Le contorsioni di Chiero (3)

di Ennio Abate

Avvertito dalla signorina Dag, ricomparve ronn’Enze To – il prete che aveva giudicato i ragazzi di San Domenico degni di vincere o gagliadette. Adesso era il direttore spirituale del campo estivo ad Acerno. Un giorno, venuto a Salerno per certi suoi impegni diocesani, salì a piedi fino alla casa in Via Sichelgaita per convincere Mìneche e Nannìne a mandare Chiero a quel  campeggio. Appena lo vide dal balcone, il ragazzo – sorpreso e felice – scese di corsa le scale e in strada gli saltò tra le braccia. Proprio come faceva con Nannìne (ma mai cu Mìneche!). Affacciate al balcone, le signorine Bonomo guardarono la scena incuriosite e pettegole.

Embé, o guaglione s’ere attaccate a stu prevete! E a chi, roppe a Nannìne e a signurine Dag, se puteva attaccà? Ao patre suoie? No. Mìneche stu figlie nun sapeve cumme pigliarle. Già ra piccirille aveve purtate in famiglie nu sacche e preoccupazioni. E po pure Chiero  cu Mìneche – ma pure cu e zii o cue prufessori – parlave poche o niente. Cumme succereve a tanti guagliuni allora. Nunn’ere entrate in confidenza cu nisciune e loro. E. crescenne, s’ere allontanate chianu chianu chiù e tutte ra Mìneche. Ra fatiche ca Mìneche faceve ogne ghiuorne addò Salentine nun sapeve niente o quase. Nun nge penzave. Nunn’ere curiuse e sapè e cose ra vita pratiche ca facevene zi Vicienze e Antonie rint’a a segherie ncopp’o Carmine. O Franco rint’a banca. O e zi Fidelio ca ere ferroviere. O  e zi Attilio ca faceve o barbiere. O e zi Peppe ca faceve o saldatore e ogni tante nge traseve na scheggie rint’all’uocchie e, siccomme ere a riposo, veneva a fa visite in via Sichelgaita triste triste.  E e tutte l’ate pariente ca faticavane ancora a terre a Casebbarone o a Antessano o a Cuperchia. E po chelli poche vote ca ere  trasute rint’o magazzine e Salentine, addò Mìneche  faceve o cape sorvegliante, chist’omme, ca ere o padrone, l’aveve guardate pure  stuorte.

Sturianne  isse e o frate s’erene avviate ncoppa a n’ata vie rispette a Mìneche e  a tutte e pariente ca faticavene.  E manche cu o frate suoie, Eggidie, parlave. Quaccose e chiù se riceve cu Flod, ca faceve o licee scientifiche e l’aiutave a fa l’esercizie r’algebre. E, parlanne parlanne, cu stu guaglione ca teneve duie o tre anne e chiù e ca ere e na famiglie venute a Salierne ra fore,  capette ca pure Flod teneve o stesse prubleme suoie. Pure Flod vereve e capì si  teneve o no a vocazzione e se fa prevete. E insomme! Tanti guaglioni ca stevene cu l’Azione Cattolica tenevene  o stesse probleme.  Pecché Chiero e loro se muvevene sempe rint’a stu munne cattoliche. O cu e prievete o ca scola o ca famiglie sempe chell’aria viziate respiravano. 

[Perché non diede ascolto a Zi Rina e prima ancora a zi Assuntina? Perché si era così indebolita la voce paterna da farlo rivolgere ai preti?]

[Poche volte Chiero aveva sentito Mìneche amichevole. Forse solo quando andavano ad Antessano da sua sorella, zia Luigia. Una volta se li portò – lui e Eggidie – a camminare tra i campi di grano di proprietà della zia e, sfilando la corteccia di un ramo di nocciolo, gli costruì  due zufoli.]

