Per riflettere su Toni Negri


a cura di Ennio Abate

Li chiamavano cattivi maestri. Ora ci restano solo i cattivi. Queste sono le segnalazioni che ho condiviso su POLISCRITTURE FB dopo l’annuncio della morte di Toni Negri (16 dicembre 2023). Le ripropongo . [E. A.]

1. Vincenzo Costa (che ha poi cancellato questo suo post e i commenti)

Vedo che è iniziata la santificazione di Toni Negri. Io la guardo da un altro punto di vista: le classi lavoratrici devono qualcosa a questo teorico? Ha promosso miglioramenti della loro vita? Ha dato forza alla loro lotta per diritti sociali? Io non lo credo affatto. Ha fornito strumenti teorici utili in questa lotta? Molti dicono che fu un oppositore della borghesia. C’è traccia di cultura popolare, della vita reale delle clsssi lavoratrici dell’epoca nel suo pensiero? Ha espresso qualcosa delle esigenze reali delle classi lavoratrici o le ha sovrascritte? Io non credo. I Desideri reali erano abbassati, per affermare solo quelli di avventurieri. No, Negri non rappresentava la cultura antiborghese. Era solo manifestazione di una dissoluzione interna alla borghesia.

(Al quale avevo replicato:)

Ennio Abate

Santificazione è esagerato. Ma il difficile sta nel dare a Negri (e all’area dell’Autonomia operaia) quel tanto – poco o molto, buono o pessimo – che gli spetta. E tenendo conto di cosa furono gli anni ’70 in Italia. ( Sarebbe bene fare qualche ripasso di storia. Cito solo un documento preso a caso on line: https://www.pinographic.altervista.org/Fiat_4.pdf). Se la cultura di Negri fosse stata “solo manifestazione di una dissoluzione interna alla borghesia”, il caso 7 aprile ci sarebbe stato? Lei come lo spiega?

2. L’ETERNITÀ CI ABBRACCI (qui)
di Toni Negri

Stralcio 1:

Circondati da istituzioni del comune, un certo progresso lo abbiamo conquistato per la nostra vita e per quella dei nostri figli. Lo testimonio volentieri nella mia vecchiaia. Ma per tenere aperto questo dispositivo del “comune”, della sua conquista e della sua accumulazione, la storia delle lotte ci insegna che dobbiamo organizzarci. Ho passato la vita provando a risolvere questo compito. Non credo di esserci riuscito – vale a dire, a scoprire una formula organizzativa che avesse l’efficacia del “sindacato” nella Seconda Internazionale o del “soviet” nella Terza. Abbiamo identificato il terreno della moltitudine come insieme di singolarità, operante come sciame, come rete, probabilmente organizzabile in una vera democrazia diretta. Non siamo tuttavia mai riusciti ad andar oltre esperienze “in vitro“.

Stralcio 2:

un certo progresso lo abbiamo conquistato per la nostra vita e per quella dei nostri figli. Lo testimonio volentieri nella mia vecchiaia.

Ma per tenere aperto questo dispositivo del “comune”, della sua conquista e della sua accumulazione, la storia delle lotte ci insegna che dobbiamo organizzarci. Ho passato la vita provando a risolvere questo compito. Non credo di esserci riuscito – vale a dire, a scoprire una formula organizzativa che avesse l’efficacia del “sindacato” nella Seconda Internazionale o del “soviet” nella Terza. Abbiamo identificato il terreno della moltitudine come insieme di singolarità, operante come sciame, come rete, probabilmente organizzabile in una vera democrazia diretta.

