Dopo la sconfitta

di Donato Salzarulo

Noi siamo i lati in ombra di noi stessi,
figure in esilio dal fiume
della storia, volti rigati
da desideri non realizzati,
dalle scelte non compiute,
da occasioni mancate.
Celiamo sogni nei nostri occhi,
misteri sulle nostre labbra.
Beviamo pensieri pompati
dal pozzo del presente.
Niente Quaderni dal carcere
né Lettere di condannati a morte,
speranze strategie rivoluzioni.
Niente miserabili, precari,
disoccupati o sottoccupati,
proletariato o sottoproletariato.
Il nostro slogan è un’agenda
dei titoli finanziari.

Noi siamo la tristezza di noi stessi,
una bellezza malinconica,
un quadro indecifrabile,
un mondo vivo sospeso
tra l’essere e il non essere,
tra la contraddizione e il paradosso.
Forse ci amiamo perché
non abbiamo più nulla di rosso,
neanche il sangue. Forse è questo
che ci dona la più strana
delle felicità: quella
dei mangiatori di loto.

 

26 settembre 2022

19 pensieri su “Dopo la sconfitta

  1. Quando la forza è solo dei fiori,
    Della loro fatica ad uscire dalla terra
    Degli alberi nel frastuono della guerra
    Dei pesci a scansare le reti
    Dei fiumi e mari che rompono gli argini mai curati.
    Noi moriremmo senza queste meraviglie
    Loro vivrebbero con tutta la loro gioia che solo a loro è stata sempre concessa.
    Emi

    Grazie Donato per la tua bellissima poesiA

  2. …la poesia di Donato descrive bene uno stato d’animo diffuso di impotenza e di smarrimento che trasforma l’essere umano in una sottospecie di se stesso…Davanti all’abnormità di una situazione che sdogana l’atomica e il nucleare senza battere ciglio, ci sembra lontana o svanita la possibilità di una giusta e sana reazione: “…Niente Quaderni dal carcere/ né Lettere di condannati a morte,/ speranze strategie rivoluzioni.” Come automi senza sangue continuamo a vivere una’esistenza non esistenza e ci illudiamo di amare ancora…infine ci inebriamo di sostanze tossiche direttamente iniettate nei nostri cervelli: “…Forse è questo/ che ci dona la piu’ strana/ delle felicità: quella/ dei mangiatari di loto.”
    Un panorama vero e desolante, ma spero che l’Umano covi ancora sotto le ceneri, se non altro in appoggio a molti movimenti giovanili, che in qualche modo provano a difendere il loro futuro…la Rivoluzione che verrà?

  3. Carta n.° 2
    (Epifania)

    Protetto da non so chi
    da non so quale parola
    mi unisce al trionfo
    un gioco che svela
    prima di un principio
    un dubbioso scioglimento
    e non m’avverto che mancante
    non sono io ma la carta
    che ostinata ha scelto
    non il Fato o il Caso
    ma il pegno di una sconfitta
    che del Male celebra un atto
    che non si dà – se c’è… Memoria!

    Non voglio nemmeno più – essere? –
    la Nostalgia del Nulla!

    antonio sagredo

    Vermicino, 25 giugno 2008

  4. Davvero una bella poesia! Capisco lo spirito con il quale è stata scritta, è evidente. E’ l’aria che si respira, è l’aria dell’ineluttabile…è possibile allora che una intera generazione abbia fallito nei suoi obiettivi di rendere migliore e più giusto questo mondo? forse e non sarebbe la prima volta e forse neanche l’ultima. Facciamo attenzione però a non fare coincidere il percorso della storia con la propria biografia individuale, la nostra aspettativa con le repliche frustranti della politica. Forse dei germi ci sono e se non li vediamo non significa che non esistono. Sono d’accordo in questo senso con quello che scrive @annamariaLocatelli.
    Il giorno delle elezioni avevo scritto questa…https://itempieiversi.org/2022/09/25/attesa/

  5. da Donato Salzarulo:
    “Forse ci amiamo perché
    non abbiamo più nulla di rosso,
    neanche il sangue. Forse è questo
    che ci dona la più strana
    delle felicità: quella
    dei mangiatori di loto.”

