Il valore universalistico del Giorno della Memoria

Memoriale della Shoah – Berlino

di Donato Salzarulo

1.- Ciò che sta accadendo a Gaza in questi mesi costringe forse tutti noi a celebrare il Giorno della Memoria in modo meno rituale e più problematico, interrogandoci sul senso della commemorazione e sulle sue finalità. Non basta dire o augurarsi “mai più!” se quotidianamente siamo spettatori di massacri, crimini di guerra e/o crimini contro l’umanità. Non possiamo far finta di niente. Non possiamo rimuovere il fatto che in queste settimane il Governo del Sudafrica ha denunciato quello israeliano alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia per genocidio.

So che “genocidio” è un concetto coniato da Raphael Lemkin, un giurista ebreo, polacco; ho letto la definizione che ne dà l’art. 2 della “Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio” («per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religiose, come tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro»), non sono un giurista e il Governo sudafricano avrà certamente strumenti e avvocati per dimostrare l’atto di accusa. Detto questo, siccome la Corte internazionale di Giustizia, non è la “padrona” delle parole, non mi meraviglio se ognuno/a la usa per ragioni pacifiste o di denuncia della mattanza che si sta consumando a Gaza. Per quanto mi riguarda, seguirò con attenzione ciò che accadrà nel Tribunale dell’Aia.

Detto questo, la situazione è, comunque, allarmante e non ci si può rifugiare nell’indifferenza perché, come lo sterminio degli ebrei ci ha insegnato, alla “soluzione finale” si arriva passando attraverso tappe intermedie (soffocamento della democrazia liberale, approvazione di leggi discriminatorie e razziali, disumanizzazione delle vittime, ecc.) realizzate proprio tra l’indifferenza e l’obbedienza delle popolazioni. Stare allerta, dunque, è un dovere. Per questo ho letto con attenzione partecipe la lunga conversazione pubblicata sul numero 634 (21 gennaio 2024) del settimanale «La Lettura», una conversazione assai interessante fra David Bidussa, Gabriele Nissim e Ugo Volli, curata da Antonio Carioti e intitolata “Vuoti di memoria”.

Sono rimasto particolarmente colpito dagli interventi dello storico David Bidussa.

Alla domanda se ciò che sta accadendo a Gaza contribuisce a mettere in crisi il Giorno della Memoria, la sua risposta è questa:

«Sì, ma solo in parte. Il problema più grave resta la scelta di mettere le vittime al centro del 27 gennaio. Invece di analizzare i progetti e i comportamenti relativi alla Shoah si è privilegiato un dato etico. Poiché abbiamo evitato di porci le domande più difficili, ce le ritroviamo inevase vent’anni dopo e non solo per via di Gaza. Le date dei calendari civili, a parte quelle fondative, hanno un andamento sinusoidale: di volta in volta acquistano rilevanza o la perdono. Così è stato in Italia, ad esempio, per il 4 novembre. Tutto dipende dal linguaggio che in quel momento diventa dominante per costruire un’identità. Da questo punto di vista il 27 gennaio è una data problematica. Perché mette al centro qualcuno che tu hai difficoltà a riconoscere come appartenente al tuo gruppo. È una sorta di concessione, non l’esame di coscienza che sarebbe necessario. Si tratta di un grave limite del modo in cui abbiamo assunto il 27 gennaio. Occorre chiederci con franchezza quanto è stato efficace il Giorno della Memoria, se è entrato a far parte della vita quotidiana o se è stato archiviato. Se non ci poniamo queste domande, continuerà ad essere una concessione a qualcuno. E così non va.»

2.-Nella conversazione si discute prevalentemente della prossima commemorazione relativa al Giorno della Memoria, ma non mancano domande sulla relazione tra la data del 27 gennaio e quella del 23 agosto, votata dal Parlamento europeo come “Giornata di commemorazione delle vittime dei regimi totalitari”. Questa risoluzione, come è noto, è stata voluta soprattutto dalla Polonia e dagli Stati dell’Est con la motivazione che il patto Molotov-Ribbentrop del 1939 rappresentò un momento determinante per l’invasione e l’occupazione della Polonia da parte della Germania e dell’URSS.

Gabriele Nissim non ritiene che il Giorno della Memoria possa essere messo in secondo piano dalla Giornata di commemorazione del 23 agosto e anche Ugo Volli non vede contraddizione fra le due date. David Bidussa, invece, pur non contestandone la legittimità, osserva che «corrisponde alla riscoperta di identità nazionale, quelle della Polonia e dei Paesi baltici, che fanno i conti con un loro problema interno». Tutt’altra dovrebbe essere la finalità del Giorno della Memoria che dovrebbe avere “un valore universalistico”. Su questo punto lo storico è quanto mai esplicito:

«I calendari civili non servono per stabilire la verità, ma per costruire una sensibilità pubblica. Di solito le feste nazionali sono istituite subito dopo i fatti: vale in Italia per il 4 novembre, fissato subito dopo la vittoria nella Prima guerra mondiale, e per il 25 aprile. Perché invece il 27 gennaio viene istituito a oltre 50 anni di distanza? Perché si cerca di suscitare una religione civica dell’Europa, alla quale serve una data che non sia nazionale, ma abbia un valore universalistico. Il 27 gennaio non è un regalo agli ebrei, si rivolge all’intera umanità.»

I due punti da sottolineare mi sembrano fondamentali: a) suscitare una religione civica dell’Europa; b) non interpretare il Giorno come un regalo, una concessione fatta agli Ebrei. Se lo si interpreta in questo modo, la Shoah, genocidio indubbiamente unico ed eccezionale, rischia, tuttavia, d’innescare una sorta di gara storica a chi è o è stato più vittima. Durante tutta la conversazione, Bidussa ripete più volte questo concetto: è sbagliato mettere le vittime al centro.

«A mio avviso al centro della celebrazione del 27 gennaio non devono esserci le vittime. Come sosteneva lo storico Raul Hilberg, l’attenzione deve piuttosto andare ai carnefici da una parte e dall’altra agli spettatori, alla “zona grigia”: al comportamento delle società europee durante lo sterminio. […] Le celebrazioni pubbliche del 27 gennaio hanno posto in primo piano le vittime, i sopravvissuti ai lager, invece di guardare alle condizioni sociali e culturali che avevano reso possibile la Shoah.»

