
di Ennio Abate
5 febbraio 2008
Caro Luigi [Vinci],
ho letto attentamente il tuo “Quale soggetto”.
Avrei voluto inviarti a caldo i miei commenti, ma per il sovrapporsi di impegni, tra cui quello, qui a Cologno, di denunciare la nuova cementificazione che il sindaco diessino Soldano imporrà sull’area della ex-Torriani, una storica legatoria chiusa con il licenziamento dei residui operai che vi lavoravano, solo ora riesco a riprendere il filo degli appunti di lettura che avevo steso e che sono pieni di dubbi e di perplessità.
Ma a che scopo inviarteli?
Non mi va di indossare l’abito del dottrinario pignolo (non lo sono mai stato) e imbarcarmi in una disanima delle divergenze. E’ un’operazione che, da comunista isolato e periferico quale mi sento, non ha senso fare.
Mi limito a dirti che, ad esempio, non condivido la tua rivalutazione dell’etica kantiana (78), ho molte riserve verso la «democrazia partecipativa» nata nel Brasile di Lula (62), non trovo del tutto superata la critica alla democrazia abbozzata da Marx, mi pare che le critiche di Hanna Arendt alle società post-rivoluzionarie (63) fondate sulla categoria del totalitarismo restino in superficie e sono scettico sulla possibilità (tu parli di «necessità») di un passaggio culturale e antropologico “mite”(pacifista e non violento) ad un assetto del mondo più civile.
Inoltre, pur accogliendo positivamente l’eclettismo quasi inevitabile, che mi pare caratterizzi oggi la tua ricerca, non so quanto la netta preferenza che dai alla tradizione empirista possa conciliarsi col mantenimento di alcuni capisaldi teorici del marxismo del Novecento che tu citi (Gramsci, Scuola di Francoforte, Lukács, Bloch).
Non trovo poi riferimenti, agli studi postcoloniali, che a me paiono davvero importanti (anche se la mia documentazione è insufficiente) e mi pare che la tua polemica pur pacata con “Impero” di Hardt e Negri (mi piacerebbe sapere come consideri le risposte che essi hanno dato in “Moltitudine” alle tante critiche, che in parte collimano con le tue), eluda quella tensione “comunista” residuata nella riflessione di Negri, che a me pare ancora di cogliere in questi scritti. Anche se – lo ammetto – facendo un confronto, la concretezza dei soggetti potenziali motori di una trasformazione è più evidente nel tuo discorso che in quello di Hard e Negri.
In conclusione, il tuo libro mi ha presentato un’immagine completamente diversa da quella che di te m’era rimasta dai tempi di Avanguardia Operaia; e mi offre, invece, quella di un dirigente politico provvisto di grandi capacità teoriche e impegnato in uno sforzo generoso, faticoso, ma tardivo, credo – di ”salvare il salvabile” della sinistra, che a me pare quasi esaurito.
La generosità del tentativo l’apprezzo in pieno; e sul piano etico la sento vicina. Ma il punto sul quale più si concentra la mia sfiducia è proprio quello del “partito largo” (Porcaro), che è – mi pare – il culmine politico della tua analisi, anche se a volte – permettimi di dirtelo – ho avuto l’impressione che il partito resti per te la premessa implicita (e indiscutibile) della tua analisi.
Le regole equilibratrici, che indichi per ri-costruirlo, mi appaiono sempre più disperate e mi hanno fatto pensare a quelle che gli illuministi indirizzavano ai vari prìncipi settecenteschi, con l’aggravante che i moderni principi o principotti sono ancora meno propensi a perdere qualcosa dei loro poteri . (Ho letto tra l’altro – 22 feb. 2008 – l’intervista di Marco Revelli sul «manifesto»: qui il senso di un tracollo completo della sinistra mi pare dichiarato fino in fondo).
Dalla mia collocazione attuale io non pretendo di poter dare suggerimenti e, come dicevo, non me la sento neppure di impegnarmi in una critica a fondo perché mi pare che anche riflessioni dense come le tue non arrivino neppure all’area militante a te più vicina. Posso solo segnalare a te, che hai conoscenze puntuali delle dinamiche politiche ben più ampie delle mie, l’insofferenza profonda di una “intellettualità periferica” come quella in cui opero per le forme partitiche davvero degenerate della politica.
Con stima e simpatia
Ennio
APPENDICE
Dopo elezioni
Lettera a Luca Ferrieri e alla redazione di Poliscritture
Caro Luca [Ferrieri] e cari tutte e tutti,
non vorrei sembrare cinico se dico in questo momento: a ciascuno i suoi lutti.
