o ostacolato la tua ricerca poetica?

4.3. Quali autori o quali opere pensi che ti abbiano influenzato?

4.4. Quanti libri di poesia leggi in media in un anno? Quanti ne acquisti?

PUNTO 5. Testi

5.1.1. Quanti versi scrivi mediamente in un anno?

5.2.1. Ritieni di possedere già una capacità di autoselezione e autovalutazione?

5.2.2. Ti avvali abitualmente dei giudizi di amici e critici?

5.3.1. Fai degli “esercizi poetici” (o hai frequentato scuole di scrittura poetica) o preferisci “scrivere e basta” e “quando ti viene”, senza indagare sui processi più inconsapevoli della tua scrittura poetica? E perché?

5.4.1. In quale genere hai elaborato o tendi maggiormente a elaborare le tue poesie? Lirico, sperimentale, minimalista, civile, narrativo, elegiaco, altro?

5.5.1. Ritieni significativa la datazione dei testi?

PUNTO 6. Scopi

Esponi brevemente se per te la Poesia è un valore sociale che ti collega o può collegarti con determinate istituzioni (Accademie, Premi, Facoltà universitarie, Case editrici, Riviste), con determinati attori (i lettori, i poeti-poeti, i critici, il pubblico, i cenacoli o i gruppi poetici); oppure  se vivi la “poesia” come valore esclusivamente o prevalentemente soggettivo (“privato”), indipendente dai suoi effetti sugli altri.

(Livello storico-sociale)

PUNTO 7. Attività poetica e contesto in cui si svolge

7.1. Tempo

Quanto tempo dedichi – hai dedicato – alla poesia (studio+concentrazione+scrittura) in proporzione al tempo dedicato ad altre attività (lavoro, affetti, studi, svaghi, ecc.)?

7.2.Vissuto esistenziale

Quale vissuto è collegabile alla tua ricerca poetica?

7.3. Storia e società

7.3.1. Quale presenza o assenza, o quale riconoscibilità emerge, nella tua poesia, di legami con eventi storici contemporanei o passati? Che spiegazione dài di questa presenza/assenza?

7.3.2. Quali reazioni e riflessioni ti suscita il termine «moltitudine poetante»?

7.3.3. Ti convince o condividi di più l’idea di una poesia intenzionalmente per pochi, o di una poesia intenzionalmente per molti?

7.3.4. Se hai avuto modo di frequentare circoli poetici o luoghi di letture poetiche pubbliche, che idea te ne sei fatto? Li ritieni utili luoghi di scambio sociale ma secondari per il lavoro poetico che deve essere soprattutto individuale? Oppure pensi che siano momenti indispensabili per il lavoro poetico che non è mai solo individuale?

7.3.5. Che relazioni trovi fra la tua ricerca poetica e il tipo di lavoro o lavori che hai fatto finora?

7.3.6. Accenna, se vuoi, ai luoghi (casa, treno, bar, biblioteca, posto di lavoro, parco, campagna, mare, ecc.) in cui s’è svolta o si svolge la tua attività poetica e alle caratteristiche di questi luoghi (favorevoli o sfavorevoli, secondo te, alla tua scrittura di poesie. Accenna poi: ai materiali di cui dispone il tuo “laboratorio poetico” (quaderni, block-notes, matita, stilografica, computer); al tempo dedicato alla ricerca poetica diretta (o indiretta: letture, contatti, ecc.) in proporzione ai tempi dedicati ad altre attività (lavoro, affetti,  altri studi, viaggi, ecc.); all’eventuale agio o disagio del corpo (periodi di salute, periodi di malattia, ecc.) quando hai scritto certi testi; alle circostanze ambientali o sociali che sono intervenute favorendo o ostacolando la tua ricerca poetica… 

7.3.7. Esprimi inoltre sinteticamente come vedi il rapporto tra poesia e ”extra-poetico” (altri saperi o attività: economia, politica, storia, impegno sociale, filosofia, scienze,  ecc.) o tra poeti e “estranei alla poesia” (lavoratori intellettuali in ambiti extraletterari, lavoratori manuali, strati sociali colti, masse poco acculturate).