Bidussa distingue nettamente le celebrazioni o le feste nazionali dal Giorno della Memoria. Le prime hanno un valore nazionale, il secondo ha un valore universalistico. Dovrebbe promuovere una “religione civica” europea per riflettere sul passato delle singole nazioni, per fare i conti con la propria storia e raccontarsi non soltanto i momenti gloriosi, ma anche quelli bui. La Polonia, ad esempio, che è stata “vittima” del nazismo e del comunismo staliniano, non può polemizzare col libro di Jan Tomasz Gross I carnefici della porta accanto, che parla di una comunità ebraica massacrata dai civili polacchi nel 1941, così come la Francia non può glissare sulla ribellione degli algerini nella regione di Sétif, ribellione «repressa – sostiene Bidussa – con un vasto spargimento di sangue nel 1945. Secondo le autorità di Parigi le vittime furono 1.500, secondo fonti algerine 45 mila. Ci sono voluti 60 anni per raccontarci quell’evento.» Il discorso vale per le altre nazioni e ovviamente anche per l’Italia col suo passato coloniale. Tutte le vittime sono uniche e tutte reclamano l’eccezionalità dei massacri o dei crimini subìti. Per questo, insiste lo storico, al centro del Giorno della Memoria dovrebbero esserci i progetti e i comportamenti relativi alla Shoah; occorrerebbe prestare attenzione ai carnefici, agli spettatori della “zona grigia”, al comportamento delle società europee, alla responsabilità collettiva per quanto è avvenuto. Nella memoria pubblica dovrebbe entrare

«un libro come Modernità e Olocausto di Zygmunt Bauman, in cui l’autore sostiene che i genocidi come la Shoah possono avvenire non perché gli uomini sono crudeli, ma perché sono obbedienti. Il punto è se la coscienza individuale avverte la straordinarietà di quanto sta accadendo nel corso delle tappe intermedie di costruzione del nemico […]. In fondo alla base della Shoah come del Gulag sta l’idea che bisogna difendersi da un complotto che vuole sovvertire l’ordine.»

L’accenno al complotto serve a Bidussa per farci toccare con mano il presente:

«Il complottismo ci parla del 2024, non solo del 1939. E nel 2023 il terzo libro più venduto in Italia è stato quello del generale Roberto Vannacci, che si regge esattamente su una logica cospirazionista. Se non vogliamo evitare una memoria solo celebrativa, ma ragionare sulle falle mentali dei nostri contemporanei, la riflessione sul Gulag e sulla Shoah deve analizzare i meccanismi attraverso i quali, partendo dalla paura del nemico, si può costruire una politica.»

In sintesi, mi pare che nei pensieri e nelle parole di Bidussa siano indicati chiaramente i limiti delle celebrazioni pubbliche del 27 gennaio: mettere in primo piano le vittime, le nazioni e gli Stati non si assumono la responsabilità di fare i conti con il loro passato, non si analizzano le condizioni sociali e culturali, i meccanismi che hanno reso possibile la Shoah: complottismo, vittimismo, costruzione del nemico, suscitare nei cittadini lo spirito servile ed obbediente, ecc.

Concludo con un invito: se un libro come Modernità e Olocausto di Zygmunt Bauman non è entrato nella memoria pubblica perché non prenderne atto, e nelle scuole, nelle università, nelle Biblioteche, nelle associazioni, nelle case, dovunque è possibile, lo si prende in mano e si organizzano dei gruppi di lettura, lo si legge individualmente o collettivamente e lo si discute?…Se ho inteso bene, la posizione di Bidussa: basta complottismo, basta giornate delle vittime, le feste nazionali se le facciano i singoli Stati, la celebrazione del Giorno della Memoria ha senso se s’intende promuoverne una visione civile capace di farsi carico dei momenti gloriosi e di quelli bui della storia di ogni singola nazione. Noi italiani non amiamo la nostra patria se continuiamo a dipingerci soltanto come “brava gente” e dimentichiamo le leggi razziali, il nostro passato colonialista, ecc. ecc.

La storia bisogna studiarla tutta.

24 gennaio 2024

14 pensieri su “Il valore universalistico del Giorno della Memoria

  1. La storia va studiata tutta e qui che casca l’asino, la maggior parte delle persone fa fatica a studiarla e non la studia. Quindi chi ne ha facoltà è bene che riesca a trasmetterla efficacemente. Forse il senso delle ricorrenze ufficiali può essere proprio quello di sollecitare il confronto e la diffusione della conoscenza storica.

  2. Siccome su questa Giornata della Memoria ci saranno molte prese di posizione anche dissponanti tra loro, cercherò di raccogliere quelle che mi paiono più interessanti

    SEGNALAZIONE 1

    Franco Berardi (pagina FB)

    A PROPOSITO DELL’EDITORIALE DEL MANIFESTO
    il giorno sbagliato per avere ragione
    del 26 gennaio 2024

    Leggo Il Manifesto dal 28 febbraio 1971. Molte volte mi sono arrabbiato con questo o quell’articolo, ma non ho mai avuto dubbi sul fatto che questo fosse il mio giornale.
    Se mi chiedo perché tanto a lungo ho provato quel sentimento di condivisione spontanea, oggi la risposta è: perché era un giornale internazionalista. Non ideologicamente, ma naturalmente internazionalista. Perché quel gruppo di persone (con cui spesso ero in disaccordo) era spontaneamente, vorrei dire antropologicamente estranea all’identificazione nazionale, all’appartenenza culturale, alla civiltà bianca.
    Come la cultura operaia, se esiste una cultura operaia.
    In questo senso Il Manifesto è sempre stato per me anche un giornale ebreo. L’ebraismo, per me, è sempre stato la cultura della dissidenza, della non appartenenza. Della diaspora, certo. Mi sono sempre sentito ebreo perché non c’è dubbio che la cultura ebraica moderna è stata la cultura della disidentità, la cultura in cui la ragione prevale sulla Kultur, il pensiero prevale sull’appartenenza.
    Il Manifesto mi ha sempre permesso di respirare quell’aria di non appartenenza, di non identità, cioè di internazionalismo.
    La classe operaia, del resto, non è forse la classe di coloro che non appartengono a nessuna identità, la classe degli estranei, dei senza patria, come gli ebrei?
    Oggi, leggendo l’editoriale di Andrea Fabozzi, ho capito, con un po’ di dolore, che Il Manifesto non è più il mio giornale. Quell’editoriale è ipocrita come gli articoli di tutti i giornalisti bianchi non internazionalisti. Fabozzi si contorce e si arrampica sugli specchi per non dire le cose come stanno: che Israele non ha niente a che fare con la cultura ebraica, anzi ne è la negazione.
    Israele è l’abbandono dell’internazionalismo in nome di una patria assassina come ogni altra patria.
    Fabozzi ci ripete l’oscena bugia dell’unicità dell’Olocausto.
    L’Olocausto è unico in quanto sterminio di bianchi. In questo senso, e solo in questo senso si può parlare della sua unicità, dimenticando il genocidio perfetto da cui nascono gli Stati Uniti d’America, dimenticando la deportazione di quindici milioni di africani, dimenticando il genocidio della popolazione originaria del continente australiano, dimenticando tutta la storia del colonialismo bianco.
    Con questo triste editoriale Il Manifesto è diventato un giornale bianco.
    Non può più essere il mio giornale.

