Gli “Scherzi” di Pollini

di Angela Villa

Il termine “Scherzo” nella musica classica esisteva già a partire dal Seicento, indicava brani molto brevi, dinamici, di ispirazione popolare. A partire dal Settecento, lo Scherzo diventa sempre più simile ad un minuetto fino a sostituirlo completamente; presenta, in genere, due temi in diverse tonalità: il primo ha un carattere forte, deciso, il secondo è più lirico e melodioso. Nell’Ottocento lo Scherzo prende sempre più la forma di Sonata, Chopin lo rivoluziona dandogli nuova vita, rendendolo più complesso nella struttura e più innovativo. In particolare, amo molto il Primo Scherzo, perché ho potuto ascoltarlo dal vivo, eseguito da Maurizio Pollini.

Lo “Scherzo n. 1 in si minore per pianoforte, op. 20”, ha una   forza   notevole: i   due   temi   appaiono   quasi contraddittori ma rappresentano un unico dolore, quello dell’abbandono. Nella prima parte sullo spartito si legge: “Presto con fuoco”, il tempo è veloce ed incalzante con accordi decisi; la seconda: “Molto più lento sotto voce e ben legato” è quasi una nenia, è una melodia talmente dolce che chi l’ascolta ha il desiderio di riascoltarla, ancora e ancora, come nell’abbraccio dell’amato. Composto nel 1831 e pubblicato successivamente nel 1835, è dedicato all’amico Thomas Albrecht, che lo convinse a rimanere a Vienna, lontano dalla sua patria, per coltivare la sua arte. A quel tempo, in Polonia, era in atto una ribellione, contro la dominazione russa, Chopin era profondamente addolorato. A differenza degli Scherzi tradizionali, che sono generalmente leggeri e giocosi, quelli di Chopin sono opere dense, cariche di dramma e contrasti. Lo Scherzo n.1 è diventato uno dei pilastri del repertorio pianistico, amato sia dagli esecutori che dal pubblico. La sua combinazione di virtuosismo e passionalità, lo rende un pezzo ideale dal punto di vista tecnico.   Molti   grandi   pianisti, a partire da Horowitz fino alla Argerich, hanno offerto interpretazioni memorabili di questo pezzo, tra questi Pollini, che sapeva affrontare le sue parti complesse con decisione e dolcezza, riuscendo a fondere insieme passione, malinconia e speranza.

