Su le mascherine. Ma giù la maschera dell’ipocrisia

Lettera aperta a Ennio Abate

 di Rita Simonitto

Le  denunce circostanziate e non ideologiche, le analisi puntuali e problematiche, i tentativi di interrogarsi sulle strategie politiche messe in atto per la gestione di una pandemia da Covid, che appare a molti  contraddittoria e a tratti insensata, sono numerose anche sul Web. (Solo alcuni esempi: qui, qui, qui, qui, qui). Questi scritti richiederebbero letture impegnative e gruppi di riflessione che oggi sono quasi inesistenti.  Vengono perciò presto dimenticati o  sono  facilmente sovrastati dal rumore di fondo dei mass media. Questi forniscono esclusivamente valanghe di notizie emotive tese ora a rassicurare ora a impaurire. E sono queste purtroppo che i social riecheggiano o entrano nei discorsi quotidiani. Poliscritture ha pubblicato  vari contributi sul tema della pandemia ma  si fatica – è bene dirlo – a ragionare e a comprendere in profondità  i mutamenti che stanno avvenendo a tutti i livelli esterni e interni alla vita organizzata delle popolazioni. La Lettera aperta di Rita Simonitto è un generoso tentativo di rilanciare una riflessione intermittente. Ricostruisce criticamente la cronaca degli ultimi mesi, denuncia le responsabilità politiche di governo e opposizione, testimonia vivacemente  un disagio che è di molti e la volontà di non rassegnarsi. Ripropone anche, senza farla esplicitamente, la domanda più difficile: cosa si può fare di più e meglio? [E. A.] 

Caro Ennio, tre le impellenze che mi hanno spinto a riprendere (in ritardo, oggi siamo al 24.11) il tuo post “Ancora nella gabbia del Lockdown” del 5.11.2020.

  1. una permanente disperazione per quanto continua ad accaderci in un deserto di idee perché l’unico pensiero imperante è legato alla “sopravvivenza” la quale tende a funzionare in termini di “o / o”, “mors tua, vita mea”, salute o economia, ecc. ecc. Cosa ben diversa dal “vivere” che implica apertura alle ipotesi, ad una disponibilità dialettica.
  2. una incontenibile rabbia – che devo però controllare – per lo sfregio che ci viene quotidianamente inferto da coloro che, in modo del tutto arbitrario e schizoide (prima un “si può, si può” e poi “vi siete mossi da irresponsabili”) si arrogano il diritto di dirci qual è il “nostro bene”. Sì, Ennio, uno sfregio. Così, senza timore di essere tacciata per anarchico-libertaria – come hai risposto all’amico ‘insofferente’ nel post di cui sopra (“Scrivere: “Di nuovo trattati come bambini” o chiedersi “Perché ci lasciamo umiliare così?”, dice subito molto del tuo spirito anarchico-libertario e del rifiuto (istintivo o ragionato) delle nuove misure governative”)– vorrei solo esprimere la mia libertà di pensiero e di critica a fronte di un sistema politico (in particolare quella italiano) che ci mostra gli esiti drammatici dell’appiattimento culturale iniziato parecchi anni fa. Un ottundimento derivato anche da un bisogno di omertà su un certo passato, così che per chiudere fantasmi nell’armadio si è finito per chiudere lo stabile intero, anzi, di più: certe “Zone” sono addirittura interdette!

Mi assilla inoltre la reminiscenza degli antichi attacchi fatti alla meritocrazia, quando oggi non possono non balzare agli occhi situazioni in cui è palese che non ci si può improvvisare amministratori di un Ministero, gestire Leggi, e, men che meno, affrontare emergenze come quella pandemica che ci è capitata inaspettata se non si è dotati di un minimo di preparazione.

  1. In aggiunta a tutto ciò, mi turba la lirica (pur splendida e anche da me partecipata) di D. Salzarulo “La curva d’autunno”, perché trasuda speranza, anche se triste, mentre quotidianamente ogni speranza di futuro viene assediata non dal “nemico invisibile” (così, erroneamente, è stato presentato il Covid 19) bensì da uno sfinimento progressivo della popolazione, demotivazione accompagnata dai più lugubri fantasmi della Morte e di fronte ai quali anche i Cavalieri dell’Apocalisse si ritraggono. Non si palesa nessuna forma di accompagnamento da parte di chi (s)governa il Paese in questa situazione drammatica, ma una crudeltà mista a sadismo che mi richiama le parole della cacciata dall’Eden fatte ad Eva (“moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli”) e ad Adamo (“maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita”). Oggi, i novelli Torquemada minacciano: “morirete tutti se vi rendete colpevoli di aver violato le regole” (regole, tra l’altro, contraddittorie). Se non fosse tragico, verrebbe da rispondere come fece M. Troisi al predicatore che voleva intimorire la popolazione al grido “ricordati che devi morire!”: “Sì, sì. Mo’ me lo segno”! (Nel film di M. Troisi -1984 – “Non ci resta che piangere”).

Come sempre, ci sono le gocce che fanno traboccare un vaso ormai stracolmo:

  • la prima, riguarda la dichiarazione dell’infettivologo Massimo Galli (ma non aveva dichiarato pubblicamente che si sarebbe ritirato dalle apparizioni televisive?) in cui, esondando dal suo territorio di ‘uomo di scienza’– esondazione che, peraltro, va di moda oggi attraverso una tuttologia imperante -, ha affermato che le festività natalizie andrebbero vissute “da remoto”, ossia collegandosi agli affetti più cari via Skype e privilegiando, per gli eventuali regali natalizi, le piattaforme internazionali on line (tipo Amazon).

Queste prese di posizione ci fanno intuire un possibile ‘progetto’, una ‘linea socio-politica’ che andrà a sancire la condizione di solitudine, della distanza/deprivazione affettiva (gli affetti sono portatori di danni, si sa!), nonché una progressiva disumanizzazione e de-socializzazione: il tutto eretto a nuovo stile di vita (e di cui già oggi incominciamo a vedere i nefasti effetti). La tranquillizzante rassicurazione che si tratterà solo di un breve periodo di sacrificio e dopo ci sarà la ripresa della ‘normalità’ – anzi, ci ritroveremo migliori di prima -, non è che una pietosa bugia già detta a sostegno del primo lockdown e il cui smascheramento oggi è palese agli occhi di tutti. E il ‘mantra’, strombazzato a destra e a manca, “siamo i migliori”, non è servito ad altro che a nascondere la polvere sotto il tappeto: siamo agli ultimi posti dei parametri internazionali in quanto a crescita, buona gestione del bene pubblico e burocrazia (e anche in termini di valutazione pandemica: oggi, alla seconda ondata, siamo sì ad un terzo posto, ma solo per il numero di decessi).

  • la seconda goccia, è il ricorso all’algoritmo, decisore indiscutibile (nonché imperscrutabile) delle scelte che verranno fatte in merito alle chiusure per Covid 19 nelle varie Regioni visto che un lockdown generalizzato sarebbe impopolare e turberebbe il consenso. La indefettibilità dei 21 parametri scelti, refrattari ad ogni valutazione qualitativa ha, in un certo senso, tolto le castagne (abbondantemente bruciacchiate) dal fuoco delle indecisioni e confusioni governative.

Sì, perché il PdC [Presidente del Consiglio] – onde mascherare la INDUBBIA difficoltà a gestire un evento così inusitato e terribile, si è trincerato dietro una cautela decisionale propagandata come necessaria (e, inizialmente, lo era) ma tramutatasi poi in una reiterata ossessione. Facendosi (falso) scudo dei tecnici e dei vari Organi di Sanità Nazionale e Internazionale, che affermavano tutto e il contrario di tutto (e subendo accuse più o meno velate di partigianeria) -, ora ha trovato la ‘quadra’: la ‘responsabilità’ sarà tutta dell’Algoritmo.

E’ proprio vero che la realtà supera la fantasia se penso al film di S. Kubrick, “2001, Odissea Caporettonello spazio” (1968). In quel film, a bordo della navicella spaziale Discovery One, era stato installato un supercomputer di nome HAL 9000, acronimo per Heuristic ALgorithmic (“algoritmo euristico“) al fine di gestire quel periglioso viaggio in modo ‘asettico’, onde evitare gli scogli di conflitti soggettivi nelle scelte da prendere da parte dell’equipaggio. Non evitò nulla, andò in tilt (per un umano si direbbe ‘impazzì’) e, per chi non lo avesse ancora visto, non faccio ‘spoiler’ sul finale.

  • la terza goccia contempla la presunta impossibilità di cambiare un governo in corsa e men che mai in una situazione drammatica come l’attuale. E quindi si cerca di tenere in piedi con le unghie e con i denti un esecutivo che non ‘esegue’ niente di propulsivo ma soltanto pericolose ripetizioni di errori già fatti. Ricordo che il Gen. Luigi Cadorna, che attribuì la disfatta di Caporetto alla scarsa combattività di alcuni suoi reparti anziché imputarla alla sua impermeabilità ad ascoltare consigli esterni, venne sostituito dal Gen. Armando Diaz. E si era nel pieno della Prima Guerra Mondiale…

Premetto che non voglio turbare quei sentimenti di ‘placida rassegnazione’ di fronte alla patita “sopravvenienza di eventi imponderabili”: ognuno risponde a seconda di quanto può gestire o meno. E non mi va di essere tacciata da ‘negazionista’ (di non so cosa perché il virus c’è, eccome!) e men che meno costretta in una assurda riduzione ‘ad Hitlerum’, come se godessi dei morti per virus, solo perché vorrei presentare alcune problematicità e non mi accordo al ‘pensiero unico’.

Premetto anche che non è nel mio stile fare polemiche, ma oggi più che mai mi riesce intollerabile la mistificazione. Le ‘bugie’ dei politici le ho sempre messe in conto, so che le false promesse sono il loro pane quotidiano, ma qui siamo in un ambito completamente diverso, ovvero lo stravolgimento della realtà, il ribaltamento di ogni principio di responsabilizzazione dove i ‘non-più-cittadini’ vengono sottoposti alternativamente ad inneggiamenti o ad affossamenti.

Inoltre premetto che tendo ad essere rispettosa delle regole, anche se ho delle perplessità sulla loro sensatezza e sul loro inserimento in un progetto previsionale. In ogni modo mi seccherebbe morire a causa dell’insipienza altrui accompagnata a volte anche da malafede.

Dolorosamente mi risuonano alcuni versi del sonetto n. 66 di Shakespeare quando parla della “povera nullità tutta agghindata”… , della ”forza invalidata dal potere zoppicante”…,dell’ “arte imbavagliata dall’autorità”. Non è forse questo il panorama che ci si presenta oggi?

Certo, mi si dirà: “Ma siamo di fronte al Covid, bellezza!”, il “nemico invisibile!”. Senza dubbio il virus non è visibile a occhio nudo; senza dubbio la sua struttura, le sue dinamiche di trasmissione ci sono in parte sconosciute, ma ciò non ne fa un nemico bensì un ‘oggetto’ che si andrà a conoscere e a decrittarne lo statuto. A ciò serve la scienza, pur con i suoi limiti e le sue contraddizioni interne, altrimenti ci atteggiamo come i nostri antenati che vivevano come ‘nemico’ tutto ciò che non conoscevano. L’espressione di cui sopra, rappresenta dunque la prima grande mistificazione onde rimestare nel torbido delle nostre paure ancestrali: “il nemico invisibile”.

Nello stesso tempo, non possiamo limitarci a guardare il dito (il Coronavirus) e non la luna, ovvero un sistema capitalistico che attualmente ha bisogno di trasformarsi e utilizza tutto ciò che ha a disposizione, fra cui anche la pandemia che, come accade per la famosa eterogenesi dei fini, gli è capitata fra le mani producendo quell’annullamento residuo di socializzazione che ancora persisteva. Non a caso, con un bel lapsus freudiano, si è parlato di ‘distanziamento sociale’ anziché di ‘distanziamento fisico’. E questa è la seconda mistificazione: “distanziamento sociale” verso cui si sta alacremente operando per fini che esulano dal contenimento del virus.

Dall’Europa all’America, ovviamente con le differenze socio-politiche ed economiche specifiche di ogni singolo Paese, pare che il trend sia questo: un attacco spietato a quelle specifiche forme di socializzazione che possono rappresentare un pericolo in quanto passibili di venire trascinate da eventuali “soggetti non assoggettati” al potere dominante (il tema è molto complesso per essere sviluppato qui).

Così vediamo le aziende che previlegiano il lavoro da remoto, la scuola con didattica a distanza, i teatri con rappresentazioni trasmesse via Netflix, lo shopping mediato da influencer sponsorizzati da catene tipo Amazon, i ristoranti dove la cultura del piacere nello stare a tavola viene sostituita dalla depressione di un pasto portato a domicilio, anche con amici, sì, ma senza quel clima di incontri che rendeva il ristorante luogo in cui ci si ristorava non solo col cibo ma anche attraverso i rapporti con le persone. Ovvero la socialità è stata soppiantata dalla virtualità (e viralità) dei social (che di ‘sociale’ non hanno nulla, contano solo i numeri dei gradimenti). Emblematico nella sua drammaticità questo episodio: l’invit oa portare la mascherina protettiva non arriva dall’autorevolezza di chi ci governa e si dovrebbe prendere cura delle nostre sorti, bensì dagli influencer che hanno più ascolti.

La stessa informazione, il cui compito sarebbe appunto quello di dare forma comprensibile agli eventi, si è trasformata in notizia la quale, più che ‘informare’, deve essere ‘sensazionale’, suscitare ‘sensazioni’ non riflessioni e quindi pensiero. La stessa malattia deve entrare nel circolo mediatico, meglio se esibita/raccontata nel suo dramma dai Vip.