  3. SEGNALAZIONE 2

    ƏA – Laboratorio Ebraico Antirazzista (pagina FB)

    ·
    Come ebree ed ebrei italiani ci chiediamo come sia possibile affrontare questo 27 gennaio. Il Giorno della Memoria è in crisi di senso e oggetto di distorsioni da vari anni, ma quest’anno la situazione è particolarmente complessa. Affiorano due narrazioni estremamente problematiche che la mettono in relazione con la strage del 7 ottobre e il massacro in corso a Gaza. Una parla di un rivolgimento quasi metafisico: “gli ebrei”, da vittime della Shoah, sarebbero diventati a loro volta carnefici e autori di un uguale genocidio a Gaza – con conseguente ostilità verso tutti gli ebrei. L’altra vede il passato e il presente de”gli ebrei” sotto la comune e unica lente della violenza dell’antisemitismo, che ieri animava i nazisti, oggi muoverebbe i palestinesi e chi nel mondo si mostra critico nei confronti di Israele.
    Riteniamo entrambe le narrazioni frutto della combinazione di due equivoci.
    Il primo equivoco è quello di vedere “gli ebrei” come una entità monolitica e astorica oggi incarnata nello stato d’Israele, ignorando la differenza di categoria tra un popolo e uno stato-nazione – dove peraltro gli ebrei discendenti di sopravvissuti non sono la maggioranza – o ignorando la storia di decenni di occupazione militare.
    Questa confusione rende possibili affermazioni aberranti come quella che “gli ebrei” non avrebbero “imparato la lezione” di non opprimere altri popoli, come se Auschwitz fosse stata una specie di scuola e non un gigantesco trauma. E rende possibile pensare che un sostegno acritico a Israele possa espiare le colpe storiche nei confronti de”gli ebrei”.
    Il secondo equivoco è l’interpretazione della giornata della memoria come giornata di mera commemorazione rituale delle sue vittime: rom, persone LGBTQ, disabili, oppositori politici, lavoratrici e lavoratori in sciopero. Ed ebrei. Con omaggi retorici e facili condanne al male assoluto, magari glissando sulla complicità fascista nella catastrofe. Così le commemorazioni diventano luogo amico per forze di destra xenofoba, eredi o nostalgiche degli assassini e dei persecutori dei nostri nonni e nonne, che intendono così ripulire la propria immagine e rendere più accettabili le proprie politiche razziste.
    Di fronte a questo spettacolo a tratti lugubre, melenso, noioso, ipocrita, è inevitabile che qualcuno si chieda se “gli ebrei” in fondo siano meritevoli, oggi, di tanta speciale attenzione e compassione.
    In quanto ebree ed ebrei italiani, rivendichiamo oggi il diritto di ricordare i nostri morti insieme a tutta la società, senza interferenze in cui ci si chieda conto di crimini commessi da altri attori altrove.
    In quanto cittadini europei, pensiamo che il Giorno della Memoria, oltre che commemorazione, dovrebbe essere soprattutto occasione di riflessione sulle responsabilità della moderna società europea in merito al peggior crimine che abbia macchiato il continente. Un momento per esaminare come nazionalismo, militarismo, razzismo, e pratiche coloniali riportate in madrepatria abbiano dato luogo a politiche di disumanizzazione e persecuzione che infine, con tecniche industriali e il coinvolgimento e l’avallo di milioni di persone, hanno portato all’immane sterminio.
    Vogliamo che questa consapevolezza serva non per mettere altre tragedie sullo stesso piano delle Shoah, ma per analizzare e identificare ingredienti simili nel nostro presente. Li scorgiamo nel modo in cui i governi europei criminalizzano persone straniere in ragione della propria provenienza o religione, finanziano l’incarcerazione dei migranti in condizioni disumane, e attuano politiche che spesso ne provocano la morte alle frontiere del continente.
    E dopo aver visto con orrore le immagini del 7 ottobre, la cui efferatezza ha risvegliato in noi traumi profondissimi, vediamo oggi la disumanizzazione omicida all’opera nel modo in cui Israele sta distruggendo la striscia di Gaza nell’indifferenza della comunità internazionale e dei media, uccidendone la popolazione e annientando il suo diritto a un’esistenza libera e dignitosa.
    In quanto ebree ed ebrei che portiamo oggi il trauma e rabbia per il ricordo del passato, non vogliamo essere né essenzializzati né strumentalizzati; vogliamo invece che dal nostro dolore e dallo studio del passato e del presente nasca la forza per capirsi, incontrarsi, e convivere lottando insieme contro tutte le ingiustizie.

    Ləa – Laboratorio Ebraico Antirazzista

  4. A Donato Salzarulo,

    che se non mi sbaglio era seduto alla mia sinistra all’incontro con Paola Caridi e Stefano Levi della Torre, direi questo:

    Ciò che scrivi tu all’inizio su Gaza è completamente disatteso dalle parole di Bidussa.

    Che io credo tu non interpreti bene.

    Bidussa dicendo che la Giornata della memoria è

    “una sorta di concessione, non l’esame di coscienza che sarebbe necessario. Si tratta di un grave limite del modo in cui abbiamo assunto il 27 gennaio. Occorre chiederci con franchezza quanto è stato efficace il Giorno della Memoria, se è entrato a far parte della vita quotidiana o se è stato archiviato. Se non ci poniamo queste domande, continuerà ad essere una concessione a qualcuno. E così non va.»

    sostiene che la società cristiana occidentale dovrebbe essere messa ancora di più sotto torchio sul banco degli imputati (“esame di coscienza”), dovrebbe essere sotto accusa in modo permanente, giorno dopo giorno (“quanto è stato efficace il Giorno della Memoria, se è entrato a far parte della vita quotidiana”).

    Per Bidussa l’efficacia del giorno della memoria si misura in una espiazione senza fine dell’Occidente cristiano verso gli ebrei.

    Per te, all’inizio, l’efficacia della Giornata si misurava nel reagire a ogni tipo di genocidio, per esempio a quello in corso (o a rischio) a Gaza. Nel momento in cui Bidussa chiede un esame di coscienza verso la Shoah pone in automatico Israele al di fuori da questa pratica dell’esame di coscienza.

    In altre parole, Bidussa, fa tutto il contrario di chiedere una universalizzazione della Giornata della memoria come commemorazione di ogni genocidio, cui dovrebbe sottoporsi anche Israele. Tu, caro Donato, sei partito da una a mio parere giustissima constatazione sul cambiamento di percezione in atto verso la Giornata della memoria dopo quello che è in corso a Gaza, ma poi sei andato a cercare nelle parole di Bidussa un modo per rendere più “efficace” il messaggio di quella giornata senza renderti conto che Bidussa è parte del problema.

