Il guaio col metodo scientifico

di Paolo Di Marco

Con questo articolo inizia una nuova rubrica (dall’omonimo titolo) in cui Paolo Di Marco (qui nel n. 11 di Poliscritture del marzo 2015 la sua Intervista a Carlo Rovelli) ci condurrà nei meandri – complessi, affascinanti e ambivalenti – della ricerca scientifica. [E. A.]

Decenni di successi tali da poter cambiare completamente il nostro rapporto col mondo e l’immagine che ne abbiamo: la scienza oggi sta su di un piedestallo molto alto ( anche se non sempre riconosciuto e ancor più raramente apprezzato). Ma non è la stessa scienza delle origini. Tutto il dibattito che la Filosofia della Scienza ha sviluppato (con Popper e Feyerabend come estremi) rimane sfuocato rispetto all’effettivo divenire del suo soggetto, un percorso già intuito da un geniale Poincarè e poi maturato nel secondo dopoguerra. E troppo poco se ne parla. Quindi cominciamo qui un discorso di approfondimento sul come effettivamente funziona oggi la scienza: non sul suo ‘esterno’, sui rapporti tra scienza e potere, ma direttamente sul suo interno’, sul metodo scientifico oggi.

1- pregi

L’elemento centrale della fiducia riposta nel metodo scientifico sta nel processo di controllo dei risultati: ogni risultato deve essere pubblicato in una certa forma, che comprende tutti i dati ottenuti, le fonti e i metodi utilizzati; ma prima della pubblicazione ufficiale deve essere analizzato da altri ricercatori esperti che controllano il percorso e i dati; e prima ancora, particolarmente nel caso di Fisica e Matematica, passa in genere attraverso un altro confronto (su un archivio pubblico come Arxiv) dove arrivano le opinioni di altri esperti ed interessati.

La differenza tra una ricerca scientifica e un’opinione, per quanto autorevole, sta in questo processo.

Un esempio chiaro sono stati i negazionisti italiani del cambiamento climatico: svariando da personaggi privi di competenza scientifica a scienziati disposti a vendere il primo olio di serpente miracoloso alla Zichichi, fino a scienziati di indubbia fama come Rubbia, la caratteristica dedeterminante delle loro posizioni è di essere state espresse non attraverso il processo di confronto coi loro pari ma solo in opinioni pubblicitarie senza contradditorio nè approfondimento.

2- dubbi

Quanta garanzia abbiamo che questo procedimento non produca risultati errati (volutamente o per caso) o inconsistenti? Anche se siamo in una zona di rischio incomparabilmente migliore rispetto al carosello di singoli esperti, soloni, inventori che populano web e tv, la garanzia non è certo completa; per citare solo alcuni elementi,

  • la fiducia in una teoria o ideologia prevalente in un certo momento può portare i controllori a operare volutamente o no una selezione ideologicamente guidata e quindi falsata;
  • il controllo dei dati è spesso disagevole fino al limite dell’impossibile (per il solitario inventore delle teoria dei vaccini che provocano l’autismo, Wakefield, ci sono voluti 5 anni perchè si scoprisse che i dati erano inventati)
  • il processo di controllo viene sempre più spesso aggirato attraverso una rete di pubblicazioni e congressi ‘civetta’, dove a pagamento si può evitare ogni controllo (leader incontrastati in questo alcune organizzazioni cinesi di congressi, dove un medico-giornalista burlone ha presentato (virtualmente), presiedendo una sezione, un dotto articolo sulla soluzione della sterilità femminile mediante il rimedio ‘Rocco Siffredi’ a base di carote giganti) ma anche riviste virtuali (come ‘Academia’, che ha pubblicato un mio fondamentale articolo “Physics and Aikido” senza alcun controllo sulla validità delle affermazioni, citazioni e dati) prive di ogni controllo e revisione.
  • l’evidenza scientifica in sè non è poi garanzia di buone pratiche successive: dai massimi dirigenti politici che di fronte alle evidenze su clima e alimentazione rispondono ‘chissenefrega’ ai medici cardiologi che dopo che una meta ricerca del 2001 (su Nature) aveva evidenziato che le statine abbassavano moderatamente il colesterolo ma aumentavano le morti per infarto hanno continuato imperterriti a prescriverle come rimedio principe (con grande rincuoramento di Bayer&c e grande scoramento (pun intended) dei pochi medici che leggono la letteratura scientifica)