Ronn’Enze To convinse i genitori. Avrebbe trovato lui al campo estivo di Acerno una persona capace di fare le iniezioni a Chiero.  Così, dopo il viaggio a Roma, Chiero uscì da Salerno per la seconda volta nella sua vita. C’era con lui pure Mario Barl. C’era Flod. Ugo, il fratello di Mario, no. A stento lo si vedeva in parrocchia la domenica per la messa, quando veniva assieme al padre, che lavorava alle Tabaccherie di Battipaglia. Ugo –  disinvolto, sicuro di sé e della bellezza del suo corpo –  già corteggiava le ragazze. E ne incontrava tante perché studiava al Magistrale. Se a volte usciva a spasso con Chiero e gli altri della parrocchia, ci restava poco in compagnia. Appena scendevano  da piazza Porta Rotese e  passavano davanti al portone posto proprio al bivio   –  per il  Duomo o per il vicolo delle Botteghelle –  c’era  la sua amica che lo chiamava. E lui si staccava dal gruppo e rimaneva a chiacchierare e a fumare con lei.

Ad Acerno, quando scesero dal pullman, i ragazzi si accorsero che era un bel posto fresco in collina e non dovevano stare sotto le tende. Furono alloggiati con gli animatori e i preti in una palazzina albergo appena costruita. C’erano le camere pulite con i letti a castello e un refettorio spazioso e ben illuminato. Di giorno, oltre ai momenti di preghiera, gli facevano fare assemblee e discussioni in gruppo sotto l’ombra degli alberi. E negli intervalli, in un grande campo erboso, s’organizzavano gare di corsa o partite a pallone. Di sera poi si cantava diretti da Ronn’Enze To o da altri giovani dello staff.
Chiero fece anche quelle iniezioni di vitamina B12. Al mattino lo chiamavano in segreteria con l’altoparlante e Vittorio, il direttore della Casa di Acerno, mentre lui rimaneva pochi attimi in piedi con la natica scoperta, gliele faceva.
Una mattina, però, dopo che Vittorio, fatta l’iniezione, era andato via per sbrigare qualche faccenda, spuntò  ronn’Enze  To dalla stanza dove dormiva. Accanto alla segreteria . Chiese a Chiero come si trovava e, vedendo che aveva in mano il libro di latino, cosa stava studiando. Poi, sempre chiacchierando, l’aveva fatto entrare nella sua stanza. Stranamente aveva subito chiuso la porta a chiave. E dopo un po’ si era steso sul letto e, sempre con quella sua voce calma, lo aveva invitato a stendersi accanto a lui. E subito dopo gli aveva chiesto se poteva mettersi sopra di lui. Chiero non capiva perché ma lo lasciò fare. Ronn’Enze  To, coricato sopra di lui, per un po’ strusciò la sua barba non rasata da qualche giorno sulla sua faccia. Non toccò Chiero fra le gambe, non lo fece spogliare. La cosa finì lì e non si ripeté mai più. Chiero, però, non ricordò mai di cosa parlava con ronn’Enze  To prima e dopo quegli strusciamenti sul suo corpo. Neppure si chiese mai se lui – Chiero – avesse provato piacere o fastidio. Non avendo confidato a nessuno né di quella strana richiesta di ronn’Enze To né della sua docile accettazione, quel fatto rimase a lungo un segreto suo indecifrato.

3 pensieri su “Le contorsioni di Chiero (3)