Fatte queste premesse, veniamo ad alcuni dettagli.

Giustamente Paolo Di Marco (8.11 – h. 14.44) scrive: ‘il potere ci fa questo …per i suoi interessi..’: quale potere? O mettiamo nome, cognome, indirizzo o evitiamo affermazioni fumose; il ‘a chi giova’ dovrebbe sempre avere consequenzialità logiche e anche qui possibilmente controllabili.”

Rispondo che, ovviamente, nomi, cognomi e indirizzi potranno essere desunti dai dati che riporto.

Partiamo dal 5 gennaio 2020: il Ministero della Salute invia a vari Enti tra cui l’ Istituto Superiore di Sanità, l’ Ospedale Spallanzani di Roma e il Sacco di Milano una nota di tre pagine. Oggetto: “Polmonite da eziologia sconosciuta”. Il Ministero spiega che al 31 dicembre la Cina ha segnalato alcuni casi di questo genere (poi il 3 gennaio i casi sono diventati già 44. Il mercato di Wuhan viene chiuso e da lì a poche ore inizieranno a emergere i primi Covid). La nota del Ministero aggiunge dell’ altro. Si legge: “I segni e i sintomi clinici consistono principalmente in febbre, difficoltà respiratorie, mentre le radiografie al torace mostrano lesioni invasive in entrambi i polmoni”. Si tratta delle ormai note polmoniti interstiziali bilaterali. Eppure si prosegue come nulla fosse. Gli italiani nulla immaginano. I vertici sanitari invece sì, ma queste sintomatologie non vengono comunicate a quei medici di base che stanno sul territorio né vengono allertati i medici ospedalieri che verranno a contatto con l’epidemia senza alcuna protezione informativa in merito. Sembra che non si attivi alcun piano antipandemico, non solo perché quello in vigore è obsoleto (risale al 2017) ma perché si cerca di derubricare l’evento come una forma influenzale un po’ più virulenta.

Il 1° febbraio, in apparente contraddizione con le affermazioni tranquillizzanti di cui sopra, il Consiglio dei Ministri dichiara lo stato di emergenza per 6 mesi e stanzia 5 milioni di euro. Viene nominato Commissario straordinario il Capo della Protezione civile, Angelo Borrelli.

Il 4 febbraio, il Ministero della Salute istituisce una task force dedicata al virus 2019-nCoV e rafforza i controlli negli aeroporti e porti italiani. I presidenti leghisti di Veneto, Lombardia e Friuli Venezia Giulia e della provincia autonoma di Trento chiedono al governo di imporre la quarantena a chi rientra dalla Cina (tenendo conto che il 25 gennaio lì hanno festeggiato il capodanno cinese con assembramenti a go-go), compresi gli alunni delle scuole, ma vengono accusati di ‘razzismo’ verso i cinesi e di portare panico immotivato tra la popolazione. Lo slogan è: “il nemico non è il virus ma il razzismo”. La celebrazione dell’involtino cinese da parte di politici e di giornalisti diventa lo scenario dove si contemplano le nostre paure e le relative scaramantiche difese.

Arriviamo al 21 febbraio. È il nostro venerdì nero. A 54 minuti dalla mezzanotte l’ Ansa batte la prima agenzia: “Coronavirus, un contagiato in Lombardia”. È il “paziente uno”, un 38enne ricoverato per polmonite all’ospedale di Codogno, nel basso Lodigiano. Nel corso della giornata emergono due casi a Vo’ Euganeo, nel Padovano: alle 23.40 uno dei due, un 77enne di Monselice, muore. È il primo morto in Italia. Salvini intima al governo di chiudere tutto: “Chiudere! Blindare! Proteggere! Controllare! Bloccare!”.

Il 22 febbraio, Conte firma un decreto: le aree dei due focolai del Lodigiano e di Vo’ Euganeo diventano “zone rosse”: non si potrà uscire né entrare. Nel corso della giornata i contagi arrivano a 76. Panico!

Il 23 febbraio: vengono chiuse le scuole in sei regioni del Nord.

Il 26 febbraio. Il presidente della Lombardia Attilio Fontana si mette in isolamento in diretta Facebook dopo aver annunciato la positività di una sua collaboratrice. Non solo viene preso in giro per i suoi movimenti maldestri nell’indossare la mascherina ma viene accusato di allarmismo ingiustificato.

Il 27 febbraio. Da più parti si sollevano le grida contro chi semina paura per paralizzare il Paese. Il sindaco di Milano Beppe Sala chiede al governo di riaprire i musei, riapre i locali dopo le 18 (già chiusi dalla Regione), indossa la t-shirt con lo slogan #milanononsiferma, si fa ritrarre mentre prende lo spritz e condivide un video commissionato da 100 brand della ristorazione che esalta i “ritmi impensabili” della capitale morale. M. Salvini, preso in contropiede e non volendo screditarsi come colui che ostacola l’operosità della Regione, va da S. Mattarella a chiedere di “Riaprire tutto e far ripartire l’ Italia” e intima al governo: “Riaprire tutto quello che si può riaprire”.

Il segretario del Pd Nicola Zingaretti va sui Navigli per un simbolico aperitivo coi giovani del partito. Nove giorni dopo annuncerà di essere positivo al Coronavirus.

Il 28 febbraio. Il governo approva il decreto legge “misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’ emergenza epidemiologica da COVID-19 “. Salvini chiede: “Aprire, aprire, aprire! Si torni a produrre, a comprare, si torni al sorriso”.

  • Confcommercio stila un decalogo: “Sono gli ultimi giorni di saldi: approfittane! Vai dal parrucchiere o dall’ estetista! Incontra gli amici al bar per un aperitivo, non sono più chiusi dopo le 18! Esci a cena, i ristoranti sono aperti!”
  • Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia denuncia al Corriere i danni della psicosi da Coronavirus: “L’ export e il turismo hanno pesanti contraccolpi”. Riapre il Duomo di Milano.

Questo triste e drammaticamente parossistico calendario-indice di un disorientamento generale senza guida alcuna, accompagnato da dichiarazioni governative del tipo “Siamo prontissimi” (Presidente del Consiglio da Lilli Gruber), “Non possiamo presentarci come il lazzaretto d’Europa” (Presidente del Consiglio), “Andrà tutto bene” e, in alternanza, da DPCM restrittivi, in un andamento a fisarmonica (stonata, peraltro!) -nascondeva una ben altra verità: a gennaio sia i Servizi Segreti (la cui delega è nelle mani del premier Conte), sia un dossier (poi secretato e declassato a ‘scenario’ mentre invece il frontespizio titolava “Piano Nazionale Anticovid”) definivano: il primo, l’avvento di una pandemia (non una semplice influenza) e, il secondo, le linee guida da adottare per fronteggiare ciò a cui si sarebbe andati incontro (terapie intensive, stoccaggio mascherine e altri ausili sanitari, dispensari distribuiti nel territori, reclutamento di personale medico e infermieristico) computando anche il numero delle perdite di vite umane (numeri che poi si andranno a riscontrare nella lugubre verità dei fatti).

Ciò fa sì che il governo, appunto il 1° di febbraio, da un lato dichiari lo stato di emergenza per sei mesi ma, dall’altro, non avvii quelle procedure previste nel Piano Emergenza Pandemica. Oltretutto il nostro era fermo al 2017 (mera fotocopia di quello del 2006 e quindi senza alcun aggiornamento). Già nel 2010 Formigoni, alle prese con l’Aviaria, aveva denunciato l’inadeguatezza del Piano del 2006. Ma non se ne fece nulla. Di fronte alla mole pesantissima di impegni di cui farsi carico, unita alla carenza di soggetti preparati alla bisogna e capaci di affrontare l’emergenza, la strada presa fu quella di procedere a seconda di come tirava il vento del consenso: dal negare il problema (“si tratta solo di una influenza”) allo scodellamento quotidiano di Dpcm restrittivi coadiuvati in questo da una pletora di virologi, infettivologi, microbiologi che trovavano finalmente una loro audience e il cui successo mediatico avrebbe potuto anche portare ad una certa visibilità anche politica.

Così inizia il balletto/calvario delle mascherine sì e mascherine no (“non servono”, si dice anche da fonti autorevoli quali l’OMS, ma solo perché non ci sono – parecchie migliaia sono state inviate per solidarietà a Wuhan dal nostro Ministro degli Esteri) e la danza macabra del palleggio delle responsabilità tra Governo centrale e Regioni.

A tutto ciò si aggiunge un Parlamento esautorato e una operazione di blindatura di notizie sanitarie, anche lì con varie mistificazioni in merito alla loro secretazione: non ci sarebbe stata alcuna secretazione, viene detto. Ma allora perché ricorrere al TAR Lazio contro la richiesta di accedere a quei fascicoli fatta dalla Fondazione Einaudi per vederci chiaro? E, alla fine, essere presentati con molti ‘omissis’?

Anche la recente audizione del Ministro alla Salute, Roberto Speranza, al Copasir (il ministro si ostina ad affermare che all’ISS [Istituto Superiore di Sanità] non era pervenuto nessun Piano Nazionale Anticovid ma solo ipotetici scenari) viene secretata.

Quindi si preferìsce operare con la paura. Presentando l’epidemia come una catastrofe inevitabile e ingovernabile, anziché come un evento che poteva essere fronteggiato sia pure con difficoltà – in virtù anche del fatto che il PdC [Presidente del Consiglio] aveva prolungato lo stato di emergenza e quindi assumendosi poteri decisionali di pronto intervento senza finire nelle maglie della burocrazia – approntando quelle misure sanitarie adatte alla bisogna. Sarebbe stato anche sufficiente consultare un Software messo a disposizione dell’OMS (pur essendo un organo alquanto deficitario e di parte) per fronteggiare la pandemia, strumento in grado di calcolare i fabbisogni del territorio e procedere di conseguenza.

La paura! Mi angoscia e mi si ghiacciano le vene nel ricordare quanto disse Goering interrogato a Norimberga sul come mai il popolo tedesco avesse potuto tollerare tanto orrore perpetrato dal Terzo Reich. Macabra la risposta. “E’ stato facile e non ha nulla a che fare con il nazismo, ha a che fare con la natura umana. Lo puoi fare in un regime nazista, comunista, socialista, in una monarchia o in una democrazia. L’unica cosa che si deve fare per rendere schiave le persone è impaurirle. Se riuscite a immaginare un modo per impaurire le persone, potete fargli quello che volete”.

E, purtroppo, è così. Fior di letteratura sia scientifica che letteraria ne dà conferma!

Ecco, quel giocare con le debolezze della natura umana come vediamo anche oggi, mi ha distrutto dentro. Da qui la mia profonda disperazione di cui ti ho parlato all’inizio.

Nello stesso tempo posso anche capire. A febbraio/marzo le risorse disponibili erano veramente al lumicino: un irrisorio investimento del 6% del PIL sulla Sanità; sgretolata la medicina territoriale; tagliati decine di migliaia di medici, di infermieri, di posti letto a seguito di faziose politiche di austerità (sempre propagandate per il ‘nostro bene’!).

Sarebbe stato troppo facile gridare contro un governo di ‘incapaci’: né più né meno che come sparare sulla Croce Rossa. Quindi, ciò che è avvenuto nella prima ondata lo includo (anche se con uno sforzo generoso) ad una impreparazione a fronte di difficoltà oggettive di natura organizzativa, sanitaria e non. Difficoltà che però – anziché essere presentate in Parlamento onde mettere in atto ALLORA un lavoro comune, di ‘squadra’ (come si caldeggia OGGI) per il bene pubblico -, vennero sottaciute, anzi, addirittura negate con un perentorio “Siamo prontissimi!”.

Ma ciò che sta avvenendo adesso, no, non può essere accettato. Dopo i ‘fantastiliardi’ ventilati (e parte di questi come sono stati utilizzati – anzi, sprecati -?) la situazione è al collasso. Ci troviamo di fronte ad una specie di reiterazione del reato, però senza alcuna manifestazione di riconoscimento della propria insipienza ma soltanto un riversare le colpe sugli altri (sulla popolazione – che pur avrà avuto i suoi deficit a causa anche di informazioni caotiche -; sulle Regioni – che pure avranno avuto le loro negligenze). In questo modo (come suggeriva il caro buon S. Freud in “Ricordare, ripetere, rielaborare”), se non si rielabora non si impara e si rischia di ripetere gli errori ad infinitum. E ciò vale per tutti, non solo per chi ci (s)governa. Anche per chi gestisce l’informazione.

La memoria storica è importante, ma vi si deve accedere senza preconcetti o ideologie che sviano e condizionano l’osservazione.

Nella cronaca che ho riportato, ho segnalato che tutto il mondo politico si è ‘impasticcato’, ognuno a modo suo e ognuno con le sue ragioni.

Però è chi detiene il potere che ha la responsabilità di tenere la barra!

 

24.11.2020

 

23 pensieri su “Su le mascherine. Ma giù la maschera dell’ipocrisia

  1. Un fiume di parole, quelle di Rita Simonitto, per dire poco più di nulla e proporre assai meno di nulla. Non so se immemore o ignara dell’antica sapienza frigia – ἀνέχου καὶ ἀπέχου – comunque assai lontana da una lettura della pandemia da Covid che sta sconvolgendo il mondo che sia davvero “senza preconcetti o ideologie che sviano e condizionano l’osservazione”, come scrive con inconsapevole autoironia. La mia piccola, dolorosa esperienza personale mi dice tutt’altro. Vittima di un effetto collaterale del Covid – colpito da sincope per scarso ossigeno mentre facevo esercizio fisico con mascherina – ho potuto constatare che i più, con o senza frequentazioni accademiche e universitarie, hanno invece saputo far tesoro dell’antica sapienza stoica: “astenersi da tutto ciò che non è in proprio potere e sopportare quel che capita”. Questi i nudi fatti della mia piccolissima esperienza personale che – ne sono ben consapevole – non potrà neppure scalfire le verbose montagne di palesi e occulti ideologismi. Che mi auguro destinati ad auto-dissolversi.

