Con la sua voce potente

 

di Arnaldo Éderle

 

Schiava piano la porta d’entrata,
poi entra, ancora silenzio, ma
entra in cucina, appena si sente
lo strusciare dei sandali sul pavimento
del corridoio, poi la sua voce potente:
Ciao Arnaldo (e la mia: Ciao Anastasia).
Il suo calibro è un grosso calibro,
si direbbe un peso massimo della sua categoria
ma ben arrotondato, gradevole quasi dolce,
e poi quella voce rotonda e pura
nel suo italiano-moldavo, un chiasmo
ma quasi sempre italiano.

In fondo è una bella donna con capelli
biondi, non è il suo colore naturale sarebbe
mora. Quale la sua voglia il suo tratto
la sua positura riguardo alla bellezza?
La sua transumananza
l’ha portata qui da noi, in Italia,
la sua nuova volontaria istanza è crescere
fra gli italiani, aggiungere una nuova
patria alla sua, la moldava ha scelto
il suo nuovo stato di lavoro e forse
affettivo, chissà da dove viene questo
desiderio di essere un’altra. Ha ascendenze
siberiane, fredde, là in fondo all’Europa
nacque suo nonno e di là portò il suo affetto
per il buon vino e la forte vodka,
chissà che dio adorava, forse un drago
dalle squame dure ed enormi bianche e vero
similmente acuminate.
Forse era il suo dio, forse la sua vita.
La bella donna rideva spesso e spesso
s’infognava in commenti e storie d’oltre
Adriatico, ed io l’ascoltavo attentamente
e spesso sorridevo della sua verve narrativa.
E’ una storia strana la sua, ma non improbabile,
è vera e mi consente, suppongo, un bel
commento, una buona trattazione delle
ottime immagini.

Che belli i suoi denti quando ride
e i suoi occhi azzurri se te li porge limpidi
e dritti sulla tua faccia, quando ti dice
ch’è buona la pappa che ti ha preparato, “non
ti sembra?” Io dico “buona buonissima!”
e davvero lo è impastata con le sue mani
grassocce e pulitissime, una cuoca
professional e piena di brio, mi prepara
su un piattino le mie fedeli due pillole
una rossa e una bianca tutti i giorni
che io bevo con un bicchiere d’acqua
fresca, un buon giorno pieno di gioia
fredda e salutare: che iddio me la mandi buona.

Quando mi alzo, la mattina, mi prende
uno stato di malinconia, mi ricordo i miei guai
mi sento inabile e a stento trovo la forza
di alzare le mie frante ossa e di mettermi
in piedi su questi infausti talloni
che ancora mi dolgono, e non so il perché.
Ma dopo poco, ecco Anastasia che mi saluta
con il suo vibrante “Ciao Arnaldo”
e mi capita davanti nel lungo corridoio
con la sua dolce mole e il suo sorriso
luminoso come il sole e mi accompagna in cucina.
Ma, cara Anastasia, che cos’è quel tuo
sorriso quei denti fra le labbra
quel tuo corpo rotondo quella felicità
che ti sovrasta la bocca?
Sembrerebbe un saluto di vita
una rinascita, direi, nella tua cara verve,
un lascito rinvigorito della tua liscia
voglia di vivere come un tuo casto giuramento
alla striscia della vita al desiderio
di goderla nella pace e nella concordia.

Sì, cara Anastasia, bisognerebbe impararla
bene la tua umile lezione e deglutirla
lentamente pensandola mentre attraversa
lo stomaco e giunge lontano fino ai piedi.
Che saranno mai i tuoi racconti di leghe
e leghe percorse dai tuo amici in
quelle langhe infinite della tua Russia
o nella quieta terra della tua sacra Moldavia?
Oggi le langhe dolorose non ci sono più,
i fuggitivi hanno ritrovato le loro case
hanno ripreso a mangiare la loro fragile polenta
imbevuta nei sughi che prepari tu, in questa
patria lontana.
I fucili le fughe i nascondigli dei tuoi fratelli
e padri non servono più, sono oggetti e paure
d’altri tempi, ora ce ne sono di meno
pericolosi (ma non è detto!).

Le loro matrioske hanno ripreso la loro
funzione divinatoria e la loro funzione di madri.
Cosa succederà in seguito non lo sappiamo,
ma di una cosa siamo certi: che lande e percorsi
così faticosi e impervi non ce ne saranno più
da percorrere.
(Io lo spero).

8 pensieri su “Con la sua voce potente

  1. Grazie Emilia, per il tuo puntuale e incoraggiante commento. Spero di darti sempre il piacere che mi hai comunicato, come fai sempre. Spero di conoscerti una volta.
    Intanto ti abbraccio e ti bacio. Arnaldo

  2. L’ambiguità di quello “schiava” iniziale!, nome e verbo, schiava e transumana, schiude e attraversa la primitiva radice (“ha ascendenze…”), per “il desiderio di essere un’altra”. Dove era schiava, ed è libera adesso?
    Qui da noi, in Italia, è “professional e piena di brio”, però ricorda, “e mi consente, suppongo, un bel/commento, una buona trattazione delle/ottime immagini”, ma i migranti sono comunque, per noi, *discorso*.
    Non si libera nell’immaginazione di “un drago/dalle squame dure ed enormi bianche e vero/similmente acuminate./Forse era il suo dio, forse la sua vita”, anzi lo conserva nel suo deposito di sofferenza. Che ora -forse- non può tornare:
    “Le loro matrioske hanno ripreso la loro
    funzione divinatoria e la loro funzione di madri.”
    La poesia è una riflessione sull’immigrata, sulla forza con cui Anastasia ha affrontato lo spostamento (“Il suo calibro è un grosso calibro,/si direbbe un peso massimo della sua categoria/ma ben arrotondato, gradevole quasi dolce”), sulla apertura con cui si affida a un mondo immaginato migliore del suo precedente “e mi capita davanti nel lungo corridoio/con la sua dolce mole e il suo sorriso/luminoso come il sole e mi accompagna in cucina”.
    Ma è una riflessione anche sulla pesante catena del ricordo che Anastasia conserva per sanare la rottura biografica intervenuta nella sua esistenza singolare.
    Sono probabilmente tratti propri ad ogni immigrato, o meglio esule, presenti nel rapporto con gli ospitanti, o almeno è questa la superficie che si mostra, su cui ci si rapporta.
    Naturalmente nei casi individuali e tra persone per bene, non certo dove gli immigranti sono abbandonati a loro stessi e sfruttati brutalmente.

  3. …la poesia di Arnaldo Ederle esprime con umanità e tenerezza il problema del nostro tempo. Quando vengono meno le linee di demarcazione tra l’ospitato e l’ospitante, in fatto di migrazione, si fanno strada forme di interesse reciproco, comunione di modi di vivere e fragilità reciproche. Allora soltanto si incrociano i destini, come i ricordi

  4. Cara Cristiana, non ricordo se ho già risposto al tuo, come al solito, eccellente commento, ad ogni modo ti mando, o ti rimando quest’altro. Mi ha fatto molto piacere
    leggerlo per le seconda volta, e mi accorgo sempre più della tua bravura nello sciogliere
    nelle tue care e appropriate parole il nocciolo della questione. Grazie, carissima Cristiana, ti auguro tutto il bene che ti meriti e ti saluto con molta affezione. Tuo Arnaldo

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