Diario londinese (3)
di Paolo Carnevali
C’è un detto: ” Se desideri vedere il mondo in un solo giorno, allora vieni qui a Londra”. Sembra essere vero se pensiamo alla offerta dei singoli quartieri di questa megalopoli. Southall è un piccolo quartiere situato nella zona 4 di Londra, si raggiunge con il treno dalla fermata di Paddington. E’ un quartiere tranquillo e caratteristico. Sobborgo industriale ad ovest della grande Londra a pochi kilometri dall’aeroporto di Heatrhrow, dove vive la più vasta comunità punjabi. Si trovano negozi molto colorati di vestiario e cibi indiani, gli odori delle spezie sono fortissimi e la musica che si sente per le strade è quella bangra. Si può trovare anche un cinema che trasmette films in lingua originale, un caso unico in tutto il Regno Unito. Potrà sembrare paradossale, ma alcuni bar accettano il pagamento in rupie.
Chiaramente si possono frequentare i tempi Sikh. Il più famoso: Gurdwara Sri Guru Singh Sabhaua, il più grande di Europa e costruito con i fondi della comunità Sikh. E’ bello venire in autunno per le feste induiste e sembrerà di essere in India veramente!
Questo quartiere esiste dal medioevo e nel 1800 era il luogo dove si costruivano i mattoni rossi. Non si vedono molti turisti e nemmeno europei, direi che non sembra nemmeno di essere in Europa. Negli ultimi anni il quartiere è abitato anche da somali e afgani.
Di ritorno da Southall ho un appuntamento con lo scrittore Sunjeev Sahota. Ho fissato al Tate Modern Art Gallery Café, è un luogo ideale per gli incontri e si può avere una magnifica vista su Londra. Sunjeev Sahota è uno scrittore di origine indiana nato nel 1981 nel Derbyshire UK. Nel 2013 è stato inserito nella lista Best of Young British Novelist della rivista letteraria “Granta”. Il suo ultimo romanzo L’Anno dei fuggiaschi è stato una vera rivelazione e uno dei migliori. Sahota mette in evidenza alcune delle più scottanti questioni politiche attuali come quella dell’immigrazione.
“ Ciao Sunjeev e grazie per la tua disponibilità”
“ Salve Paolo”
“ Tu hai scritto di un’Inghilterra come una promessa per tre ragazzi indiani che affrontano una vita quotidiana spietata in cui la fuga, lo sfruttamento, i lavori massacranti li mettono di fronte ad una umanità inesistente. Sarà l’incontro con una giovane sikh, nata a Londra a cambiare i loro destini. Uno sguardo attento e lucido nel mondo della clandestinità, un mondo che lascia profonde ferite. Una realtà sommersa della migrazione, ma anche la forza di volontà e sopravvivenza che non si lascia dominare dalle avversità”
“ E’ brutale dire che cane mangia cane, specialmente negli ultimi 10 anni che il lavoro si è prosciugato. Dunque c’è poco spazio per la gentilezza e chi può calpesta il prossimo. E’ il mondo della clandestinità.”
“ La tua storia sembra essere stata diversa….”
“ Certo. I miei genitori non riescono a leggere la finzione, come la maggior parte delle persone che conosco, eppure sono impegnati e conducono vita buona. Ma nel mio caso, c’è un qualcosa di diverso nel guardare le persone passare le loro vite in questo spazio immaginario che non mi permette di vivere la vita in un modo migliore.”
“ Credo che le seconde e terze generazioni di immigrati indiani hanno meno esperienze dell’odio, però nel tuo romanzo si percepiscono le relazioni di razza.”
“ Avrai notato che ho focalizzato l’attenzione su come gli indiani trattano altri indiani e su come i loro comportamenti e pregiudizi migrino con loro e vengono replicati in terra straniera.”
“ Comunque il romanzo è una prova di una sconfitta”.
“ La vita è una competizione continua, nel referendum sulla Brexit sono rimasto rattristato, specialmente di come hanno votato alcune città che avevano beneficiato dei finanziamenti UE. E’ un voto che rende le cose difficili”.