    Più che “Dopo la sconfitta” lo chiamerei “Un tragico bagno di realtà” per coloro che, come tanti piccoli Macbeth, consultando le streghe della ideologia, si sono fatti trascinare dalle loro predizioni. E in virtù di quelle si sono allontanati dalla realtà che stava cambiando, era cambiata. Ma questo vale per tutti. Perché non curandoci di lei, della realtà, l’abbiamo ‘uccisa’ e ‘ucciso’ noi con essa. Adesso, come nella tragedia di Shakespeare guardiamo spaventati la “foresta che cammina”. Stupiti e increduli, perché per noi era ‘ovvio’ che la corona del potere si collocasse sulle nostre teste, dato che eravamo dalla parte ‘giusta’, “la classe operaia deve dirigere tutto” ecc. ecc. Ed era ovvio che si percepisse come ‘nemico da abbattere’, come ‘Male assoluto’ da abolire, tutto ciò che ostacolava questo miraggio. E, quanto più si allontanava quel miraggio, tanto più coccolavamo la nostra tristezza, punteggiata ogni tanto, qua e là, da effimere alzate di testa con scelte a volte discutibili. E intanto la realtà si stava modificando mentre, al pari dei mangiatori di loto (quei dolci frutti che portano l’oblio delle cose passate e delle destinazioni future), pur di mantenere intatto il nostro ‘sogno’, rimanevamo come “figure in esilio dal fiume/ della storia”. Permettevamo che si facesse strame della Storia stessa nelle sue complessità e contraddizioni arrivando a sostenere la ‘cancel culture’, oppure riducendola alla banalità dei luoghi comuni, dissacrando o enfatizzando a seconda dell’investimento situazionale. Privo quindi di indagine critica nonchè di proiezioni future in cui poter declinare progetti a partire dall’analisi concreta della situazione concreta (Lenin) e non sulla base dei nostri desiderata. Ma non venne alcun Odisseo a trascinarci via da quello stato letargico o, se venne, fu cacciato in malo modo.
    E intanto la foresta di Birman continuava a muoversi, metafora del vero potere che mimetizza l’esercito minaccioso con le ‘innocenti’ fronde degli alberi! Con in testa il ‘frastornato’ Sleepy Joe (Biden) ma dietro a lui preme la potenza imperialistica USA (che accusa di ‘imperialismo (?!)’ Putin come fa il lupo della favola che accusa l’agnello a valle di intorbidagli l’acqua che lui beve alla fonte del ruscello!). E con la ‘bandiera democratica” che garantisce che ci si armi (e si offrono armi) per una guerra ‘giusta’. E intanto ‘democraticamente’ (no, qui nessuna operazione ‘farsa’!), usando il ‘cavallo di Troia’ rappresentato da Zelenskij, si sta perfezionando la disgregazione dell’Europa per cui ogni Nazione pensa a salvare se stessa dal disastro energetico: con Francia e Germania che fanno fra loro un patto di mutua assistenza, con Olanda e Norvegia che si intascano fior di introiti, la Norvegia, pare, 200 miliardi annui. Sì perché la crisi energetica era iniziata già ancora prima dell’esplosione del conflitto. E l’Italia? E il nostro SuperDraghi dov’era?
    Pertanto il 25 settembre non sancisce la vittoria della ‘destra nostalgica’ di Giorgia Meloni. Non mi preoccupa la fascistizzazione di cui viene imputata. Ciò che temo è la garanzia che con lei viene data (per ‘affinità elettive’) ad un filoatlantismo senza limitismo, ricorso alle armi incluso.

    Detto (tristemente) tutto ciò, non posso che complimentarmi con Donato Salzarulo perché la sua poesia è comunque molto bella e struggente!

    1. “E in virtù di quelle si sono allontanati dalla realtà che stava cambiando, era cambiata. Ma questo vale per tutti. Perché non curandoci di lei, della realtà, l’abbiamo ‘uccisa’ e ‘ucciso’ noi con essa.” Se è così, e penso proprio che lo sia, allora mi domando: chi non si è allontanato dalla realtà? quale individuo, movimento, partito della realtà se ne è invece curato mantenendola bene in vita? L’attuale maggioranza? 5 anni fa il M5S? per capire meglio…

  6. le poesie belle. Il titolo no: la sconfitta di chi? della sinistra? quale, chi? So che sotto sotto si pensa ancora al PS come qualcosa erede di qualcos’altro….di cui neppure si ricorda. Non è cambiato nulla nel potere, solo il colore del portabandiera..
    e con quello però anche il clima culturale, chè se economia e società resteranno uguali il resto vedrà barbarie a non finire (v. Marche e aborto).
    Epperò anche questo impallidirà di fronte ai guasti diretti e indiretti della guerra in cui Biden e Draghi ci hanno portati.
    Ma anche la poesia rimarrà senza parole allora?
    O nascerà anche da noi una danza Butoh?
    O forse è assai prima che doveva già nascere?