  1. “Le contorsioni di Chiero” (1 2 3), Ringrazio Ennio Abate per questi racconti di sè bambino, di un tempo “passato” (?)…Ma davvero per sempre passato o si va ripresentando in una formula piu’ subdola e ammantata di lustrini commerciali? Sotto la crosta e il diletto, i poteri che contano, influenzano, marchiano sembrano ancora gli stessi, vicini e lontani, magari arrivando dall’etere…”Doveva fare molto freddo d’inverno”, un giorno diremo piuttosto”Doveva fare molto caldo d’estate come tutto l’anno” e faremo fatica a difenderci proprio come Chiero e la sua gente dal freddo…
    Mi rifletto molto in questi scritti e penso che, quando avremo finalmente aperto gli occhi, vedremo quanto è desolato anche il nostro presente e il prossimo futuro…In tutti e tre i racconti mi colpisce del piccolo Chiero, la mancanza di veri alleati per la sua crescita, le contorsioni a cui era costretto per difendersi, in famiglia e nella realtà sociale…
    Ma anche la figura di Don Enzo mi è sembrata conseguente, ai limiti della follia…Un bisogno di affetto traboccante e represso che in qualche modo lo unisce a Chiero…Cosi’ possono nascere i mostri

  2. @ Cristiana [Fischer] e Annamaria [Locatelli]

    Grazie per l’attenzione. Terrei a precisare che:
    1.Sto narrando momenti non piacevoli dell’infanzia (e dell’adolescenza) di un ragazzo del Sud anni’ 40-‘50 su una base autobiografica.
    2. Il tentativo di accertare chi-ero (attraverso la maschera del personaggio Chiero, che sfuma poi in altri successivi: Vulisse, prof Samizdat, il Narratore) è indispensabile per capire meglio chi – probabilmente – sono oggi in questo presente.
    3. Vedo una forte cesura tra chi-ero e chi sono (o credo di essere). Ma vivo la questione continuità/discontinuità come interrogazione aperta a possibili e varie risposte: meglio di oggi, peggio di oggi, due io gocce d’acqua, due io incommensurabili.
    4. L’interrogazione si alimenta del confronto – per quel che è possibile sulla base dei ricordi recuperati negli anni e della riflessione attuale – tra il chi-ero con il chi sono.
    5. Chiero è sotto sotto anche un Chi-siamo. Non miro però ad un lavoro da storico. Perciò preferisco parlare di “narratorio” e non pretendo, se non per riflesso, di offrire che qualche spunto a chi dovesse lavorare a una storia di Salerno di quegli anni.
    6. Sto rivedendo con la lente d’ingrandimento della riflessione i ricordi che ho sempre registrato almeno in appunti. mi sono rimasti. Ho sempre evitato di sbarazzarmene.
    7. « In tutti e tre i racconti mi colpisce del piccolo Chiero, la mancanza di veri alleati» (Locatelli). È proprio così. Malgrado la mia aspirazione a far parte di un ‘noi’ (dell’Azione Cattolica allora; più tardi di Avanguardia Operaia) questa integrazione (più o meno dialettica) non è stata possibile. Né prima (a Salerno) né dopo (a Milano). La continuità sotto quest’aspetto c’è ed è purtroppo una continuità negativa. A Vocazzione è esperienza di sconfitta.
    8. Quella del prete don Enzo To è figura ambivalente e complessa di potere. Annamaria ha bene intuito dai pochi cenni. Ma per ora non ne parlo. Svilupperò nel resto del narratorio.

  3. Trovo molto interessante la costatazione che “Malgrado la mia aspirazione a far parte di un ‘noi’ (dell’Azione Cattolica allora; più tardi di Avanguardia Operaia) questa integrazione (più o meno dialettica) non è stata possibile. Né prima (a Salerno) né dopo (a Milano). La continuità sotto quest’aspetto c’è ed è purtroppo una continuità negativa.” Mi riguarda, perché non ho mai fatto parte di “istituzioni” politiche in cui poi non riconoscermi. (Il femminismo degli anni ’70 non era neanche lontanamente un partito e non imponeva nessun obbligo o stile di vita…)
    Questo che hai scritto, e riporto, andrebbe sviluppato sociologicamente, psicologicamente, politicamente. Il rapporto tre élites e chi li vota e li riconosce, ma con un distacco pesante nel quotidiano vitale, è la chiave della politica presente. I politici, gli ideologhi, accusano le carenze della psiche dei singoli. E il neoliberismo è un individualismo atomizzato e radicale.

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