“ C’è un ritorno a chiudersi, alla paura del diverso. Anche in Italia viviamo questo problema, aggiungerei che da noi sono assenti le regole. Qui nel Regno Unito sembrano funzionare meglio e questa non è poca cosa, credimi”.
“ Mi sento e sono britannico, ma più europeo che inglese e non voglio credere che l’Europa unita finisca la sua storia”, sorride.
“ Tutti i Paesi dovrebbero accogliere la loro quota di rifugiati, questo è un dovere morale. Lo scrittore Michiko Kakutami ha detto che nessun romanzo recente è riuscito come l’Anno dei fuggiaschi a catturare le vite quotidiane disperate degli immigrati. Condividi?”.
“ La storia di questo libro la riassumerei con tre parole: sopravvivenza, lotta e speranza”.
“ Esistono ancora speranze per costruire una nuova vita nel Regno Unito?”.
“ Devono esserci assolutamente, altrimenti si spengono i sogni di poter vivere una vita normale. Quando la vita è spietata bisogna reagire per rimanere umani”.
“ Sembra non esserci compassione, è una storia dura che mostra la faccia reale del mondo, la fatica. La solitudine e quanto la cattiveria e il pregiudizio possa ferire”.
“ Si, la solitudine è molto forte”.
“ Ci presenti un quadro straziante, senza usare pietismo e sentimentalismo…”.
“ E’ la realtà, è la vita… e non lascia spazio a quei sentimenti di cui parli. E’ un romanzo che parla di sopravvivenza in un mondo sempre meno umano…”.
E su queste parole ci salutiamo.
Esistono realtà culturali che riescono più di altre ad esportare e radicare dentro altre culture. Quella indiana è decisamente una di queste. Interessante questo sguardo su Southall, se avrò la possibilità di andare a Londra, dedicherò una visita a questo quartiere.
Il romanzo di S. Sahota non è retorico: ci mostra la realtà per comprenderla in modo tanto realistico quanto poetico. Le disumane condizioni di lavoro, il cinismo di chi sfrutta i disperati, la solitudine.
Sara Reggiani
coeditore di Edizioni Black Coffee e traduttrice
The strength of Sahota is the ability to tell the hidden sides of every immigration, what we are willing to do to finally feel free, risking to lose humanity.
[La forza di Sahota è la capacità di raccontare i lati nascosti di ogni immigrazione, ciò che siamo disposti a fare pur di sentirci finalmente liberi, rischiando di smarrire l’umanità]
Howard Sounes
Londra cambia a seconda dei distretti e della gente che li abita. Questa evidente divisione che si è creata negli anni è il risultato del modello di integrazione britannico basato sul multiculturalismo: quartieri molto etnici e culture differenti che non riescono ancora a trovare o creare un dialogo.
“Politicallycorrect” come dicono gli inglesi. Se quello inglese sia il migliore modello di integrazione è una domanda senza risposta. Nonostante le critiche di molti sociologi contemporanei sugli effetti che ha creato nei Paesi in cui è utilizzato, sono in molti a pensare che il multiculturalismo inglese basato sulla convivenza, sia il più efficiente in Europa. Filosofie contrastanti: il modello pluralista anglosassone, liberale e comunitario che sostiene il primato della libertà individuale, garantita da uno stato neutrale nel campo religioso, culturale e politico. Nel modello francese chi sceglie di fare parte di una comunità nazionale deve condividere pienamente gli ideali e le tradizioni come una sorta di livellamento culturale, almeno nella forma. Poi in Italia che sia migliore il modello britannico o francese importa poco, viviamo in un Paese che pur dichiarandosi democratico, fa ancora fatica ad accettare e rispettare le diversità di chi lo abita.
Basta ricordare la proposta di legge che nel 2009 chiedeva il divieto di indossare il burqa e il nijab ( capi di abbigliamento islamici) sul territorio italiano. Oppure potrei elencare altre decisioni al riguardo. Il nostro Paese è lontano anni luce da altri come l’Inghilterra che seppure in forme diverse, l’immigrazione è tollerata e rispettata.
