Una microstoria in un quartiere di periferia

di Ennio Abate

 Materiali (1-3) per una storia sociale e politica di Cologno Monzese
MICROSTORIA DELLA SCUOLA MATERNA DEL QUARTIERE STELLA (1969-‘72)

*Pubblico qui, rielaborato e a puntate, un testo molto lungo del 2008. E’ di cronaca,  di riflessione  storico-politica e di scavo nella dimensione personale dell’esperienza. L’intenzione è quella d’incoraggiare singoli o gruppi ad andare in profondità nelle pieghe della difficile e oscura storia di certe città della periferia di Milano. Dedico questo lavoro a Danilo Montaldi e Franco Alasia, autori di “Milano Corea” che ho conosciuto e stimato. [E.A.]

1. Il Quartiere Stella

«Fu costruito nel 1961 dall’Immobiliare Italo-Svizzera. Sei grigi edifici di dieci piani, disposti a forma di stella, uno attaccato all’altro, in un perimetro di 426,5 metri su una superficie di 1,5 ettari. Volumetria complessiva: 215.000 mc.,140.250 mc. per ettaro, in una zona di completamento intensivo dove il Piano Regolatore Generale prevede un indice di fabbricazione di 27.000 mc. per ettaro. Il numero delle stanze può essere computato a circa 2150, 600 gli appartamenti e 3.500 abitanti circa, 4,3 abitanti per mq. Il complesso è posto al vertice del triangolo formato dall’innesto della vecchia provinciale nella nuova e dalla via Ovidio alla base, in prossimità della località Bettolino Freddo, ai confini del territorio di Brugherio. La sua mole opprimente è visibile da quasi tutti i punti del territorio comunale. I confini del quartiere sono la vecchia provinciale da un lato, la nuova dall’altro, e un vasto prato pieno di detriti alla base. Servizi collettivi e sociali: nessuno , tranne un asilo, sino a poche settimane fa gestito privatamente, con grande lucro sulla miseria delle famiglie numerosissime che abitano il quartiere, e ora gestito da un Comitato dei Genitori.
Sono occorsi diversi mesi per mobilitare gli abitanti del quartiere a lottare per ottenere che l’asilo funzionasse come servizio sociale, e non come impresa privata, nei confronti della quale si manifestavano perfino sentimenti di gratitudine come fosse un’opera di beneficenza e non un diritto elementare del cittadino. Del resto, la politica comunale ha sempre favorito, per ragioni di clientelismo elettorale di questo o di quell’assessore, soluzioni di questo tipo, difficili poi da liquidare, per non assumersi la responsabilità di una politica sociale più onerosa e contrastante con gli interventi della speculazione.
Negli spazi liberi all’interno delle costruzioni, e fuori dal perimetro, non si trova neppure un’aiuola, non un albero, ma cemento e polvere.»

(Luigi Grandi, PROCESSO DI URBANIZZAZIONE DI UN COMUNE DELLA PRIMA FASCIA DELL’AREA METROPOLITANA MILANESE: COLOGNO MONZESE, Tesi di laurea, Università degli Studi di Milano, Facoltà di Lettere, anno accademico 1968-69)

2. La Sala Custodia per i figli degli immigrati.

Attorno al 1966 una signora, immigrata dalla Sardegna, aprì una «Sala Custodia per bambini» nel salone di circa 200 mq. al pianoterra di uno degli stabili del Quartiere Stella, dando una risposta di tipo privato a un bisogno sociale insoddisfatto di molte famiglie. Negli anni ’60, infatti, all’indomani del selvaggio inurbamento che aveva trasformato in pochi anni un paese agricolo di poche migliaia di abitanti in città-dormitorio di oltre 50-60mila anime, a Cologno Monzese esisteva un’unica Scuola Materna: quella delle suore in Corso Roma. Le coppie giovani che lavoravano e avevano figli, se non potevano affidarli a nonni, a parenti o a vicini di casa (a pagamento), trovarono nella Sala Custodia una soluzione quasi provvidenziale. E da molti, infatti, la signora che gestiva la Sala era considerata una “benefattrice dei lavoratori”.