  5. SEGNALAZIONE 3

    La memoria non può essere una clava
    Salvatore Cannavò
    Enzo Traverso
    27 Gennaio 2024

    Chi equipara ebrei e nazisti legittima l’antisemitismo. Ma usare la Shoa per giustificare la guerra a Gaza è il modo peggiore per commemorare ciò che è avvenuto, dice Enzo Traverso

    Il Giorno della Memoria si interseca inevitabilmente con quanto avviene a Gaza e in generale in Medio Oriente. Mai come quest’anno la sua celebrazione si colora di polemiche e contrasti nuovi, basti pensare a quelle in Italia sulle manifestazioni pro-palestinesi convocate per il 27 gennaio e di cui le comunità ebraiche hanno chiesto il divieto. Oppure il comunicato dell’Anpi, che considera «un errore gravissimo mettere sullo stesso piano la Shoah e altre, pur terrificanti vicende di oggi» e che è stato bersagliato da moltissime reazioni negative da sinistra sul profilo Instagram su cui è stato pubblicato. Materia complicata e infuocata, appunto, che ci ha indotto a sentire l’opinione di uno degli storici più apprezzati nel mondo della sinistra internazionale, Enzo Traverso, autore de La violenza nazista, La fine della modernità ebraica, Melanconia di sinistra fino al più recente Rivoluzione, 1789-1989: un’altra storia. Traverso insegna oggi alla Cornell University negli Stati uniti, facciamo con lui una lunga conversazione in collegamento video.

    Il Giorno della Memoria si sovrappone quest’anno a quel che sta accadendo a Gaza in un contesto di comparazioni sempre più inedite e arbitrarie dal punto di vista storico. Ci sono infatti coloro che paragonano la Shoah a un «genocidio» dei palestinesi in corso e al contrario c’è chi tende a equiparare il nazismo alla mattanza del 7 ottobre. Come si può fare chiarezza e adottare un punto di vista coerente in questo contesto?

    Il tema è delicato e pieno di tranelli. Bisogna fare molta attenzione a dove si mettono i piedi perché il rischio è di cadere in una trappola e suscitare in modo involontario dei malintesi o degli equivoci. La prima questione cui fare molta attenzione è quindi proprio il comparativismo che pure è parte integrante del laboratorio degli storici. In linea di principio la storia non si comprende senza comparare e sul piano storiografico il comparativismo serve per costruire le giuste analogie e soprattutto individuare le differenze. In questo caso sono soprattutto le differenze che emergono nettamente.

    Ma c’è un altro tipo di comparativismo che mi lascia molto più perplesso ed è quello che reca con sé l’uso pubblico della memoria e l’uso pubblico del passato. In questo caso gli utilizzi non sono solo politici, ma spesso demagogici. Da un lato è evidente che definire il 7 ottobre come un attacco terroristico a vocazione genocida ha una connotazione politica, consentendo alla risposta israeliana di diventare immediatamente legittima. Dall’altro, dire che la guerra di Gaza è come l’Olocausto ha come conseguenza implicita sostenere che se l’Olocausto è il peggior crimine e gli ebrei fanno la stessa cosa vuol dire allora che non c’è differenza tra vittime e carnefici. Questi approcci vanno criticati. Non credo tuttavia si possa separare il Giorno della Memoria da quel che avviene a Gaza. Il Giorno della Memoria ha un senso se serve ad affermare che dopo l’Olocausto non possiamo più tollerare nessuna forma di esclusione, discriminazione e oppressione; quindi oggi significa anche manifestare per fermare la distruzione di Gaza e una guerra che sta prendendo dei tratti genocidi. La memoria è il frutto di un’interazione permanente tra passato e presente, non si può conservare in vitro come una reliquia. Se commemorare l’Olocausto significa ricordare il genocidio degli ebrei per separarlo da tutto quello che è avvenuto dopo, o peggio per giustificare la guerra a Gaza, credo sia il modo peggiore di commemorare l’Olocausto. Viviamo in un mondo in cui gli ebrei non sono più una minoranza oppressa e in cui, al contrario, stanno dilagando l’islamofobia e altre forme di razzismo; la memoria della Shoah serve ad agire in questo contesto. Ovviamente ciò significa anche prendere una serie di precauzioni, evitando l’equivoco dell’equiparazione tra ebrei e nazisti e tra vittime e carnefici altrimenti facciamo del Giorno della Memoria un pretesto per legittimare l’antisemitismo. Questo non è accettabile.

    Cosa pensi del rischio di antisemitismo a sinistra? Ci sono molte accuse in questo senso, in Francia è montata una polemica molto dura nei confronti di Jean-Luc Melenchon e de La France Insumis, ma anche in Italia ci sono questi attacchi e del resto in alcuni settori, molto marginali, un po’ di antisemitismo a sinistra, sull’onda di quanto Israele sta compiendo a Gaza, si percepisce.

    Il rischio lo vedo e penso che l’antisemitismo vada combattuto senza esitazioni ogni volta che si manifesta. Ha conosciuto una recrudescenza dopo il 7 ottobre, ma sono anche convinto che l’antisemitismo come esiste oggi in Occidente sia un pregiudizio di natura diversa rispetto all’islamofobia, alla xenofobia e al razzismo che colpiscono in primo luogo i migranti e i profughi che arrivano dal sud del mondo e che sono percepiti come una minaccia nei confronti dell’Europa. La lotta contro l’antisemitismo è diventata sempre più una bandiera della destra e di tutti quei governi che acriticamente difendono Israele e la sua politica. Non c’è dubbio che uno dei compiti della sinistra sia quello di combattere l’antisemitismo, ma bisogna farlo prendendo atto di questo nuovo contesto, cogliendo le differenze con il passato. Il nuovo antisemitismo che si sta diffondendo e che alligna anche a sinistra è alimentato dalla politica israeliana e dalla legittimazione che trova in Occidente. C’è un antisemitismo che esiste da tempo, soprattutto nel mondo arabo, secondo il quale l’Olocausto sarebbe un «mito». Questa idea è diffusa al di là delle correnti negazioniste composte fortunatamente da sette insignificanti secondo cui le camere a gas non sarebbero mai esistite. L’idea consiste nel pensare che la memoria dell’Olocausto serva essenzialmente a favorire Israele e le élites ebraiche al potere. Questa è una forma diffusa di antisemitismo.

    Ora, il fatto che Israele stia conducendo una guerra di distruzione a Gaza in nome della memoria dell’Olocausto rischia ovviamente di rafforzare questo pregiudizio. Ecco quindi che si è formato un antisemitismo organicamente legato alla crisi mediorientale e su cui bisogna fare chiarezza. Per questo dire che le due cose – memoria e fatti attuali – sono separate e non hanno niente a che vedere l’una con l’altra mi sembra fuorviante. Sono molto scettico su tutte le memorie istituzionalizzate, compresa la memoria delle rivoluzioni. Quando diventano memorie ufficiali, memorie di Stato celebrate attraverso liturgie istituzionali, rischiano di diventare distanti, asettiche, e perdere le loro virtù. L’antifascismo trasformato in memoria di Stato nei paesi del socialismo reale è diventato un’impostura. In Israele, la memoria dell’Olocausto sta conoscendo una traiettoria simile, e questo rischio si estende oggi al mondo occidentale nel suo insieme. In Italia c’è una certa ipocrisia nel commemorare l’Olocausto – Roma e Milano sono in competizione per ospitare il museo dell’Olocausto – ma nessuno si sognerebbe di creare un memoriale per ricordare le vittime del fascismo italiano in Africa o nei Balcani. La Germania ha costruito un memoriale dell’Olocausto nella capitale per ricordare i propri crimini: dovremmo fare lo stesso per ricordare i nostri crimini, che non si riducono alla complicità nell’Olocausto .

