Birillo e la lucertola. Fiabe d’amore e di vita.

 

di Rita Simonitto

[Era l’agosto del 2020, quando, pur dubitandone, sembrava che la morsa delle restrizioni pandemiche si allentasse permettendo agli animi di aprirsi verso una maggiore riflessività dando valore alla socialità ritrovata. Oggi, dicembre 2021, reiterato l’inganno, si è squarciato il velo di Maya mostrando una umanità incattivita, organizzata per bande, incentrata sulla concretezza delle risposte più che sulla molteplicità delle domande e dei dubbi. E, tragedia nella tragedia, anche la parte sognante dell’infanzia ne viene coinvolta: piccoli Balilla obbedienti crescono… Così mi chiedo se anche la leggerezza delle fiabe (non scevre, comunque da insegnamenti) potrà trovare cittadinanza].

Birillo era un barboncino di tutto rispetto, bianco, con i soffici riccioli che facevano innamorare tutti, in particolare modo i bambini. Due orecchie lunghe e altrettanto morbide incorniciavano il muso dove tre piccoli bottoni neri, occhi e naso, fungevano da scenari mobili, dotati di elettricità in quanto sempre in vibrazione.

Etta, la padroncina, non smetteva di prenderselo in braccio, strofinando il viso in quel pelo delicato fintanto che lui non si stufava e schizzava via come un razzo lasciando la piccola imbronciata e delusa.

Chissà se quell’amore possessivo non lo disturbasse al punto tale che solo la fuga era possibile? Ma chi lo sa che cosa si agita nella mente dei cani!

Non potendone più di quella che lei viveva come una non corrispondenza affettiva, la bambina andò piangendo a confidarsi con la madre.

“Ma Diletta cara, cerca di capire: può essere che Birillo, per quanto ti sia affezionato, dopo un po’ non sopporti di sentirsi stretto così e impedito a muoversi a suo piacimento. Lo vedi come ama fare i salti, mostrare la sua agilità e come corre felice e raspa sul terrazzo e gira in tondo instancabilmente!”.

Ma la piccola non se ne faceva convinta. D’accordo, non era che una bambina di sette anni e il suo pensiero funzionava in modo semplice: la corrispondenza affettiva dev’essere a specchio! La complessità non era ancora entrata nel suo universo di pensiero. Però lei ne soffriva e continuava a fare agguati alla bestiola per prendersela in braccio con gli esiti ormai noti. Pianti disperati compresi.

I suoi genitori, oltre al cercare di tranquillizzarla e rassicurarla sul fatto che il barboncino le voleva bene e però mal sopportava quegli stringimenti soffocanti, non erano in grado di fare alcunché di diverso.

Una ipotesi si era affacciata alla loro mente e cioè che la figlia, trattenendosi a scuola tutta la giornata e vedendo la bestiola solo al ritorno avesse prodotto nell’animale una specie di diffidenza. Si sa che i barboncini mal tollerano di essere lasciati soli a lungo e, anche se durante la giornata era presente la collaboratrice domestica, pur tuttavia non era la stessa cosa.

Però si tennero l’ipotesi per loro pensando di aspettare il periodo delle vacanze quando la figlia sarebbe stata a casa per tutta la giornata.

Ma, come recita il detto “l’uomo propone e Dio dispone”, quando iniziarono le prime calure estive si produssero alcuni eventi imprevisti e significativi.

Pur potendo scorrazzare in lungo e in largo sul terrazzo dell’attico in attesa delle uscite al parco, Birillo in certi momenti della giornata spariva, ovvero non si trovava nei suoi posti soliti.

Sulle prime alla cosa non venne dato particolare rilievo, magari aveva anche lui bisogno di un momento di privacy trovando un posticino dove spaparanzarsi senza assilli di sorta.

Ma alla fine, mentre Etta continuava a tenere il broncio per ciò che viveva come un rifiuto sentimentale da parte del suo adorato cagnolino, gli adulti si preoccuparono e si misero alla sua ricerca.

