Lorenzo Renzi: un’analisi non ragionieristica di “A mia moglie” di Saba (lezione 3)

lezioni sulla poesia

di Ennio Abate

Questa è la  terza lezione rielaborata dai tre incontri sulla poesia che ho condotto a Saronno su invito dell’Associazione “L’isola che non c’è” nel novembre 2014. Le prime due si rileggono qui e qui. [E.A.]

Leggiamo, per cominciare, la notissima poesia di Umberto Saba:

Tu sei come una giovane
una bianca pollastra.
Le si arruffano al vento
le piume, il collo china
per bere, e in terra raspa;
ma, nell’andare, ha il lento
tuo passo di regina,
ed incede sull’erba
pettoruta e superba.
È migliore del maschio.
È come sono tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio,
Così, se l’occhio, se il giudizio mio
non m’inganna, fra queste hai le tue uguali,
e in nessun’altra donna.
Quando la sera assonna
le gallinelle,
mettono voci che ricordan quelle,
dolcissime, onde a volte dei tuoi mali
ti quereli, e non sai
che la tua voce ha la soave e triste
musica dei pollai.

Tu sei come una gravida
giovenca;
libera ancora e senza
gravezza, anzi festosa;
che, se la lisci, il collo
volge, ove tinge un rosa
tenero la tua carne.
se l’incontri e muggire
l’odi, tanto è quel suono
lamentoso, che l’erba
strappi, per farle un dono.
È così che il mio dono
t’offro quando sei triste.

Tu sei come una lunga
cagna, che sempre tanta
dolcezza ha negli occhi,
e ferocia nel cuore.
Ai tuoi piedi una santa
sembra, che d’un fervore
indomabile arda,
e così ti riguarda
come il suo Dio e Signore.
Quando in casa o per via
segue, a chi solo tenti
avvicinarsi, i denti
candidissimi scopre.
Ed il suo amore soffre
di gelosia.

Tu sei come la pavida
coniglia. Entro l’angusta
gabbia ritta al vederti
s’alza,
e verso te gli orecchi
alti protende e fermi;
che la crusca e i radicchi
tu le porti, di cui
priva in sé si rannicchia,
cerca gli angoli bui.
Chi potrebbe quel cibo
ritoglierle? chi il pelo
che si strappa di dosso,
per aggiungerlo al nido
dove poi partorire?
Chi mai farti soffrire?

Tu sei come la rondine
che torna in primavera.
Ma in autunno riparte;
e tu non hai quest’arte.

Tu questo hai della rondine:
le movenze leggere:
questo che a me, che mi sentiva ed era
vecchio, annunciavi un’altra primavera.

Tu sei come la provvida
formica. Di lei, quando
escono alla campagna,
parla al bimbo la nonna
che l’accompagna.
E così nella pecchia
ti ritrovo, ed in tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio;
e in nessun’altra donna.

Riassumo ora i punti principali dell’analisi che Lorenzo Renzi fece di questa poesia in un suo prezioso libro Come leggere la poesia (Il Mulino 1985):

1. Egli, contro ogni tentazione di una lettura selvaggia o immediata,  avverte che, quando ci avviciniamo ad una poesia, non partiamo mai da zero.  Le poesie più note e non recenti (come questa di Saba, composta nel 1911) sono state lette da molti altri prima di noi e spesso studiate attentamente. Sarebbe da snob e sbagliato trascurare tali riflessioni e questo lavorio critico. Aggiungerei che neppure noi lettori siamo tabula rasa, avendo le idee, giudizi, pregiudizi e attese che ci predispongono a simpatizzare o a diffidare, ad avvicinarci o a prendere le distanze dal mondo poetico di un autore o da quella singola sua poesia.

2. Renzi riafferma  poi un principio accettato da quasi tutti i lettori esperti di poesia:  in essa forma e contenuto sono inseparabili. La poesia è fatta da entrambi; e anche se si afferrasse ( o guardasse) prima la forma e poi il contenuto (starei per dire: ci si buttasse prima sulla forma e poi sul contenuto…), «il cammino dal dettaglio tecnico alla considerazione generale» (p. 68) va ricomposto: tutte le singole tappe più o meno arbitrarie che facciamo mentre leggiamo e reagiamo al testo, vanno ricucite insieme.  Qualcosa di simile suggeriva Pietro Cataldi (Cfr. Lezione 1), quando invitava a partire dalla parafrasi, dalla spiegazione parola per parola, per poi risalire ai significati più complessi.