    UN DIVERSO 4 NOVEMBRE

    La mattina di mercoledì 4 Novembre 2020 dopo un esame cardiologico di routine dall’esito confortante avevo deciso di festeggiare con un po’ di movimento fisico. Mentre camminavo a passo sostenuto per i magnifici chiostri di San Pietro in Perugia sono stato colto da un improvviso malore con conseguente caduta, lussazione della spalla sinistra, momentanea amnesia e leggere ferite al volto.
    Desidero ringraziare di tutto cuore chi generosamente mi ha prestato i primi soccorsi e ha chiamato l’autoambulanza. Non ricordo chi siano queste persone responsabili del bel gesto civico ma spero vivamente di poterle in futuro incontrare per esprimere loro personalmente tutta la mia gratitudine. Ho invece perfetta memoria di tutto il magnifico e competente personale dell’autoambulanza che mi ha fornito le prime, indispensabili cure e, avendo poi trascorso il resto della giornata al S. Maria della Misericordia per le ulteriori, necessarie terapie e i dovuti accertamenti, di tutti coloro che con sollecitudine, professionalità e cortesia si sono presi cura della mia persona. A ciascuno di loro va tutta la mia gratitudine. Credo che non saremo mai sufficientemente riconoscenti a quanti oggi lavorano negli ospedali. Tra ambulanze che arrivano e altre che partono, le barelle e i lamenti dei pazienti, vi è quell’andirivieni silenzioso del personale, veloce ma non frenetico, attento, teso, laborioso dal quale tuttavia traspare l’intima gioia di chi sa che sta facendo la cosa giusta. Mi è sembrato che aleggiasse nel Pronto Soccorso e in tutti gli altri reparti che ho dovuto mio malgrado visitare lo spirito della staffetta partigiana Tina Anselmi, ideatrice e costruttrice di questo nostro Servizio Sanitario Nazionale. Quando verrà un nuovo 25 aprile di liberazione dal Covid molto lo dovremo a questo spirito e a quelle persone che lo hanno saputo di nuovo incarnare. Anche alla luce di questa piccola esperienza personale mi sono sembrati ancor più riprovevoli quei politici che, o con comportamenti di non cristallina moralità o per manifesta povertà di visione e programmazione o infine perché distratti dalla ricerca di opachi equilibri tra interessi privati e sanità pubblica, hanno tuttavia recato e recano offesa alle molteplici, diversificate professionalità e alla comune squisita umanità dei lavoratori ospedalieri e quindi, per diretta conseguenza, all’intera comunità. Voglio sperare che anche nell’attuale battaglia contro l’epidemia gli ideali che animarono la luminosa partigiana, “madre della Repubblica”, Tina Anselmi prevalgano ancora in Umbria e in Italia.

  2. Gentile Paolo Ottaviani, sarò sintetica.
    Mi dispiace molto per quanto le è capitato, mi rallegro per il fatto che ciò non ha scalfito la sua verve ed esprimo gratitudine a tutti gli operatori sanitari che coscienziosamente portano avanti il loro compito come una ‘missione’.
    Chiudo con l’augurio che gli ideali democratici che animarono alcuni Costituzionalisti (sto pensando, ad es., alla complessità del pensiero del giurista Costantino Mortati che contribuì alla redazione della nostra Costituzione) possano trovare udienza oggi.
    Con stima.
    R.S.

  3. Gentile Rita Simonitto, la ringrazio.
    Mi permetta di aggiungere che Lei mostra molto più acume nelle sistesi piuttosto che nelle analisi. Saprà quindi cestinare tutto il cestinabile della sua produzione e serbare il resto. Anche nello spirito della “Costituzione in senso materiale” di Costantino Mortati io, cassando la sua “Lettera aperta”, mi terrò stretta questa sua concisa replica.
    Buon lavoro.
    Paolo Ottaviani

  4. SEGNALAZIONE

    Sul tempo che viene

    Ciò che sta oggi avvenendo su scala planetaria è certamente la fine di un mondo. Ma non – come per coloro che cercano di governarla secondo i loro interessi – nel senso di un trapasso a un mondo più consono alle nuove necessità dell’umano consorzio. Tramonta l’età delle democrazie borghesi, coi suoi diritti, le sue costituzioni e i suoi parlamenti; ma, al di là della scorza giuridica, certo non irrilevante, a finire è innanzitutto il mondo che era iniziato con la rivoluzione industriale e cresciuto fino alle due – o tre – guerre mondiali e ai totalitarismi – tirannici o democratici – che le hanno accompagnate.
    Se le potenze che governano il mondo hanno ritenuto di dover ricorrere a misure e dispositivi così estremi come la biosicurezza e il terrore sanitario, che hanno istaurato ovunque e senza riserve, ma che minacciano ora di sfuggir loro di mano, ciò è perché temevano secondo ogni evidenza di non aver altra scelta per sopravvivere. E se la gente ha accettato le misure dispotiche e le costrizioni inaudite cui è stata sottoposta senza alcuna garanzia, ciò non è soltanto per la paura della pandemia, ma presumibilmente perché, più o meno inconsapevolmente, sapeva che il mondo in cui aveva vissuto fin allora non poteva continuare, era troppo ingiusto e inumano. Va da sé che i governi preparano un mondo ancora più inumano, ancora più ingiusto; ma in ogni caso, da una parte e dall’altra, si presagiva in qualche modo che il mondo di prima – come si comincia ora a chiamarlo – non poteva continuare. Vi è certamente in questo, come in ogni oscuro presentimento, un elemento religioso. La salute si è sostituita alla salvezza, la vita biologica ha preso il posto della vita eterna e la Chiesa, ormai da tempo abituata a compromettersi con le esigenze mondane, ha più o meno esplicitamente acconsentito a questa sostituzione.
    Non rimpiangiamo questo mondo che finisce, non abbiamo alcuna nostalgia per l’idea dell’umano e del divino che le onde implacabili del tempo stanno cancellando come un volto di sabbia sul bagnasciuga della storia. Ma con altrettanta decisione rifiutiamo la nuda vita muta e senza volto e la religione della salute che i governi ci propongono. Non aspettiamo né un nuovo dio né un nuovo uomo – cerchiamo piuttosto qui e ora, fra le rovine che ci circondano, un’umile, più semplice forma di vita, che non è un miraggio, perché ne abbiamo memoria e esperienza, anche se, in noi e fuori di noi, avverse potenze la respingono ogni volta nella dimenticanza.

    23 novembre
    Giorgio Agamben

    (DA https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-sul-tempo-che-viene)

    1. “Se le potenze che governano il mondo hanno ritenuto di dover ricorrere a misure e dispositivi così estremi come la biosicurezza e il terrore sanitario, che hanno istaurato ovunque e senza riserve, ma che minacciano ora di sfuggir loro di mano, ciò è perché temevano secondo ogni evidenza di non aver altra scelta per sopravvivere.”

      – le potenze che governano il mondo: Satana e la sua corte, presumo.

      – hanno ritenuto di dover ricorrere: nel corso di un summit all’inferno.

      – ma che minacciano ora di sfuggir loro di mano: Satana e la sua corte sono pure stupidi perché hanno fatto male i conti.

      Qualsiasi conseguenza avrà l’epidemia (reale) che ci affligge, una cosa si può dire con sicurezza: Agamben si è bevuto il cervello.