7.3.8. A questo proposito, con quali altri saperi è connessa la tua poesia?

7.3.9. Pensi che sia possibile o da ricercare un rapporto con gli “esterni” alla poesia per non ridursi a far circolare i testi solo fra gli addetti ai lavori (cioè fra soli poeti o critici professionali)?

7.3.10. A quali destinatari ti rivolgi idealmente quando scrivi poesia?

(Livello sistema della letteratura)

PUNTO 8. Rapporti avuti con i componenti dell’attuale Sistema della letteratura

8.1.1. Perché, a un certo punto, hai deciso – o deciderai – di pubblicare?

8.1.2. Che cosa ti aspetti dalla pubblicazione? Se hai pubblicato, sei soddisfatto o deluso? Perché?

8.1.3. Quante raccolte hai pubblicato? In quanti anni?

8.2.1. Hai proposto tuoi testi a riviste letterarie? Con quali risultati?

8.2.2. Come giudichi il comportamento di tali riviste con i mittenti di manoscritti?

8.3.1. Per pubblicare la tua raccolta, a quale editore ti sei rivolto?

8.3.2. Con quale esito e a quali condizioni contrattuali?

8.3.3. Ritieni che l’Editore si sia comportato correttamente e abbia fatto la sua parte? In caso contrario, dove ha mancato?

8.4.1. Il tuo libro ha ricevuto recensioni? Vuoi specificare su quali periodici?

8.4.2 Ti risulta l’esistenza di un “mercato” delle recensioni o comunque di una qualche discriminazione nella scelta dei libri da recensire? Se sì, cosa ne pensi?

8.5.1. Hai partecipato a premi letterari con testi inediti o con un tuo libro?

8.5.2. Che idea ti sei fatta dei premi e secondo te a cosa servono?

8.6.1. Nel caso invece che tu non abbia fatto nessun tentativo o abbia rimandato o rinunciato del tutto alla pubblicazione, quali sentimenti o ragionamenti ti hanno indotto a farlo? E, in uno di questi casi, cosa ha sostituito la gratificazione o la verifica che ci si può aspettare dalla pubblicazione?

8.6.2. Nell’un caso o nell’altro, racconta brevemente se ci sono state conseguenze e quali nella tua pratica poetica (temi, stile, tempo dedicato ecc.) e nel tuo atteggiamento verso le istituzioni che si occupano di poesia.

2

DUE PARERI NELLA DISCUSSIONE INTERNA AL GRUPPO

 

OSSERVAZIONI SINTETICHE SULLE RISPOSTE AL QUESTIONARIO DELLA MOLTITUDINE POETANTE

di Franco Tagliafierro

PUNTO 3

In relazione alla funzione della poesia (3.3.1 3.3.1. “Scrivere per essere” o “Essere per scrivere”. Con quale di queste due proposizioni ti identifichi maggiormente?) – funzione intesa sia come espressione di una personalità matura e padrona dei necessari mezzi espressivi, sia come strumento per conseguire una investitura sociale o un valore aggiunto – c’è da dire che, pur essendo prevalente l’adesione alla prima delle due ipotesi, è notevole anche il numero dei fiduciosi nella seconda: ciò significa che fra la moltitudine poetante c’è la stessa capacità di illusione delle Aspiranti Veline.

Quando è la frustrazione il movente della scrittura in versi, la dichiarazione circa la necessarietà della poesia è inevitabilmente falsa. È la pedissequa ripetizione di un luogo comune. Che però ha una funzione autorassicurante e quindi difensiva. Chiunque dichiari che la poesia è indispensabile per l’umanità – in quanto linguaggio, se non totale, per lo meno capace di giungere dove gli altri non riescono – sostanzialmente rivendica la utilità, la necessità, il valore oggettivo del proprio fare poesia, cioè difende il proprio operato. Ogni poetante però vuole difendersi singolarmente. Nessuno vuole sentirsi parte di una moltitudine. Quindi individualismo, elitarismo ecc.