  7. APPUNTI

    1.
    Il giorno dopo le elezione del 25 settembre volevo scrivere un articolo. Il titolo: «Lo sapevamo». Avevo in mente di rivolgermi soprattutto all’area – prima più ampia e ora più ristretta – di collaboratori e commentatori di Poliscritture. Dove, dal 2008, abbiamo commentato (preoccupati e sempre più disamorati) i risultati di varie scadenze elettorali [1], tenendo presente chi più il dilemma destra/sinistra e chi quello rifondazione (della sinistra)/ esodo.

    2. Ho lasciato perdere. Per stanchezza e una disperazione inerme che la poesia di Donato ha ben reso e in cui in parte mi ritrovo. da tempo. Perché non sono solo i risultati elettorali ad avvertirci delle trasformazioni sociali che ci hanno cacciato – come intellettuali o gente che ha finora pensato di poter migliorare la polis – ai margini; e proprio mentre i problemi sociali e politici diventano esplosivi se non tragici.

    3. Sulla poesia di Donato:

    a. la sua bellezza sta nell’esprimere con tono pacato e malinconico uno stato d’animo definitivo e portato all’estremo. (E questo è legittimo in poesia). È come se Donato sciogliesse quei nostri complicati e contorti dilemmi (destra/sinistra, rifondazione/esodo) annullando qualsiasi compito politico. E ci ponesse di fronte al nostro Niente («Niente Quaderni dal carcere…Niente miserabili, precari…non abbiamo più nulla di rosso») e al nostro oblio di «mangiatori di loto». È come se ci invitasse a smetterla, a annullare i nostri desideri, a tacere, a riconoscere la nostra vecchiaia, a dire che ai giovani non possiamo dare che la testimonianza di un nostro fallimento.

    b. Poiché queste cose le dice nel linguaggio ambivalente della poesia, tendo a non dare alle verità poetiche qui affermate un carattere di obbiettività, univocità e ultimatività. Sono portato, anzi, a ribaltare il senso negativo che Donato ha messo in evidenza e a recuperare il valore dei riferimenti alla nostra storia che abbiamo perso o abbandonato o che ci sono stati strappati.

    4. A Rita mi sento di obiettare:

    a – no, non noi «l’abbiamo ‘uccisa’ [la realtà] e ‘ucciso’ noi con essa»;

    b- no, non siamo ora in «un tragico bagno di realtà», perché continuiamo ad esserne ai margini, all’oscuro, ad esserne esclusi. E non soltanto per insipienza nostra o dei dirigenti a cui ci siamo affidati. O perché l’abbiamo trascurata, avendo cercato per quel che potevamo di decifrarla;

    c – dalle «streghe della ideologia» almeno noi (di Poliscritture) non ci siamo fatti del tutto trascinare: chi di noi è stato per «la ‘cancel culture’»? (se abbiamo cercato di essere «laboratorio di cultura critica» e continuamente siamo ritornati sulla nostra storia e sulle sconfitte?); e da quanti decenni abbiamo abbandonato l’illusione che «eravamo dalla parte ‘giusta’, “la classe operaia deve dirigere tutto” ecc»?

    d. a proposito della guerra tra Russia e Ucraina/Occidente, di due imperialismi – uno declinante e l’altro che tenta di rinascere in forme zaristiche – io mi sento di parlare, non di uno solo. Putin non è agnello…

    Note
    [1]
    Linko solo alcuni articoli più recenti:
    2018 https://www.poliscritture.it/2018/02/22/il-tonto-e-le-fu-elezioni-prossime-venture/
    2018 https://www.poliscritture.it/2018/05/05/i-giovani-e-la-sinistra-dopo-le-elezioni-del-4-marzo/
    2019 https://www.poliscritture.it/2019/05/23/elezioni-europee-nessuna-vera-pietra-nello-stagno/
    2020 https://www.poliscritture.it/2020/09/26/notizie-dalla-citta-le-elezioni-comunali-a-cologno/

  8. Umori e pensieri simili a quelli che qui stiamo esprimendo….

    SEGNALAZIONE/ DALLA PAGINA FB DI VINCENZO COSTA

    Vincenzo Costa ·
    Forse siamo proprio vecchi e FB è la nostra ZTL. Una sorta di salotto colto
    Ancora pensiamo che la politica sia un modo per riprendersi in mano il proprio destino, o un modo per cambiare la vita.
    Lo è stata. Ma ora pensarlo è un crampo intellettuale.
    Non ci porta verso la realtà, verso la storia: ci estranea da essa.
    Con tutto il dibattere, l’analizzare, il polemizzare etc. Non spostiamo un’unghia.
    Forse bisogna cambiare sguardo, dirigere le proprie energie altrove.
    Il futuro non possiamo costruirlo: solo attenderlo
    Selezione commenti:

    1.
    Pierluigi Fagan
    Purtroppo, sebbene molti pensino di esser immuni dalla complessa manovra di trasferimento della politica dalla società reale a quella virtuale anche solo perché in grado di “criticare” questo modo, nei fatti tale trasferimento ha agito nel profondo. Tempo fa lamentai la mancanza di quel complesso di ricercatori ed istituti sociali che decenni fa davano la fotografia reale del Paese. Ancora pochi decenni fa, nessuno si sognava di strologare sulla società senza almeno aver avuto una sommaria infarinatura di dati sociali. Scambiare la propria bolla o anche più di una bolla, per il mare è la prima forma di cecità indotta che non permette un rapporto corretto col mondo.