Personalmente quello (politico) che sento mio risale a tanto tempo fa, direi attorno al ‘76-’77, quando presi atto che le speranze balenate nel ’68-’69 e che avevo accettato di congelare nella militanza ingessata e frustante di Avanguardia Operaia come in una sorta di braciere che ancora potesse conservarne qualcosa (concedetemi quest’immagine da meridione povero della mia infanzia), erano morte nella rissa schifosa tra AO-Pdup-Lotta Continua dopo il fallimento elettorale dell’”Arcobaleno” della “nuova sinistra” d’allora.
Da allora isolato coi miei samizdat ciclostilati e le mie letture da solitario ho navigato a vista confrontandomi come potevo con eventi pesantissimi (lottarmatismo, uccisione di Moro, persecuzione del 7 aprile, eccetera) e tessendo, quando mi era possibile, qualche rete di discussione e d’intervento, guardato con commiserazione o diffidenza da quanti (PCI prima, DP dopo, Rifondazione ancora più avanti) “godevano” dello “strumento partito” e della presenza nelle istituzioni “che contano”.
Ho criticato cercando di non essere astioso e rancoroso. Ho “predicato” l’esodo dalla CASA DELLA SINISTRA, che praticavo da singolo e da isolato, misurando come potevo il mio passo, qui in periferia, con le riflessioni significative ( per me) che cercavo di captare da intellettuali mai veramente raggiungibili ( Fortini, Negri, Virno, Ranchetti, Luperini, ecc). E ho continuato sempre da solo ad elaborare quel mio lutto.
Non ho ritenuto giusto – perché non lo sento – caricarmi del lutto di altri, che hanno fatto altre scelte.
Non ho ritenuto giusto – perché non lo sentivo – caricarmi del lutto per il crollo dell’URSS, perché ero cresciuto nell’alveo antistalinista della nuova sinistra.
Non ho ritenuto giusto – perché non lo sentivo – caricarmi del lutto per il crollo del PCI, per ragioni quasi simili.
Non ritengo giusto – perché non lo sento – caricarmi del lutto per la scomparsa della “sinistra radicale parlamentare” o Arcobaleno, perché [...] il MENO PEGGIO non è per me politica che m’appassiona.
Sarò presuntuoso o utopista, ma credo che, poiché pago di persona e non implico altri se non a livello di confronto e di discussione, questo piccolo “lusso” posso concedermelo.
Nelle tiepidissime discussioni pre-elettorali che mi hanno raggiunto (su stimolo di Antonio Tagliaferri, di Franco Romanò e di Atilio Mangano) ho semplicemente sostenuto che IL PEGGIO già c’era (con Luca [Ferrieri]: “la sinistra era già stata sconfitta decenni fa nella società”), che votare o non votare era una “scelta privata”, quasi irrilevante politicamente, perché il gioco era falsato in partenza.
E l’intervista sul libro di Sergio Bologna (e poi l’ulteriore riflessione su CETI MEDI QUALE FUTURO?) tentavano di segnalare anche a voi che, se si vuole, un po’ di pensiero critico serio, onesto, pulito da discutere, invece di aspettarsi qualcosa di buono o di decente dalle manovre elettorali e dai giochi degli arcobalenisti per salvare le loro poltrone, lo si trova in giro.
Anzi ho fatto anche di più. Ho letto, passato anche a Donato [Salzarulo] e recensito criticamente con una lettera privata personale all’interessato un libro di Luigi Vinci, membro deluso della direzione di Rifondazione e ex-parlamentare europeo della medesima, che cercava di salvare il salvabile teorizzando un “partito largo” ( Vedi sotto la lettera spedita il 5 febbraio 2008).
Quindi da parte mia nessun “scaricabarile”, nessun disprezzo, nessuna recriminazione.
Ma mi pare il minimo che quanti hanno perseguito una politica risultata fallimentare facciano i conti senza coinvolgermi nei loro presenti guai.
Tu sostieni che è accaduto “qualcosa di molto grave e profondo che modificherà molte cose in noi e intorno a noi”.
Dipende dal punto di vista.
Io – ti dico la verità – non mi sentivo salvaguardato né credo di aver ricevuto stimoli o mi sono visto aprire qualche occasione di cooperazione in più in tutti questi anni da DS o Rifondazione; né ho visto cose significative fatte da questi partiti a favore o con i settori di società che dicono di “rappresentare”. E la stessa esperienza del Forum è stata più ostacolata che sostenuta dai loro militanti.
Il governo Prodi ci copriva la vista del marcio che avanzava. Adesso lo abbiamo di fronte, addosso. È ora di rimboccarsi le maniche e di “sporcarsi le mani”.
Apriamo un’ampia e più meditata discussione(magari vi possiamo dedicare – perché no – il n. 5 di Poliscritture), ma tenendo - come dicevo - i lutti ben distinti.
Un abbraccio a tutti/tutte
Ennio










