Breve sunto del libro che Raffaella ha pubblicato in Inglese su Apple Books: Tales Of Love and War. https://books.apple.com/us/
di Raffaella Ferraiolo Depero
Mio padre Umberto, di famiglia antifascista salernitana, fu tra i soldati italiani mandati a combattere nella Campagna d’Africa nel 1943 dai leader del regime fascista, che sacrificarono consapevolmente una generazione di giovani, destinandoli ad una morte certa o alla prigionia in un ultimo disperato tentativo di cambiare l’esito della Seconda guerra mondiale. Mentre due suoi fratelli più grandi erano riusciti a nascondersi per non combattere con i fascisti italiani contro gli Alleati, Umberto, il terzo di sei figli, fu costretto ad arruolarsi per evitare persecuzioni alla nostra famiglia. E in Africa fu catturato dagli Alleati nei pressi di Tunisi.
“Avevamo 250mila prigionieri ammassati in Tunisia, dove la scarsità di comunicazioni rendeva difficile il vettovagliamento e la sorveglianza e impossibile una rapida evacuazione... ci vorranno quattro mesi per evacuare tutti i prigionieri che abbiamo catturato... Perché le scuole militari non dicono che cosa si deve fare di un quarto di milione di prigionieri al capolinea di una stazione ferroviaria così mal ridotta che e impossibile spostarli e dove e difficile sorvegliarli e nutrirli?” (Dwight Eisenhower, Crociata p. 205) "... siamo poi passati dagli inglesi agli americani che ci facevano sorvegliare da soldati marocchini, il cui obbiettivo principale è stato quello di farci consegnare i portafogli, portare via denaro e oggetti di valore nonché molte fotografie che stracciavano con grande soddisfazione e tra le risa.” (Giovanni Santu, catturato il 13 maggio 1943: Prigionia. C’ero anch’io p. 154)
Mio padre e gli altri giovani catturati furono tormentati da sete, zanzare e fame, tanto che sulla strada a piedi verso Casablanca approfittarono di uno sciame di cavallette per sfamarsi. Da Casablanca partirono diretti negli Stati Uniti. Le navi piene di prigionieri erano scortate dalla flotta americana di stanza nel Mediterraneo, che aveva il compito di proteggere il convoglio e di stanare gli U-Boots tedeschi, i quali affondavano tutte le unità che non battevano bandiera nazista senza fare alcuna distinzione tra navi mercantili, ospedaliere e militari.
Durante la traversata, superato lo Stretto di Gibilterra, Umberto, affacciatosi dal ponte, si rese conto che la loro nave diretta in America era rimasta senza scorta e isolata, perché le altre navi cariche di prigionieri avevano virato per andare in India. Capì subito che qualche U-Boot avrebbe potuto silurarla. Visse così per alcuni giorni in un silenzio angoscioso, limitandosi a qualche parola di conforto per i suoi soldati che cominciavano a sentire i primi sintomi di disagio bellico.
Sbarcati a New-York, i nostri soldati in pantaloni corti, con le camicie strappate e comunque male in arnese, furono accolti dagli italo-americani che ne festeggiarono l’arrivo offrendo loro un pranzo con galloni di pasta e fagioli.
Trasferiti poi da New York in treni appositi, i POW [Prisoner of war] arrivarono alle diverse destinazioni loro assegnate. Umberto era sempre in compagnia del suo attendente, originario di Nocera. Quando, dopo alcuni giorni di viaggio il treno si fermò in una stazione alle prime luci del mattino, ai nostri soldati arrivavano alle orecchie suoni di ferraglie, stridii di frenate, il ciuffettare di qualche locomotiva. Incuriositi aprirono timidamente il finestrino e, primo fra tutti il signor tenente, Umberto si affacciò per inquadrare la situazione. Subito si rese conto di essere approdato in un altro mondo.
Le stazioni della sua amata Italia, sia quelle piccolissime gestite da un frustrato casellante e sia quelle delle grandi città come Roma o Milano, nulla avevano a che fare con quanto vide in una prima rapida occhiata. Lesse la scritta ‘St. Louis’ e con fare disincantato, anche per prevenire e limitare inutili euforie, disse in napoletano: “Guaglio’ simm’ a San Luìs”. Per loro St. Louis non voleva dire molto, non conoscevano il nome della città del Missouri, neanche per averlo sentito in qualche film. Perché in Italia durante il ventennio fascista era vietato usare qualunque termine inglese o americano. Insomma, quelle terre per il regime erano oltre la terra di mezzo.