Molti poetanti attribuiscono alla poesia compiti come quello della comunicazione tra esseri diversissimi, della ricerca della bellezza, della stimolazione di emozioni, della spinta all’autocoscienza, della soddisfazione del bisogno di essere ascoltati, della  ricognizione dell’esistente da offrire ai non poeti in forme sintetico-intuitive ecc.

Se ne deduce che fra i poeti è molto diffusa, oltre alla legittima difesa, anche l’ingenuità.

In qualche caso esplicitamente, in altri sfiorando l’argomento, i sondati manifestano un certo fastidio per l’odierno eccesso di produzione di poesia. Si fa notare che molti scriverebbero senza necessità interiore, senza adeguate conoscenze tecniche, e quindi solo per sfogo. Ovviamente sono sempre “gli altri” in difetto. Ciascuno adotta per se stesso il principio dell’autoassoluzione, basato sulle instancabili riscritture, sulla selezione severa dei propri testi, e sull’autovalutazione obiettiva. La moltitudine è costituita di poetanti che si farebbero fuori l’un l’altro.

PUNTO 5

La maggioranza dei sondati si riconosce capacità di autovalutazione (5.2.1), però nessuno commisura tale capacità alla cultura che possiede né ai modelli di poesia che pur dovrebbe tenere presenti.

Diffusissimo il ricorso al giudizio degli amici (5.2.2), il che in sé è una buona cosa, ma non è garanzia di niente: sia perché gli amici appartengono alla stessa “atmosfera” poetico-culturale del poetante, sia perché l’amicizia, salvo rari casi di generosità lungimirante, prescinde dalle stroncature. Quindi ogni poetante opera in un piccolo mondo culturalmente acritico.

Sono pochi coloro che si dichiarano incapaci di autovalutazione. Costoro sono più apprezzabili degli altri in quanto portatori di dubbi sulle proprie capacità. Psicologicamente li potremmo definire fideisti, perché alcuni (pochi) scrivono per effetto di pulsioni naïf e altri aspettano e sperano che il mondo riconosca loro una congrua dose di talento o di genialità. Entrambe le posizioni rivelano un inconscio rifiuto della critica. La moltitudine quindi è costituita da poetanti autoreferenziali.

Insomma, i poetanti marciano moltitudinariamente nella direzione della lode concessa a priori, più o meno arricchita di commenti esplicativi, visto che si rivolgono agli amici e ai critici compiacenti, in genere poeti anch’essi, e visto che non esiste nessun altro a cui rivolgersi.

Il fatto saliente è che quasi nessuno fra i sondati dimostra di possedere strumenti critici (pietre di paragone, cartine di tornasole, gusto, fiuto, intuito ecc.) adeguati per una autovalutazione seria (altrimenti le risposte sarebbero diverse), né cerca il contatto con chi li possiede. Dico quasi nessuno, perché qualcuno c’è che ha quasi rinunciato a scrivere andando spesso a capo. Comunque, la tendenza prevalente è quella di rimuovere il giudizio negativo, nel caso che lo si riceva da un amico o un pari grado, o di schiacciarlo sotto il peso dei giudizi positivi degli altri amici. Ogni poetante, alla fin fine, preferisce vivacchiare nel sottobosco delle mutue adulazioni piuttosto che studiare da poeta.

I sondati esprimono orrore e rifiuto con anatema nei confronti dei corsi di scrittura. A parte il fatto che detti corsi sono ormai inflazionati e in genere mal condotti, è significativo che chi scrive poesia ne abbia orrore, mentre chi scrive prosa no. Se ne deduce che la capacità di fare poesia è sentita come una dote naturale, a cui si aggiunge quel tanto di culturale dovuto alla alfabetizzazione. La moltitudine è presuntuosa. Ma questo lo si sapeva.

Intervento

di Paolo Rabissi

Che in trenta si siano messi a tavolino e con pazienza abbiano risposto alle domande a me sembra un elemento positivo che voi trascurate.

Come fate a sostenere, proprio partendo dalle risposte di chi si è, diciamo così, aperto e reso disponibile a un possibile confronto, che tutti quanti si dimostrano chiusi, gelosi, minacciati e addirittura gestori di poteri?