  5. Concordo quasi su tutto ciò che scrive Rita Simonitto, compresa la citazione di Göring che non va mai dimenticata. Concordo anche con Paolo Ottaviani, con questa correzione: Simonitto non dice nulla di nuovo, ma riepiloga utilmente una serie di osservazioni critiche nei confronti del comportamento dei “decisori” (tecnici e politici) e delle decisioni messe in atto; e riepiloga la cronologia di quel che è successo.
    Ci sono «preconcetti o ideologie che sviano e condizionano l’osservazione»? Certamente, ma com’è possibile fare diversamente? L’osservazione nasce da un particolare e personale sguardo e sentire che, sempre e in tutti, Ottaviani compreso, ingloba un tanto di «preconcetti o ideologie».
    L’impressione negativa che quello di Simonitto sia «Un fiume di parole» inutili è indubbiamente frutto dello sguardo personale di Ottaviani e dei suoi preconcetti e condizionamenti. Niente di male, normale divergenza, non tanto di opinioni, ma piuttosto di personali esperienze, sensibilità e modi di affrontare i problemi.
    La vera domanda che resta inevasa è quella che pone Ennio Abate: «cosa si può fare di più e meglio?».
    Rispondere è difficile, sia perché difficile è il problema sia perché comunque si entra nella sfera delle concezioni personali, per cui riformulerei la domanda in questo modo: «che cosa si potrebbe fare di diverso e – a mio parere – di meglio?».
    Non è possibile rispondere “oggettivamente” alla domanda, perché è una domanda tipicamente esistenziale a livello personale e politica a livello generale. Si deve entrare nel vivo e scegliere e ogni scelta include qualcosa ed esclude altro, con i rischi di errore e con le conseguenti responsabilità.
    Elencherò pertanto una serie di mie opinioni.
    1) Il virus c’è ed è pericoloso. non è stato sopravvalutato, ma, anzi, sottovalutato. Ogni “negazionismo” è fuori luogo.
    2) Non credo che ci sia stato un complotto, o nell’origine del virus o in certe scelte fatte per affrontarlo, tuttavia il virus ha una sua origine e le conseguenze, da tutti i punti di vista, ci sono. Di chi, fin dal primo momento ha sviluppato una forte critica anche basata sulla teoria del complotto, vanno rifiutati gli elementi e le argomentazioni un po’ paranoiche ma non certe previsioni che si sono rivelate, e si stanno rivelando, corrette nelle forme in cui gli eventi si sviluppano.
    3) Del resto si tratta di conseguenze prevedibili e già rivelatesi nel passato in tutti i casi di forte emergenza per pandemie e, in modo diverso ma con qualche analogia, per guerre e per gravi crisi economiche.
    4) La prima conseguenza è che gli Stati corrono dietro all’emergenza: non riescono a prevenirla né a starle alla pari. La rincorrono in modo affannoso, compiendo madornali errori, e pur adottando strategie diverse con diversa gravità di conseguenze, alla fin fine in tutti gli Stati si registra questo fatto. La capacità statale di decidere è inadeguata, la pandemia ha un suo corso solo in parte controllabile e modificabile, gli effetti che ne conseguono rispondono in gran parte alle linee dell’eteronomia dei fini. Tuttavia, per chi agisce anche sulla base delle raffinate teorie di controllo dei “cigni neri” e degli “eventi imprevedibili”, l’imprevedibile è in parte prevedibile e fonte di opportunità.
    5) Così avviene che mentre per molti la pandemia è la crisi, il degrado sociale, l’arretramento economico, la disoccupazione, la miseria, la fame; per altri è un’occasione di arricchimento, di rafforzamento, di aumento del proprio potere. Questo, sia a livello di singoli gruppi finanziari, commerciali e multinazionali, sia a livello geopolitico nei rapporti fra Stati e aree del pianeta, sia a livello di rapporti fra partiti e gruppi e singoli politici interni ai partiti.
    6) La pandemia ora innesta nuove dinamiche, ora accelera quelle già in atto. In ogni caso produce cambiamenti, non nel senso di un rinnovamento sapiente e auspicabile dei sistemi di vita per il dopo, ma in quello di un ritorno a una “normalità” riplasmata, quindi diversa in parte rispetto a quella che abbiamo alle spalle, ma con effetti innovativi coerenti con le finalità di chi ha saputo coglierne le opportunità ed evitare i condizionamenti della paura nei modi previsti da Göring. Non sarà la contestazione e la ribellione a vincere, ma, come quasi sempre, del resto, la capacità di innovazioni nelle strutture sociali e produttive che i gruppi dirigenti sapranno introdurre. Innovazioni positive o negative? Dipende dai punti di vista e dalla capacità ideologica (e propagandistica) di convincere. Anche le innovazioni naziste, pur tanto negative, apparvero, per una diecina di anni almeno, positive alla maggioranza del popolo tedesco.
    7) La gestione della pandemia è dunque anche e soprattutto un problema di decisioni politiche e non solo tecnico-sanitarie. Qualunque cosa si faccia è, di per sé, una decisione politica. Anche il fare poco e il temporeggiare di cui tutti ormai accusano il governo è una decisione politica che ha le sue conseguenze.
    8) Detto questo, posso elencare una serie di punti che prevedono riforme necessarie per rispondere meglio sia all’emergenza attuale sia alle prospettive future, ma so bene che le mie proposte resteranno del tutto inevase perché il sistema Italia ha già le sue risposte e non intende cambiarle.
    9) Comunque, ecco alcuni punti.
    9.1) La tendenza è di accentrare ulteriormente il potere. Emblematica è tutta la polemica nei confronti dei governi regionali che, da un lato, vorrebbero troppa autonomia, dall’altro, non vorrebbero assumersene la responsabilità. C’è tutto un coro di voci che preme perché si riducano i poteri regionali e comunali e si ritorni a decisioni centralizzate prese a Roma e uguali per tutta l’Italia. Significativo in proposito è un articolo di Ernesto Galli della Loggia pubblicato sul «Corriere della Sera» di qualche giorno fa nel quale propone di tornare alla Costituzione del 1948, cioè di abolire le modifiche costituzionali successive che hanno riformulato i poteri regionali. Galli della Loggia ha ragione di dire che la riforma del 2001 è pasticciata e sbagliata, ma ha torto nel pensare che un ritorno al 1948 sia la soluzione. L’errore non sta nell’avere concesso troppi poteri alle regioni, ma nell’averne concessi pochi e così imbrigliati da renderli o inefficaci o conflittuali con i poteri del Governo e del Parlamento e non aver coordinato l’autonomia politica con quella finanziaria. Così oggi in Italia il sistema dei rapporti fra Stato e Regioni non può più dirsi di tipo regionalista ma nemmeno federalista. Si tratta di una mescolanza poco funzionante per i molteplici freni e impacci volutamente inseriti nell’ordinamento costituzionale e legislativo. Risponde, in sostanza, all’eterno problema di molte gravi decisioni politiche in Italia: la necessità di fare senza la volontà di fare che porta alle furbizie del far finta di fare senza fare, il che non risolve ma aggrava i problemi.
    La mia proposta? Attuare un federalismo spinto, a livello comunale, e diminuire i poteri, causa di sprechi e abusi di potere, dello Stato centrale e quindi del Governo e del Parlamento.
    Se, nell’affrontare la pandemia, i Comuni avessero avuto più poteri e più mezzi propri, avrebbero potuto prendere decisioni più pronte, più veloci, più adeguate e più articolate e appropriate alle diverse situazioni. Il compito dello Stato non dovrebbe essere quello di dettare norme uguali sia per il paesino di 300 abitanti arrampicato sui monti della Sila, sia per la provincia di Milano, ma di supportare tecnicamente e organizzativamente le esigenze dei comuni secondo le modalità da questi richieste.
    Un effettivo decentramento, non a livello burocratico ma di concreto potere, è dunque la prima necessità in risposta alla pandemia. Ma la tendenza attuale, a livello mondiale, è proprio l’opposta: ulteriore accentramento del potere, ulteriore globalizzazione, con pochi grandi Stati che decidono le sorti del mondo.
    9.2) Più potere ai comuni renderebbe più facile risolvere un altro aspetto negativo dell’attuale situazione in Italia: l’impoverimento complessivo della sanità di base. La tendenza attuale è quella di costruire grandi ospedali, non più di uno per provincia, salvo le zone metropolitane, e svuotare tutta la rete di ospedali locali. Questa tendenza si è già in parte attuata negli anni passati e così la rete ospedaliera locale ha affrontato il Covid del tutto impreparata. Come potevano essere preparati ospedali ridotti a poliambulatori, da un lato, e dall’altro mega-ospedali sempre in affanno per sovraccarico di richieste e per cronica mancanza di personale e di spazi?
    9.3) L’altro polo della sanità di base sono i medici di famiglia. Eredi, storicamente, dei medici di condotta che dipendevano dai comuni, gli odierni medici di famiglia sono dei professionisti il cui lavoro è regolato da leggi statali e da contratti sindacali, con protocolli carenti e confusi. Di fatto, di fronte all’emergenza, i medici di famiglia hanno risposto ognuno a modo suo: alcuni con eroismo, altri con la fuga, rifiutandosi cioè di assistere i malati di Covid perché non previsto dal loro contratto. Così, la rete dei medici di famiglia, nel suo complesso, anziché venire potenziata, è stata impoverita e oggi abbiamo migliaia e migliaia di persone che non riescono nemmeno a contattare per telefono il proprio medico di famiglia, costretti così a rovesciarsi sui pronti soccorso, dove e quando ci sono, e a telefonare al 118 per avere qualche indirizzo e qualche soccorso. E il Covid, in diversi casi, si è rivelata una malattia che se curata subito si risolve facilmente, se curata dopo cinque o sei giorni, quando la capacità polmonare è ormai compromessa, porta facilmente alla morte.
    9.4) A queste mancanze di base, sia a livello di prevenzione sia a livello terapeutico e assistenziale, si accompagnano tante altre inspiegabili disfunzioni e inefficienze, come, un esempio fra i tanti, la mancanza ancora oggi del vaccino antinfluenzale in molte zone d’Italia, compresa Milano. O la mancanza di bombole di ossigeno, ecc. ecc.
    9.5) Il Governo risponde a tutto con il confinamento; con la paralisi delle attività, più o meno rigida. Cerca di spezzare così la catena di trasmissione del virus, ma agendo poco sul fronte del miglioramento delle terapie che, quando c’è, sembra affidato solo ai medici o alla provvidenza.
    9.6) La paralisi produce però tutta una serie di effetti negativi diretti e indiretti: sull’economia e tutto ciò che dipende dal buon andamento economico; sulle relazioni sociali; sulla funzionalità della scuola; su tutte le branche della vita culturale (biblioteche, archivi, musei, teatri, cinema, associazioni e circoli culturali e così via), dell’intrattenimento, del turismo. In poche parole, è tutto l’orizzonte di vita che si impoverisce materialmente e spiritualmente.
    9.7) E ciò avrà conseguenze anche a lungo termine, nel futuro, perché si stanno accumulando debiti enormi che prima o poi si dovranno pagare o comunque sopportare con tutto ciò che significa in termini di freno, di palla ai piedi dell’economia, di condizionamento di qualunque possibile ripresa.
    9.8) Aumenteranno il centralismo e il peso fiscale, un peso da rapina che rende l’Italia poco competitiva. Aumenterà la burocrazia e la cattiva amministrazione della giustizia. Sulla necessità di una riforma dell’amministrazione che tenda a snellire la burocrazia c’è ormai una letteratura immensa. Lo stesso termine di “burocrazia” nasce come critica, e non come descrizione, di un fenomeno che si è sempre più evidenziato nel corso dei due secoli trascorsi: il peso e il potere che, in negativo, esercitano gli uffici e gli addetti agli uffici, le leggi che li governano, il costo economico a carico dei bilanci pubblici e quindi sostenuto dai cittadini. Anziché una risorsa dello Stato moderno, la burocrazia ne è una delle manifestazioni peggiori. In questo tempo di epidemia sono usciti centinaia di studi, saggi e articoli che chiedono una riforma, uno snellimento, un’inversione di rotta. Ma un maggiore centralismo, inevitabilmente, porterà a un aumento del peso burocratico e non al suo alleggerimento.
    9.9) Questo comporta poi un altro aspetto che si è evidenziato e che è oggetto di discussioni. La crisi economica causata dalla pandemia mette a terra i ceti scoperti, non tocca quelli protetti, favorisce quelli innovativi che riescono a coglierne le opportunità. Detto altrimenti, chi, direttamente o indirettamente, trae il suo reddito dal lavoro privato, ci rimette. I dipendenti dello Stato e di qualsiasi altro ente pubblico sono invece garantiti e anche se impossibilitati o impediti di lavorare riscuotono ugualmente lo stipendio, senza bisogno di provvedimenti assistenziali.
    E fra i privati, le forme assistenziali sono diverse: di più a qualcuno, di meno ad altri. Ed è difficile, se non impossibile, capire la logica delle scelte del Governo basata sulla necessità di tenere aperte le attività essenziali e chiudere le altre. Perché il concetto di “essenziale” è alquanto incerto, in teoria e nella pratica applicazione.
    9.10) Fra le attività private sono di fatto favorite quelle con un maggiore contenuto tecnologico-informatico, fra cui il commercio per corrispondenza, tramite Internet. Le maggiori multinazionali dell’alta tecnologia informatica hanno aumentato la loro ricchezza di circa il 30% in otto mesi di pandemia.
    9.11) E qui abbiamo dei cambiamenti, anche di costume, profondi che si affermeranno nel futuro e che diventeranno abituali nella nuova “normalità” del post-pandemia.
    Molte botteghe, edicole, librerie, artigiani, ristoranti, negozi di vario tipo non riapriranno più e saranno sostituiti dallo sviluppo della nuova organizzazione del commercio e dei servizi. Certe cose le acquisteremo online, certe altre al supermercato, compresi i giornali quotidiani (che però potremo acquistare anche online e in formato digitale e leggerli sul pc o sul cellulare).
    9.12) I cittadini sono chiamati a sopportare sacrifici enormi ma sono esclusi dalla partecipazione alla discussione e alle decisioni. Persino nella forma indiretta del funzionamento del Parlamento. Il Governo governa per decreti che non passano in Parlamento e con semplici provvedimenti di ordine pubblico comprime le libertà fondamentali difese dalla Costituzione. È un agire apertamente anticostituzionale che si vuole giustificare con l’emergenza; ma non può esserci emergenza, non più, quando il salto della discussione e approvazione parlamentare si ripete per molti decreti e mesi di seguito.
    Così i cittadini non sentono come proprie le scelte fatte da altri e, pur con ogni buona volontà, non possono evitare che si diffonda lo scontento e la sfiducia.
    Ormai sono diversi gli studiosi che parlano apertamente di dittatura, anzi, di “bio-totalitarismo”. Non siamo più in un regime democratico, per quanto zoppo, ma in piena dittatura. Col consenso attivo dei partiti di governo e del presidente della Repubblica per il quale, evidentemente, la difesa della Costituzione è solo una opzione che varia a secondo delle circostanze.
    9.13) Ma, si dice, non è possibile fare altrimenti. Falso. È possibile fare altrimenti, sarebbe doveroso fare altrimenti. Se davvero si vuole agire per il bene comune e se davvero si auspica l’unità nazionale, è allora questo il momento in cui la funzionalità delle istituzioni democratiche andrebbe potenziata e non avvilita. Perché non trasformare i DPCM (Decreti del presidente del consiglio dei ministri) in decreti legge approvati a larga maggioranza dal Parlamento, quindi concordati dal Governo con le opposizioni? Non è questo il momento di trovare una linea comune, di mediazione, fra maggioranza e opposizione? Se un limite alle libertà personali venisse da un decreto votato, poniamo, dall’80% dei parlamentari, avrebbe sicuramente un diverso effetto sull’opinione pubblica e offrirebbe più garanzie di maggiore correttezza delle misure adottate e della loro applicazione.
    9.14) Poniamo ora un’altra questione, anche questa messa in evidenza in molti saggi e in alcuni libri. Ammettiamo, per ipotesi, che le misure adottata dal governo siano le migliori in termini di contenimento della pandemia. Ma non per questo sarebbero le migliori in assoluto perché ogni misura si ispira e adegua a una certa linea valoriale. Proteggendo certi valori se ne deprimono altri. Così facendo il governo non rispetta la diversità di valori a cui si ispirano i comportamenti degli individui, ma pretende di imporre a tutti i suoi valori, i valori scelti dalla maggioranza di governo
    Quando il governo mi proibisce di far visita agli amici e di ricevere in casa degli amici, perché così diminuisce il pericolo del contagio, ammesso e non concesso che davvero in questo modo diminuisce il pericolo, mi dice che il valore sociale e personale della diminuzione del pericolo di contagio vale di più del valore sociale e personale del frequentare gli amici. Mi impedisce di scegliere e mi impone la sua scelta. Mi impedisce di dire a me stesso: forse è vero che se sto solo in casa diminuisce il rischio di contagio, ma io preferisco correre qualche rischio in più piuttosto che rinunciare ad un valore per me superiore come frequentare gli amici.
    In questa imposizione di valori così forte e radicale, così estesa ed esclusiva, vi è una forma di totalitarismo a cui non erano arrivati nemmeno il nazismo e lo stalinismo.
    Il Governo si erge a unico potere che discrimina e impone i valori a cui i cittadini devono attenersi. Ciò è aberrante, e di grande peso anche per il futuro, perché la tendenza complessiva della globalizzazione, e delle politiche dell’Unione Europea, è proprio quella della continua limitazione dei valori personali. Non nelle forme brutali del nazismo, ma in quelle apparentemente più dolci del paternalismo, in quelle di certo illuminismo che, con la pretesa di conoscere meglio il tuo interesse, ti obbliga a fare ciò che è meglio e ciò che è corretto, riservando solo a se stesso il diritto di decidere ciò che è meglio e corretto. E demonizzando chi la pensa in modo diverso, chi protesta, chi contesta le scelte del governo. Il disaccordo diventa un “peccato”, una “pazzia”, una “stramberia antiscientifica” a cui non è permesso dare spazio.
    9.15) Ma intanto ai morti per Covid si aggiunge un aumento dei morti per altre cause, perché tutta l’assistenza sanitaria fa acqua e la concentrazione sul Covid toglie spazio alla cura delle altre patologie. Il confinamento in casa aumenta i reati che hanno alla base il disagio familiare, fra cui i casi di femminicidio. L’aumento della povertà accresce il ricorso alla mendicità ma anche a reati di vario tipo, compreso l’omicidio per rapina. E aumentano i suicidi.
    E tutte queste conseguenze collaterali sembrano ignorate dalla maggioranza di governo. Non sono sulla scena della politica.
    10) Le scelte di governo mi paiono profondamente condizionate da incapacità da un lato, e da una ideologia assistenzialistica e liberticida dall’altro. Ciò riguarda sia l’oggi sia le prospettive a medio e lungo termine. Si sprecano miliardi distribuendoli a pioggia in forme di assistenzialismo e manca un progetto di sviluppo. L’Italia non è stata capace di spendere i fondi stanziati dall’UE nel passato. Ne sono stati spesi poco più del 30% per mancanza di progetti validi su cui investire l’intero capitale a disposizione. Ora si appresta a spendere (se mai arriveranno, il che è ancora dubbio) i 209 miliardi del “recovery fund”, parte concessi a fondo perduto e parte a titolo di prestito da rimborsare a lunga scadenza. Ma non si conosce ancora nulla dei progetti, delle linee politiche guida per l’utilizzo di tanto capitale. E si teme che non si riuscirà a utilizzarli, se non in minima parte e per una miriade di progetti dispersivi e ininfluenti sull’economia futura.
    11) Il “miracolo economico” italiano, durato non più di una quindicina d’anni fra il 1945 e il 1960, ha trasformato l’Italia dandole una struttura industriale di primo piano a livello mondiale, traghettandola da nazione agricola a nazione industriale. Nel bene e nel male quel miracolo era basato soprattutto sulla libertà imprenditoriale, su una mentalità e una cultura favorevole allo sviluppo industriale e su una politica di governo che l’ha favorita, anche strumentalmente, ma l’ha favorita. Pur con pochi capitali e in circostanze internazionali non favorevoli, il “miracolo economico” è avvenuto e la ricostruzione del dopoguerra ha portato un beneficio a tutti i ceti sociali.
    Ma poi la crisi economica internazionale dei primi anni Sessanta, lo sviluppo degli intrallazzi fra politica e mondo economico, l’estendersi di dottrine non solo anticapitalistiche ma antindustriali, l’allargarsi di un sindacalismo di puro rivendicazionismo e di assistenzialismo, hanno rovesciato le condizioni. Si è finito per favorire il capitalismo finanziario, speculativo e parassitario a danno di quello produttivo. Il capitalismo legato alla corruzione politica e malavitosa a quello libero e innovativo. Inutilmente uomini come Ernesto Rossi hanno denunciato ciò che avveniva. Tutti, destre e sinistre, si mostrarono sorde e insensibili.
    Il debito pubblico è aumentato enormemente (e non si è più fermato), la corruzione politica, la burocrazia, l’enorme crescita degli apparati burocratici e dei diversi settori parassitari, l’estendersi della malavita organizzata in ogni regione d’Italia, hanno bloccato la “locomotiva” e via via l’Italia ha perso la sua capacità competitiva.
    12) Oggi, bisognerebbe tornare agli elementi virtuosi di quel quindicennio 1945-1960, soprattutto alla libertà e agilità di impresa nei settori produttivi innovativi, liberandoli dai troppi freni (caos legislativo, malfunzionamento della giustizia, esasperanti costi e lentezze della burocrazia, fisco da rapina). E avrebbe bisogno, l’Italia, anche di un maggiore e migliore controllo legislativo che scoraggi il capitalismo speculativo e parassitario, rompendo i troppi legami fra politica e interessi economici.
    13) Ma oggi gli orientamenti culturali dei partiti di governo, specialmente del M5S, è molto diverso. Si va da un velleitario anticapitalismo senza la minima idea di progetti alternativi a forme di esasperato assistenzialismo parassitario; da forme indistinte di promozione dello sviluppo che sviluppano poco e che promuovono più le imprese colluse con la politica, le imprese speculative e parassitarie, che le imprese capaci di innovazione e competitive, le quali piuttosto vengono punite. Difendono, con l’appoggio di sindacati che si ispirano a ideologie vecchie e sbagliate da sempre, posti di lavoro obsoleti e in perdita anziché i lavoratori, accompagnandoli al reimpiego nei settori più attivi. Abbiamo il paradosso di lotte sindacali accanite per difendere aziende profondamente in perdita, mentre aziende in attivo offrono posti di lavoro che nessuno occupa perché mancano le competenze necessarie. E nessun sindacato né agenzia di governo si occupa di prendere i dipendenti che perdono il lavoro nelle aziende che chiudono per accompagnarli, con un periodo di addestramento nel quale si potrebbero meglio impiegare i fondi della cassa integrazione, a occupare i posti di lavoro dove questi ci sono.
    E mancano sindacati e cooperative che sviluppino lo spirito imprenditoriale dal basso (e una legislazione del lavoro che lo favorisca), che porti i dipendenti di aziende che chiudono o delocalizzano, pur essendo potenzialmente in attivo, ad assumere in proprio, non più come dipendenti ma come soci, la gestione diretta dell’azienda.
    14) Si tratta di un orientamento ideologico e culturale complessivo che lega in un unico filo i provvedimenti anti-Covid a tutti gli altri. Un orientamento caratterizzato da autoritarismo e centralismo, da assistenzialismo di tipo peronista (le simpatie per Chávez e Maduro, criminali che hanno distrutto il Venezuela, espresse più volte sia da esponenti dei Cinque stelle sia del Pd, sono indicative) e da dirigismo di tipo cinese e russo. Ciò, tuttavia, non delineato con progetti precisi e realizzabili, ma più con una serie di no che con proposte alternative. E nella pratica quotidiana si ha la gestione sgangherata delle solite politiche che non si oppongono a nessuno aspetto del capitalismo, sia pure del peggiore capitalismo, perché manca il respiro e le idee per farlo, pur nutrendo la velleità di farlo che si esprime in provvedimenti disorganici che fanno più male che bene, e un male distribuito a caso, a pioggia, che ricade anche sui ceti più poveri.
    15) Lo stesso parlare sempre più frequente di “economia verde” come prospettiva, anche di uscita dagli squilibri ecologici ed economici che favoriscono le epidemie, si esprime più con dei no che con concreti progetti alternativi, credibili e realizzabili, attorno ai quali raccogliere le forze disponibili e la maggioranza, come sarebbe possibile. Ma la politica dei “no”, anche quando il “no” è giustificato, ha le gambe corte se non si traduce in “sì” alternativi e condivisibili e non lega insieme, in un progetto sociale complessivo ma concreto e fattibile, tutti gli aspetti della gestione di una società complessa.
    Anche in questo settore il governo sembra, ed è destinato anche più per il futuro, al traino delle innovazioni tecnologiche e produttive dell’industria privata che ha cominciato a trasformare in “business” la produzione coerente, almeno secondo la vulgata corrente, con la nuova economia: dalle pale eoliche alle automobili a motore elettrico ecc. ecc.
    Ma cosa faremo quando ci accorgeremo che l’«economia verde» ha anch’essa le sue conseguenze collaterali dannose? Quando il rimedio attuale metterà in luce nuovi disequilibri e nuovi danni?
    16) Cosa fare, dunque? Credo che ci sia poco da fare, oltre l’analisi e la denuncia. Il “sistema Italia” è oggi un blocco, dall’estrema sinistra all’estrema destra, più compatto di quanto sembra. Suddiviso in bande distribuite per disaccordi caratteriali e ideologici di superficie, in guerra anche in forme viscerali e fanatiche su aspetti poco rilevanti, è sostanzialmente unito su questioni di fondo: 1) Il prevalere dello statalismo sulle libertà personali; 2) L’antipatia per l’innovazione produttiva e per gli innovatori; 3) il populismo assistenzialista e autoritario; 4) il fiscalismo di rapina; 5) la convinzione che il pubblico sia meglio del privato, nonostante l’estesa corruzione e il diffuso malfunzionamento di ogni attività pubblica; 5) la concezione etica e liberticida dello Stato e dell’esercizio dei suoi poteri; 6) la cocciuta sottovalutazione delle negative conseguenze della sovrappopolazione mondiale e nazionale e della conseguente cementificazione e desertificazione dei territori.
    Quel che si può fare, è denunciare e combattere questi diffusi pregiudizi, questi vizi della mente e del cuore così radicati in gran parte degli italiani, il cui ideale di “normalità” era una volta lo “stipendio fisso” e ora sempre più diventa l’attesa delle “provvidenze dello Stato”, dei vari “redditi di cittadinanza” e “ristori” di ogni forma e di ogni tipo.
    Senza libertà e responsabilità, il soporifero viaggio dalla culla alla tomba garantito dal welfare pubblico diventa sempre più un incubo per molti e un paradiso privilegiato per altri. E intanto il Leviatano s’erge a unico Dio.