3. Per Toni, che ci ha insegnato a cercare l’aurora dentro l’imbrunire (qui)
di Gigi Roggero

Stralcio:

La rivoluzione, ci ha spiegato il nostro maestro, non come evento salvifico, catartico o palingenetico. La rivoluzione come forma di vita. Non sono solo belle frasi, si tratta di dura e faticosa realtà. Una forma di vita contraddittoria e problematica, sempre inquieta e mai tranquilla. Ce l’ha raccontata Anna nel suo bellissimo lessico famigliare che porta il titolo, altrettanto stupendo, di Con un piede impigliato nella Storia. Sempre per parafrasare una nota considerazione, chi attende un rivoluzionario puro e senza contraddizioni non lo vedrà mai, e si condanna a non capire che cosa significhi la rivoluzione come forma di vita. Del resto, c’è un aspetto nella sua biografia che viene troppo poco ricordato: a poco più di trent’anni Toni era il più giovane professore ordinario italiano, della prestigiosa cattedra di Dottrina dello Stato all’Università di Padova. Avrebbe potuto avere una serena e soddisfacente vita da grande intellettuale, stimato e riconosciuto da tutti. O magari poteva essere un intellettuale impegnato, mantenendo separata l’opinione e l’azione. O ancora, poteva essere un intellettuale organico, obbediente alle indiscutibili esigenze di un partito-feticcio. E perché no, poteva essere un intellettuale attivista, forma omeopatica della militanza senza rischi diffusasi nei decenni successivi, scelta da docenti che prendono posizione su tutte le ingiustizie del mondo purché siano lontane dalla propria area di sicurezza accademica. Invece no, non era questa la sua forma di vita. Ha scommesso sul desiderio. Ha scommesso tutto quello che aveva e che avrebbe potuto avere. E nel mondo feudale dell’università, abitata da tromboneschi baroni e servi pusillanimi, è questo che non gli hanno mai perdonato.

4. Angelo d’Orsi (qui)

Stralcio:

E la tarda opera, “Impero”, firmata a quattro mani con Michael Hardt, all’inizio del nuovo millennio, è stato molto probabilmente il primo, acuto e aggiungo geniale (ancorché discutibile) affresco che quasi profeticamente dipingeva il mondo al trapassar del secolo, con le sue drammatiche contraddizioni, i guasti orribili del neoliberismo e dell’egemonia occidentale, il volto truce, sul piano economico, sociale, culturale e soprattutto militare, e le speranze del cambiamento, anzi del rovesciamento del (dis)ordine costituito. Studioso di altissimo livello, militante coerente fino all’estremo (il carcere, l’esilio), e innovatore teorico in seno alla dottrina comunista, Negri ha segnato un’orma possente, che non si può ignorare né cancellare, che si condividano in tutto o in parte o per nulla le sue posizioni. Solo gli stolti politicanti, i giornalisti ignoranti e le persone in malafede, possono liquidare un personaggio dalla statura siffatta, come il “cattivo maestro” che ha “inventato” il terrorismo politico di sinistra.”

5. Comunicato redazione OFFICINA PRIMO MAGGIO (qui)

È morto Toni Negri nella notte tra il 15 e il 16 dicembre. Con lui scompare l’ultimo dei padri dell’operaismo, a pochi mesi di distanza da Mario Tronti. Per ricordare la sua figura ci vorrà del tempo, perché è stata per diversi aspetti una figura eccezionale. Sicuramente all’interno del mondo accademico ma soprattutto all’interno del complesso rapporto tra intellettuali e classe operaia, un rapporto che è alla radice del marxismo e dei movimenti comunisti. Osservato da questo angolo visuale, il suo operare va ben oltre l’orizzonte, in fin dei conti ristretto, dei movimenti extraparlamentari in Italia. Eccezionale, quasi unica nel suo genere, l’ossessione della rivoluzione, sembrava posseduto da quel demone, vera forza vitale per lui. Una forza che ha trascinato quei tanti la cui vita è stata segnata dalla personalità di Toni Negri, nel bene e nel male. Eccezionale anche l’odio che ha saputo suscitare, il disprezzo oltraggioso di cui è stato coperto e che, in un certo senso, hanno contribuito a fare di lui uno degli intellettuali italiani più noti nel mondo. In certi territori, nel Veneto in particolare, la sua presenza ha lasciato un’impronta indelebile. Ha lottato per i nostri stessi ideali e ora, alla notizia della sua morte, una grande tristezza c’invade.