Dal primo mattino al tramonto e con orari diversificati, la Sala si riempiva mano mano di circa settanta bambini. Di età variabile. Si andava da neonati a piccoli di 17-18 mesi, a ragazzi di 10-12 anni che, tornati dalla scuola elementare o media e in attesa del ritorno dei genitori dal lavoro, passavano il pomeriggio nella stessa Sala. A custodire, e cioè semplicemente a sorvegliare, tutti quei marmocchi, bambini e ragazzi d’ambo i sessi c’erano due sole persone: la stessa signora, che a volte doveva anche assentarsi per varie ragioni, e una donna più anziana, immigrata dalla Calabria, brusca e sbrigativa nei modi. Nessuna reale attività didattica o educativa verso i bambini era in pratica possibile da parte delle due donne e in quelle condizioni di promiscuità e precarietà. La Sala aveva poi un solo water. E a fare le pulizie collaborava occasionalmente con le due donne una ragazza sui 14 anni.

I genitori – tutti immigrati e in maggioranza operai ed operaie – lasciavano nella Sala i loro figli al mattino, prima di recarsi in fabbrica; e li riprendevano al pomeriggio tardi o anche la sera, quando già era buio. Alcuni di loro abitavano nel medesimo Quartiere Stella. Altri portavano i figli da quartieri vicini o anche abbastanza lontani. Pochi tra loro avevano l’auto. I più giungevano a piedi, spingendo i passeggini sia col tempo bello sia d’inverno con pioggia e neve. O trasportavano i bimbi accomodati alla meglio chi su biciclette chi su motorini. Le quote pagate – diverse a seconda dell’età dei bambini ma anche dei rapporti personali di fiducia o d’amicizia con la signora sarda – andavano dalle cinque alle diecimila lire. (Il salario medio di un operaio a quei tempi era di circa 50.000 lire). Della Sala Custodia usufruivano pure alcune famiglie in condizioni economiche pesanti e perciò assistite dal Comune o raccomandate da qualche assessore. (Esisteva allora ancora l’ECA, Ente Comunale di Assistenza).

 

3. La lotta di un Comitato di genitori immigrati e lavoratori.

Nel 1969, a tre anni dalla sua apertura, alcuni genitori – quasi tutti operai/e e casalinghe – cominciarono ad avere dubbi su quel che accadeva ai loro figli durante la giornata che passavano nella Sala Custodia. Alcuni bimbi erano tornati a casa di sera con la cacca ancora nei pantaloni. Altri – fu accertato – erano stati maltratti. Informandosi, scoprirono pure che la Sala era stata aperta senza le autorizzazioni necessarie della Direzione didattica di competenza e dell’Assessorato all’Istruzione. Ne parlarono nel Gruppo Operai e Studenti [1] e insieme si decise di scrivere e diffondere un volantino. Vennero così denunciate pubblicamente tre cose: – la signora sarda e la sua aiutante non avevano né i titoli professionali né i regolari permessi per esercitare quell’attività; – l’impossibilità anche materiale, per il numero eccessivo di bambini presi in custodia, di svolgere una qualsiasi attività educativa nei loro confronti; – le responsabilità dell’Amministrazione Comunale, allora governata dalla coalizione DC-PSI, che tollerava una iniziativa privata d’arrembaggio e senza scrupoli, se non mirata al solo lucro personale.

La mattina successiva alla diffusione del volantino tra gli abitanti del Quartiere Stella, la signora sarda fece trovare chiusa la Sala Custodia. E rifiutò ogni dialogo o trattativa o spiegazione con la folla dei genitori, che come sempre erano arrivati per consegnare i bambini prima di andare al lavoro. Per qualche ora, davanti a quella porta chiusa, si svolsero discussioni e polemiche tra favorevoli al volantino e altri sconcertati o preoccupati.
Alla fine – mancava una settimana al periodo delle ferie estive – fu deciso di rivolgersi alle suore della Scuola materna di Corso Roma, che accolsero provvisoriamente i bambini nel loro giardino, a patto che studenti e studentesse del Gruppo Operai e Studenti se ne prendessero cura durante la giornata. La vicenda finì sulle pagine di cronaca locale dei giornali. Gli amministratori, indispettiti da quella denuncia fuori regola, si chiusero a riccio sfuggendo al confronto. Tutti i politici di Cologno, compresi quelli del PCI, allora all’opposizione, mostrarono indifferenza. E anzi cominciarono a circolare – si ricordi che siamo nel fermento sociale e politico del 1968-1969 – voci sui pericolosi “estremisti” del Gruppo Operai e Studenti.