    (DA https://jacobinitalia.it/la-memoria-non-puo-essere-una-clava/?fbclid=IwAR3R4IaP1wSFWAOInwyd8zhCb0OnAKhAvKnnkogAzlBIVMH9kQQs1U_H89Y)

  6. Mi permetto di aggiungere la segnalazione che io condivido totalmente:

    SEGNALAZIONE 4:

    “Noi, discendenti di sopravvissuti all’Olocausto, chiediamo al mondo intero, in questa Giornata della Memoria, di unirsi a noi nel lavorare per porre fine al genocidio del governo israeliano nei confronti del popolo palestinese, permesso e sostenuto dal governo statunitense.

    Il governo israeliano ha reso molto chiaro il suo intento di distruggere la vita dei palestinesi a Gaza. Per giustificare questa orribile violenza, il governo israeliano ha spudoratamente manipolato il trauma dell’Olocausto. Come discendenti, siamo indignati dal fatto che la memoria dei nostri antenati venga usata per giustificare lo stesso tipo di orrore che viene inflitto ad altri. Gridiamo contro questo assalto genocida: Non in nostro nome!

    Come discendenti, riconosciamo che il genocidio non rende nessuno più sicuro. Non siamo soli nel nostro trauma e abbiamo il dovere collettivo di impedire che altri subiscano danni simili. Invece di ignorare la lezione chiave dell’Olocausto – che Mai più significa mai più per nessuno – e di manipolare il nostro trauma per sostenere una guerra genocida, scegliamo di investire in valori ebraici come tzedek tzedek tirdof (giustizia, giustizia da perseguire) e tikkun olam (riparazione del mondo) proprio qui e ora, dove siamo.

    Collettivamente, siamo noi a determinare quale sarà l’eredità della memoria dell’Olocausto. Possiamo armare il nostro dolore e iscrivere i nomi dei nostri antenati sulle banconote e sulle bombe che sono gli strumenti del genocidio. Oppure, possiamo portare la memoria dei nostri antenati in azioni che ci uniscono e ci proteggono tutti. Noi scegliamo la seconda: Palestina libera!”

    Jewish Voice for Peace, i membri discendenti dei sopravvissuti all’Olocausto.

    Traduzione automatica, preso dal sito: https://www.jewishvoiceforpeace.org/2024/01/26/this-holocaust-remembrance-day-stop-genocide/

    Questi a mio parere sono gli ebrei che rappresentano quella che una volta si sarebbe chiamata l’avanguardia progressista. In Italia la Rete degli ebrei contro l’occupazione, formata da meno di dieci persone e operante fino a qualche anno fa, faceva parte della Jewish Voice for Peace.

  7. SEGNALAZIONE 5

    Carlo Rovelli (PAGINA FB)

    Il nostro paese crede nella legalità? Crede nella democrazia? Se la risposta è sì, può fare oggi un passo perché valori di legalità e democrazia prevalgano nel mondo. La più alta corte della organizzazione di tutti i paesi del mondo si è pronunciata. Una schiacciante maggioranza dei paesi del mondo si è pronunciata. Nel pianeta, la maggioranza globale è vastissima e coerente. L’Italia si trova schiacciata dentro una minoranza sempre più isolata, sempre più chiaramente in contraddizione con i valori di legalità, democrazia, rispetto della maggioranza. È schiacciata su una minoranza che si impone con la brutalità delle armi e una violenza estrema, che ha già portato alla morte di centinaia di migliaia di civili, e sta continuando massacri ogni giorno. La decisione di ieri della Corte Internazionale di Giustizia apre un possibile capitolo nuovo nella storia del mondo. Vogliamo stare dalla parte della legalità internazionale, dalla parte di un ordine mondiale basato su dialogo e consenso, oppure dalla parte di chi da decenni impone il proprio volere di minoranza massacrando esseri umani? Dal Vietnam all’Iraq, dall’Afghanistan alla Palestina, c’è una interminabile scia di dolore che continua. Vogliamo contribuire ad alimentarla o provare a fermarla? Oggi c’è una strada di legalità e consenso che si apre. L’Italia la vuole seguire?

  8. le ultime due voci, quella espressa da Jewish Voice for Peace e quella di Franco Rovelli, per la trasparenza della posizione morale nei confronti del conflitto decennale Israelo-Palestinese e per la lucidità del ragionamento, mi paiono le piu’ attendibili…Entrambe coraggiose, ma soprattutto la prima, ebraica, che non sarà stata scevra di un profondo travaglio interiore, esprimendosi contro una frangia degenerata di una parte del proprio popolo, meglio di chi lo comanda o lo appoggia…Purtroppo queste voci sono poco, o per niente, sostenute dal tam tam dei media…E non sono voci isolate, se si pensa alle numerose manifestazioni pro Palestina, solo ignorate…Ora aspettimo il prossimo pronunciamento del Tribunale dell’Aja…Se ne infischieranno anche di quello?

  9. SEGNALAZIONE 6

    Claudio Vercelli (Pagina FB)

    TRA SCILLA E CARIDDI, QUEL CHE RESTA DEL 27 GENNAIO. QUALCOSA DEL TIPO DI A. B. YEHOSHUA NEL SUO “IL POETA CONTINUA A TACERE” (ANCORA UNA VOLTA, POST MEDITATIVO PER CHI ABBIA VOGLIA DI COMPRENDERLO: NON SIETE QUINDI OBBLIGATI A LEGGERLO, TANTO PER CAPIRCI).

