Su Thierry Metz

Thierry Metz, Dire tutto alle case, prefazione di Mia Lecomte,
Interno Poesia Editore 2021

di Emma Pretti

<<…Gli outsiders sono perdenti per definizione. Non scelgono mai i luoghi e le date giuste per nascere, creare, amare, morire. Vivono in mondi paralleli. E hanno sempre l’indirizzo sbagliato…>>

Così esordisce lo scrittore Alfredo Accattino, autore televisivo e polemista, che nel 2017 pubblicò per la casa editrice Giunti il volume Outsiders. Il libro, nato dal desiderio di onorare la memoria del padre, ottimo pittore che però non riuscì mai a inserirsi nel circuito dei galleristi, si sviluppa come una serie di racconti di autori lasciati ai margini dei percorsi artistici, e col tempo ricoperti di polvere e resi invisibili: gli outsiders, appunto. Accattino si prese l’impegno di ridare vita e dignità a queste esistenze e sottrarle a un oblio di decenni. Il libro ebbe un successo editoriale sorprendente con un inaspettato riscontro di pubblico, al punto che ne furono pubblicati altri tre volumi.

Lo spunto potrebbe essere nato da un’opera del 2016 dal titolo 76 clochards celest ou presque, dove Thomas Vinau assembla una galleria di mini ritratti di artisti raccolti dai settori più disparati: scrittori, poeti, pittori, musicisti, fotografi, tutti rigorosamente décalés – da Bukowski a Billy Holliday, da Bacon a Cendras ecc…una serie di esistenze che descrivono orbite eccentriche, marginali, spesso immerse nella malattia e nella sofferenza da cui sanno trarre distillati di bellezza: <<feriti fedeli alle proprie ferite>> , della cui famiglia fa parte anche a pieno titolo il poeta Thierry Metz.

            Nato a Parigi nel 1956, campione di sollevamento pesi, si sposa a ventun anni e mantiene la famiglia col suo lavoro di manovale. Letterariamente autodidatta, la sua passione per la poesia è sostenuta  e incoraggiata dalla moglie e i tre figli. Con un assiduo impegno di lettura e ricerca, prende contatti con l’ambiente letterario grazie al quale esce nel 1988 la sua prima raccolta; nello stesso anno purtroppo una tragedia famigliare segna il suo destino.

            Da quel punto una deriva psichiatrica di depressione e alcolismo lo condurrà a due ricoveri ospedalieri e infine nel 1997 al suicidio. In vita ha pubblicato nove raccolte poetiche, e finora sono apparse otto pubblicazioni postume.

            Le opere sono sempre influenzate dalla vita. È inevitabile. Come ognuno di noi, anche gli artisti proiettano nelle loro creazioni sogni, desideri e paure, così come momenti di disperazione. Le opere sono sempre figlie di queste storie.

            Thierry Metz è manovale e poeta, poeta e manovale. Le due versioni non possono disgiungersi. Finita la giornata e posati gli attrezzi segue il ritorno a quel focolare dove poteva ritagliarsi un rifugio di quiete, dove l’autore con parole esatte, uniche, componeva una poetica di introspezione del gesto che non interrompe il legame profondamente manuale e muscolare, trait d’union tra le case, la giornata in cantiere, il riposo in famiglia, il mondo parsimonioso e banale di una vita di fatica e di affetti –  e i libri, le parole, l’inchiostro e la poesia delle mani; tutto viene riscritto dall’interno, con intensità discrete, parole misurate, terse, essenziali: <<Il vero lavoro- forse – è di semplificare. Dire il meno possibile ma molto ascoltare. Non portare niente il mattino, non appesantirsi. Essere semenza per ritornare fogliame la sera. Ritrovare la casa con parole soleggiate di fuori. Gli Uccelli intorno a noi non lasciano tracce>>.

La poesia di Metz tuttavia non è composta da un fraseggio domestico corredato da termini casalinghi, evita qualunque atteggiamento diaristico così come la cronaca dei più minuti accadimenti giornalieri. Rifugge dai termini umili che segnalano la presenza di oggetti usuali, non li affastella in un dettato compiaciuto dell’ordinario – come potrebbe essere quello dell’odierna poesia kitchen – Vivifica situazioni ed elementi della consuetudine quotidiana con la luce radente della coscienza. Si sofferma sui dettagli in secondo piano che in un’accensione improvvisa assumono significati più intimi e superano se stessi. La sua narrazione si muove a un livello pre-conscio, dove affiorano frammenti di esistenza che quasi sembrano privi di legame l’un l’altro, invece  ci rappresentano, raccontano e scavano, estraendo riflessioni dall’impermanenza di queste schegge di vissuto.

La gestualità è stata la cifra della sua vita e il timbro della sua poesia che tuttavia non appare materica, ciò che conta è l’azione, il verbo  che definisce l’agire e catalizza l’intera composizione <<Solo il verbo esprime, il resto non conta>>.  Un esempio:  <<Vagavo tra losanghe/Con tutti gli alfabeti della terra/nelle tasche/ E scrivevo sui muri/ Sui portoni/ Incollavo grandi lettere alitanti/Come rospi/cifre color spiga/che suonavano la pietra coi tacchi…>>  ancora <<Ciò che individua è sempre in movimento in frantumi>>. La coscienza del gesto non l’abbandona mai, è costantemente presente.

I versi di Metz sono purissime schegge, frutto di un intimo percorso attraverso il quale ha elaborato semplici “lavori esteriori”, una ancor più semplice vita famigliare infranta e devastata dalla morte del figlio più piccolo sotto i suoi occhi. L’edificio di luce di Metz precipita nell’inesorabile, mantenendo tuttavia nel tempo quella linearità ed essenzialità capace di aprirsi in squarci visionari dai timbri incandescenti e assertivi. Da un certo punto in avanti le parole diventano abbozzi di sentiero nel tentativo di ritrovare l’assenza: <<Fino a che punto scriverti? Fino al sonno? Ai girasoli?/ Vieni / Dietro il lavoro c’è una siepe. E un cadavere Bambino. /Non ti chiuderò in cucina dove le nostre mani non sono che grigie attrazioni, il gioco di chi sarà più assente>>. Dopo la concreta presenza della vita quotidiana, nelle immagini rarefatte il poeta s’impegna a costruire un’assenza che alla fine lo inghiottirà.

Mia Lecomte ha raccolto qui componimenti che vanno dal 1978 al 1997, sono tutte poesie mai inserite nelle raccolte pubblicate e riunite solo in seguito in una silloge da cui la traduttrice ha estratto una selezione. L’operazione editoriale non è però priva di lacune.

Se da un lato si ottiene uno sguardo d’insieme sul percorso poetico e sulla figura di un autore che rischia di cadere nel dimenticatoio, dall’altro le poesie presentano un carattere di frammentarietà ed estraneità tra loro, nonché qualche punto di debolezza dovuto alla loro marginalità all’interno della produzione poetica di Metz.

Un piccolo appunto inoltre va rivolto anche alla grafica del volume: formato piccolo, tipo breviario, fotografia in bianco e nero del poeta bordata da una cornice, come un’immagine tombale. Insieme alla scelta di altri elementi grafici che puntano a un’essenzialità senza tempo (!) l’atmosfera sepolcrale si compone da sé e il rimando funerario è assicurato, al punto da proporre la fastidiosa domanda: ma qui la poesia è viva o morta?

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