L’unica apertura alle richieste del Comitato genitori, sorto proprio in quel difficile momento e composto in maggioranza da abitanti del Quartiere Stella, venne – “a titolo personale” – dal dirigente del PSI Francesco Giallombardo. E, grazie appunto alla sua mediazione, alla fine dell’estate del 1969, il Comitato dei genitori riuscì ad aprire – sempre a pianoterra dello stesso Quartiere Stella ma dal lato della via Ovidio – un locale in affitto. Nacque così la «Scuola materna del Quartiere Stella» autogestita.

Le pareti del nuovo locale vennero imbiancate gratuitamente dai genitori. Lo spazio, abbastanza vasto, fu suddiviso con quinte e porte in compensato o in masonite. In una sala vennero accolti i bambini dai tre ai sei anni. In un’altra quelli dai sei ai dieci. L’orario di apertura era dalle 7 alle 19 dal lunedì al venerdì. Al sabato, invece, andava dalle 7 alle 12,30. Le tariffe mensili erano di 6.000 lire al mese. Vennero accolti 65 bambini, numero fissato dal medico provinciale. Vi lavorarono due maestre diplomate. Un’assistente cuoca e una donna di servizio provvedevano ai pasti e alle pulizie. Di pomeriggio altre due maestre si aggiungevano per fare il doposcuola ai bambini dai 6 ai dieci anni, che arrivavano nel locale dopo aver frequentato le scuole elementari del mattino. Le quattro maestre facevano riferimento per i loro programmi alla direttrice didattica Giuliana Pandolfi. L’assistenza sanitaria dei bambini era assicurata dal Comune. La gestione economica venne affidata al Comitato dei Genitori, che rispettava uno Statuto e accettava il controllo sul suo operato sia dell’Amministrazione comunale che degli stessi abitanti del Quartiere Stella.

La situazione però restò difficile e precaria sotto vari aspetti. Il nuovo locale era abbastanza umido. I due contributi – uno del Comune di Cologno (£.500mila annue) e uno della Provincia di Milano (£.1 milione) coprivano appena le spese iniziali e quelle fisse per le due maestre prese dalla graduatoria. Non era possibile versare i contributi previdenziali alle altre due maestre del doposcuola fuori graduatoria né acquistare giochi per i bambini. A quei tempi poi i prati attorno al Quartiere Stella erano ben poco agibili e in certi punti pericolosi per le discariche abusive di rottami edilizi. I bambini erano, dunque, costretti a restare tutto il giorno al chiuso. Furono anche compiuti errori in certi acquisti; e si acuirono sospetti e urti personalistici all’interno del Comitato genitori. Tanto che si arrivò ad una separazione fra la gestione della Scuola materna e quella del Doposcuola.

Le difficoltà finanziarie si prolungarono per i tre anni successivi. E continue furono le pressioni sull’Amministrazione comunale, e in particolare sull’assessore all’istruzione della DC, Martinelli, per ottenere che venissero pagati i contributi alle maestre, trovare due assistenti ad ore per migliorare le ore della ricreazione, affittare altri locali più ariosi e forniti almeno di un cortile, avere pasti completi per i bambini.

Ci furono numerose “processioni” di centinaia di persone (così vennero chiamate le manifestazioni dagli stessi genitori) dal Quartiere Stella alla sede del Comune, allora nella sede di Viale Marche e non ancora in Villa Casati. Vari consigli comunali furono interrotti. E spesso, accantonate le minacce da parte di qualcuno che voleva sporgere denuncia per interruzione di pubblico ufficio, quei consigli comunali si trasformarono di fatto in consigli comunali aperti o vere assemblee con la gente, che interloquiva direttamente con questo o quel consigliere, applaudiva, fischiava. Risultati chiari, però, non se ne vedevano.