Magari un giorno ” quello che sai” verrà prima ” di come sei” e quello che fai di come lo fai. E in questo Londra, vi assicuro, ci insegna molto.
Maria Rita Cardillo
First Line Press.Magazine
Potremmo adottare (almeno provvisoriamente) lo slogan “Siamo tutti londinesi”?
Attraverso i rapporti di casta l’individuo indiano rende cosciente la sua posizione relativa in un mondo ordinato da relazioni eterne. Poi vanno rivalutate anche le vicende coloniali che hanno segnato i tempi iniziali della modernizzazione della società indiana. A volte mi domando: esiste veramente un’incontro tra società moderna e una tradizionale? Forse il risultato finale del processo di colonizzazione risultò essere una sclerotizzazione della matrice culturale della società indiana, la cui rigorosa visione del mondo regolato dalle caste è solo uno degli effetti più recenti e meno tradizionali.
La turbolenza pre-moderna dei rapporti di forza e potere era gestibile solo dalla complementarietà tra il religioso e il politico. Quello delle caste è un sistema complesso che crea un forte ostacolo, un mosaico sociale tra i più complicati al mondo.
Parlare della società indiana come un’unico corpo è impossibile e la stessa identità nazionale assume un ‘importanza differente per ogni suo abitante. Spiegare queste diversità della popolazione non è semplice essendo frutto di oltre tremila anni di avvicendamenti di imperi vari. Popolazioni e tribù hanno abitato più o meno stabilmente assimilandosi e mescolandosi con la popolazione residente fino a generare un ” melting-pot” simile a quello degli Stati Uniti. L’inglese si è rivelato un ottimo collante sociale dal punto di vista linguistico, ma solo per le classi alto e medie.
Gautam Malkani
[trad. Paolo Carnevali]
Gautam Malkani è giornalista del Finacial Time di origine indiano, nato a Londra.
Ha scritto il romanzo “Londonstani” edito in Italia da Guanda Editore £ 16,00
E’ un romanzo che guarda a quella grande porzione di Londra popolata da indiani, con confusione di religioni, tradizioni, riti e odi ancestrali che continuano ad agitare e creare danni a distanza di generazioni. Scritto in un impasto linguistico dei telefonini, ed un gergo dei ragazzi di strada. La storia di quattro ragazzi vestiti alla moda e tatuati con simboli Sihk che si comportano come bulli di “Arancia Meccanica” per poi alla sera tornare a casa e trasformarsi in bravi ragazzi.
Quella indiana è una comunità molto variegata e radicata soprattutto dal punto di vista religioso. Gli indiani, nel tempo, hanno avuto un forte impatto sulla cultura londinese e britannica in genere: ad esempio hanno influenzato le abitudini culinarie, il secondo piatto più mangiato nella city è il chicken Tikka Masala. Anche l’industria cinematografica e musicale.
Ma non tutto ciò che luccica è oro, la città è invasa da continue ondate migratorie, molti indiani lasciano il loro Paese, ma l’integrazione è solo di facciata…. come se la stessa comunità volesse nascondere un fenomeno che danneggerebbe l’immagine di sé. Le difficoltà sono tangibili e l’integrazione sembra essere solo tollerata, ma assente. le persone si ritrovano sole ad affrontare un’ostilità dovuta all’assenza di lavoro e le aspettative spariscono. Molti per riuscire a pagarsi il viaggio ricorrono a misure estreme come la vendita di organi, rischiano il tutto per tutto nella prospettiva di poter un giorno avere un riscatto.