6. Roberto Ciccarelli, Antonio Negri. L’eresia comunista lunga una vita, il manifesto 17 dic. 2023 (qui)

Stralcio:

E’ stata la vita di un “militante comunista” […]Il comunismo – ha spiegato Negri – è una passione collettiva gioiosa, etica e politica che combatte contro la trnità della proprietà, dei confini. del capitale. […] La rivoluzione non la si fa, ma ti fa. […] Bisogna smetterla di mitologizzarla: la rivoluzione è vivere, costruire continuamente momenti di novità e di rottura […]è lo viluppo delle forze produttive, dei modi di vita del comune, lo sviluppo dell’intelligenza collettiva”

7. Alisa Dal Re, Il mio amico matto che voleva cambiare ilmondo, il manifesto (qui)

Stralcio:

Adesso tutti diranno che sei stato un grande filosofo, che i tuoi scritti sono eccezionali, che sei stato un grande maestro di intere generazioni. E ci saranno anche degli impuniti che ritireranno fuori offese stupide e gratuite sul cattivo maestro.Io invece ti dico, e lo dico forte e chiaro, che sei stato per me un grande amico e un grande uomo che non si accontentava di niente di meno che cambiare il mondo.

8. Paolo Virno, Un congedo silenzioso, il manifesto 17 dic. 2023 (qui)

Stralcio:

Insopportabile Toni, amico caro, non ho condiviso granché del tuo cammino. Ma non rieco a concepire l’epoca nostra […] senza quel cammino, senza le deviazioni e le retromarce chel’hanno scandito

9. PER TONI NEGRI di SERGIO FONTEGHER BOLOGNA (qui)

“Ha lavorato in una cella d’isolamento di un carcere speciale con la stessa identica organizzazione della giornata di quando scriveva la sua tesi di laurea o di quando ha vissuto nell’esilio girando il mondo. Giornate governate da una disciplina ferrea, che ha stupito persino chi gli stava accanto tutto il tempo. In quella disciplina lui trovava la libertà di produrre idee. Attenzione però, nel sottolineare questi aspetti, a non costruire attorno alla sua figura dei cliché positivi, simmetrici a quelli negativi che gli hanno disegnato addosso. Attenti a non farne il Maestro con la M maiuscola contrapposto al cattivo maestro. Attenti a non farne un’icona e a farlo finire sulle t-shirt com’è capitato al povero Che Guevara. Tanto più che ambedue erano dotati di strepitosi physique du rôle. Toni è stato, come tanti di noi, una persona normale di elevata scolarizzazione che si è messo dalla parte degli sfruttati, degli emarginati, dei senza parola e con loro stava bene, mai cercando di educarli o di guidarli, ma aiutandoli a riconoscere le loro potenzialità, il loro potere contrattuale. Non veniva certo a insegnare agli operai del Petrolchimico di Marghera quanto fosse mortale il cloruro di vinile monomero, ma semmai a dire che fermare la morìa era nelle loro mani e solo in quelle. Così ha potuto esercitare un ruolo riconosciuto in una grande comunità operaia, caso non frequente, checché se ne dica, in tutta la storia dei movimenti extraparlamentari italiani. Né dobbiamo, riconoscendo le sue doti e i suoi meriti, impedirci di criticare i suoi errori, perché in tutta la vicenda degli anni 70 va distinta la sconfitta dalla disfatta. L’una e l’altra vanno soppesate e affrontate, altrimenti consegniamo a quelli che vengono dopo di noi un testimone avvelenato. I suoi errori, poiché Negri ha sempre pensato e agito dentro un collettivo, sono anche errori di quelli che, avendoli riconosciuti per tempo, non hanno fatto tutto il possibile per provare ad impedirgli di commetterli e si sono ritirati in silenzio.