    1. “Quando il governo mi proibisce di far visita agli amici e di ricevere in casa degli amici, perché così diminuisce il pericolo del contagio, ammesso e non concesso che davvero in questo modo diminuisce il pericolo, mi dice che il valore sociale e personale della diminuzione del pericolo di contagio vale di più del valore sociale e personale del frequentare gli amici. Mi impedisce di scegliere e mi impone la sua scelta. Mi impedisce di dire a me stesso: forse è vero che se sto solo in casa diminuisce il rischio di contagio, ma io preferisco correre qualche rischio in più piuttosto che rinunciare ad un valore per me superiore come frequentare gli amici.”

      – Il problema è chi sceglierebbe il rischio del contagio non lo sceglierebbe solo per sé (questa è una sfumatura che gli appassionati della libertà non colgono), ma sceglierebbe anche per quelli che invece preferirebbero il sacrificio ora per continuare a godere della compagnia degli amici fra qualche mese, invece di decomporsi in una bara dopodomani. (Se poi la pandemia durerà in eterno vedremo; questo però non lo sa nessuno). A leggere il passaggio citato (e molte altre considerazioni simili) si direbbe che l’Italia è improvvisamente piena di filosofi che bevono tranquillamente la cicuta conversando con gli amici.

      – Il vero problema, che le considerazioni del genere di quella sopra ignorano (che anche Agamben ignora quando dà i numeri, secondo lui irrilevanti, della pandemia) non sono nemmeno i morti che ci sono o che ci sarebbero (che sono, come viene giustamente fatto osservare, generalmente anziani/molto anziani), bensì il fatto che se non si interviene, gli ammalati, anziché essere curati (nei limiti del possibile) negli ospedali, cioè nelle istituzioni a questo preposte, dovrebbero essere lasciati morire a casa (molto più di quanto già succede), o in strada, o in lazzaretti improvvisati (molto peggiori di quelli già organizzati) senza alcuna assistenza. E questo, al giorno d’oggi, farebbe un bruttissimo effetto.
      Questo è il vero problema politico. E, con tutte le critiche che si possono fare alla sanità italiana (ma non mi pare che, Germania esclusa, gli altri stati siano messi meglio), non mi si dica che uno stato deve avere sempre pronti un numero di letti, ordinari e in terapia intensiva, atti a sostenere l’impatto di una pandemia che, normalmente, arriva ogni cento anni.
      Governare uno stato è cosa complicata; governare gli italiani più complicato ancora; il buon governo niente più che un principio regolativo. Le considerazioni – molto interessanti – che si possono fare su pandemia e governo rischiano di essere chiose al detto: Piove – governo ladro!

  6. SEGNALAZIONE

    Andrea Zhok sulla sua pagina FB oggi

    Mentre ci giunge ancora l’eco delle previsioni su come l’occasione del Covid avrebbe capovolto l’ordine del mondo, sostituito la nostra forma di vita, rimpiazzato il nostro modello di sviluppo, mentre ancora risuonano nelle nostre orecchie le voci talora speranzose, più spesso angosciate che “nulla sarà come prima”, un breve sguardo attorno ci fa rapidamente capire che non c’è, né c’è mai stata alcuna intenzione di cambiare alcunché, né di mettere in discussione nulla.
    Mentre ogni giorno dell’ultima settimana abbiamo contato più morti che l’insieme del terremoto dell’Aquila e di Amatrice messi insieme, mentre a livello mondiale si batte ogni giorno il precedente record di decessi, oramai dappertutto, in Italia come altrove, si è già nello spirito di riprendere al più presto la competizione, improvvidamente sospesa. Ci si accapiglia su chi farà concorrenza a chi per le sciate natalizie, si iniziano a formulare ‘piani di rientro’ dal debito, si scommette su un vaccino purchessia a scatola chiusa perché bisogna ripristinare il fisiologico ordine dell’esistenza capitalistica: produci, consuma, crepa.
    Invece di piani millenaristici di rinascita o apocalisse, troviamo solo la somma della stanchezza della gente e della povertà di idee delle classi dirigenti, che sono lì mica per proporre palingenesi, ma con l’unico scopo di oliare i meccanismi di riproduzione del capitale.
    Non cambierà nulla, salvo che per l’ulteriore giro di vite sui ‘perdenti’, salvo che per la ripresa del gioco di prima con carte peggiori di prima.