Quel poco di positivo insomma che viene dalla semplice constatazione di una certa disponibilità ad esporsi viene completamente ignorato.

E se di costoro rileviamo soltanto chiusure e gelosie, cosa dovremmo dire allora dei settanta che non si sono neanche degnati di dirci cosa pensavano dell’iniziativa?

Pertanto io farei un’apertura più ottimistica e magari di ringraziamento, rovesciando l’impostazione e rilevando proprio che la disponibilità a rispondere dimostrata dai trenta mostra una certa volontà di superare quell’antichissimo costume italiota ( se volete qui ci facciamo una bella citazione da Leopardi!) votato al gruppettarismo settario.

Anche perché, scusate, dove sta scritto che nel concetto di moltitudine poetante era implicita l’ipotesi di confronto, cooperazione e solidarietà?

Per quanto mi riguarda questa ipotesi non era mia. Si  tratta per me semmai di un nobile e irenico desiderio. La mia esperienza, valga quello che può valere, mi induce a ritenere che per l’attuarsi di situazioni simili occorrono da una parte un soggetto sociale caratterizzato e unificato da bisogni e istanze comuni, dall’altra condizioni storiche complessive altrettanto materiali che lascino intravedere la possibilità di soddisfare quelle istanze.

Ora  ritenere che la moltitudine poetante sia un soggetto sociale unificato da bisogni comuni francamente mi sembra singolare.

Oppure facciamone davvero un interrogativo e proponiamolo nell’intervista.

A me sembra piuttosto che la sostanziale divisione e frammentazione in tante realtà gelose e litigiose ( anche il mondo della poesia è conflittuale, è polemos, o no?) sia il dato reale da cui partiamo e che, andiamo, conosciamo bene.

A cosa serve rilevarlo e con quel tono deluso? Non credete che proprio loro che hanno risposto in fondo soffrono della medesima delusione e che nonostante ciò si sono impegnati a risponderci?

In questo senso ci andrei soprattutto piano con affermazioni tipo: Ogni gruppo, amicale o legato a Riviste o Case editrici (in particolare quelle più grandi, nella nostra indagine non coinvolte) tende a fare potere, di giudizio e di valore…

Questo non mi sembra che emerga dalle interviste, questo è un giudizio che stava già nella vostra testa, questo è quello che noi sappiamo a priori, e che comunque non può essere generalizzato. Possiamo magari pensarlo di certuni, inutile nominarli, tra coloro che hanno risposto e che conosciamo ma per molti altri non è senz’altro vero. E in ogni caso, quand’anche fosse così, vogliamo fare un’indagine sociologica o i parroci?

E così succede anche nel condannare a una deriva le scelte, sia pure confuse e vaghe, di tutti. Ma qui si apre un’altra osservazione.

Che riguarda le macerie poetiche del Novecento.

Diamine. Il concetto di krisis come condizione euristica fa parte anche del mio bagaglio culturale. Allora però bisogna dirlo che alle macerie non assegniamo necessariamente un valore negativo e che tanto le case nuove si continua a farle anche coi mattoni vecchi. Messe lì così quelle macerie fanno un effetto terrorizzante. Forse che noi abbiamo la soluzione?

Ma la cosa sorprendente sta in quello che segue.

Infatti l’elenco successivo di quelle macerie, cioè delle formule, più o meno chiaramente vissute, nelle quali riteniamo che i trenta tirannelli si collochino, rappresentano, correggetemi se sbaglio, quanto di meglio la tradizione del Novecento ci ha lasciato: per ognuna di quelle formule c’è almeno un poeta degno di essere stato letto e magari amato da noi. E allora? Cosa ci aspettavamo di trovare? Una decina di poeti nuovi capaci di aprire con nuovissime e rivoluzionarie soluzioni tematico-linguistiche il nuovo millennio? O voi le avete già trovate e io non ne so nulla?

Non so bene chi […], parla addirittura di supponenze. Siamo cioè alla dichiarazione più esplicita di un moralismo, questo sì di sagrestia, di fronte al quale credo che i trenta avrebbero buona ragione di mandarci affanculo.