Il 19 maggio 1971, durante una di queste assemblee nella sala consiliare del Comune, i rappresentati del Comitato genitori restituirono simbolicamente le chiavi della Scuola materna al sindaco socialista Cappalunga. E il mattino successivo, invece che al Quartiere Stella portarono i bambini nell’aula del Consiglio comunale e l’occuparono.
A metà giornata, mentre i genitori erano al lavoro, il sindaco fece intervenire carabinieri e vigili. Maestre, bambini e alcune mamme, che si erano aggiunte a sostegno della manifestazione di protesta, furono costretti a salire su un pullman, che riportò tutti al Quartiere Stella. Qui maestre e bambini, privi di cibo e di servizi igienici ma aiutati da diversi abitanti del quartiere, restarono sul pullman fino al tardo pomeriggio, quando rientrarono dal lavoro i primi genitori.

La protesta rosicchiò all’Amministrazione qualche altro miglioramento: i contributi per le due maestre del doposcuola e l’aggiunta di un nuovo locale più spazioso. Soltanto il 23 ottobre 1972 si arrivò ad un’assemblea che approvò la proposta dell’Amministrazione comunale di trasformare la Scuola materna autogestita in Scuola materna statale con il trasferimento nei locali della scuola elementare di via Boccaccio da poco costruita. Il Comitato dei genitori si sciolse.

Nota

[1] Il Gruppo Operai e Studenti di Cologno fu un collettivo di operai delle piccole fabbriche di Cologno e di studenti delle scuole superiori di Milano ma abitanti a Milano. Fu attivo durante l’autunno caldo sui temi di fabbrica e nella lotta al Quartiere Stella. Confluì poi in Avanguardia Operaia.

[continua]

1 pensiero su “Una microstoria in un quartiere di periferia

  1. …una microstoria che comprende tante storie: chissà i bambini che all’epoca hanno vissuto l’esperienza della Sala Custodia che ricordi hanno conservato. A volte i bambini, a parte i maltrattamenti certo e la cacca nei pantaloni, si trovano bene nella baraonda, imparano anche ad autogestirsi, i grandi aiutando i piccoli. Comunque la lotta per migliorare la situazione fu giusta e agita insieme, genitori, con il sostegno degli studenti: una bella prova di solidarietà…Viene naturale fare un confronto con quella che fu anche la mia esperienza e un mio problema, cioè di trovare persone che accogliessero mia figlia piccolissima quando insegnavo, ancora come supplente, ma con supplenze lunghe. Ero sola per quanto mi riguarda e il’68 l’avevo respirato solo da lontano; mi aiutarono in parte mia sorella, anche lei insegnava, e in parte la custode del mio palazzo, che mi teneva la bambina insieme a suo figlio, di poco più grande. A partire dai suoi due anni, “collocai” la bambina in un asilo-nido privato perchè quelli comunali avevano liste d’attesa interminabili…ma la piccola si trovò malissimo. Non mangiava, dovevo darle qualcosa da casa. Finalmente, intorno al ’76 incominciarono a rimuovere le macerie dei bombardamenti della seconda guerra mondiale e a costruirvi. Sembra incredibile che all’epoca, dopo più di trent’anni dalla fine della guerra, nel mio quartiere periferico milanese, Corvetto, ci fossero ancora vaste zone piene di detriti e muri pericolanti…Così finalmente nel ’77 sorsero un asilo e una scuola media, in seguito il polo Ferrara, un centro sociale di aggregazione. Iscrissi subito mia figlia, aveva tre anni, nel nuovissimo asilo e da allora amò molto stare tra i banchi e con amici. Nel giardino piantumarono alberelli così piccoli, che i bambini riuscivano a toccarne le cime con le manine, alzandosi sulle punte dei piedi. Ora sono diventati alberi di venti metri: Che dire? Finchè cresciamo insieme…

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