    E niente: proprio non gli riesce. Ovvero, il pensare in una qualche diversa prospettiva. Evitando aerofagia così come claustrofobia. Nonché compulsività maniacale, che si trasforma in conazione. Vomito. I tanti, a conti fatti, sono infatti ottusamente (ed in maniera compiaciuta) ostili a qualsivoglia interlocuzione critica. Ne ho fatto, già da tempo, le spese personalmente. Quella che deriva dalla disamina analitica del merito della centenaria contrapposizione tra israeliani e palestinesi. Come anche, e soprattutto, tra ebrei “sionisti” e arabi “palestinesi”. Le virgolette, in questo caso, sono più che mai necessarie. Poiché in sé, qualora si parli di tutto ciò, per gli spettatori tanto acritici quanto apodittici di un dramma collettivo, non si tratta di una questione razionale e, ancora meno, di un problema di specifiche (nonché contrapposte) ragioni. Come tali coesistenti, sia pure in relazione asimmetrica. Quindi, tali in quanto politiche. Semmai costituisce la manifestazione di un tutto rabbioso, di ciò che è anche un movente di identificazioni assolutistiche, di natura non solo ideologica ma anche ontologica. Quelle che quindi promanano da soggettive necessità, poiché strettamente personali, quindi esclusivamente individuali. Le quali aderiscono al rigetto ferino, feroce e ferale, di qualcosa o qualcuno (non importa cosa e chi), in ragione dell’estremo anelito (e ad oggi in sé COMPLETAMENTE impolitico) della cosiddetta “indignazione”. Che è tale poiché deriva dall’adesione permanente ad un moto di mero rigetto, che perturba e poi manipola – e quindi piega – qualsiasi discorso pubblico alle sopravvenienti esigenze del momento. Una tale disposizione d’animo si crede etica quando invece, nel suo manifestarsi, è solo un prodotto dell’infotainment. Così come della perversione dei movimenti collettivi, ripiegati, dalla speranza dell’emancipazione del tempo che fu, all’auto-identificazione identitaria nel tema esclusivo della vittima come assoluto. Un condotta, quest’ultima, trasversale. Non a caso, oramai di prassi, seguendo quindi un copione abbondantemente predeterminato, molti degli incontri pubblici sul 27 gennaio (quindi soprattutto quelli di natura didattica, poiché il Giorno della Memoria è un istituto che si rivolge essenzialmente ai giovani del presente) – ossia sulla sua ricorrenza, in sé oramai oggettivamente stanca poiché inflazionata – si risolvono in una sorta di immediata e astorica traslazione tra il passato (la Shoah) e il presente (la guerra in corso tra Israele, Hamas e la popolazione di Gaza). Tutto transita, e si riproduce da sé, in una sorta di equivoco rally tra ciò che fu e quanto invece avviene (e quindi è) con il tempo corrente. Non me ne sorprendo. Non ne sono in sé, infatti, del tutto spiazzato. Tuttavia, rimane il resto, ossia l’entropia della ragione. Poiché quest’ultima, tanto per capirci, non è mai un esercizio di gerarchia della sofferenza bensì sforzo di condivisione della comprensione dell’unicità delle tragedie. La quale è tale quando stabilisce nessi, analogie, verosimiglianze così come concatenazioni al pari di differenze se non, addirittura, incommensurabilità, tra storie diverse. Non si tratta, in alcun modo, di una gerarchia del dolore. Chi è per davvero vittima, grida una volta per sempre l’unicità dell’offesa subita. Sempre, nonché comunque. Il punto critico, semmai, è la sua trasformazione in propellente dell’azione politica. Che oggi è pari allo zero assoluto. Ognuno nel suo recinto, ad urlare e a “mandare in vacca” le altrui iniziative. L’unica cosa, a conti fatti, che si riesce a fare. Come si sarebbe detto un tempo, tuttavia il vizio sta nel manico: sono i dispositivi commemorativi che, paradossalmente, stanno rivelando, passo dopo passo, nelle nostre società, la loro straordinaria fallacia. Poiché, tra le altre cose, guardano al passato nel momento in cui escludono qualsiasi futuro a venire. L’inflazione e la maniacalità mnestica si inserisce in questa faglia critica. In fondo, la rabbia altrui – oltre alla nostra propria – è anche suggello di questa impotenza, nel mentre ci sentiamo, una volta per sempre, espropriati del diritto di decidere non solo da noi stessi bensì, soprattutto, di noi stessi. Qui sta il punto, quello che chiama in causa, sempre e comunque, ciò che un autore inattuale come Franco Rodano chiamava, sulla scorta di Hegel, e non solo di lui, la dialettica tra «servo e padrone»

  10. SEGNALAZIONE 7

    Giorgio Mascitelli (pagina FB)

    La giornata della memoria di ieri è trascorsa con le tensioni che sono connesse alla situazioni politica, militare e umanitaria di Gaza, amplificata dalla sentenza della corte de L’Aia che ha dichiarato ammissibili le accuse di genocidio rivolte a Israele dal Sudafrica. Personalmente non avverto nessuna difficoltà né contraddizione nel ricordare le vittime di ieri e nel criticare un governo fascista e colonialista come quello israeliano. Tra l’altro, giova ripeterlo, un ebreo non è necessariamente un israeliano, non tutti gli israeliani appoggiano i massacri di Gaza, anche se certamente lo fa la netta maggioranza, ma è israeliano per esempio Ilan Pappé che su Gaza ha scritto un libro fondamentale per capire l’oppressione dei palestinesi, e nei campi di concentramento non sono morti solo ebrei: insomma la storia della shoah e le polemiche di oggi non sono esattamente sovrapponibili e chi la usa, lo fa sempre a discapito di una verità, che è più articolata e meno spendibile nelle operazioni politiche e mediatiche. Eppure la salute del giorno della memoria non mi sembra buona, anche a prescindere dai tragici eventi di questi mesi. Il primo motivo è che il Parlamento Europeo introducendo il 23 agosto (anniversario del patto Ribbentrop Molotov) la commemorazione delle vittime dei totalitarismi ha introdotto un competitor che promuove una rilettura relativizzante di Auschwitz, mettendo sullo stesso piano di vittima assoluta la Polonia, che ha bisogno per la sua politica di potenza di presentarsi come la vittima per eccellenza e ha offerto uno scambio simbolico ai conservatori tedeschi, consentendo loro di presentarsi come vittime almeno parzialmente per la DDR. In secondo luogo l’abitudine invalsa nell’apparato mediatico occidentale di dare del nazista a qualsiasi oppositore degli interessi occidentali ha generato un conseguente effetto di banalizzazione. In terzo luogo la mediatizzazione della shoah ha prodotto degli effetti falsificatori e banalizzatori non per particolari intenti politici ma perché l’apparato mediatico e spettacolare è essenzialmente un apparato di falsificazione: se Benigni ne La vita è bella avesse fatto arrivare i sovietici ad Auschwitz, secondo la storia, anziché gli americani, il suo film lungi dall’andare agli Oscar, avrebbe circolato in Italia e forse in qualche paese europeo. In quarto luogo per ragioni politiche si è concentrato il giudizio negativo sul nazismo esclusivamente sull’antisemitismo e sullo sterminio degli ebrei per tagliare fuori tutto l’aspetto anticomunista, antisovietico in un’operazione politica funzionale alle esigenze dell’Occidente globalista e neoliberista, ma favorendo la rilettura nazionalista anche da parte russa della grande guerra patriottica e togliendo tutto il contesto storicopolitico alla guerra. Forse è inutile perfino indignarsi: il potere ha sempre riscritto la storia a proprio uso e consumo. Da questo punto di vista anche lo slogan conoscere la storia per non ripeterla appare molto problematico perché oggi anche all’interno dell’Occidente c’è una bella divisione su quelli che sono gli insegnamenti da trarne e poi il male nella storia non accade perché gli uomini non hanno imparato la lezione, ma perché ci sono dei precisi interessi a compierlo in quel momento storico. Forse bisognerebbe dire più prudentemente che conoscere la storia serve a demistificare le menzogne del potere: può darsi che non sia molto, ma qualcosa è.

  11. SEGNALAZIONE 8

    Raffaele Simone (pagina FB) + mio commento

    GIORNO DELLA MEMORIA…
    … o dell’oblio?
    Che cosa dobbiamo ricordare per primo: la Shoah, l’Holodomor o la Nakba?
    La prima sta trovando continuazione in vari posti, le altre due sono pienamente in corso, ancora una volta.
    In astratto, sarebbe più saggio inventare una Giornata dell’Oblio. Gli umani non imparano nulla dalle tragedie. Ricordare non gli serve a niente.