E da quello che videro rimasero sbalorditi.

Birillo se ne stava, pancia in giù e zampe anteriori distese, sopra una vecchia cassapanca addossata alla parete a livello di una grande finestra. Il cagnetto guardava fuori con una insolita attenzione e ciò aumentò il loro stupore: il panorama che si poteva scorgere da lì non era certo quello che invece si poteva celebrare da quasi tutte le altre angolazioni della casa, le quali davano sulle colline e, in lontananza, sulle montagne. Niente di niente che potesse sollecitare qualche interesse: fuori, soltanto una porzione del terrazzo e, in lontananza, alcuni alti condomini.

Con cautela si avvicinarono e con stupefazione massima videro sul davanzale una piccola lucertola che ogni tanto faceva uscire la linguetta! Si muoveva leggiadra nel piccolo spazio assolato avvicinandosi a tratti alla finestra fino al limite della zanzariera, quasi a volersi affacciare verso l’interno e cercare qualcuno.

“Birillo, scendi immediatamente” esclamarono quasi all’unisono per richiamarlo all’ordine, ma il cagnolino sembrava sordo e indifferente.

“Birillo!” esplose in modo più perentorio la signora Elvira, forte della ascendenza che aveva sempre avuto sulla bestiola. Ma lui non diede nemmeno un fremito di coda, per cui non rimase altro che passare alla linea dura strappandolo da quel posto e incontrando in lui una forte resistenza: non voleva saperne di essere spostato da lì.

Il marito di Elvira, più politicamente, tentò l’approccio alimentare e, forse perché l’ora del pasto era vicina, il tentativo ebbe successo. Poi l’uomo gli mise il guinzaglio e lo portò nel parco per la solita scorribanda post prandiale.

I coniugi, alla fine di quella singolare esperienza, si guardarono, ci fu un sorriso complice per aver risolto il problema e si dissero “Meno male che oggi Etta è dalla zia! Altrimenti avrebbe complicato tutto”. Spesse volte la bambina, al fine settimana si recava dalla zia dove avrebbe giocato con i cuginetti mentre i suoi genitori, a casa dal lavoro, potevano gestirsi al meglio la loro vita di coppia.

E così terminò quella giornata impegnativa e non ci pensarono più.

Ma, come si dice, avevano fatto i conti senza l’oste perché due giorni dopo quella fatidica scoperta, Birillo nuovamente si eclissò.

Gli adulti erano al lavoro e a casa c’era Etta con la colf. Rachele aveva stabilito un ottimo rapporto con quella bambina treccioluta coinvolgendola in qualche attività domestica, una piccola pulizia oppure, con grande felicità di Diletta, nel preparare i pasti di pranzo e cena, pranzo per loro due, e cena per la bambina e i suoi genitori.

Fu così che per tutta la mattinata l’assenza della bestiola non fu notata e solo al momento del riposo pomeridiano la piccola sentì prepotente il bisogno di quel morbido a cui stringersi prima di addormentarsi.

Ma chiama di qua, chiama di là, il cane sembrava scomparso con grande timore che potesse essere fuggito di casa attraverso una porta lasciata inavvertitamente aperta: ma gli accessi erano tutti blindati e sarebbe stata difficile una svista di quel genere.

La bambina incominciò a frignare e Rachele dovette tirare fuori tutte le astuzie per tranquillizzarla. Le disse che potevano inventarsi un gioco, una specie di caccia al tesoro onde rintracciarlo. E fu così che, provenendo l’una da una parte della casa e l’altra dall’altra, si incontrarono davanti alla scena di Birillo, steso su quella cassapanca davanti alla finestra. Loro sulle prime non percepirono altro: il cane non aveva risposto ai loro richiami, lo sgridarono e la bambina lo prese per la pelliccia cercando di trascinarlo via. Birillo era un buon cane, affettuoso e tollerante, com’è tipico della sua razza, ma non gradì affatto quel trattamento. Con Etta non rispose rivoltandosi però, una volta strappato da lì, si rifiutò di mangiare e si ritirò in un cantuccio, arrotolandosi su se stesso, postura che non assumeva quasi mai.