10 La scomparsa di Toni Negri di Michele Mezza (qui)

Stralcio:

Nel mio Avevamo la luna: l’Italia del miracolo sfiorato vista 50 anni dopo (Donzelli, 2013), in cui ricostruisco i termini del dibattito a sinistra sulla modernità dai primi anni Sessanta, riferendomi ai ragionamenti di Negri e Hardt, aggiungo: “I due autori nel loro libro sembrano osservare la rete dal di sotto, cogliendone il carattere di sistema sociale, prima ancora che di piattaforma tecnologica, dove si annodano relazioni e si sprigionano conflitti fra soggetti del tutto inediti rispetto alla scolastica liberale o marxista. Alla loro elaborazione si deve la più lucida sintesi della materialità del cambio di paradigma di cui tanto si parla nell’analizzare il nuovo scenario economico”. E per meglio inquadrare proprio il cuore dell’approccio di Negri basta leggere, nella prima pagina del libro Comune, come focalizzare il nodo politico che Internet ieri, e l’intelligenza artificiale oggi, pone alla sinistra: “Con il termine ‘comune’ intendiamo, in primo luogo, la ricchezza comune del mondo materiale – l’aria, l’acqua, i frutti della terra e tutti i doni della natura – che nei testi classici del pensiero politico occidentale è sovente caratterizzata come l’eredità di tutta l’umanità da condividere insieme. Per comune si deve intendere, con maggior precisione, tutto ciò che si ricava dalla produzione sociale, che è necessario per l’interazione sociale e per la prosecuzione della produzione, come le conoscenze, i linguaggi, i codici le informazioni, gli affetti e così via”. Una descrizione, questa, che muta radicalmente lo scenario sociale in cui collocare le categorie fondamentali della dialettica politica – la produzione, il conflitto, il valore – dando forma e sostanza a strumenti di intervento sociale nei confronti del dispiegarsi della potenza di calcolo oggi contemplata passivamente. Siamo, con Negri, ormai fuori dal recinto della fabbrica fordista, distanti dalla centralità di una combinazione di fattori materiali nella produzione di valore, estranei a figure sociali caratterizzate dal rapporto diretto con le macchine della produzione, del tutto decentrati rispetto alla contraddizione capitale/lavoro. Siamo nel cuore del nuovo processo di produzione di valore, quello che Manuel Castells chiama “informazionalismo”, in cui si creano “informazioni mediante informazioni” e, lungo questa catena, prende forma il valore sociale. Un cambio di quantità e qualità delle modalità in cui si dispiega il capitalismo. Una forma in cui non solo mutano le relazioni, cambiano i soggetti sociali della contesa, perché la stessa configurazione della relazione fra i protagonisti sociali diventa oggetto e soggetto della produzione. In questo nuovo contesto, in cui appunto la relazione fra individui è la macchina produttiva, il capitale perde centralità e potere. Questo è il dato innovativo che dà conto dei processi geopolitici di questi decenni, che hanno visto un inesorabile logoramento delle rendite di posizione sia degli Stati capitalisticamente centrali sia delle imprese dominanti sul mercato, come pure di interi settori capitalisticamente emblematici. Ritornare su queste potenzialità, liberarle da ogni inquinamento insurrezionalista e scioccamente belligerante, e tuttavia attivarne le opzioni di protagonismo sociale, è il compito che dovrebbe darsi una sinistra moderna. Sicuramente, comunque vada, è il contributo che ci lascia un uomo che non ho motivi per piangere, ma di cui dichiaro con forza l’importanza in vita e il rammarico politico per la sua scomparsa.

11. “Uomini e Profeti” Rai Radio3. Felice Cimatti intervista Tania Rispoli su Toni Negri
(nella prima parte della trasmissione, qui)

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