Perdonate la franchezza, ma credo sinceramente che l’intero tono delle conclusioni vada rivisto più seriamente, perlomeno con la stessa serietà di cui hanno dato prova coloro che ci hanno risposto.

3

PREFAZIONE CONCORDATA AL LIBRETTO

PICCOLO BILANCIO DI UN’INCHIESTA SULLA MOLTITUDINE POETANTE

Il gruppo di lavoro raccoltosi oltre un anno fa attorno all’idea di una prima inchiesta concreta sul fenomeno della odierna diffusione a livello di massa della scrittura poetica rende qui conto dei risultati dell’iniziativa.

Sapevamo di affrontare una realtà complessa, sfuggente e carica di ambiguità e perciò abbiamo mirato soprattutto a raccogliere elementi conoscitivi concreti, proponendoci un obiettivo in apparenza minimo:  dare la parola e far uscire dal vago i tanti che conducono in solitudine o in piccoli gruppi la propria ricerca poetica.

Da qui l’invito rivolto ad interlocutori in parte poco conosciuti a confrontarsi con noi promotori alla pari, rispondendo ad un questionario dettagliato, a volte anche pedante nella sua meticolosità sociologica (lo riconosciamo), ma sicuramente insolito rispetto al gommoso diplomatismo che caratterizza gli ambienti letterari italiani o all’aura, sacerdotale ed elitaria, che è tornata ad avvolgere la pratica poetica nel nostro paese, dopo le pirotecniche stagioni neoavanguardiste o sperimentali.

Il questionario (che qui riproduciamo  a pag…) presentava 8 gruppi di domande – una quarantina in complesso – riguardanti molti temi: poetica adottata;  contatti con poeti, critici e case editrici; motivazioni della propria scrittura;  definizione della poesia; scelte linguistiche; ecc.) e dava ampia libertà di risposta: se qualcuno riteneva gravoso esaminare tutti i punti o  tutte le domande, poteva scegliere quelli o quelle che più sollecitavano la curiosità o toccavano  sue corde profonde. Per autodifesa, ci eravamo concessa un’unica raccomandazione: la risposta ad ogni singolo punto non doveva  superare all’incirca le 2000 battute (due paginette, se scritte a mano).

Abbiamo spedito un centinaio di questionari e ricevuto una trentina di risposte. Poche? Molte? Noi, al di là di ogni  valutazione quantitativa,  siamo soddisfatti e ringraziamo sinceramente questa trentina di “colleghi” e “colleghe” in poesia, che si sono messi a tavolino o al computer per la disponibilità e l’attenzione dimostrataci.

Infatti, questo sia pur limitato campione dei tanti che oggi si dedicano alla scrittura poetica ha messo in luce aspetti veri delle motivazioni soggettive e delle condizioni oggettive in cui essa si svolge; e che solo in minima parte sono riconducibili alle regole delle istituzioni poetiche (autori, gruppi, riviste) anche di un recente passato.

Analizzate le risposte, è nato però un problema: pubblicarle e basta o interpretarle, cercando di coglierne il possibile senso? o almeno dire quali reazioni hanno suscitato in noi promotori dell’iniziativa?

Adottando la prima via ci pareva di ricadere nel consueto e dannoso diplomatismo cui abbiamo accennato sopra e   di interrompere così quel dialogo-confronto che abbiamo voluto e che almeno in trenta hanno mostrato di accettare. Ribadendo, perciò, che le nostre considerazioni vogliono essere interlocutorie, provvisorie  e rimanere sul piano dello scambio di giudizi alla pari, abbiamo scelto  di pronunciarci anche in modo non unanime [1] su due punti rilevanti, che pensiamo di dibattere in seguito con gli stessi interessati in un incontro da fissare, approfondendo se possibile il rapporto stabilito con l’invio del questionario.