La curiosità fu tanta. In ordine gerarchico si affacciò prima l’attendente del signor tenente che, aggrappatosi al finestrino, scrutò esterrefatto con gli occhi sbarrati e la curiosità di un lemure. Rientrato, tacque per circa un minuto acuendo la curiosità e le aspettative degli altri. Poi, come risvegliatosi da un sogno, si rivolse al suo demiurgo in rigorosa lingua napoletana: “Signor tenente, avete visto, ci sono treni di sopra, treni di sotto al nostro, un numero infinito! Signor tenente, ma còmme ‘a vulévem véncere ‘a uérra? ”.
Non si trattava della meraviglia di un turista, ma della presa di coscienza di un giovane, forse poco istruito e abituato ad arrangiarsi, che s’accorgeva di essere stato tradito. Lui, il Duce, lo aveva tradito, la propaganda era stata bugiarda e con quel suo “come volevamo vincere la guerra?” era come se dicesse: “E noi abbiamo rischiato la vita senza capire a cosa andavamo incontro, ingannati da una propaganda mendace”.
Umberto fu mandato nei campi di prigionia di Hereford e Wingarten, dove passò due anni. Dopo l’8 settembre 1943 i prigionieri di guerra Italiani furono considerati come possibili “alleati” degli anglo-americani. E nei primi mesi del ’44 i comandi statunitensi gli proposero un’adesione volontaria e individuale ad un programma di cooperazione. In tutti i campi di prigionia americani furono distribuite le schede di collaborazione. Per molti di loro non si trattò di una scelta facile. E soprattutto tra gli ufficiali ci furono tensioni, disaccordi e anche disordini.
...per un fenomeno particolare di “sincronicità acasuale” [...] ad Hereford finirono molti intellettuali italiani del nostro tempo (Aurelio Manzoni, Destinazione Hereford, Texas, USA)
Diversi prigionieri si ostinarono a rimanere fedeli al regime fascista. Altri alle ideologie comuniste. E non firmarono la scheda di cooperazione. (Si veda in proposito il dossier di Mario De Prospo: I prigionieri di guerra Italiani negli Stati Uniti e il dilemma della cooperazione.). Umberto, che in tutte le lettere spedite ai familiari auspicava la fine della guerra e delle distruzioni e desiderava la pace, firmò immediatamente. E fu mandato a Weingarten (Missouri), dove lavorò per un altro anno in campi di granoturco.
Nel frattempo a Salerno la sua fidanzata, Clorinda, che poi diventò mia madre, la sua famiglia e la famiglia di mio padre subirono i bombardamenti degli americani, assistettero poi allo sbarco delle loro truppe e patirono anche la vendetta dei nazisti durante la ritirata. Vissero mesi terribili.
Dal racconto di mamma: "I tedeschi prima di indietreggiare commisero tanti scempi, ragazze stuprate, famiglie intere di ebrei uccise. A me faceva tanta impressione quando uccidevano i fanciulli di quattordici, quindici anni davanti agli occhi delle madri ...I tedeschi rastrellavano tutto il territorio alla ricerca di giovani uomini (i traditori) per ucciderli. Zia Raffaella tenne nascosti i suoi figli maschi in un ammezzato e li faceva mangiare di notte.. Subito dopo lo sbarco degli alleati a Salerno, gli americani scendevano con i paracadute portando cibo e medicine, ma i nazisti arroccati sulle colline di Giovi sparavano e li uccidevano. I paracadute atterravano sul mare o nelle strade e le ragazze, diventate insensibili a tutte le atrocità della guerra, correvano a prenderli. Erano di seta e ci facevano camicette e vestiti."
Per molto tempo l’Italia fu divisa in due parti e non c’era modo di procurarsi cibo se non attraverso il mercato nero. Spesso i miei parenti dovettero vendere argenteria e tovaglie ricamate per ottenere un chilo di patate o spesso solo bucce di patate. Stavano davvero morendo di fame, ma fino al suo ritorno in Italia, mio padre non ebbe alcuna idea delle terribili difficoltà che la sua famiglia stava affrontando.
Dagli Stati Uniti, Umberto continuò ad inviare piccoli regali alla famiglia e alla sua fidanzata, come cioccolato o crema per il viso. Aveva lasciato in Italia una famiglia agiata e, quindi, non gli passò mai per la mente che avrebbe dovuto inviare fagioli e carne in scatola invece di crema per il viso. E nessuno ebbe mai il coraggio di chiedere di inviare cibo, per non dargli preoccupazioni.