3. Se studiamo la forma metrica di A mia moglie, ci accorgiamo di trovarci di fronte a: – una canzone leopardiana [1] con sei lunghe strofe di versi di varia lunghezza, ma generalmente brevi; –  versi che  sono soprattutto settenari e endecasillabi e alcuni sciolti; –  due quinari. Approfondendo, possiamo individuare enjambement, anafore, similitudini e valutare quanto siano coerenti coi significati e la ragione profonda della poesia.

4. Saba, dunque,  si è riallacciato e ha rispettato la tradizione aulica della poesia italiana, che impone solennità, elevatezza, ricercatezza (nel lessico, nella metrica, nella sintassi).

5. Nella poesia A mia moglie però  potremmo dire che c’è contrasto  tra questa aulicità della forma e la quotidianità del contenuto (si parla in fondo della propria moglie e di animali comuni). Renzi però giudica tale contrasto solo apparente. Secondo lui, il modello leopardiano rimane alto, non è «tradito sul piano del contenuto» (p. 69), ma  viene solo ridisegnato  diversamente ricorrendo a ritorni «regolari»  sia semantici che sintattici. E infatti,  fa notare che:
– tutte le strofe cominciano con una similitudine introdotta da un’anafora (Tu sei come);
– ogni strofa presenta un animale (pollastra, giovenca, cagna, coniglia, rondine, formica, pecchia [ape]);
–  le caratteristiche di ogni animale  sono espresse per mezzo di aggettivi, frasi relative, frasi indipendenti. (Solo la pecchia, l’ultimo degli animali evocati, non ha determinazione e, aggiunge Renzi con acume ricordando che il dato era sfuggito allo stesso Saba, i tre ultimi animali non sono femmine: sono cioè solo grammaticalmente di genere femminile).

6. Oltre al parallelismo iniziale (Tu sei come) l’intera poesia si presenta come una «ripetizione» con variazioni strofa per strofa ed è costruita, dunque, su «un parallelismo di sezioni formali»:

Tu sei come > str. I : una…pollastra
> str. II : una…giovenca
> str. III : una…cagna
> str. IV : la…coniglia
> str. V : la rondine
> str. VI : la…formica (+ la pecchia)

7. Questo parallelismo   formale è fondamentale e organizza le opposizioni di significato. In proposito Renzi ricorda che  i primi  lettori di  A mia moglie, tra  cui Lina, la moglie di Saba, che rimase male quando il poeta le lesse la poesia appena scritta, si scandalizzarono per l’identificazione, sia pur affettuosa, della donna con certi animali (di cortile).  E che, nella lingua comune di allora,  tali accostamenti (o alcuni  riferimenti sessuali, come ad esempio «dolce lamento») erano ancora tabù. Saba li violava con  una determinazione, che gli veniva dall’aver assimilato e adottato in poesia la concezione psicanalitica di Freud. La poesia doveva aiutare a liberare i lettori dal «disagio della civiltà». Una liberazione nel secondo Novecento mitizzata e realizzata nei modi più o meno discutibili che abbiamo conosciuto. Renzi richiama anche l’influenza, fortissima a inizio Novecento nella cultura europea e anche  su Saba,  della filosofia di Nietzsche, ma precisa che il poeta triestino evita la retorica del superuomo ribelle,  scegliendo invece il mito di  una «umanità ingenua e integrata nella natura, prima del peccato» (p. 73).

8. Saba, in Storia e cronistoria del Canzoniere, giudicava A mia moglie una «poesia ‘religiosa’, (…) scritta come altri recitano una preghiera» (p.74). E Renzi sottolinea che, a spingere la poesia in direzione religiosa, è ancora una volta proprio la forma, la struttura parallelistica della stessa poesia.  Che non a caso  ritroviamo nel Cantico delle creature di S. Francesco. A riprova che la poesia deriva proprio dalla magia e dalla religione, dalle quali si è evoluta  senza mai rompere  del tutto i fili (p. 74). L’eleganza classica dello stile di Saba, dunque, maschera  la forma elementare e primigenia del parallelismo. Ed è questo un segno di quanto Saba fosse  ancora predisposto al compromesso con le buone maniere del tempo.