Li formuliamo così: 1) le risposte che  ci sono pervenute accennano ad una qualche  tendenza  che incoraggi il dialogo fra  i tanti che oggi in Italia scrivono e s’interessano alla poesia?; 2) nel loro “bagaglio culturale” (esperienze vissute, motivazioni, poetiche o autori di riferimento, richiamo a qualche “tradizione” o rifiuto di ogni “tradizione”, ecc.)  s’intravvedono elementi innovativi?

Alcuni di noi [2] hanno avuto l’impressione che in molte risposte prevalgono individualità gelosamente chiuse in se stesse, solo a tratti veramente dialoganti e piuttosto portate a “marcare le distanze”.

Si rivendica, infatti, l’utilità, la necessità, il valore oggettivo del proprio fare poesia, come unica vera difesa da una  oscura e incombente minaccia o una inadeguatezza delle pratiche altrui. Ad esempio, nessuno o quasi vuole sentirsi parte di una moltitudine.  Affiora anzi il fastidio per l’odierno eccesso di produzione di poesia o pseudopoesia, che verrebbe scritta da “altri” senza necessità interiore, senza adeguate conoscenze tecniche, e quindi solo per sfogo. Ma per se stessi c’è quasi automaticamente una sorta di autoassoluzione da questa “dissipazione poetante”: o direttamente o tramite il ricorso al giudizio degli amici, che è davvero debole garanzia.

Questo duro nocciolo individualista di matrice romantica (e che spesso privilegia in poesia il genere  lirico-elegiaco-intimista) sembra scoraggiare ogni sortita dai piccoli mondi letterari, che sono spesso acritici, compiacenti e neppure tanto “terapeutici” come si pretende. Di conseguenza, l’ipotesi di confronto, cooperazione e solidarietà, che almeno per qualcuno di noi era implicita nel concetto di moltitudine poetante che faceva da titolo all’inchiesta, pare messa in crisi.

In secondo luogo – e sempre per alcuni di noi – dalle risposte emerge un attrito confuso fra concezioni di poesia o troppo vaghe o troppo ancorate   a scuole ed etichette ereditate dal Novecento.  E’ giudizio abbastanza comune che oggi il campo della poesia sia mal definito o indefinito; e ci si muova in ordine sparso, atomizzati e ormai senza bussole. Quasi nessun punto di convergenza pare possibile con gli “altri” o le “altre” che pur s’incrociano o con cui si convive in riviste, letture pubbliche, cenacoli letterari, ecc.  Si tratta di una condizione negativa di deriva inarrestabile e duratura? O proprio l’atomizzazione generale può essere considerata paradossalmente persino una buona occasione per tentare il nuovo?

Infatti, sulla domanda chiave: cos’è la poesia per te che la fai, abbiamo avuto – in pillole e alla rinfusa e spesso con una buona dose d’ingenuità ignara della realtà e delle svolte epocali di cui siamo testimoni – proprio la gamma delle scuole ed etichette poetiche del Novecento.

Scuole ed etichette nobili quanto si vuole, che ancora ci parlano e amiamo e delle quali si può anche dire che possono servire per nuove costruzioni, ma solo se si avesse il coraggio di porre il problema di un nuovo disegno e si tentasse di concordarlo con altri e altre. Ma fin quando ognuno/a tiene gelosamente stretta al petto  la sua etichetta preferita, ritenendola l’utensile di per sé più efficace, ogni cooperazione apparirà pura utopia (e si sa  – nella pratica e in piccolo – poeti e poetesse sanno essere spesso cinici e  ultrarealisti quanto i managers e i politici più rampanti).

Per non restare nel vago, ecco l’elenco schematico delle definizioni date della poesia: suono  che va verso un senso; frantumazione del senso; idealistico progresso per stadi di un sostrato emotivo; autoanalisi; funzione sociale, ma ridottissima perché circolante solo tra poeti e critici;  veicolo alla trascendenza; in relazione privilegiata con la fotografia, con le immagini, col mondo delle emozioni, con filosofia e politica (ma secondo modelli del tutto astorici); una sorta di Eden d’innocenza e bellezza; interiorità; in fuga dall’interiorità verso la scienza, la realtà, la vita, il «piacere dell’esserci», ecc.