    Commento :

    Ennio Abate

    Ma l’oblio, che domina incontrastato (come l’ignoranza) dovunque avrebbe bisogno di una sua Giornata?

    P.s.
    “Sappiamo come si fa a dimenticare e a far dimenticare. Il controllo dell’oblio, ci dice Le Goff, è uno dei più spietati strumenti di potere. Ne sanno qualcosa anche gli odierni cittadini degli Imperi. L’interdetto della memoria – questa affascinante istituzione che varia di età in età e di tirannia in tirannia, fino a noi – non opera mai da solo, ha bisogno di un’altra istituzione sorella […] l’amalgama”.

    (F. Fortini, Il controllo dell’oblio, in Insistenze, pag. 132, Garzanti, Milano 1985)

  12. Caro Lorenzo,
    credo di interpretare benissimo il pensiero di David Bidussa.
    Non ha scritto da nessuna parte che «la società cristiana occidentale dovrebbe essere messa ancora di più sotto torchio sul banco degli imputati (“esame di coscienza”), dovrebbe essere sotto accusa in modo permanente, giorno dopo giorno (“quanto è stato efficace il Giorno della Memoria, se è entrato a far parte della vita quotidiana”).
    Per Bidussa l’efficacia del giorno della memoria si misura in una espiazione senza fine dell’Occidente cristiano verso gli ebrei.»
    «Nel momento in cui Bidussa chiede un esame di coscienza verso la Shoah pone in automatico Israele al di fuori da questa pratica dell’esame di coscienza.»
    “Società cristiana occidentale”, “espiazione”…Fantasmi concettuali inesistenti nel discorso di Bidussa.
    Quella citazione che tu riporti stravolgendola, inizia cosi:
    «Il problema più grave resta la scelta di mettere le vittime al centro del 27 gennaio. Invece di analizzare i progetti e i comportamenti relativi alla Shoah si è privilegiato un dato etico.»
    Bidussa sostiene che occorre fare esattamente il contrario di ciò che hai capito tu. Non bisogna mettere le vittime al centro e non bisogna privilegiare il dato etico. Invito ripetuto diverse volte nel corso della conversazione e riportato nel mio articolo.
    Al centro del discorso occorre invece mettere i progetti, i comportamenti delle società europee, le condizioni sociali e culturali, i meccanismi che hanno reso possibile la Shoah: complottismo, vittimismo, costruzione del nemico, la volontà di suscitare nei cittadini lo spirito servile ed obbediente, l’indifferenza ecc. È su questo che occorre fare “l’esame di coscienza” perché sono meccanismi TUTT’ORA operanti (non solo a Gaza dove c’è una tragica mattanza in corso), ma anche qui, in Italia. Bidussa, ad esempio, accenna al complottismo del generale Vannacci (e non solo suo). Vogliamo parlare del vittimismo della destra-destra al Governo? Vogliamo parlare del complotto per la “sostituzione etnica” che sarebbe in corso nel nostro Paese, secondo autorevoli esponenti governativi? Vogliamo parlare di come si fanno diventare ogni giorno gli immigrati nostri nemici? Vogliamo parlare della “capocrazia” e dello stravolgimento della Costituzione antifascista con la proposta del premierato?….Ecco perché Bidussa ci invita a leggere un libro come “Modernità e olocausto”. Sarebbe utile che lo facessero tutti. Avrebbero effettivamente qualche idea più chiara di ciò che è accaduto ad Auschwitz.

    1. Caro Donato, mi fa piacere che rispondi.

      Io non sono l’esegeta di Bidussa e non pretendo di spiegare il suo pensiero. So bene che quel che ho scritto è solo una mia interpretazione, che Bidussa condannerebbe: e a me starebbe bene così poiché non credo che il suo discorso abbia un senso reale. Io ho provato ad applicarlo alla realtà nel modo che a me sembra più concreto.

      Per spiegarti perché ho stravolto le sue parole dovrei scrivere una lunga storia che parte dalla mia esperienza di studente che va a Dachau in gita scolastica a 18 anni, va ad Auschwitz durante un pellegrinaggio in Polonia nel 1991 (nei giorni del colpo di stato in Russia, con i polacchi a temere di essere di nuovo invasi), ai tempi in cui il giorno della memoria ancora non c’era, poi diventa lettore di Primo Levi, di Peter Weiss e di una folta letteratura sul cosiddetto Olocausto, lettore che si appassiona al tema, poi da professore assiste con interesse all’istituzione del giorno della memoria, che anno dopo anno acquista sempre più importanza, diventa ipertrofico, fagocitante, e poi, pian piano passa a osservatore di ciò che comporta il giorno della memoria, ossia i memoricidi delle altre sofferenze, l’assimilazione dell’antisionismo all’antisemitismo, la negazione della Nakba palestinese, il passaggio nel mio percepito degli ebrei come comunità progressiste di sinistra a realtà sempre più di destra fino a difendere Israele mentre compie un genocidio senza dire una parola di condanna ferma…

      Credo oggi che l’istituzione del Giorno della memoria sia stata determinante nel percorso che ha portato alla distruzione della Palestina e all’attuale genocidio di Gaza. Credo che questo non dipenda dalla strumentalizzazione che se ne è fatta, penso che fosse inevitabile fin dalle sue premesse, che ho colto con grande ritardo, forse perché all’inizio troppo giovane o perché non in possesso di adeguate conoscenze e adeguati strumenti interpretativi della storia. Per cui ho cambiato completamente la prospettiva con cui mi approccio a questa giornata. E del resto, la crisi che oggi molti percepiscono nel celebrarla per il genocidio di Gaza io l’avvertivo già dieci anni fa, forse anche quindici o venti anni fa, quando ho iniziato ad approfondire sempre più la situazione in Palestina, quindi credo di essere stato in anticipo sui tempi, nella mia percezione.