È un componimento che mostra chiaramente il dolore dell’abbandono a causa della guerra e il desiderio di vivere tempi migliori; la speranza di un futuro di pace si avverte nella nenia dolcissima della seconda parte, che richiama una melodia natalizia probabilmente Polacca. Gli Scherzi di Chopin appartenevano al repertorio di Pollini. Per la Deutsche Grammophon aveva registrato i 4 Scherzi con   inclusa Berceuse e Barcarolle; consiglio l’ascolto per la bellezza dei brani e la purezza dell’esecuzione. Pollini era il massimo esecutore del grande pianista polacco. A diciotto anni si era affermato nel concorso più importante e difficile al mondo, il concorso Chopin di Varsavia, Rubinstein, che era presidente della giuria, sentendolo suonare esclamò: «Suona tecnicamente meglio di tutti noi!», frase  che è   diventata  emblematica, ma probabilmente, come racconta lo stesso Pollini  in un’intervista, Rubinstein voleva semplicemente essere scherzoso e provocatorio nei confronti dei colleghi della giuria; da allora Pollini ha continuato a dedicarsi a Chopin studiandolo a fondo nelle strutture armoniche e regalando le migliori interpretazioni, ma non solo, ha avuto la capacità di   portare la musica contemporanea nelle grandi sale da concerto riuscendo a farla amare  e comprendere ad un pubblico più vasto. Io ho avuto la fortuna di poterlo ascoltare dal vivo alla Scala il 13 Febbraio del 2023, nella sua ultima esibizione. In quell’occasione Pollini ha regalato al pubblico Scaligero due serie di Klavierstücke di Schönberg, le opere 11 e 19, proseguendo con «…sofferte onde serene…» per pianoforte e nastro magnetico di Luigi Nono, e nella seconda parte si è dedicato a Chopin: una Barcarola e lo Scherzo n. 1. Qualche critico musicale, abituato a sentir suonare Pollini sin dagli inizi, si è chiesto: perché? Perché continuare a suonare se non puoi dare più il massimo? Il Maestro appariva affaticato, sono riuscita a cogliere un piccolo rimprovero nei confronti della pianista incaricata di girare le pagine dello spartito. Perché sottoporsi a tanto stress? Il perché va ricercato nella storia di Pollini e nel suo amore per la musica, nella sua passione di uomo che ha dedicato una vita al pianoforte, un uomo ammirevole che non ha avuto paura di esporsi politicamente, di sicuro non scherzava quando si espresse apertamente contro il federalismo e il presidenzialismo, all’epoca del referendum, pericolose derive, per la concentrazione del potere nelle mani di uno solo, criticando in tal modo il governo Berlusconi per il degrado e la corruzione. Suonò per gli operai di una piccola fabbrica a Genova, suonò per i lavoratori e gli studenti alla Scala; aderendo al progetto   di   Paolo   Grassi, è stato un divulgatore oltre che un virtuoso del piano. Un uomo coerente fino all’ultimo, che   ha rappresentato la massima espressione poetica del pianoforte, perché dovrebbe aver timore di suonare ad ottant’anni? L’emozione che ho ricevuto quella sera è stata molto forte e gli sarò sempre grata di avermi regalato dal vivo quei brani. Il ricordo è ancora vivo in me: il concerto è finito, molti gli applausi, tutti in piedi per ringraziare il Maestro, con passo lento ma deciso, Pollini si inchina al pubblico, con la mano si appoggia al piano, ancora un inchino e poi via. Un dialogo di tutta una vita con la tastiera, una vita dedicata a quei tasti bianchi e neri, un interprete attento, sia tecnicamente che emotivamente, ci sarà ancora qualcuno dopo di lui? Forse sì, ma chi avrà il coraggio di definirsi suo erede? Amante di tutte le arti considerava la musica una forma di comunicazione:

«Quando prendo in mano una partitura o studio un pezzo, io punto innanzitutto alla ricerca di aspetti comunicativi, a cose che davvero possano darci gioia (…)» C’è nella musica un elemento soggettivo che riguarda il dialogo fra esecutore e pubblico, in questo desiderio di comunicare di sentirsi messaggero, portatore di un sogno, c’è la consapevolezza di dover suonare per il suo pubblico fino all’ultimo, suonando con gli spartiti consunti studiati fino allo sfinimento, provando e riprovando, studiando ogni minimo dettaglio dello spartito, come lui stesso ha precisato in un’intervista.

Maurizio Pollini è morto a Milano il 23 marzo 2024 all’età di 82 anni. La camera ardente è stata allestita il 26 marzo nel foyer del Teatro alla Scala, la sua seconda casa; dal debutto dell’11 ottobre 1958, all’ultimo recital il 13 febbraio 2023, ha suonato alla Scala 168 volte, cui si aggiungono gli incontri con gli studenti e le partecipazioni a giurie e convegni. I funerali sono stati celebrati in forma privata. “Il Maestro è nell’anima” e Pollini non aveva paura di mostrare l’anima in scena, spesso parlava di esecuzione ed aspetti legati all’inconscio e fino all’ultimo lo ha fatto. L’anima di Pollini   era dedicata al pianoforte, ai compositori con cui dialogava, nei suoi studi attenti e rigorosi e, naturalmente, a tutti noi. Ci ha lasciato testimonianze indimenticabili. Per chi abbia desiderio di ascoltarlo, di “comunicare” con lui…Buon ascolto.

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