9.  La religiosità di questa poesia Renzi la coglie anche nel  posto d’onore che Saba dà alla donna. Una concezione che lo riallaccia alla tradizione dell’Amor Cortese. Con delle sfumature diverse, però. Nell’Amor Crotese, schematicamente, abbiamo una sequenza Dio-donna/angelo-uomo-natura (quest’ultima intesa come istinto e sesso). Il Femminile,cioè, da un lato si presenta come donna/angelo e dall’altro come partecipe della sessualità. (Ed infatti Eva viene opposta alla Vergine). In Saba la sequenza è accolta ma in parte  ritoccata: abbiamo Dio come Vita, al centro la donna animale, che avvicina a Dio perché la sua femminilità sarebbe – attraverso la maternità, ma anche attraverso il matrimonio (respinto dai poeti dell’Amor Cortese) – in accordo con la Vita; e poi l’uomo. La donna, perciò, proprio perché più vicina alla Natura, sarebbe meno malata dell’uomo, che sarebbe un «malato della ragione» (p. 77). E’ una  concezione che ritroviamo anche  in Svevo e che viene sempre dall’ influsso di Nietzsche. Attraverso l’esperienza irrazionale, dunque, la donna condurrebbe l’uomo alla completa razionalità dell’ordine sociale, alla famiglia (p. 76). Ed in effetti nella poesia  di Saba la formica provvida  rimanda alla donna esclusivamente come donna nella famiglia,  come massaia (anche la pecchia [l’ape], l’ultimo animale, rappresenta sempre la laboriosità della donna massaia). Conclude Renzi: «c’è perciò una ragione per cui questi animali sono femminili, anche se non vere femmine di animali» (p. 76). Aggiungendo ancora che, a differenza del passato, questa teologia personale di Saba non è minacciata dai villani (come ritenevano i poeti dell’Amor Cortese), ma ha – modernamente possiamo dire –  un nemico interno, Thanatos (la Materia che l’attira a sé). E siamo all’ultimo Freud.

In conclusione, la puntuale interpretazione di Renzi  della poesia di Saba si basa su quattro punti: –  in A mia moglie la forma metrica quasi tradizionale,  la sintassi classicamente elaborata,  il lessico aggraziato che s’affianca a quello  quotidiano hanno la funzione di occultare dei tabù; – il parallelismo delle strutture compositive interne evidenzia le infrazioni dei tabù ma rimanda ad un significato religioso superiore;  – Saba, che fu mente psicanalitica  ancor prima di approfondire la psicanalisi (secondo il giudizio di Contini), da un lato smuove quei tabù presenti nella società del suo tempo, dall’altra li riconduce all’ordine prestabilito, conquistandosi, attraverso la discesa agli Inferi che impone alla sua ricerca poetica,  una saggezza che oggi può apparire forse ancora molto tradizionale.

P.s.

Per ultimo, devo precisare che giudico “non ragionieristica” questa analisi di Renzi, perché evita i difetti dilagati in certe esperienze  scolastiche di lettura negli anni della moda strutturalistica (anni 70 e oltre direi…), quando la poesia veniva effettivamente dissezionata “scientificamente”  e si imponevano lunghi elenchi  cavillosi di rime, allitterazioni, figure retoriche senza più la  capacità di ritrovare il bandolo della matassa e farsi un’idea complessiva del testo stesso e del suo autore. Con effetti di rifiuto o di disappetenza tra i giovani, difesi  allora da Cesare Cases in un famoso  pamphlet contro i logotecnocrati: Il poeta e la figlia del macellaio (in Il boom di Roscellino, Einaudi 1990).

 

 

[1] Mentre La Canzone petrarchesca è formata da un numero indeterminato (da 5 a 8, ma anche più) di strofe (o stanze ) di endecasillabi e settenari, tutte uguali tra loro, la Canzone leopardiana ha delle regole più elastiche: rispetta la metrica, ma le strofe  sono diverse fra di loro e  ben più libera è la disposizione degli endecasillabi, dei settenari e delle rime.