    2.
    Vincenzo Costa
    Pierluigi Fagan credo però che l’inutilità dei media dipenda e sia effetto di un fenomeno di ordine più generale, che è lo svuotamento della sfera pubblica, la sua depoliticizzazione, conseguente a una trasformazione del sistema politico, ridotto a rigenerare se stesso.

    3.
    Andrea Inversini
    D’estate e una volta a settimana durante l’anno cerco di fare l’educatore per i ragazzi delle superiori.
    Ero rimasto stupito a scoprire che, del mio gruppo, NESSUNO avesse facebook. Erano tutti su instagram e tiktok. È ovviamente un altro modo di comunicare, e per degli amanti del logos come noi probabilmente molto più povero. Ma, invece che criticare inutilmente, come sempre mi chiedo piuttosto cosa abbiamo fatto per allontanarli anche da qui, per renderli così ripugnati da un dialogo con noi.

    4.
    Gabriella Stojan
    Andrea Inversini allontanarli? Sono stati attirati dalle sirene di luoghi più superficiali possibili che rincitrulliscano il più possibile. Non illudiamoci di poter avere così tanto potere. Dietro ci sono le elite che li manovrano.
    E tutto il sistema punta a un individualismo è un superficialità sfrenati e mira a diseducare in ogni modo al pensiero. Quindi un posto dove si ragiona ancora e si discute, pur con tutti i limiti, come Facebook viene evitato perché pensare costa fatica! E non nutre a sufficienza il narcisismo di cui si alimenta il sistema stesso.

    5.
    Andrea Boari
    Caro Prof. in una società individualizzata e composta da soggetti autoespressivi, la politica come appartenenza ad un ente collettivo dotato di un progetto, non è possibile. Abbiamo sterminate maggioranze apolitiche, capi populisti che sorgono e svaniscono e qualche cenacolo di intellettuali litigiosi. A decidere ed a scontrarsi sono le elite apicali ed i loro apparati di esperti.

    6.
    Nicola Fusco
    La settimana scorsa facevo compere in drogheria, nel mio paesello, e poiché non c’era nessun altro cliente, ci siamo dilungati a far due chiacchiere, io ed il droghiere; costui è davvero una brava persona, e penso che sia uno dei paesani più intelligenti (almeno tra quelli che conosco), ed infatti le sue considerazione ed i suoi ragionamenti sulla situazione economica, politica ed internazionale, erano intelligenti, congrui, conseguenti… ma totalmente sballati! il motivo è chiaro: il poveruomo lavora 12 ore al giorno, e poi ha moglie, figli, ed altri suoi impicci vari, e ciò viene a dire che tutta la sua informazione poggia su dieci minuti al giorno di telegiornale, in quanto non ha né tempo materiale né voglia di far più di tanto… poiché la gran maggioranza del popolo si trova in condizioni simili, si capisce bene il suo destino di essere intortata a vita. Punto.
    (Chiaramente, costoro saranno forzati ad aprire un pochino gli occhi solo a catastrofe avvenuta, e comunque continuando a non capire nulla delle motivazioni reali e dei colpevoli effettivi, per non parlare delle possibili soluzioni… Parliamoci chiaro: il popolo necessita di un Salvatore!)

    7.
    Giorgio Cami
    No fb è l’esatto contrario della ztl: non è esclusivo, non è per censo. In qualche modo, teniamolo caro.
    Siccome il nemico sono le élites, che sono riuscite a costruirsi la loro torre d’Avorio impenetrabile, nemiche sono anche le ztl che sono il loro ponte levatoio verso il mondo