      Bidussa? L’ho incrociato spesso online, ma in modo frammentario. Non mi è mai piaciuto quel che ho letto di suo. Ciò che tu riporti mi ha veramente irritato. Lo trovo astratto e fumoso, un sofisma che poi nella realtà arriverebbe al solito “esame di coscienza” a senso unico (da parte dell’Occidente cristiano verso l’ebraismo).
      Non ci trovo davvero nulla di sensato, nulla di concreto.
      Uno dei miei punti di riferimento ebraici, Gilad Atzmon, ha sviluppato una riflessione sulla trasformazione dell’ebraismo a religione dell’Olocausto. Una fine tristissima dell’ebraismo, che per me è un grande valore universale per il suo internazionalismo (alla pari di quel che scrive Bifo). Tutto quello che hai riportato di Bidussa va in quella direzione (esame di coscienza, pratiche quotidiane, trasformazione della giornata della memoria in una religione civile), solo che dopo aver trasformato l’ebraismo nella religione dell’Olocausto pare che gli ebrei sionisti vogliano trasformare anche l’Europa, e dato che molti politici “cristiani” sia di destra che di sinistra si adoperano alacremente come volontari a tempo pieno per questo progetto, io sento il bisogno di oppormi nella maniera più assoluta con il passare degli anni.
      Se prendo una a una le frasi di Bidussa, a me non dicono assolutamente nulla, stanno su un piano parallelo alla realtà.
      Cosa vorrebbe dire:
      “Il problema più grave resta la scelta di mettere le vittime”?
      Si commemorano le vittime della Shoah il 27 gennaio.
      Se non si vuol mettere al centro le vittime, si abolisca la giornata.
      “Invece di analizzare i progetti e i comportamenti relativi alla Shoah”: ma cosa vuol dire?
      Sono parole vuote, senza alcun risvolto concreto.
      “si è privilegiato un dato etico”: è una commemorazione, cosa si dovrebbe privilegiare, l’analisi storica? Lo si faccia all’Università, senza farne un giorno mondiale.
      “Al centro del discorso occorre invece mettere i progetti, i comportamenti delle società europee, le condizioni sociali e culturali, i meccanismi che hanno reso possibile la Shoah: complottismo, vittimismo, costruzione del nemico, la volontà di suscitare nei cittadini lo spirito servile ed obbediente, l’indifferenza ecc.”
      Queste non sono analisi storiche. La persecuzione degli ebrei ha delle precise analisi storiche, che andrebbero davvero studiate e che non si riducono al complottismo, alla costruzione del nemico ecc., ma a fatti concreti, che spesso non si possono dire perché sarebbero visti come giustificazioni. E qui dovrei collegarmi a Lettera a un amico ebreo, libro per me illuminante, dove Sergio Romano dice che ci sono infiniti libri sulla Shoah, aumentano ogni anno ma dove lui non ne trovava nessuno o quasi che parlasse dei veri motivi storici che hanno portato prima alle persecuzioni e poi alla Shoah poiché “comprenderne i motivi” è di solito visto come “giustificarli” e in fin dei conti si arriva a ricevere l’accusa di antisemiti.

      “È su questo che occorre fare “l’esame di coscienza” perché sono meccanismi TUTT’ORA operanti (non solo a Gaza dove c’è una tragica mattanza in corso), ma anche qui, in Italia. Bidussa, ad esempio, accenna al complottismo del generale Vannacci (e non solo suo). Vogliamo parlare del vittimismo della destra-destra al Governo? Vogliamo parlare del complotto per la “sostituzione etnica” che sarebbe in corso nel nostro Paese, secondo autorevoli esponenti governativi? ecc.”
      Non vedo davvero come il Giorno della memoria, che è universale, vale per destra e sinistra, possa diventare un contenitore tale di discorsi. Davvero pensi sia realistico che il giorno della memoria le istituzioni possano parlare del complottismo? Destra e sinistra come potrebbero mai discuterne se non facendo il solito teatrino? Tirare in ballo Vannacci, ossia il nulla, per il giorno della memoria a me sembra quasi offensivo. Insomma, sono discorsi senza senso, a mio parere, per il mio senso di realtà.

      Bene, detto questo, sono stato molto duro con Bidussa perché poco fa ho letto un suo articolo che rimette in discussione tutto quel che ho detto di lui.

      Mi riferisco a questo: https://www.doppiozero.com/shoah-e-nakba-storie-e-traumi

      Ecco, qui Bidussa mi parla. Qui non mi sembra il solito sionista fissato con la Shoah, qui mi sembra davvero uno storico che sa guardare la sofferenza dell’Altro, uno che propone dialogo e confronto vero. Nulla in comune con il Bidussa di cui hai riferito tu. E con cui mi ero incrociato io in passato.

      Per cui ammetto di essere stato precipitoso, di aver agito in base a precisi punti di riferimento che vedevo sempre confermati e ora sospendo il giudizio su Bidussa.

  13. SEGNALAZIONE 9

    Salvo Leonardi (pagina FB)

    Dunque, a quasi quattro mesi dalla reazione scatenata da Israele a Gaza, dopo l’eccidio del 7 ottobre scorso, scopriamo che la famigerata rete dei tunnel di Hamas è a tutt’oggi pressoché integra. O comunque intatta, per l’80%. In compenso, ad essere andato distrutto per l’80%, è l’intero tessuto abitativo, urbano e infrastrutturale, della superficie. In proporzioni che gli addetti ai lavori non esitano più a paragonare alle più grandi devastazioni del secolo scorso (Guernica, Dresda, Aleppo). Esiste persino un neologismo per definirlo: “Domicidio” (da “domus”). E quel noto “fogliaccio” di Hezbollah del Corriere della Sera, gli ha persino dedicato le prime quattro pagine del suo prestigioso inserto culturale della domenica (28/1/2024).
    Neppure un ostaggio, nemmeno uno soltanto, è stato ad oggi scovato e portato in salvo durante queste rutilanti operazioni militari. Laddove un centinaio potrebbe essere perito, proprio sotto i colpi ferali dell’IDF, insieme agli oltre 24.000 civili palestinesi, per la stragrande maggioranza donne e bambini, con un numero tre volte tanto, fra feriti, amputati e invalidi permanenti. Il freddo, la carestia e la mancanza di cure e medicinali completano un quadro, per il quale Israele ha dovuto subire l’onta di una denuncia e di un processo presso la Corte Internazionale dell’Aja. Ad opera di un Paese ad elevata significanza morale, come il Sudafrica del post-apartheid e della riappacificazione nazionale. La cui accusa di genocidio è stata per il momento configurata come un rischio “plausibile”, dunque non infondato, se Israele non cesserà entro un mese le sue uccisioni indiscriminate, favorendo l’ingresso di tutti gli aiuti umanitari necessari.
    Uno smottamento reputazionale, su scala globale, già ripetutamente attestato dalle enormi manifestazioni di protesta in tutto il mondo, e in sede di Nazioni Unite, dove solo uno sparuto drappello di Paesi ha preso le difese incondizionate di Israele. E gli USA che, ogni girono che passa, fanno sempre più fatica a trattenere la loro esasperazione per la condotta politica e militare di Israele. Un bilancio davvero invidiabile!
    Ma come non bastasse, accade che, nel giorno della memoria, dei ministri del governo Nethaniau pensano bene di prendere parte ad una conferenza (fascista?), dove si studiano soluzioni finali, come la definitiva espulsione di tutti i 2,2 milioni di palestinesi da Gaza. Alcuni giorni orsono si era espressamente ipotizzato e chiamato in causa il Congo. Ovviamente, ricordare il piano Eichmann per il trasferimento ebraico in Madagascar, poi tramutato in quello più pratico nel “Governatorato Generale” (alias Polonia), fra il 1939 e la Conferenza di Wansee, è solo roba da malefici e trinarciuti antisemiti. Ma come solo può venire in mente un accostamento tanto insinuante e ardito!? (sic!)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *