di Giorgio Tagliafierro
APPUNTI
I
Sorridono alcuni con buon vino
Altri ne imitano
Portano scarpe distinti da terra
Ci si misura le mani
S’incontra letargo in fremiti di trottola
Si lasciano odori nel presente cipresso
Rimbalzi vocali in cieli di calce
Cerchi di stagno per un sogno dal caso
Un cenno avido di forza
Sulla scia della banda.
II
Numeri figli di vita
A lerce di morte utopia
Puledri per altri varchi marciti
In patetiche guerre
Animali usa vivere al buio
Ad altri ne si scoppia il planare
Simili specie dall’ignorare estinte
Rapprese al fiorire.
III
Voci nebbiano vetri
Contro fossili d’ogni stanza
A luce che non rammenta
Ostinati paesaggi di beffa
A staffette di sensi anniversari
Ripeterci acerbi mesti alla notte
Cuori di rosa resi tardi confini
Nel segno falciato d’inganno
Multipli iridati cromatismi
Potevamo crearne
S’alterna un afflato alla morte
Conosciamoci.
IV
Ad ogni pausa con misero approccio
Il fiuto ritroso di un cane
Lento alla scia del mio passo seguiva
Ombre fitte di selva
Entrambi passammo ad un paese sorpreso
Più antico del sogno
Sul ponte spezzato da nuvola di fumo
Ci vide randagi e ci disperse.
MISSIVA
Il volto è nell’aria
Come lucciole libere da labirinti del cuore
In danze d’ali e colori
Occulte tra corolle e simmetrie
In me reti di luce
Vento d’erba ed argynnis
Nate da pozzi in festa
Perle d’infanzia perse nel fondo
In aria di fiamma e di tuono
Un sonno stanco del sogno
L’incontro segreto sull’unica stella
Scesa da cellula senza memoria
Nuovi riflessi scontano spazi del vivere
In quale antica flora o rimpianto
Dovrò cedere gli occhi
Cercare l’attesa degli echi di mare
In paesi dell’anima
Vano rifugio vissuto
Ora presente
Solo attimo distinto amore
Dall’amore
Scolora un sorriso con l’assenza
Senso
Ignoto reperto d’aurora lontana
Aquila di carta vibra
Non so se condurla
O farmi condurre.
PAUSA
Vecchi ritratti accanto antiche fontane
Parlando ai tremori dell’acqua
Dissolto sull’erba che perdeva tramonto
E carezze di schianto
Un perenne corpo di donna
E silenzio di tuono dei vostri sguardi
Stretto di terra più nuova
In fili appigliati ramosi
Con baci di nettare aspri di noia
Mettevo in vita le vostre preghiere
Udivo il primo inverso respiro
In quell’attimo vi assopivate
Quasi per scherno d’età
Annegando in aliti di foglie d’ombra
Vostre velate memorie.
PIETRA SU PIETRA
Di fronte al futuro ricordo dall’angolo al cuore
Teso a guida meridiana
A parlare formicolio di labbra
Seria grande fontana d’acqua antica
Madre di pietra
Ieri proverbi nei vicoli stessi
Ancora profili specchiano nel nuovo buio passato
Come pausa alla sera di storia
Un selciato di piccoli passi d’appresso alla piazza
D’incontri alla sosta
Tutto si stringe a pietre e gerani
All’incerta meta delle torri
Di tenui tardi rintocchi persi nel sonno
All’abbraccio di mura.
TERRA
Carcassa d’aria l’ombra di un vivere
Ti è nota gemella
Come cerchio di nubi esterno
Allo specchio del lago
O nudo nel corpo
Fossile di stella fecondi tua remota energia
Nella cappa d’eco di immense stagioni
Logore spirali alate
A barlumi di laviche vene
Schiuse fitte gole di brace pietrificati germogli
Rantoli ovattati a radici
Per vivere un suolo di sabbia
Miope vincerà l’ignoto ogni difesa
Soffieranno semi nello sterco
Di città atrofiche
Superstiti di veleno
Afono sguardo su mimesi di resina d’altre terre
Soffia lampi alla nuca
Rito d’essere
Ignota creatura
Sbadigli biascichi empio sangue catene uomini
Sciogli carne nell’assente quotidiano
Bruci lontano lo spazio
Per un morso di terra.
RIFLESSI
Vegliano brevi rugosi riflessi
Alla memore luce d’infiniti rimandi
Vibranti e carezzevoli
Si può soffiarne polvere informe
Stagioni a respiro che spezza e affonda
In assenti superfici e fughe d’inganni
Vicini da perdersi somiglianza
Mimetica attesa vaga in archi d’iride.
SPECCHIO
Negli occhi autoritratti
Un muto divenire
Sovrappone allusivo l’istante
Vigile frammento d’ombre
L’argenteo rimbalzo di fughe spirali
Cede tra vitrei di nebbia apparenti
Fragili sequenze in vaghe frantumate
Simmetrie trascorse.
Giorgio Tagliafierro: maestro d’Arte nel 1965, completa gli studi nel 1969 presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Docente per trentacinque anni di Discipline pittoriche.
Artista da sempre, ricercatore anacronista e indipendente, incisore e pittore, esperto sintattico del disegno, di arte applicata, di sinergie espressive composite e tecno-sinottiche (come la pirografia pittorica, già realizzata negli anni Settanta, e la pirofotografia realizzata negli anni Ottanta).
Cultore del pensiero visivo, persegue l’autenticità poetica come finalità esclusiva. È svincolato da correnti di moda e da mercati espositivi.
* Le due immagini che accompagnano le poesie sono di Giorgio Tagliafierro
PRIMA LETTURA. APPUNTI
1. Ad accostarsi con la mente occupata dai flussi del linguaggio mediatico (parole, suoni immagini), il mondo poetico (interiore) – ma anche quello dei suoi dipinti (due qui) e incisioni – di Giorgio Tagliafierro, fratello del mio amico Franco (narratore) è ostico, direi eremitico, estraneo ( ma pacatamente) alle «città atrofiche».
2. Bisogna prendere sul serio quanto scritto nella nota finale: «persegue l’autenticità poetica come finalità esclusiva». Siamo nella stessa zona che ci ha spesso proposto, qui su Poliscritture, Antonio Sagredo. Trobar clus, ermetismo? Sono concetti da usare solo orientativamente.
3. Nel primo componimento i versi, tutti con la maiuscola all’inizio (come in tutti i componimenti), segnalano – credo – che vogliono/devono essere accolti singolarmente, uno per uno. Atomi forse. Ciascuno accenna a un inizio (di colloquio, discorso, immagine, tempo, situazione?) e s’interrompe, s’inceppa, si rifiuta di completarsi in un senso dichiarato. Marciano separati e incompleti? ( È qui l’autenticità?). Sono folla incomunicante? Non c’è sintassi, se non minima (entro il singolo verso). Tranne qualche eccezione: Ad ogni pausa con misero approccio / Il fiuto ritroso di un cane /Lento alla scia del mio passo seguiva. Se l’autore li raggruppa in strofe numerate, forse ci dice solo l’ordine con cui sono affiorati nella sua mente (o che gli ha imposto alla fine del processo di raccolta).
4. Negli componimenti intitolati, pare di poter cogliere di più alcuni possibili nessi. (In analogia con le figure che appaiono nei suoi quadri? Questa sarebbe un’altra pista d’a indagare). Ma coinvolgono al massimo due o tre versi. E l’operazione forse la faccio io come lettore, perché l’autore mette un punto soltanto alla fine e non conferma questi probabili nessi.
5. Un’analisi attenta del lessico (nomi, verbi soprattutto), che ora non riesco a fare, permetterebbe forse di capire o di intuire meglio a quali strati di realtà ( oggettiva e/o psichica) Giorgio Tagliafierro allude. ( Nello scegliere i cosiddetti ‘tag’ per l’articolo da pubblicare ho notato ( o ho scelto io? molti nomi concreti: baci, cane, donna, foglie, fontana, fumo,gerani, , lucciole, madre, mare, memoria, notte, nubi, paese, piazza, ponte, puledri,resina, sabbia, scarpe, selva, sogno, specchio, stella, vetri, vino).
6. La cifra di questa poesia? Per me assenza di dialogo, di contrasto. Una sorta – l’ho detto – di eremitaggio mentale, secco, arido, pietrificato («Schiuse fitte gole di brace pietrificati germogli». (Anche quando – ma al passato – sembra avere qualche indefinito interlocutore: «Mettevo in vita le vostre preghiere»). Una lucida, austera monotonia.
…”In me reti di luce” (MIssiva), il poeta G. T. sembra dire molto in questo verso del suo procedere visivo e poetico, come se il suo sguardo raccogliesse e insieme lasciasse scivolare le immagini e i pensieri, senza catalogarli, senza trattenerli…Mi ricorda il flàneur svagato che passeggia ininterrottamente, da solo, con un cane e in compagnia di smozzicati ricordi e di frammenti di paesaggio..