  7. @ Elena Grammann
    «Governare uno stato è cosa complicata; governare gli italiani più complicato ancora; il buon governo niente più che un principio regolativo».
    Mussolini aggiungeva: «governare gli italiani è inutile».
    Ma forse elevare dittature su dittature aumenta il senso civico?
    Una volta che, da cittadino responsabile, tenendo anche conto che, data l’età, sono un soggetto a rischio, uno di quelli che, se finiscono all’ospedale, hanno solo il 50% di probabilità di uscirne vivi, indosso sempre la mascherina, lavo spesso le mani, evito gli assembramenti, rispetto le distanze fisiche in ogni luogo, perché non dovrei essere libero e dovrei costituire un pericolo per gli altri se vado a trovare degli amici consenzienti e in casa loro o se li ricevo a casa mia?
    Perché dovrebbe costituire un pericolo tenere aperti archivi e biblioteche e permettere di proseguire studi e ricerche, una volta rispettati i protocolli medici consigliati?
    Perché il valore che io attribuisco alle mie scelte dovrebbe essere un valore che non ha diritto di difesa di fronte ai valori scelti dallo Stato?
    Perché lo Stato come apparato è forte, tanto forte da ignorare e avvilire lo Stato come comunità di cittadini?
    Perché la riduzione di tutto a un problema di sanità del corpo dovrebbe prevalere sui tanti problemi di sanità della mente e dello spirito?
    Perché tutti i danni collaterali, certi, della paralisi sociale dovrebbero pesare meno del rischio, incerto, di qualche morto in più?
    Perché i morti per patologie cardiache, oncologiche ecc. non curati o curati male o sacrificati alla maggiore attenzione dedicata al Covid non sono degni di difesa?
    Perché se l’emergenza da pandemia dev’essere tanto prevalente su tutto non si agisce più in fretta e con migliore organizzazione e con la collaborazione di tutti, ma si operano scelte pratiche decisamente ispirate a interessi di partito non discusse con nessuno?
    Perché dopo una campagna per invitare tutti gli over 65 anni a vaccinarsi contro l’influenza, non si riesce ancora, a Milano e altrove, a trovare il vaccino che dovrebbe, in teoria, essere distribuito gratuitamente tramite i medici di famiglia?
    Perché per effettuare le periodiche visite di controllo e le terapie che i medici specialisti consigliano, si deve andare dai privati a pagamento perché tutti i poliambulatori e ospedali pubblici e privati convenzionati non accettano prenotazioni per i prossimi sei-otto mesi?
    Credo che «gli appassionati della libertà» colgano molte sfumature che gli idolatri dello statalismo non sognano nemmeno e che, nella loro propensione alla servitù volontaria, chiudono gli occhi su troppi perché lo Stato non funziona e su troppi perché sia così difficile governare gli italiani.
    Ma c’è mai stato in Italia, dal 1861 a oggi, un governo del popolo che abbia governato gli italiani con il popolo e per il popolo? Credo che la storia italiana possa essere divisa in prefascismo, fascismo e postfascismo. Terracini sosteneva che il fascismo, nelle sue linee essenziali, era già contenuto nelle politiche del cinquantennio precedente; Salvemini sosteneva, negli anni Cinquanta del secolo scorso, che l’Italia era in un regime analogo al fascismo, ma senza Mussolini. Un sacco di altri storici hanno sottolineato le tendenze autoritarie dei governi italiani di sempre, le debolezze della democrazia, l’inclinazione a dimenticarsi delle sue regole.
    Perché stupirsi allora se è difficile governare gli italiani, visto che non si è mai lasciata agli italiani la libertà di governarsi da soli e di sostenere, in caso di errori, le conseguenze negative dei propri sbagli?
    Perché, se non è conveniente approntare migliaia di posti letto per terapia intensiva nei periodi “normali”, sono stati eliminati migliaia di posti letto sopprimendo ospedali locali (ma non di piccoli paesi, ma anche di aree con oltre 150.000 abitanti) che erano efficienti e che avrebbero, ora, potuto svolgere un ruolo fondamentale?
    Perché l’esercito e la protezione civile non tengono pronti ospedali da campo allestibili in pochi giorni, mentre una diecina di ospedali sparsi in Italia, in particolare nel Sud, sono stati costruiti e attrezzati con enormi spese nel corso degli ultimi venti anni ma mai aperti e lasciati all’abbandono e al vandalismo?
    Perché lo Stato accentrato non funziona? In Italia di più e peggio, ma anche in altri Paesi funziona male.
    Una società complessa è una rete fittissima di interrelazioni, spontanee e/o organizzate, che nessuna istituzione statale può governare con efficacia se non militarizzando tutto, sopprimendo ogni libertà e controllando ogni minimo passo di ogni cittadino. Questo lo fa la Cina che, oggi, è il Paese con la maggiore presenza, in assoluto, di fotocamere in ogni luogo. A Pechino ce ne sono oltre un milione e in Cina se ne calcolano 560 milioni. È questo che si vuole?
    Piove, governo ladro? Peggio: piove, e il governo pensa agli affari suoi anziché permettere agli italiani di procurarsi gli ombrelli. Ma molti italiani, purtroppo, si coprono la testa con un cencio qualsiasi e se ne accontentano.
    Il buon governo è un principio regolativo? Anche, ma anche una pratica quotidiana che si può misurare e che viene misurata da molteplici indici e, nei risultati pubblicati periodicamente, l’Italia non fa mai bella figura.

  8. – quella che lei chiama dittatura io la chiamo (accettabile) democrazia. Naturalmente migliorabile – a patto che prima di tutto migliorino gli italiani.

    – gli amici consenzienti (che eventualmente si contagiano a vicenda e naturalmente devono essere curati) possono infettare altri che magari non son o consenzienti (le mascherine non sono una garanzia totale).

    – archivi e biblioteche: v. sopra. ma naturalmente Agamben direbbe che è per distruggere il sapere. In Emilia-Romagna il servizio delle biblioteche da remoto funziona benissimo.

    – perché lei è un privato (cioè un singolo) e lo Stato è lo Stato (cioè la collettività).

    – la comunità di cittadini non si sa cos’è, se non che è litigiosa. Lo Stato è un’altra cosa (benché continuamente ostacolato dalla litigiosità dei cittadini che si esprime nelle lobby, che si esprimono nei partiti ecc.)

    – perché la sanità del corpo è la conditio sine qua non (non sufficiente, ma necessaria).

    – “qualche morto in più” è un eufemismo. Inoltre non è un problema di morti, ma di capienza degli ospedali. (vedi il mio commento alla segnalazione Agamben).

    – I morti per altre patologie attualmente curate male causa covid sono certamente degni di difesa, e probabilmente se da parte della “comunità dei cittadini” ci fosse stata più responsabilità durante l’estate, adesso potrebbero essere curati meglio. In ogni caso politicamente i malati di cancro ecc. non saturano gli ospedali quindi al momento non rappresentano il problema principale.

    – “agire con migliore organizzazione e con la collaborazione di tutti”, in Italia, mi fa morir dal ridere. (e in ogni caso per questa insufficienza non si può chiamare in causa lo Stato)

    – Mi dispiace che in Lombardia siate così disorganizzati. In Emilia-Romagna io (65 anni) sono stata vaccinata gratuitamente e per tempo (anche contro lo pneumococco)

    – visite specialistiche e altro: vedi sopra malati di altre patologie.

    Random:

    -sull’efficienza, la rentabilità e soprattutto l’affidabilità dei piccoli ospedali ci sarebbe molto da dire (v. ad esempio Codogno e quell’altro in provincia di Bergamo, ma ho un esempio anche qui vicino a casa). Certo, in seguito avrebbero fatto comodo, ma come si dice, fammi indovino. Con questo, sui tagli alla sanità sono in linea di massima d’accordo con lei.

    – sugli ospedali costruiti e mai utilizzati, in particolare nel Sud, sottolineo nel Sud.

    – “nei risultati pubblicati periodicamente, l’Italia non fa mai bella figura.” I risultati andrebbero interpretati. E soprattutto l’Italia è formata da due metà fortemente disomogenee fra loro. Per quel che riguarda la scuola, cioè un campo che conosco un po’, i risultati del Nord sono in linea di massima in linea con i risultati europei. Se poi nella media ci mettiamo anche il Sud…

    – non sono un idolatra dello statalismo, ma penso che in Italia un po’ di senso dello stato da parte dei privati cittadini (magari pagare le tasse?) avrebbe giovato e gioverebbe. Quanto alla propensione alla “servitù volontaria”, non commento neanche. Anzi no, commento: si può essere anche servi dei propri entusiasmi libertari.

  9. E c’è anche chi vede le cose della pandemia esistenzialmente, romanticamente, religiosamente, apoliticamente…

    SEGNALAZIONE

    AL VENTRE MATERNO MEMORIALE – di RUGGERO SAVINIO
    26 Novembre 2020

    https://www.altraparolarivista.it/2020/11/26/al-ventre-materno-memoriale-di-ruggero-savinio/

    Stralci:

    1.
    La situazione che capita di vivere, forzata stasi per arginare l’avanzata del veleno, ha una risonanza con situazioni già vissute, anche se di sguincio.
    La guerra, il confinamento in una casa estranea, le scarse uscite nelle strade semideserte.
    È una situazione che, come quella, ha a che fare con la morte.
    Non solo la morte è presente, lì con la violenza delle armi, qui con l’attacco silenzioso di questa particella unicellulare – a proposito, è una creatura vivente come te e me, solo molto più piccola e semplice.
    Devo pensare che la natura è un concentrato di forze aggressive, pronte a combattere l’una contro l’altra.
    La morte non è presente solo come ipotesi, è la realtà delle vittime, ma è anche una tonalità emotiva.
    Il sentimento più forte è la sospensione che sembra dividere la vita attiva di prima da una possibile attività futura.
    Solo che questa sospensione, alla mia età, non dà la certezza di preludere a qualcosa, ma di essere definitiva.

    2.
    Parlando al telefono con mio figlio Andrea, mi dice che una biologa americana metteva in dubbio la teoria dell’evoluzione come sopravvivenza del più forte.
    Lei aveva l’idea di uno sviluppo non verticale, teleologico, ma orizzontale, sincronico.
    Annegano le differenze singole, se un virus può unirsi alle nostre cellule, cioè se noi possiamo ospitarlo e dargli il modo di proliferare.
    La comune appartenenza alla natura è più chiara e allarmante, e toglie l’importanza che vogliamo darci.
    La comune appartenenza può essere vista anche come un cristianesimo allargato, una fratellanza non solo coi nostri simili, ma con tutti i viventi, anche con queste creature unicellulari.
    Queste creature sono fratelli pronti a cambiarsi in rovinosi nemici.

    3.
    Uno degli insegnamenti dell’epidemia è quello di riconoscere nella morte il più puro e il più impersonale (Rilke).
    Sbagliato credere che debba accompagnarsi all’agire, fabbricare oggetti e noi stessi.

    La totalità non può essere ricercata fuori dello spazio privato, ma nella nostra privatezza.
    La singolarità di ciascuno, corpo e anima, deve essere toccata e riplasmata per una redenzione collettiva.

    Attesa sempre differita di un nuovo inizio.
    Non sappiamo quando ci sarà. Queste creature promettono di restare a lungo con noi.

    4.
    La quarantena costringe a confinarsi nella propria intimità non solo domestica.
    Star chiusi in casa è più o meno facile a seconda dei temperamenti. Per i solitari è più facile, possono seguire la vocazione alla solitudine.
    A proposito di chiusura, Andrea, che è il mio informatore per quel che riguarda l’anima e il comportamento dei suoi coetanei, mi diche che è più facile per i giovani. La digitalizzazione ha ridotto i rapporti a virtualità, la presenza è meno necessaria. Nei dialoghi scambiati la testimonianza corporea è assente. Certe volte è rimpiazzata da un’immagine, ma l’immagine, come tutte le immagini, non ha il peso testimoniale della corporeità.

    5.
    Il lockdown rotto da limitate aperture, affidate al Potere, concesse.
    Costretti a ripiegarsi su di sé. Anche sugli altri, parenti, conviventi, affini, che il governo chiama congiunti. Ripiegamento spaziale. Chiuso in casa, se ce l’hai e non stai ammassato nelle baracche che vedi in tivvù.
    Orrore. Anche di sé, ma non fino alla voglia di cambiare. Si riproducono gli stessi automatismi, per lo più indotti.

    6.
    Questo virus non possiamo vederlo, non sappiamo nemmeno dove stia, e se ci è capitato d’inalarlo, ma ci fa paura. Ci mostra che non siamo soli, ma spartiamo il mondo con altre creature, oltre a quelle che siamo riusciti a domare e anche a distruggere.
    Questa creatura, indicata da un nome araldico, ci fa vedere la derisoria brevità del nostro tempo storico e personale. I tempi terrestri e quello cosmico si spingono all’indietro per lontananze incommensurabili. Pare che il virus arrivi da quelle lontananze.
    La dilatazione temporale può farci un effetto spaurente, ma anche confortante. La brevità della vita non è solo accompagnata dallo sconforto, ma anche dal conforto di essere il granello di un’eternità materiale.

    7.
    Un altro effetto della quarantena è l’intimità col proprio corpo. Io questa intimità già ce l’ho, da quando il mio è diventato un corpo vecchio.
    In vecchiaia gli organi si manifestano con una franchezza che prima è accennata.
    Prima non avvertivo la difficoltà di certe funzioni, le più semplici, orinare.
    Era naturale, in certi momenti aveva un eroismo, un’esaltazione virile e un autocompiacimento.
    Spesso i ragazzi si sfidano a chi orina più lontano.
    Adesso è un richiamo che spezzetta le notti in brevi sonni interrotti. Il flusso, che prima scorreva libero, ora scende in rivoletti magri e stenti, a fatica.
    Ognuno di questi risvegli lascia pensare che niente sia esaurito, che ci sarà un altro risveglio.
    Penso all’alternanza platonica fra invecchiare e ringiovanire. Penso al ringiovanimento che la vecchiaia può contenere; a volte non mi accontento della metafora: certi biologi parlano di un vero ringiovanimento fisico, capelli che rinascono, ecc.

    8.
    Mi accorgo che, ormai, la mia vita sognata è più avventurosa e ricca di quella sveglia.
    Dovrei pensare che certi sogni ricorrenti si siano infittiti. Non è così. Per esempio il sogno della funzione intestinale. Era molto frequente, col suo corredo di situazioni e immagini, e adesso si affaccia meno.
    Nel libro di Hillman I sogni e il mondo infero avevo trovato che i sogni riferiti agli escrementi possono riferirsi alla morte. Adesso, la diminuita frequenza di quei sogni vuol dire una maggiore vicinanza all’oggetto nascosto nel sogno?
    La morte non ha più bisogno di annunciarsi dietro il velame del sogno, ma si presenta nuda con la sua ormai sicura imminenza?
    Per la speranza, che è l’ultima a morire, faccio un pensiero apotropaico.
    Mi accorgo che la diminuita frequenza del sogno funebre-escrementizio va insieme con un aumento dei miei disturbi intestinali.
    La morte, oltre a non annunciarsi più nel sogno, lascia alla funzione intestinale di presentarla.