    8.
    Carlo Cattivelli
    Ecco, questo post è come una pallottola conficcata nel cuore pulsante della bestia. Le poche righe tradiscono, fra l’altro, pudore. Che forse farei meglio a rispettare col silenzio. Siccome sono impudìco, provo a parlare lo stesso e ad aggiungere qualche rapida annotazione. L’atroce sospetto che siamo nelle catacombe di FB e non come nuovi cristiani, bensì come ultimi dei Mohicani, è molto forte. Anzi verrebbe da dire: non facciamoci troppe illusioni, siamo come chiamati a queste terribili Termopili fuori tempo massimo ben sapendo che non solo ci hanno tagliato i ponti alle spalle e non ci sarà vittoria, ma non ci sarà neppure l’onore delle armi o di “aver fallito a un livello più alto” (Musil), e forse saremo addirittura travolti dal dileggio e dai fischi: e come ci ha insegnato Dostoevskij, occorre più forza per affrontare il ridicolo che non il tragico.
    Bene.
    Detto tutto ciò, e fuor di metafora, qui il punto vero è che sembra un’impresa disperata quella di riannodare le fila di un discorso politico serio con generazioni di giovanissimi tiktokiani (lo dico senza disprezzo né pretese didattiche) e di meno giovani ormai trasformati da una mutazione antropologica che li ha cambiati di dentro, e li ha riempiti di un solido nulla a suo modo perfetto. In tutto ciò, “attendere il futuro” è umiliante, e combatterlo in queste condizioni lo è altrettanto. Che fare dunque? Io non so niente. Ma prima di tutto, continuo a ripetermi, rendersi conto di quello che accade, che è un primo passo importante. E poi tentare di uscire da questo angolo nel quale siamo stati cacciati, non rinunciare a parlare, cercare di strutturare qualcosa di concreto, un polo attrattivo verso prospettive diverse. E se anche ci dimostrassero come due più due fa quattro che abbiamo già perso, o stiamo inevitabilmente perdendo, c’è ancora una cosa che possiamo (o dobbiamo) fare, e cioè perdere fino in fondo. Il nostro sforzo non sarà stato più vano di quello dei “vittoriosi”, persi come noi nel flusso della storia, che tutto integra e disintegra. Un compito molto hegeliano, insomma, per quanto disilluso e difficilissimo.
    9.
    Antonella Corinna Corrao
    Soprattutto in reazione alla gestione della pandemia, sono nati molti gruppi il cui scopo è quello di formare una nuova società, gruppi di mutuo soccorso che, in alcuni casi, significa semplicemente trovarsi.
    Questo, che posto qui, è un ambizioso progetto di un giovane.
    https://rinascenza.org/cose-rinascenza/
    Ci si trova regolarmente. Nel gruppo che frequento, l’età media è 55.
    So però che in altri gruppi è più bassa.
    Quando tempo fa si discusse delle elezioni, mi colpì la frase di un partecipante,che si sta occupando in modo pragmatico, di come affrontare la situazione energetica, il quale contrappose l’attività pratica che sta portando avanti, alla politica. ‘qui siamo più incisivi con le nostre attività rispetto ad andare a votare.’
    e molti erano concordi.
    Personalmente, credo che queste società parallele che si stanno formando, abbiano un limite intrinseco: esistono fino a quando ci viene permesso.

    10.
    Roberto Negri
    Vincenzo il fatto [è] che ci troviamo in uno di quei passaggi della storia in cui il compito dei migliori che lo vivono (categoria in cui non mi includo) non è quello di rinnovare e costruire ma di preservare e tramandare, come sempre avviene quando il mondo precipita nella barbarie. Ci sono battaglie che è necessario combattere anche nella certezza della sconfitta, e non di rado sono le più nobili.

    11.
    Claudio Gallo
    È una vociante sala di attesa in cui aspettiamo una fine su cui non possiamo influire in alcun modo. Allegria!

    12.
    Sandra Borsi
    Vincenzo “il potere è altrove” (Sciascia)

  9. A chi voglia comprendere il senso di quanto succede in Russia, consiglio la lettura di un libro fondamentale “Il mito di Pietroburgo” di Ettore Lo Gatto.
    E questo per evitare di dire anche pubblicamente fandonie, sciocchezze ecc., come quelle di tantissimi soloni nostrani, a cominciare anche da Cacciari, che tempo fa ha sparlato di\su Mosca come terza Roma… e insieme a quest’ultimo altri famosi studiosi.
    Consiglio anche la lettura dei due volumi di”La Russia degli zar durante la Grande Guerra” di Maurizio Paléologue, che fu ambasciatore di Francia in Russia. E ancora di Lo Gatto “Momenti e figure della storia russa”. E inoltre di N. Brian-Shaninov ” Storia di Russia”. E ancora di Michail N. Pokrovskijj Storia della Russia. Infine del celebre studioso Nicholas Zernov “il Cristianesimo orientale”; ecc.
    Dunque cari lettori e soloni mi raccomando la lettura almeno di questi testi, perché soltanto dopo averli letti con attenzione potete azzardare di dire qualcosa di serio…
    e questo vale anche per chi collabora a rivista specializzate come ASPENIA o LIMES, ecc.