Rachele ed Etta lo lasciarono fare nonostante la bambina continuasse ogni tanto a piagnucolare.

Il giorno dopo la scena si ripeté: Birillo sparì, andò a distendersi davanti alla solita finestra e la bambina, avvicinatasi di più, vide sul davanzale la presenza di quella lucertolina che, linguetta retrattile, sembrava fare la passerella, avanti e indietro, quasi vicino al muso del barboncino che la stava guardando dietro il vetro come in adorazione!

Etta corse a chiamare Rachele che rimase stupita ed interdetta: cosa si doveva fare in quella circostanza? Anche se a gran voce la bambina le ordinava di alzare la zanzariera e cacciare la lucertola che, secondo lei, le stava rubando le attenzioni del suo amato, Rachele non aveva cuore di mettere in atto quella crudeltà. Fortunatamente Diletta non sarebbe stata in grado di realizzare da sola il suo proposito di separazione.

La colf cercò quindi di convincerla del fatto che era bello assistere a quelle manifestazioni, ma Etta si intestardì e ancora una volta prese il cane per la collottola trascinandolo via da quel luogo.

Ma non ci fu verso: quell’appuntamento sembrava fosse irrinunciabile, sia per il cagnolino che per il piccolo rettile che si produceva in quei zig zag sul davanzale facendo fremere la pelliccia di Birillo. Era un incontro che faceva presupporre un reciproco piacere.

Senza dubbio Etta era capricciosa, abituata ad averle sempre vinte, ma era anche dotata di una certa sensibilità che, di riflesso, andò ad attivare la curiosità e a farle porre delle domande. Perché Birillo diventava triste se non poteva recarsi all’appuntamento? E la lucertola, finite le sue esibizioni dove andava? Aveva una casa?

Così per qualche giorno si poté assistere alla scena di un terzetto convocato attorno a quella finestra, la bambina, il cane e la lucertola, ognuno di loro preso nell’esercizio dalle proprie spinte ‘emotive’ interne.

Finché un giorno non accadde l’imprevedibile: su quel davanzale apparve un’altra lucertola, leggermente più grande, che si mise a stuzzicare la prima. Il cagnetto si alzò sulle zampe, iniziò ad abbaiare furiosamente cercando di dare zampate sui vetri per disturbare quell’approccio ma le due continuarono la loro contesa (forse giocosa?), fintanto che non scivolarono fuori dalla visuale.

Il barboncino divenne una furia, si mise a correre per l’appartamento, cercando di saltare per affacciarsi ad ogni vetrata, disperato nella ricerca di quell’esserino che era sparito alla sua vista.

Poi si acciambellò nel solito angolo e si rifiutò di mangiare. Come accadeva quando si sentiva contrariato.

Stessa moina il giorno dopo quando all’ appuntamento la piccola amica non si fece vedere. Il barboncino rifece le sue corse uggiolanti per la casa e non toccò cibo. Era ben strana quella storia!

Elvira ebbe un’idea: ‘chiodo scaccia chiodo’ e, in men che non si dica, si presentò a casa con Bella, che bella lo era davvero con quel suo colore albicocca, il portamento elegante, ma non snob.

Anche lei una barboncina la quale, nel suo percorso di perlustrazione dell’appartamento, andò subito a stanare Birillo che le rispose in malo modo. Ma Bella non si diede per vinta e gli si accovacciò davanti, ovviamente a una distanza di sicurezza.

Si preferì, quel giorno, tenere Etta via da casa per non introdurre troppe variabili nella gestione di quell’incontro canino!

All’ora di cena, Elvira se li vide arrivare tutti e due, Birillo davanti e Bella rispettosamente dietro, per la loro pappa. Nel mangiare si tenevano d’occhio, ma senza palese aggressività. Per sicurezza, alla nuova arrivata fu allestita, per quella sera, una cuccia in una stanza a parte.