3 pensieri su “Lorenzo Renzi: un’analisi non ragionieristica di “A mia moglie” di Saba (lezione 3)

  1. Non so se si possano considerare queste di Ennio, delle vere lezioni di scrittura creativa. Forse l’intento diverge nelle finalità; infatti nei corsi di scrittura creativa, per quel poco che ne so, si tiene conto del valore delle idee e dello stile in modo da riuscire a conquistare l’attenzione del lettore. E non so se questo valga per la poesia, dico non so perché se anche fosse nessun poeta lo ammetterebbe. La poesia ha una sua nobiltà, in senso buono, d’animo, e coerentemente si guarda dalle ruffianerie tipiche di certa narrativa. Tuttavia anche Saba cerca l’attenzione fin dall’inizio:
    “Tu sei come una giovane
    una bianca pollastra.”
    L’inizio è agile e promettente, Saba annuncia novità ma si guarda dal rompere stilisticamente quel che egli stesso considera come intoccabile poesia: la forma. I futuristi alla Marinetti ebbero più coraggio? Sì, ma si annunciava la modernità che avrebbe incendiato artisticamente il novecento. La lettura ragionieristica di Renzi non è critica valutativa ma lo è sottilmente, perché quando capisci approvi. E prima, mentre eri solo tu e la poesia di Saba, no? Cosa aggiunge Renzi che Saba non abbia già detto? E’ semplice: è storicistico e restaurativo di una poesia che appartiene a un altro tempo. Si ripropone il conflitto tra classicismo e contemporaneità… ma uscirei dal tema, che comunque ho appena sfiorato.

  2. …grazie ad Ennio per questa terza lezione di poesia, che introduce, attraverso la spiegazione di L. Renzi, la poesia “A mia moglie” di U. Saba. Una poesia che presenta la donna come una dea nel suo regno domestico (non addomesticato) di animali buoni e pacifici. Animali a cui per qualche verso la moglie del poeta assomiglia. L’uomo è chiamato ad entrare quasi in un tempio, fatto di terra, di cielo, di acqua, di crusca, di radicchi… Non è una natura senza sofferenza quella degli animali, ma in qualche modo serena, non eccessivamente tormentata dal pensiero. Esprimendo ammirazione alla donna e agli animali U. Saba voleva, credo, rendere omaggio alla Natura (e alla Vita) ma non idilliaca, quella laboriosa che sa attivarsi per la sopravvivenza anche in situazioni difficili: la pollastra razzolante sull’aia, la coniglietta nella gabbia a strapparsi i peli per il nido del parto…ma sempre con dignità e orgoglio: “…nell’andare ha il lento/ tuo passo da regina…”. Mi piace come il poeta, a volte nello stesso verso, passi tranquillamente dalla descrizione dell’animale a rivolgersi alla moglie stessa con un gesto d’amore, a volte consolatorio: come se all’uomo toccasse questa funzione, mentre alla donna quella di circondarlo di una serena e naturale grazia. C’è simbiosi.
    Con la poesia c’entra poco, ma mi vengono in mente altri generi di animali (e di donne e di uomini) che vivono selvatici nei boschi, nelle foreste, sulle montagne, lungo i fiumi …isolati o in gruppi. Sempre nella natura sereni e braccati. Infine quelli che nati domestici, ma, maltrattati o respinti, si riducono allo stato selvatico, ma da stranieri infelici…

  3. @ Mayoor

    No, le mie sono proprio lezioni/riflessioni e non «scrittura creativa». Faccio una visita nei laboratori di poeti e critici e cerco di semplificare, come un buon insegnante, le cose complicate che trovo nei loro scritti. Con l’occhio ad un pubblico di “gente comune”, che si dice interessata alla poesia (tale era quello incontrato a Saronno e quello che credo s’affacci a questo sito), e vorrebbe capirci qualcosa in più. Cerco anche di correggere i pregiudizi che mi pare di cogliere nelle loro domande e di capire cosa davvero vanno a cercare nella poesia. (Perché è anche possibile che là non ci sia…).
    La lettura «non ragionieristica» ( nel tuo commento hai saltato il ‘non’ non so se con intento polemico o per sbaglio) di «A mia moglie», fatta da Lorenzo Renzi è tratta, non a caso, da quel suo vecchio libro intitolato «Come leggere la poesia». E mi pare che si ponga anch’essa dentro questo “solco didattico”. Tanto la condividevo che, in questa terza lezione, ho scelto semplicemente e rispettosamente di riassumerla.
    « Cosa aggiunge Renzi che Saba non abbia già detto?».
    Nulla forse, ma ha chiarito quanto coerenti siano state le scelte formali di Saba con il contenuto che aveva fatto da spunto alla poesia. A me pare un bel risultato.

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