    modestamente
    antonio sagredo

  10. Bella la poesia di Donato! “Noi” chi? L’età mi pare un perimetro che ci contiene e ci circonda – cioè non ci fa uscire. I primi dieci versi parlano solo di vite in cui il contrasto tra aspirazioni (ambizioni!) e realizzazioni diventa mistero, sogno, ombra ed esilio. Poesia antica. Per tutte le creature adulte e consapevoli, che in parte e a volte si affidano alla strana felicità quasi disincarnata offerta dai fiori di loto.
    Di contro a questi temi, Fagan fa un richiamo sulla “mancanza di quel complesso di ricercatori ed istituti sociali che decenni fa davano la fotografia reale del Paese”, e parla di una “bolla” per molti (-ssimi) che scambiano l’aria iridata in cui sono contenuti per il mare (madre, materia… )
    Per cui io non credo che fuori dalla bolla ci sia soprattutto superficialità e barbarie. E che siamo “ai margini, all’oscuro, esclusi” dalla realtà. Credo invece abbia ragione Rita a sottolineare l’ovvietà con cui ci sentivamo (persino permettendoci il lusso della critica!) dalla parte giusta … quella del comando imperiale del mondo. Americano ma fondato sulla cultura europea.
    E’ proprio il quadro politico mondiale che è in corso di violento cambiamento, insieme a sbalzi quantitativi impressionanti di popolazione, il nuovo ci prende alla gola, ci smarrisce e più che mai occorrono nuovi parametri, nuove categorie e visioni per *immaginare* il futuro per tutti. Dalla prospettiva parziale finalmente, con pace mentale, raggiunta.

  11. due brevi note:
    -no, non ci sono due imperialismi; Putin ‘zar’ è solo una sciocchezza di propaganda ad effetto. Mi sembra così ovvio e banale che faccio fatica a ripeterlo..e non articolo oltre.
    – non siamo a nessuna nuova sconfitta, che ci imponga di rinunciare, disperati, a costruire lasciandoci il compito di tramandare..a mò di monumenti equestri:
    i compiti, se i piedi acciaccati non consentono slanci piazzaioli, sono sempre quelli: analizzare, chiarire, seminare dubbi, dare risposte, togliere alla realtà i veli che con pesante efferatezza le vengono apposti; mostrare che all’interno di noi e fuori nella società altri mondi sono possibili
    – e quindi ben venga quel ‘per’ del laboratorio critico perchè è sempre avanti che bisogna guardare: d’altronde la nostra stessa fisiologia ce lo impone, pena fastidiosi torcicollo fisici e morali

  12. “-no, non ci sono due imperialismi; Putin ‘zar’ è solo una sciocchezza di propaganda ad effetto” (Di Marco)

    Detto terra terra, a me Putin non pare l’agnello della favola. Propendo per la tesi dei due imperialismi (al momento, perché potranno in futuro essere anche 3 o 4 a combattersi). E non mi sento portato a schierarmi per uno contro l’altro (o gli altri).

    P.s.
    Comunque, le discussioni scolastiche su uno o due imperialismi o su monocentrismo e policentrismo mi interessano sempre meno. Le lascio a chi ci crede o le ritiene decisive. Tenendo d’occhio per quel che posso gli articoli di vari “amici” su FB, mi fanno riflettere di più posizione come queste:

    Nevio Gambula

    Anche un osservatore superficiale noterà facilmente che la fine della guerra è ardua da ottenere. Certi protagonisti pensano addirittura che il meglio sia proprio continuarla: fino alla vittoria, qualsiasi cosa essa significhi. Che ciò comporti il rischio nucleare, o che costi un numero elevato di vite umane, pare non interessi molto, ogni contendente incastrato al proprio ruolo. È perfettamente logico, non ha senso obiettare. Ed è impossibile dimostrare che mollando la presa, fosse pure a condizioni non troppo sfavorevoli, la pace sarebbe più proficua della guerra. Dunque, perché tormentarsi? Nulla è in nostro potere, nelle condizioni attuali. Che si abbia ragione o meno, ogni soluzione diversa dalla vittoria non sarà presa in considerazione dai “decisori politici”. Infatti, pur sapendo il prezzo che verrà pagato, non si prodigano nella ricerca di una soluzione diversa da quella militare, ossia ricondurre tutta la contesa sul piano diplomatico. Dal cantore delle armi si può ascoltare solo un canto di guerra. E dunque, davvero, perché preoccuparsi? Se è destino soccombere in una guerra mondiale, si soccomberà ugualmente, qualsiasi cosa si faccia. E poi, chi prende sul serio i richiami alla pace? Sembrano vuote chiacchere, e forse è proprio così; sono solo utopie fantastiche che meritano di essere derise. D’altra parte, ogni epoca ha le prospettive che si merita, e in quella attuale la crisi del sistema economico e geopolitico implica prospettive sempre più vicine alla catastrofe. Noi persone comuni, prive di potere e di riferimenti “pacifisti” organizzati, possiamo soltanto domandarci perché siamo giunti sino al punto di rottura; se l’epoca sta superando il limite oltre il quale c’è la terza guerra mondiale, diciamocelo: è anche colpa nostra. Ci siamo abituati alle continue violazioni della legalità internazionale, alle aggressioni, ai crimini di guerra; abbiamo tollerato le peggiori nefandezze, affidandoci a un immaginario “razzista”: non solo i criminali erano occidentali, quindi nostri simili, ma si trattava anche di aggredire popoli lontani, diversi da noi, in fondo incivili. Ora la storia ci presenta il conto. La Russia ha imparato da noi; in confronto alle imprese di un Bush, Putin è solo un allievo maldestro. Le nostre guerre di aggressione hanno causato migliaia di vittime, la distruzione di intere nazioni, l’instabilità di regioni già martoriate; persino i referendum “farsa” – di annessione o di indipendenza, non fa differenza – li abbiamo sponsorizzati noi per primi, in Kosovo. Noi persone comuni, cosa abbiamo fatto per impedire tutto ciò? Noi persone prive di potere, che cosa abbiamo fatto per impedire al nostro “noi” occidentale di partecipare alla rapina di risorse di altri paesi? L’epoca attuale nasce da quella che l’ha preceduta, le sue coordinate sono le stesse; le premesse dell’invasione russa dell’Ucraina sono inscritte nell’invasione americana dell’Iraq, giacché entrambe rispondono alla stessa esigenza di spartizione del mondo. È dato per scontato, per esempio, che la tenuta di una potenza dipenda sempre di più dalle “sfere d’influenza”, ossia dal controllo di quella filiera che comprende risorse materiali, lavoro a basso costo, rotte di merci e capitali, territori geografici, basi militari … Il punto è che le nazioni, specialmente quelle più potenti, si contendono uno spazio sempre più ristretto, all’interno del quale diviene sempre più problematica la tenuta dei precedenti equilibri. E la guerra diviene, in taluni frangenti, l’unica soluzione possibile. Questo sistema è criminale. E noi lo abbiamo tollerato. Guai a pensare di essere innocenti. Ma ormai è troppo tardi. Così, dunque, volenti o nolenti, siamo obbligati a prendere in considerazione la terza guerra mondiale. Ognuno trovi le sue consolazioni, di più non serve cercare.

    1. In verità l’unica soluzione è il multipolarismo: forse non una preparazione alla nuova IIIGM. Magari a una -temporanea- coesistenza: al netto delle pretese imperiali dei vecchi imperi. Riconosciuti, no?
      Come nel tempo lungo della storia è sempre accaduto. Da quando sappiamo Asia è sede di imperi differenti.
      La pretesa mi pare -oggi- che l’unico impero siamo noi (servi per altro di quello usa). Ed è tutto.

  13. come ho già detto, mi accontento delle briciole, ma vere briciole di pane, che per me significano molto quando, mentre ci trasmettono l’illusione di essere sazi e felici, potremmo accingerci a morire di fame -a molti succede- di freddo, di radiazioni…Il discorso che siamo, il sistema tutto, ormai al capolinea e percio’ abbracciamo pure di buon grado il peggio non mi convince…Contro l’invio di armi in Ucraina e la guerra, la risposta piu’ disumana e irrazionale ai problemi, si stanno mobilitando molte forze politiche e associazioni per una manifestazione che riunirà nelle piazze d’Italia il dissenso collettivo alle politiche dei governi recenti e in prospettiva…Voglio dare fiducia a questa iniziativa, anche se parte da un partito che non ha la falce e il martello nel suo simbolo, ma comunque si rapporta agli ideali di quel Comunismo in cammino, di cui parlo’ F.Fortini…Anche per il sostegno ai giovani svantaggiati e spesso esclusi o penalizzati di fatto dal mondo del lavoro…Come do fiducia a movimenti giovanili che si battono contro il cambiamento climatico, sfidando il sistema con atti di disobbedienza civile, come “Ultima Generazione”…Non mi illudo di niente ma queste spinte allargano il cuore…O è meglio sperare nel Congresso del PD?

