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ORCHESTRA SINFONICA DI MILANO. Gli Jussen e Bartók

di Angela Villa

 

Milano, linea verde, fermata della metropolitana Romolo, il percorso sembra facile per arrivare in largo Mahler, dove ha sede l’Auditorium, quindi, mi avventuro, preferisco la seconda opzione indicata dal navigatore, una bella passeggiata, a piedi, per le vie della città, piuttosto che il tram. Tutto bene, ma non avevo previsto la pioggia e il navigatore impazzito: un percorso di quindici minuti, passando accanto al Naviglio Grande, è diventato tutt’altro: mezz’ora a piedi sotto la pioggia, senza ombrello, perché sono una persona ottimista e penso che non pioverà mai così tanto come indicano le previsioni, che del resto non guardo mai. Per fortuna indosso sempre giubbini col cappuccio. Dopo aver girato invano per strade e stradine, arrivo anche di fronte alla sede dello Iulm, che scambio per l’Auditorium, ma un signore un po’ scontroso mi dice che non è l’Auditorium, è l’università privata e lui odia le università private, dovrebbero essere tutte pubbliche e gratuite e che comunque sono fuori strada perché l’Auditorium è molto lontano, gira le spalle e se ne va, quasi, quasi, torno indietro, mi siedo al pc e cerco qualche registrazione, il primo marzo è stato trasmesso in diretta su Radio3 Suite, ci sono anche delle registrazioni interessanti su RaiPlay e Rai Cultura. Ma poi mi viene in mente il libro di Benjamin avevo letto qualche pagina la sera prima, “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, vedere un concerto dal vivo, è un’emozione unica. Quindi rimetto in moto le risorse, spengo il cellulare, prendo la cartina, che per fortuna porto sempre con me nella borsa e trovo la strada. Mi dico ma perché non ci hai pensato prima? Perché a volte ci fidiamo di più delle nostre macchinette.

Eccola, finalmente davanti a me, la bella sala dell’Auditorium, entro, il concerto è iniziato da cinque minuti. “La faremo sedere nelle ultime file alla prima pausa, va bene per lei?” Mi dice gentilmente la maschera. Va benissimo, è già tanto che sono arrivata. Felice di non aver rinunciato, il sabotatore interno è sempre in agguato, mi sento in pace nell’ultima fila, occupata solo da me. L’Auditorium di Milano ha un’acustica perfetta, si vede e si sente bene ovunque.

I fratelli Arthur e Lucas Jussen, hanno appena terminato di eseguire i “Quindici canti contadini ungheresi” di Bartók seduti uno di fronte all’altro, giacche attillate un po’ retrò, capelli biondi e ciuffetti, sembrano due folletti dei boschi, uno di quei boschi che il compositore amava percorrere in lungo e largo a caccia di suoni popolari. Bartók viene ricordato dagli studiosi come il pioniere dell’etnomusicologia. In particolare, si dedicò alla raccolta dei repertori musicali folklorici di Ungheria, Slovenia, Romania e Bulgaria. Il suo linguaggio musicale riuscì ad assimilare e rilanciare nella modernità il patrimonio delle musiche dei contadini. Affiancati, alle percussioni, da Viviana Mologni e Simone Beneventi con l’orchestra diretta da Jaume Santonja, i fratelli Jussen rallegrano la sala con la loro vivacità e il loro entusiasmo, fra molti applausi. La metà del programma è dedicata al “Concerto per due pianoforti, percussioni e orchestra Sz. 115”. Bartók, in questa composizione, mette in campo un’armonica combinazione di suoni, utilizzando, strumenti a percussione, xilofono, tamburi, timpani, piatti, triangoli, in dialogo con le parti musicali dei due pianoforti. Tutti gli elementi tipici dello di Bartók, sono in gioco: temi brevi, ritmi carichi di energia, uso del contrappunto, atmosfere notturne ed elementi delle melodie popolari, ritmici dinamici, che anticipano i movimenti musicali futuri, come quelli del jazz. La prima esecuzione, nella versione rivista e ampliata, ebbe luogo a New York nel gennaio 1943. Bartók era in esilio volontario a causa del nazismo.

A chiudere la serata, la “Sinfonia n. 2 in Re maggiore op.73” di Johannes Brahms. L’accostamento tra Bartók e Brahms è usuale, nei concerti, entrambi i compositori, si ispiravano alle melodie della tradizione con introduzione di strumenti inusuali nell’epoca, corni, tromboni, percussioni e strumenti ritmici. La Seconda di Brahms è stata da alcuni definita come la “Decima” di Beethoven per i suoi elementi pastorali, o come una sinfonia schubertiana. Altri invece ritengono che la sua specificità vada ricercata in alcuni elementi mozartiani. È caratterizzata da suoni armoniosi che trasmettono gioiosità e senso di pace, questa sinfonia si fa notare per la bellezza dei temi, per la forza dei contrasti, per abilità della tecnica contrappuntistica. Dopo circa un’ora e mezza di bellezza, il concerto termina fra tanti applausi e un bis. Molto apprezzata anche l’esecuzione precisa, del direttore: Jaume Santonja, attento alle dinamiche e alle sfumature. Esco dalla sala, con un pezzo di “aura” in tasca e bel po’ di spensieratezza conquistata grazie all’esecuzione degli artisti, piove ancora. La via del ritorno è sempre più breve, chissà perché, percorro la stradina di fianco al Naviglio Grande, dell’antica campagna non è rimasto più nulla, alla mia destra, in una piccola pozza d’acqua, vedo un airone, ha un lungo becco arancione, sembra smarrito, in cerca di qualcosa, forse i verdi campi di una volta, apre le ali e spicca il volo, no, non cerca la campagna, forse, torna dalla sua compagna.

Auditorium di Milano 3 marzo 2024