La poesia parrebbe essere, dunque, – di volta in volta ma anche contemporaneamente – una strada per la conoscenza, un baluardo antiutilitaristico, un veicolo potenziale di messaggi forti, una testimonianza e memoria, una forma alta di comunicazione (sociale, politica, ecc.), uno strumento per conseguire una qualche investitura sociale.

Definizioni così varie e ambiziose lasciano perplessi ma concordiamo tutti [3] sul fatto che sicuramente tali risposte andranno scavate di più, magari considerandole per ora solo come spunti da approfondire (ad es. attraverso delle interviste).

In conclusione possiamo dire che il questionario  ha funzionato sì da specchio, ma in modo limitato. Resta il dubbio: limite dello specchio o reticenza di chi si è specchiato? Ma è un primo passo. Lasciando da parte ottimismo o pessimismo, ci pare giusto attestarci su un’etica della ricerca: insistere insomma per trovare coraggiosamente quel “qualcosa” di buono (o di peggio!) che non è venuto fuori in questa occasione.

La pubblicazione dei risultati della nostra inchiesta rilancia la sfida e chiama nuovamente al confronto.

Abate, Rabissi, Scanavini, Tagliafierro, Vaccaro                       Data…

4

RISPOSERO ALL’INCHIESTA  DEL 2004

 Accorrà Silvia, Argentino Lucianna, Bagnoli Vincenzo, Barbagli Paolo, Bertozzi Roberta, Bonacini Giorgio, Cannillo Luigi, Cecconi Raffaele, Cipriani Domenico, Cretella Chiara, De Santis Mariella, Fantuzzi Matteo,Ferri Giò, Gandalini Gianluca, Ladolfi Giuliano, Liuzzi Oronzo, Magazzeni Loredana, Mandrino Francesco, Mastrangelo Mario, Nuscis Giovanni, Pasquali Roberto, Poluzzi Gabriella, Pudilli Enrico, Rimi Margherita, Ronco Daniele, Saltarin Alessio, Squatriti Fausta, Stradiotto Roberto, Ugolini Liliana, Zaninetti Teresio, Zoli Anna.

3 pensieri su “Moltitudine poetante 2004

  1. da Officinapoesia Nuovi Argomenti

    Anna Leone
    Ho letto, fra coloro che aderirono all’iniziativa, nomi importanti in campo poetico. Segno che i questionari sono piuttosto riduttivi e non sempre consoni per fotografare mondi paralleli, ammesso che quello dei poetanti sia un mondo.

    Ennio Abate

    Che i questionari siano riduttivi dovrebbe essere scontato in partenza. Per chi li fa e chi risponde. Lo scopo del nostro nel 2004 non era “fotografare mondi paralleli” ma cogliere alcuni dettagli precisi dei poetanti che, pur vivendo – atto di fede – in mondi paralleli, i piedi qui sulla terra per un po’ di anni li tengono.

  2. …sono entrata nel gruppo Moltinpesia quando era agli sgoccioli della sua esistenza, ovvero si stava evolvendo con nuovi nomi: Poesia e Moltinpesia, Poliscritture, ma da subito anche Ogginpoesia, la cui guida in qualche modo fu assunta da Giorgio Mannacio…diverse persone, come me, hanno seguito le varie metamorfosi, ravvisandovi una continuità di fondo… l’esperienza pluriennale, peraltro assai interessante dei Moltimpoesia, ha dimostrato qualche limite, ma forse andava circoscritto meglio, e già in partenza, la moltitudine a cui i promotori facevano riferimento…comunque, secondo me, non esiste un tempo perso, soltanto di un tempo che ha bisogno di tempo per definirsi meglio nelle sue premesse, peculiarità ed obiettivi…Ognuno liberamente puo’ aderire ad una piuttosto che ad un’altra comunità poetante…senza limiti di prova anche perché anche individualmente ci evolviamo…personalmente credo di aver fatto un po’ di strada in questo gruppo di Moltinpoesia oggi Poliscritture, anche se in effetti non ho mai risposto a quel questionario…Poche idee ma confuse? Suppongo di si’…ciao

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