    Tu devi metterla la mascherina! Mi dice mia figlia Gemma. Devo metterla, perché sono a rischio. Faccio parte degli anziani, la categoria che affolla le nostre città.
    Mi rispecchio in loro, ma senza immedesimazione.
    La sola cosa che abbiamo in comune è la visitatrice che bussa alla porta.

    L’è la Mort!.. (man muss, man morta)
    L’è la Mort che picca a l’uss!!
    (Delio Tessa)

  10. …mi ritrovo d’accordo con molte considerazioni che sia Rita Simonitto che Luciano Aguzzi hanno esposto riguardo alla gestione della pandemia da covid, sia sotto il profilo preventivo che della terapia…Solo mi sembra che le responsabilità dei ritardi come delle inadempienze sia da riferirsi allo Stato quanto alle Regioni, almeno alcune. Basti pensare alla distribuzione dei vaccini antiinfluenzali, che tuttora non sono ancora arrivati presso molti ambulatori medici, proprio quest’anno quando ne abbiamo piu’ bisogno …Riguardo alla seconda ondata, certo qualche leggerezza l’abbiamo compiuta anche noi cittadini, ma anche perchè disorientati dalle continue dichiarazioni contrastanti da parte delle stesse autorità competenti, scienziati copresi, come la dichiarazione di “liberi tutti” dell’inizio estate, di cui ora per giunta siamo colpevolizzati…Credo comunque che il rischio, nella situazione che stiamo vivendo, non sia del tutto eliminabile, anche quando si osservano tutte le norme percio’ vale la pena cosiderare anche gli effetti di quest’ultime, soprattutto per quanto riguarda il confinamento in generale e la didattica a distanza su varie categorie di persone e quali le conseguenze negative, per quanto possibile a lungo termine…Se vogliamo salvaguardare la salute, e implicitamente la vita, la prudenza nel non esporci ed esporre gli altri al virus, è d’obbligo, tuttavia se ci sembrano vitali anche altri valori quali: uno spazio di libertà ragionata nelle scelte, la necessità di rapportarsi agli altri anche nelle tre dimensioni del corpo, non solo in maniera virtuale, e con le precauzioni dovute..non si possono ignorare per salvaguardare lequilibrio mentale, altrimenti facilmente ne usciremmo pazzi e dissociati…Insomma l’integrità corpo-mente va sempre tenuta presente e tutelata il piu’ possibile…Ad esempio, trovo per i giovani alienante la didattica a distanza, si dovrebbe procedere piuttosto a orari di lezione e presenze diversificati e assicurarsi che siano strettamente osservate le norme anti-covid…Certo bisognava organizzare la cosa in tempo utile… Comunque anche i meno giovani non possono rimanere per troppo tempo rinchiusi quanto imbavagliati…i rischi individuali vanno mescolati, secondo me, nel maggiore rispetto reciproco…
    Il sentimento della libertà ha un valore enorme, anche risicato va tenuto stretto pur in tempi di pandemia, Boccaccio, e i suoi amici, ci ha cosi’ offerto il Decamerone. D’altra parte, pressante quanto mai potrebbe diventare in un prossimo futuro, se non già presente, il problema di garantire la libertà dalla fame, cioè dallo spettro che preoccupa le persone meno o per niente protette da garanzie statali o assistenzialistiche…lavoratori in nero, clandestini..Sarà dura

  11. Ho apprezzato l’intervento apri-pista di Rita Simonitto, riflessivo e coraggioso, alla luce di molteplici considerazioni di carattere scientifico; così come quello di 360 gradi di Luciano Aguzzi, fondato su ampi ed esaurienti dati obiettivi, sfruttati per adeguate riflessioni politico-sociali; e in questi giorni le ripetute grida di denuncia e di allarme, fra i tanti, da parte del filosofo massimo Cacciari, del quale condivido l’approccio culturale e, almeno in parte, la visione politica.
    In questo momento, a un senso di generale pessimismo, visto come stanno andando le cose, associo un animo bilioso, rancoroso e destrorso (tanti altri come me).
    Si chiede cosa si possa fare di diverso…
    Rispondo non con delle proposte ma con degli auspici. Il primo, come ovvio, è che si possa godere al più presto del beneficio di quei vaccini che si stanno concretizzando all’orizzonte scientifico. Incrociamo le dita. Il secondo, invece, è, tout-court, che si vada al più presto incontro a una crisi di governo che consenta, in qualsiasi modo, di andare a nuove elezioni.
    E’ un sacrosanto diritto del popolo italiano poter esprimersi attraverso le urne, in questo particolare frangente, nei confronti di un governo di abusivi, di una sinistra borghese alla quale l’emergenza sanitaria ha dato l’opportunità di gestire il potere con tutta l’arroganza e il cinismo che la contraddistingue, nella pretesa di escludere le altre forze politiche dall’emergenza della crisi. Il campione rappresentativo di questa politica si chiama Giuseppe Conte, che mai nessuno ha votato.
    Si potesse salire sulle barricate per schiodare questa gente dalle poltrone! Si trastullano alla faccia di una marea di persone in difficoltà, nonostante questa assunzione di potere abbia messo in luce tutta la loro incapacità e inadeguatezza (‘giù la maschera dell’ipocrisia’, brava Simonitto!).
    Auspico, come la stragrande maggioranza degli italiani, un nuovo governo che sappia gestire la crisi sanitaria con maggiore razionalità e rispetto, in associazione coi Comuni e le Regioni; che sappia ridare slancio all’economia, con provvedimenti liberali a favore dei ceti produttivi; verso un’economia reale, contro la speculazione finanziaria, contro i colossi del commercio e le multinazionali, contro l’espansione economico-commerciale della Cina a nostre spese; un Governo che sappia ridurre i privilegi e le disuguaglianze sociali, che ricrei un clima culturale non condizionato solo dalla Sinistra, che ridia dignità alla Nazione e ai suoi valori di fronte all’Europa e che sappia difenderci dall’invasione dei clandestini.
    Ingenue utopie, si capisce, del solito uomo della strada…

  12. «Auspico, come la stragrande maggioranza degli italiani, un nuovo governo che sappia gestire la crisi sanitaria con maggiore razionalità e rispetto, in associazione coi Comuni e le Regioni; che sappia ridare slancio all’economia, con provvedimenti liberali a favore dei ceti produttivi; verso un’economia reale, contro la speculazione finanziaria, contro i colossi del commercio e le multinazionali, contro l’espansione economico-commerciale della Cina a nostre spese; un Governo che sappia ridurre i privilegi e le disuguaglianze sociali, che ricrei un clima culturale non condizionato solo dalla Sinistra, che ridia dignità alla Nazione e ai suoi valori di fronte all’Europa e che sappia difenderci dall’invasione dei clandestini.
    Ingenue utopie, si capisce, del solito uomo della strada…» (Casati)

    Ecco, proprio in questo auspicio di un nuovo governo (non so se proprio della «stragrande maggioranza degli italiani») e in queste «ingenue utopie» si nascondono problemi di analisi politica forse irrisolvibili «attraverso le urne».

    Li lasciano intravvedere due interventi convergenti di Andrea Zhok (Ancora su destra e sinistra (riflessioni di un post-Comunista) http://antropologiafilosofica.altervista.org/ancora-su-destra-e-sinistra-riflessioni-di-un-post-comunista/) e di Alessandro Visalli (Circa “Ancora su destra e sinistra” di Andrea Zhok, https://tempofertile.blogspot.com/2020/11/circa-ancora-su-destra-e-sinistra-di.html?fbclid=IwAR3SF8liqAav9_zFNJ3sobx7b2jZi6gzsUg1V8eS_yQqgQ9fnCweKNeMKg0).

    Ecco alcuni stralci dai due articoli:

    A. Zhok

    […]La crisi da Covid ha innanzitutto accelerato in modo vertiginoso le diseguaglianze interne all’Europa (e interne ai singoli stati), esponendo i limiti funzionali delle istituzioni europee e minacciando di far esplodere socialmente in brevissimo tempo l’area finora più ricca del mondo. Gli scricchiolii dell’Unione Europea sono diventati così assordanti e frenetici, che in molte coscienze insospettabili e finora inerti ha iniziato a maturare la necessità di chiarire cosa l’Europa vuol fare da grande, pena non arrivarci mai alla maggiore età.
    Quale direzione tutto ciò andrà a prendere non è chiaro, ma un bivio spesso evocato, e altrettanto spesso rinviato, è ormai davanti agli occhi: o i paesi europei pervengono ad una revisione radicale delle regole che hanno sottoscritto trent’anni fa o si giungerà rapidamente ad un collasso interno delle istituzioni europee, collasso che verrà pagato duramente da tutti, inclusi i paesi più economicamente solidi.
    […]
    Il Covid ha accidentalmente predisposto una specie di test naturale, a due stadi, per la valutazione politica (e anche umana) delle persone.
    Il primo stadio è rappresentato dal ‘dilemma tragico’ (spesso più apparente che reale) che contrappone il valore di vita umana/salute alle richieste della libertà individuale e dell’economia.
    Il secondo stadio è rappresentato dalla divergenza di atteggiamento tra mentalità disposte alla semplificazione volontaristica e mentalità disposte alla complessità raziocinante.
    […]
    Di fronte ad una situazione emergenziale inedita come la pandemia quella che sembrava una salutare risposta di rigetto dei frutti del quarantennio neoliberale si è rivelato prevalentemente – e inconsapevolmente – una risposta tutta interna alla lezione della peggiore destra neoliberale.
    Di fronte alla rottura di una normalità da tutti prima ferocemente criticata, invece di alimentarne le possibili opportunità, si è finito per bramare un ritorno purchessia allo status quo ante; qualunque cosa purché il business as usual possa continuare.
    Di fronte alle esigenze di tutela e difesa della vita e della salute si sono attivati tutti i più feroci automatismi neoliberali, pronti a sacrificare tutti e tutto purché io e i miei affari possano proseguire la loro corsa.
    Tutti i più classici meccanismi neoliberali del mors tua, vita mea sono partiti senza freni, dalla lotta fra poveri, al sacrificio degli anziani ‘improduttivi’, alla critica dello stato e degli statali, al rifiuto libertario di ogni vincolo volto al bene comune, ecc.
    L’avvenuta devastazione della formazione critica, della cultura media e degli strumenti intellettuali di base si è manifestata nel modo più straordinario e pervasivo. Si è palesata una forma di nescienza specifica, del tutto diversa dall’ignoranza contadina o premoderna.
    Qui si tratta non solo di non sapere, ma di non sapere di non sapere, e laddove per caso si intuisca di non sapere, di fregarsene, perché il proprio libero pregiudizio non può giammai sottostare all’oppressiva disciplina di prove, verifiche, argomenti. Questo è un prodotto storico inedito, in cui l’individualismo libertario neoliberale si allea alla santificazione dell’interesse privato, sfociando nel rifiuto di ogni ricerca dell’obiettività, vissuta come oppressiva. È come se sul fondo delle coscienze neoliberali avesse preso oscuramente forma una visione riassumibile così: “la ricerca stessa del vero ha una pretesa di universalità e di accordo collettivo, dunque in fondo la verità è una forma di collettivismo che opprime l’individuo.” Ciò che resta, una volta che questa idea ha preso possesso delle coscienze è solo una concezione integralmente strumentale di ogni dato ed argomento, che prende vita solo se e nella misura in cui serve a giungere a quella conclusione che privatamente mi fa comodo.
    I cosiddetti “negazionisti”, i variopinti “no mask”, sono solo la componente venuta a galla con la pandemia di un sottobosco di soggetti per i quali il pregiudizio autointeressato è l’unica guida autorevole della ragione, che si riduce a ricerca del colpo di teatro per ottenere la vittoria locale in un confronto: una battuta è buona quanto un link esoterico, uno sfottò quanto un’estrapolazione strumentale.
    […]
    Ciò che è emerso – ma c’era da aspettarsi qualcosa di diverso? – è che l’irrazionalismo coltivato da una certa destra (tradizionalmente fascista e neofascista) si è combinato con l’individualismo anarcocapitalista in un rifiuto di ogni verità ostativa dei propri affari. La propensione alla mitologia semplificatoria che ha così spesso caratterizzato la matrice fascista si è alleata con la sacralizzazione dell’interesse privato prodotto dal regime neoliberale. Il risultato (di cui non abbiamo ancora visto l’intero potenziale) è un degrado di ogni argomentazione a strumento politico, e di ogni politica a strumento dell’interesse privato.
    E così si arriva al capolinea, il cerchio si chiude.
    La critica post-Comunista aveva avviato un’indispensabile e feroce critica del degrado della sinistra, e lo aveva fatto perché capiva che quel degrado apriva le porte alla peggiore destra, e lo temeva .
    Ma ora quella destra non è più un timore. Sta bussando alla porta. E per un post-Comunista l’ordine di priorità dei fronti di battaglia non può che cambiare: se è vero che la sinistra postmoderna e quella liberale sono un avversario politico, la destra neofascista e neoliberale sono il nemico.

    Visalli

    La crisi non è la causa, ma certo l’immane acceleratore di insopportabili ineguaglianze e dissimmetrie, essa induce tensioni colossali nello sfilacciato e anomico corpo della non-società neoliberale. Lascia intravedere il rischio di crollo.
    Non già del capitalismo, ma del livello resistente della civiltà del novecento, in particolare europea. La crisi, se produrrà crollo, mi sembra dica Andrea, potrebbe completare il percorso di disgregazione fino al grado zero di ogni azione collettiva razionale, delle sue istituzioni, delle strutture di senso che ancora, abbastanza miracolosamente ed assediate, qui e lì, resistono.