Sono poche le vie di accesso, molti ricorrono a visti di studio, ma non è permesso lavorare, allora devono lavorare al nero, o a matrimoni combinati per ottenere la cittadinanza. Ultima possibilità: la clandestinità e dunque rischiare la vita per alimentare la speranza che quasi sempre viene soffocata dalla morte e dignità dimenticata. Inizia così la discesa alla condizione disumana. Per ottenere qualcosa nella società indiana stessa, viene chiesto il cognome e la casta di appartenenza e se questa è inferiore le speranze crollano nel disprezzo degli stessi connazionali. Questo particolarmente tra gli Indù. C’è grande opposizione da parte dell’opinione pubblica inglese che lo trova discriminatorio. E’ ricorsa ad una legge per l’abolizione di questo, ma è stato momentaneamente sospesa per interessi politici. E tutto questo viene approfondito nel bellissimo romanzo di Sunjeev Sahota.
Giusj Sergi
[rivista l’Ultima riga
il piacere della lettura]
Nota di E.A.
Mi pare utile segnalare il link della rivista:
https://www.ultimariga.it/portale/
COME SOUTHALL DI LONDRA DIVENNE LITTLE PUNJAB
di Vivek Chaudhary
Il progetto esplora la più grande comunità Punjabi al di fuori dell’India, quel primo negozio indiano della Gran Bretagna per combattere le rivolte e le lotte per i diritti. Quando aprì per affari nel 1954, Pritam Singh Sangha non avrebbe mai immaginato che stesse dando il via a una rivoluzione dei consumatori che avrebbe creato un riferimento nel panorama britannico, ne che Southall sarebbe diventata la prima città asiatica a Londra.
Un uomo socievole, Sangha era una figura conosciuta e popolare. Le prime spedizioni di viveri dall’India, diffondevano anche le notizie di casa in casa. Gli scaffali si svuotavano con la stessa rapidità con cui erano riforniti con spezie, farina di chapati, lenticchie e altri prodotti non disponibili altrove: la storia d’amore della Gran Bretagna con il curry era ancora lontana.
La storia di Sangha fa parte del Paniabis di Southall, un progetto del Fondo per la lotteria del patrimonio e racconta la storia di integrazione. Esistono bellissime raccolte fotografiche che testimoniano la storia.
Babray Purewal, direttore del progetto e residente permanente dichiarò: .
Nel 1960 si scherzava sul fatto che ci eravamo stabiliti a Southall per la vicinanza con l’aeroporto di Heathrow, a soli tre chilometri di distanza, e se i ” gozzi “(bianchi) ci avrebbero buttato fuori, sarebbe stato facile e veloce salire su un’aereo e tornare a casa. Era un riferimento spensierato all’incertezza generata dal razzismo cronico del tempo. Era la fabbrica di gomma R Woolf nella vicina Hayes ad attrarre i Punjab a Southall. Il direttore aveva prestato servizio con i soldati Sikh durante la seconada guerra mondiale ed era felice di reclutarli.
Il Punjab fu diviso dagli Inglesi nel 1947, tra Sikh, Indu e Musulmani che si stabilirono qui, furono i primi ad entrare nel maggior numero dando a Southall una distinta identità. Di fronte alle discriminazioni e incapaci di assicurarsi facilmente la sistemazione, vivevano in condizioni squallide. La risposta al razzismo arrivò molto presto, con la formazione dell’Associazione dei lavoratori indiani (IWA) nel 1956 da un gruppo di locali affiliati al partito comunista indiano.
L’estate del 1976 vide uno scisma tra i giovani e la vecchia guardia ,e dalla loro percepita riluttanza a fronteggiare il razzismo.Vi furono disordini in risposta all’omicidio razzista della gioventù locale Gurdip Singh Chaggar.
Nel 1979 quando furono arrestate centinaia di persone per protesta al Fronte Nazionale e agli attacchi Shinheads, nacquero nuovi movimenti giovanili asiatici per la lotta al razzismo dilagante. Molti dei loro discendenti sono stati sostituiti da nuove comunità: Afghanistan, Sri Lanka, Somalia. Nel suo cuore, però, questo angolo di Londra Ovest rimane una cittàò indubbiamente Punjabi.
Vivek Chaudhary
trad. ( Paolo Carnevali)
[Vivek Chaudhary è un giornalista di sport freelance. Per sua gentile concessione ho tradotto questo suo articolo e lo ringrazio per il contributo]