    1. Credo che dal congresso del PD non ci si possa più attendere alcunché e per questo condivido invece la tua fiducia per tutti coloro che ancora si battono come un “noi” contro le emergenze del presente, a cominciare dalla guerra in corso e dai suoi tragici sviluppi. Non servirà a niente? E’ ormai troppo tardi? probabilmente…il Movimento Nonviolento scrive: https://www.azionenonviolenta.it/quale-manifestazione-nazionale-per-la-pace/
      ed è difficile dargli torto; in altre parole è la posizione che ci propone Ennio con Nevio Gambula ma, oggi, nessuno può sapere se qualsiasi azione messa in campo sia inutile a priori. E’ molto probabile che lo sia; probabilmente non sarebbe servito qualcosa di analogo nel 1939 o nel 1940, ma una manifestazione nazionale, contradditoria quanto vogliamo, sarà sempre meglio e preferibile farla che restare spettatori passivi, o riflessivi, a dire la nostra con qualche post in rete.

  14. Un altro commento che condivido. Lo leggo oggi sulla pagina FB di Pierluigi Fagan (https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/pfbid0G2rTCcHEbXXAAnSkoLMfHZzWoAV7HxBb91XqFRLWykC67ddmXCNqoN4eBnXudzU5l)
    SEGNALAZIONE

    Stefano Guffanti

    In questi mesi e in questi giorni leggo molti commenti sul tema della guerra e mi sembra che siamo tutti “preda” della stessa “malattia”.
    Una malattia che porta alla guerra ed al desiderio di distruzione reciproca.
    Tutti che vogliono fargliela pagare: chi a Putin, chi a Biden, chi a Zelenski.
    Presi da questa follia, carica di desiderio di “vendetta” e di “giustizia”, ci stiamo dimenticando che siamo in un’epoca di armi di distruzione di massa (nucleari e non solo).
    Ma non possiamo prescindere da questa riflessione.
    Io non ho ricette pronte, anche perché non ho il potere di applicare proposte alternative, ma credo che se vogliamo la pace dobbiamo preparare la pace e non la guerra.
    Ripeto, ancora una volta, un concetto espresso in più occasioni: pensiamo a quante risorse si impiegano per costruire e supportare le guerre (umane, finanziarie, tecnologiche, intellettive, ambientali).
    Davanti ai problemi siamo capaci di dare una sola risposta: quella militare; la distruzione o la sconfitta con la forza del nemico. Quante risorse, invece, vengono destinate alla costruzione della pace?
    In questo momento pressoché zero.
    Manco ci si prova a ragionare.
    Partiamo da un presupposto: la pace si fa con il nemico.
    Ma quasi nessuno sta lavorando per la pace (a parte il Papa).
    Si è deciso di “approfittare” di questo conflitto per regolare conti in sospeso; costi quel che costi, guerra ad oltranza.
    Putin è un delinquente?
    O lo è Zelenski?
    O Biden?
    Vedo dai commenti che per alcuni è delinquente l’uno, per altri vero l’esatto contrario.
    Ma che interesse abbiamo ad etichettare come delinquente l’uno o l’altro?
    I grandi si combattono tra loro e le masse muoiono o soffrono.
    Come sempre è stato nelle guerre.
    Nemmeno questa volta si sfugge a questa logica.
    Nostro interesse dovrebbe essere quello di trovare soluzioni.
    Come possiamo trovare vie d’uscita?
    Possiamo solo chiedere a chi ha potere di cambiare rotta e di cercare vie alternative perché la strada imboccata sta portando solo distruzione, morte, fame, povertà, inquinamento, conflitto sociale.
    Non solo in Ucraina ma in tutto il pianeta.
    Tra breve avremo modo di toccare con mano le conseguenze di questa guerra.
    Anche in Italia.
    Non solo le bollette, ma la disoccupazione, la povertà, il conflitto sociale, l’aumento dell’inquinamento e di politiche insostenibili.
    Sempre ammettendo che non arrivi qualche ordigno nucleare che metta fine alla esistenza della nostra esperienza di umani.
    Forse dovremmo avere la capacità di guardare avanti, anziché indietro.
    Se ci fossilizziamo sulle responsabilità pregresse non possiamo che andare allo scontro totale.
    Tutti contro tutti.
    Ma è questa la follia.
    Pensare che i torti siano tutti da una parte e le ragioni tutte dall’altra.
    Ogni grande potenza ha responsabilità mostruose nel determinare violazioni dei diritti umani, sofferenze, inquinamento, sfruttamento delle risorse in modo ineguale.
    Nessuno è senza peccato.
    A nessuno il diritto di scagliare la prima pietra.
    Ma se, come genere umano, vogliamo avere una chanche di sopravvivenza, dobbiamo fermarci e parlarci, per riscrivere un nuovo patto che sappia guardare avanti, al futuro, per le nuove generazioni, per il pianeta, per tutte le specie viventi.

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