La storia successiva è quella di mia madre Clorinda. Aveva 20 anni quando la sua famiglia, per sfuggire ai bombardamenti, fuggì a Buccino, una piccola città a circa 40 Km. nell’entroterra di Salerno. I soldati americani, ormai sbarcati, arrivarono anche nella piazza di Buccino sui carri armati, regalarono cioccolato, caramelle e sigarette alla folla festante di bambini e adolescenti. Clorinda era indecisa se andare da sola a prendere le leccornie dai soldati americani o risalire le scale di casa per chiamare sua sorella Anna perché anche lei prendesse quei doni. Decise di salire le scale e chiamare sua sorella. E questo le salvò la vita. Infatti, mentre stava salendo le scale, due aerei tedeschi si avvicinarono in picchiata sulla piazza di Buccino e spararono uccidendo tutti i soldati americani e tutti i ragazzini attorno a loro. Oggi in quella piazza c’è una lapide che ricorda l’eccidio.
Con l’arrivo dei liberatori americani a Salerno, le cose migliorarono e mia nonna riuscì a trovare persino gli ingredienti per preparare gli “struffoli” da mandare a suo figlio Umberto ancora prigioniero di guerra negli Stati Uniti. Preparò il dolce, lo imballò con amore e consegnò il pacchetto a un soldato americano che aveva conosciuto a Salerno e che le promise di portarlo ad Umberto in America. Povera donna! Non le passò mai per la mente che i soldati americani avrebbero gradito così tanto il suo dolce. E, infatti, gli “struffoli” non arrivarono mai in Texas. E lei per mesi continuò a scrivere al figlio chiedendogli se avesse ricevuto gli struffoli.
A quei tempi le comunicazioni lasciavano molto a desiderare. Spesso le lettere arrivavano oltre Oceano dopo più di sei/sette mesi. E Clorinda per comunicare con il suo amore lontano, aveva preso l’abitudine di parlare con il mare, che divideva e univa i due innamorati.
Con la fine della guerra e il matrimonio tra Umberto e Clorinda finiscono i racconti di babbo, finiscono le storie che raccontava mamma e finisce anche questa storia. Ma la love story di Umberto e Clorinda non finisce qui. l miei genitori vissero insieme per moltissimi anni, sessantadue per essere precisi. Ebbero cinque figli, sette nipoti e, finora, tredici pronipoti.
Umberto morì nel 2008, a 89 anni, circondato dall’affetto dei suoi cari. Clorinda, gli sopravvisse per altri cinque anni relegata su una sedia a rotelle ma senza mai perdere il suo dolce sorriso. Ci chiedeva spesso di spingere la sua carrozzella di fronte a un balcone che guarda il mare. E in questi casi, nessuno di noi osava disturbarla, proprio perché ci aveva raccontato che, quando lei fissava il mare, stava parlando con Umberto.
Nel raccontare la storia d’amore dei miei giovani genitori durante la Seconda Guerra Mondiale, denuncio tutte le guerre e tutti i leader che vogliono le guerre. Rivivendo la loro storia, mi sono resa conto che, per rendere i suoi racconti di guerra adatti a noi figli, babbo li purgava da tutti gli orrori, le brutalità, le brutture e le miserie comuni a tutte le guerre, ma di cui la Seconda Guerra Mondiale era stata tragicamente piena.
Ho sempre contestato tutte le guerre – Vietnam, Afghanistan, Iraq e ora Russia-Ucraina e Israele-Palestina – che la mia generazione ha vissuto anche se solo attraverso la televisione o i giornali. Ho sempre sofferto per I disagi e le sofferenze dei militari e dei civili. E le testimonianze che ho ricevuto dai miei genitori mi fanno odiare ancora di più tutte le guerre e mi fanno sentire con più forza il dovere morale di smascherare, criticare e combattere le menzogne dei potenti che con gloriose retoriche nascondono i loro veri interessi.
ANALOGIE
1.
“Mio padre e gli altri giovani catturati furono tormentati da sete, zanzare e fame, tanto che sulla strada a piedi verso Casablanca approfittarono di uno sciame di cavallette per sfamarsi”.
2.
Tonino Guerra citato su una pagina FB:
Contento, proprio contento
sono stato molte volte nella vita
ma più di tutte quando
mi hanno liberato in Germania
che mi sono messo a guardare una farfalla
senza la voglia di mangiarla.
Contento, proprio contento –