3- crisi

Ma i dubbi precedenti fanno parte del pane quotidiano della scienza come parte integrante di una società difficile e complessa;

c’è però qualcosa di più radicale in corso che mette in gioco i fondamenti stessi del metodo scientifico:

ripartendo per semplicità dalla definizione Popperiana, che una proposizione per essere scientifica deve essere falsificabile (mediante un esperimento cruciale) assistiamo oggi allo sviluppo di teorie scientifiche del tutto prive di un controllo sperimentale, come nella scienza dura per definizione, la Fisica: la regina (almeno in termini di Accademia e seguaci) delle teorie unificanti, la Teoria delle Stringhe (e il titolo di questo articolo richiama un analogo titolo di Lee Smolin, ‘The Trouble with Physics’ che è tutto dedicato a questo argomento) ha perso ogni rapporto con esperimenti sia attuali sia solo potenziali. (Tanto che l’ultimo esperimento del CERN che ha trovato il bosone di Higgs è stato dibattuto nella comunità fisica non tanto per questo scoperta, che era abbastanza scontata, quanto per quello che non è stato trovato: particelle particolari che corrispondessero alle attese delle teorie supersimmetriche, che a loro volta sono la base su cui poggia la teoria delle stringhe; quindi un risultato deludente per i suoi sostenitori dal punto di vista della coerenza ma purtuttavia niente che la mettesse in crisi).

Ma se scendiamo dalle vette della scienza dura e andiamo nella scienza di tutti i giorni nei più vari campi, da quelli più duri e formalizzati a quelli più lontani e formalmente indefiniti, ci accorgiamo con meraviglia di un elemento comune a tutti, la cui universalità è tale da essere diventato praticamente invisibile: la sparizione dell’esperimento.

Parliamo dell’esperimento comunemente inteso, che ci insegnavano al Laboratorio di Fisichetta nei primi 6 mesi del corso, fatto con oggetti concreti, strumenti di misura, ripetizioni, analisi; quell’esperimento che è alla base anche dei ragionamenti più profondi della Fisica avanzata, che Einstein non a caso sintetizza con solo metro e orologio.

Cambiando la scienza cambia anche l’esperimento, dalla chimica alla sociologia, ma la sua natura resta la stessa; e non a caso, essendo lui il garante della scientificità, l’ultima parola in merito:

Eppure prima lentamente e con molte difficoltà, poi sempre più velocemente-grazie anche alla potenza dei calcolatori di oggi- è andato sparendo, sostituito progressivamente da qualcosa che per il momento chiameremo Altro.

Questo sopra è un esempio di Altro: non si tratta di una vera foto di un buco nero, ma di una simulazione su un calcolatore ultrapotente sulla base di

  1. dati raccolti dall’osservazione astronomica
  2. equazioni descrittive e comportamentali della struttura di un buco nero supermassiccio
  3. ipotesi ed adattamenti ad hoc del tutto

Per ora ci fermiamo qui, in attesa di ulteriori approfondimenti…

1 pensiero su “Il guaio col metodo scientifico

  1. Da collegare….

    SEGNALAZIONE

    Disintossichiamoci – Sapere per il futuro
    https://www.roars.it/online/disintossichiamoci-un-appello-per-ripensare-le-politiche-della-conoscenza/

    Stralcio:

    “Economics are the methods. The object is to change the soul”. Riferita alle politiche della conoscenza, istruzione e ricerca (ma non soltanto), questa formula di Margaret Thatcher ben riassume il processo che ha contraddistinto gli ultimi decenni.

    Il metodo economico, la penuria come condizione normale, al limite o al di sotto del limite della sopravvivenza, è visibile a tutti. Anche ben visibile, insieme a quello finanziario, è lo strangolamento burocratico. Meno visibile l’obiettivo. Il cambiamento degli animi è così profondo che non ci accorgiamo nemmeno più della distruzione compiutasi intorno e attraverso di noi: il paradosso della fine – nella “società della conoscenza” – di un mondo dedicato alle cose della conoscenza. Anche l’udito si è assuefatto a una programmatica devastazione linguistica, dove un impoverito gergo tecnico-gestionale e burocratico reitera espressioni dalla precisa valenza operativa, che però sembra essere difficile cogliere: miglioramento della qualità, eccellenza, competenza, trasparenza, prodotti della ricerca, erogazione della didattica… E autonomia, ovvero – per riprendere le parole di Thomas Piketty – l’impostura che ha avviato il processo di distruzione del modello europeo di università. Una distruzione che ha assunto come pretesto retorico alcuni mali – reali e no – della vecchia università, ma naturalmente senza porvi rimedio, perché non questo ma altro era il suo obbiettivo.

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