Sorpresa delle sorprese, il mattino dopo Birillo era lì, davanti a quell’uscio ad aspettare che lei uscisse. E lei lo fece con tutta la eleganza e la grazia di cui era dotata, zampettando poi con signorilità nell’esplorazione di quella nuova casa.

E stavolta fu lui a seguirla. Devotamente.

Imbronciata, Diletta pativa quelle trasformazioni dalle quali si sentiva un’altra volta esclusa e non riusciva a capacitarsene. L’assunto che dominava nella sua mente era che Birillo era suo e pertanto non tollerava intrusioni: Bella (al pari della lucertolina) era, appunto, una intrusa. Così incominciò a farle piccoli dispetti, togliendole la ciotola sotto il muso nel mentre la cagnetta vi si era tuffata avidamente e, quando l’animale ciondolava per la stireria, le spruzzava addosso l’acqua dell’umidificatore.

Ovviamente nulla di tutto ciò ebbe l’esito che Etta sperava: infastidire la bestiola al punto che si sarebbe distaccata dal suo adoratore.

Inutile dire che ce l’aveva anche con Birillo. Quando sul terrazzo la barboncina sembrava disdegnare le attenzioni di lui per dedicarsi alla caccia di qualche farfalla che si posava ora qua ora là con imperscrutabile traiettoria, Etta ne provava una intima soddisfazione, come se una vendetta trasversale si stesse compiendo.

Per lei era intollerabile vedere sul divano le due bestiole accoccolate così vicine che i colori delle loro pellicce sembravano fare un mélange di grande effetto. Il dramma è che le era diventata insopportabile ogni cosa, perfino i suoi giochi, le bambole prese in braccio e poi bruscamente ributtate nel cesto…

Di fronte a quell’importante cambiamento d’umore della figlia, Elvira pensò che forse a Diletta mancava la presenza di un compagno di giochi… un fratellino, forse… Ma su quest’ultima ipotesi c’era da fare poco affidamento, per lei era esclusa la possibilità di nuove gravidanze.

Si consultò con il marito e insieme convennero che il ‘magico’ isolamento di cui la figlia aveva goduto fino allora si fosse avviato verso la sua naturale conclusione: non erano più sufficienti la mamma, il papà, Rachele ma c’era un mondo fuori verso il quale la bambina si doveva dirigere.

E la scelta fu questa: anziché portare Etta dagli zii, dove incontrava i suoi piccoli cugini, si optò per il percorso inverso: sarebbero stati loro ad ospitare i nipoti assieme ad eventuali amichetti! Certamente, la baraonda era assicurata, una confusione alla quale si univano festanti anche Birillo e Bella producendosi in salti e piroette.

Passati i primi momenti di sconcerto da parte di Diletta, poco abituata alla partecipazione, in seguito incominciò a prenderci gusto, abbandonando, incredibile a vedersi, ogni ostilità nei confronti di Bella e arrivando al paradosso di chiedere a sua madre se poteva cucire per la barboncina un vestitino simile al suo. Elvira sorrise dentro di sé, ricordando il periodo in cui sua figlia voleva degli abitini uguali a quelli di mamma: a volte, la rinuncia al ‘possedere’ l’altro può evolversi passando attraverso forme imitative: se sono ‘come’ te, formalmente simile a te, non c’è alcuna distanza tra di noi, nessun conflitto. Sorrise, Elvira, ma non assecondò il desiderio di sua figlia. Le disse che i suoi vestitini erano unici e speciali e che Bella aveva la sua pelliccetta albicocca altrettanto unica e speciale.

Etta, pur non avendo capito nulla del senso sottostante al discorso della madre, annuì: l’idea di essere unica e speciale, le piaceva assai.

E così un’altra stagione di esperienze prese avvio.

Conegliano, 09.08.2020

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