    La catastrofe mostra in definitiva la profondità del disastro, sia culturale sia umano, provocato dal quarantennio neoliberale. Il sedimento fangoso dei frammenti di senso comune che stanno risalendo, ribollendo, alla superficie. Tutti vogliono semplicemente tornare alla normalità, costi quel che costi agli altri. Si fottano i poveri, gli anziani, i malati, gli ‘improduttivi’, ma anche i ‘garantiti’, gli ‘statali’, quelli che hanno ‘il culo al caldo’. Senza avvedersi di ripetere il mantra andato per quaranta anni a televisioni e talk show uniti, molti, sfidati e turbati dalle conseguenze, stanno reagendo disperatamente con il più classico degli scaricabarili. A tutti ma non a me.
    […]
    abbiamo a questo punto un nuovo terreno nel quale emergono corposi “rischi”, o meglio nel quale si radicalizzano. Il rischio che:
    – criticando l’involuzione della sinistra si dia spazio ad una destra di nuovo conio che, senza saperlo, mischia l’irrazionalismo con il neoliberismo in una miscela tossica ed esplosiva;
    – cercando di contrastare il politicamente corretto “buonista” della sinistra si dia spazio e legittimazione al mero egoismo individuale ed alla dissoluzione di ogni pubblico;
    – criticando la tecnocrazia e lo scientismo si rilegittimino semplicemente le forme più ridicole di irrazionalismo, e l’incompetenza esibita ed orgogliosa.

    Sono tre rischi reali, naturalmente.
    […]
    – La seconda crisi, quella del Covid, ha messo solo allo scoperto queste linee di frattura e divaricazione preesistenti. Ha prodotto in linea con la tendenza ulteriori divaricazioni tra settori, territori, segmenti del lavoro. Ciò si è unito ad uno stress psicologico insopportabile, particolarmente per le frazioni meno protette ed esposte.
    […]
    Come si vede sono perfettamente d’accordo su tutto l’essenziale con la posizione di Andrea Zhok.

    La domanda che potremmo farci, data questa situazione, è: dobbiamo continuare a muoversi tra Scilla e Cariddi, o è più prudente tornare nel porto? Dobbiamo cedere alla potente attrazione gravitazionale delle identità sfidate e turbate, o accettare di stare ancora nel vuoto?

    È una domanda difficile, per rispondere ne occorre un’altra; anche ammesso di essere in “una crisi dentro la crisi”: serve la sinistra realmente esistente nel nuovo grande gioco?
    Per me la risposta resta quella che abbiamo già dato, non è parte della soluzione ma del problema. Credo si debba restare nel vuoto.
    Tutto scorre.

    P.s.
    Zhok e Visalli sono due teorici della politica che apprezzo perché preparatissimi e cristallini nell’esprimere i loro pareri. Sui quali mantengo però molte riserve. Sono entrambi nel Direttivo di NUOVA DIREZIONE (https://www.nuova-direzione.it/gli-organi-direttivi/), e mi paiono – lo dico qui schematicamente – impregnati di nostalgia verso «l’ispirazione disciplinare, austera, collettiva, popolare, umanistica, nazionale e internazionale del vecchio PCI (e in parte del PSI» (Zhok).

    1. La carica di Presidente del Consiglio viene assegnata dal Presidente della Repubblica ai sensi dell’art. 92 della Costituzione, che non richiede particolari requisiti necessari per tale nomina.
      Se poi lei vuole cambiare la Costituzione… Però sarà meglio che lo dichiari.

  13. Ringrazio Ennio Abate per l’aggiornamento ideologico-politico che mi ha fornito, anche se targato ‘vecchio PCI’ (auto d’epoca?). Definire l’avversario politico come ‘nemico’ la dice lunga sullo spirito democratico che muove ancora questi sofisticati politici dell’ultra-sinistra. Elena Grammann se la fa e se la dice per conto suo…beata lei!

  14. A proposito di buon governo… Se lo dice persino il «Corriere della Sera» che non è certo un giornale di opposizione, né di destra né di sinistra…
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    «Corriere della Sera», edizione online di venerdì 27 novembre 2020.
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    Covid, perché l’Italia non è un modello di gestione della pandemia
    di Alberto Brambilla
    Nella classifica sui peggiori Paesi per risultati economici e sociali nell’affrontare la pandemia, l’Italia si piazza al quarto posto quasi in pareggio con il Regno Unito e preceduta da Spagna e Belgio; altro che modello italiano da esportare e far copiare nel mondo. E invece di trasformare la sfortuna di essere incappato per primo nel coronavirus, in opportunità per preparare le difese e le contromisure per la più che prevedibile «seconda ondata» (che forse è solo la ripresa della prima ondata), ha perso sette preziosi mesi.
    Si è fatta una enorme spesa pubblica assistenziale a deficit, tanti bonus, 30 miliardi tra cassa integrazione e sostegni vari ma poco nulla per i trasporti, solo sussidi a taxi, bus turistici e Ncc ma zero convenzioni per farli lavorare; poco per la scuola, solo patetici banchi e nessuna convenzione con strutture come le scuole paritarie per decongestionare i flussi di studenti soprattutto fuori dalle scuole stesse; pochissimo per la gestione sanitaria che ha visto scarsi miglioramenti per i posti letto, le terapie intensive, il personale, i tamponi e i vaccini antinfluenzali; solo code ai drive-in e nei pronti soccorso. Nessun piano di rilancio del Paese, solo stati generali, sussidi a tutti, anche a malavitosi e falsi poveri (vedasi reddito di cittadinanza).
    Per dare corpo a queste osservazioni abbiamo cercato nei numeri alcune conferme analizzando la situazione di 29 Paesi e concentrandoci su quattro parametri: a) il numero di decessi ogni 100 mila abitanti; b) la perdita di Pil causata dalla pandemia ma soprattutto dalle misure adottate dai vari governi; c) il deficit del bilancio 2020 che dipende dalle minori entrate fiscali e contributive e dalle maggiori spese sostenute dallo Stato con i vari «scostamenti di bilancio» e i provvedimenti legislativi; d) infine la previsione del rapporto debito pubblico-Pil a fine 2020. A ognuno di questi quattro parametri è stato attribuito un peso che è poi stato ponderato, paese per paese, alla media del gruppo preso in esame. Il ragionamento è semplice: se un paese ha avuto un numero di decessi molto alto ma nel contempo ha avuto anche una forte contrazione del prodotto interno lordo perché anziché avere una buona organizzazione sanitaria si è chiuso gran parte delle attività e contemporaneamente anche un forte deficit di bilancio con il risultato di aumentare di molto il debito pubblico sul Pil, significa che quel Paese ha messo in campo strategie sbagliate; più «l’indice totale di performance» è alto e peggio si è comportato il governo di quel paese.
    E l’Italia, come detto, non brilla affatto: sempre tra i peggiori; siamo ai primi posti per evasione fiscale, lunghezza della giustizia, spesa pubblica e economia sommersa e sempre ultima per sviluppo, occupazione e produttività. E anche la nostra classifica conferma la situazione. Nel primo indicatore (numero di decessi ogni 100 mila abitanti) l’Italia, in base alle nostre elaborazione su dati dalla John Hopkins University al 18 novembre 2020, si classifica al settimo posto con 75,68 morti contro i quasi 128 del Belgio, gli 88 della Spagna, gli 80 dell’Argentina e del Brasile (79,25) e i 78 circa di Regno Unito e Messico. Se si considera che la spesa per la protezione sociale in Italia è di gran lunga superiore a quella del Belgio e della Spagna e molto più alta degli altri paesi che ci precedono in classifica, ci si rende conto che non è un bel posizionamento e che siamo i peggiori tra i paesi con alta spesa per welfare.
    Quanto al secondo indice, previsione di variazione del Pil a fine 2020 in base alle stime del Fmi, il bel paese si classifica al quarto posto con un meno 10,65% preceduto dalla Spagna con un -12,83%, l’Iraq (-12,06%) e l’Argentina (-11,78%); anche in questo caso non è una bella classifica considerando la plurifallita Argentina e il non certo sviluppato Iraq. Il terzo indice riguarda il deficit di bilancio 2020 ricavato dalla elaborazione dei dati Fmi; in questa classifica l’Italia, con un -12,98%, si classifica al nono posto preceduta dal Canada (-19,92%), dagli Stati Uniti (-18,72%), Iraq, Brasile, Regno Unito, Giappone, Spagna e India (-13%); gli USA, ottavi per numero di decessi, sono al ventiduesimo posto per perdita di Pil, il Canada è rispettivamente sedicesimo e dodicesimo mentre gli altri paesi sono sempre tra i peggiori.
    Infine il quarto parametro è rappresentato dal rapporto debito sul Pil nelle previsioni di fine 2020; in questa classifica siamo al secondo posto con il 161,8%, preceduti dal Giappone con l’inarrivabile 266,2% e seguiti dagli USA con il 131,2%. In classifica manca la Grecia che si sarebbe qualificata al secondo posto con il 214% mentre gli Usa sarebbero stati preceduti dal Portogallo con il 150% ma la classifica finale per l’Italia sarebbe restata uguale. Che dire: pure vista dall’America, la situazione italiana è pessima e l’Italia non è quel modello che dice il Governo; neppure in confronto con la Germania o la Svezia che nonostante le blande misure per contenere i contagi ha meno vittime di noi.

  15. Dopo aver letto tutto ciò che precede improvviso alcuni aforismi.
    Sulla vita e sulla morte
    1) La vita è sacra? Tutto si può sopportare pur di diminuire il numero dei morti?
    E allora perché non si ferma il traffico automobilistico che nel 2019 ci ha dato
    172.183 incidenti con lesioni a persone in Italia, con 3.173 vittime e 241.384 feriti?
    Perché non si fermano le attività economiche (edilizia, industria ecc.) che nel 2018 hanno provocato 645mila denunce di infortuni in Italia, con 1.218 morti?
    A quanto pare, la vita, più che cosa sacra, è cosa spendibile, fruibile, fungibile. Va e viene, come l’erba del prato. Ha valore per l’individuo, molto meno per l’organizzazione sociale nel suo complesso.
    2) Non la vita in generale, ma la mia vita, la tua vita, ha valore. Quel valore che noi sappiamo darle e nulla di più.
    3) La vita è tutto? No. La vita è solo un contenitore temporaneo. Il “tutto” riguarda i suoi contenuti, che possono essere pochi o molti. Tanto pochi da desiderare la morte o molti da desiderare l’immortalità.
    4) La morte ci precede e ci segue e per noi è il nulla o il tutto. Se è il nulla, ci impedisce di soffrire e di rimpiangere la vita. Se è il tutto, ci esalta in una vita diversa, forse migliore.
    5) Una biografia non racconta la vita, ma racconta le opere. Non racconta il contenitore, ma il contenuto. Se il contenuto manca o è di poco conto non vale che la vita sia durata a lungo: nel tempo, se ne perderà anche il nome riportato sull’etichetta del contenitore. Évariste Galois è morto a 21 anni, ma è immortale, almeno quanto la civiltà di cui siamo parte. Il personaggio vissuto più a lungo e di cui è documentata la data di nascita e di morte è un russo, morto a 162 anni. Ma solo pochissimi ricordano il suo nome. Per noi, oggi, la durata del suo contenitore si identifica con il contenuto, perché è la durata l’unica cosa che ci interessi ancora, come curiosità.
    6) Non toglietemi il contenuto, casomai toglietemi il contenitore. Ne soffrirei di meno.
    7) Cosa possiamo aspettarci da Dio se per molti Dio è solo un idolo, un mito, un feticcio, un Maradona? Non ci serve un Dio strafogato nella mondanità.
    8) Se Dio è il mistero da cui è sorto l’universo, il nulla/tutto che da un’improvvisa e singolare oscillazione di energia ha creato l’universo, allora possiamo aspettarci qualsiasi sorpresa. E probabilmente non coinciderà con nessuna delle nostre speculazioni e fantasie metafisiche e religiose.
    9) «Si muore vivendo». Vecchio aforisma riecheggiato in versi e in prosa e in molti titoli di libri e di film. Ma è anche vero, e forse più vero, il contrario: si vive morendo.
    Si continua a vivere a lungo pur perdendo giorno per giorno pezzi della nostra vita: ricordi, persone e cose che ci hanno accompagnato, desideri e sentimenti, forze e capacità. Ma finché ciò che si perde è sostituito da ciò che si guadagna, il bilancio è alla pari o in attivo. Se è in passivo, se il contenitore si svuota, allora si comincia a morire davvero.
    10) Chi ha paura di morire muore prima. Chi ha paura, così, in generale, senza oggetto specifico della paura, è già morto o almeno è in carcere. Nel carcere della sua paura.
    *
    Sulla libertà
    1) La libertà è una vita piena di contenuti miei, creati da me o da altri e da me accolti. Ma se la vita diventa piena di contenuti che altri mi hanno imposto con la forza, non è più libera.
    2) La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, all’articolo 4, afferma:
    «La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. La Legge ha il diritto di vietare solo le azioni nocive alla società» [La liberté consiste à pouvoir faire tout ce qui ne nuit pas à autrui: ainsi l’exercice des droits naturels de chaque homme n’a de bornes que celles qui assurent aux autres Membres de la Société, la jouissance de ces mêmes droits. Ces bornes ne peuvent être déterminées que par la Loi].
    Ma chi ha scritto questo articolo lo ha subito smentito ergendosi a legislatore e giudice supremo, unico e armato, di quali siano i limiti che la legge può porre per vietare «le azioni nocive alla società».
    In tempi di pandemia, in Italia, incontrare un amico e fermarsi a parlare con lui, anche a tre metri di distanza, è diventata un’azione nociva alla società.
    Non ci sono limiti all’arbitrio e alla prepotenza del potere, che il potere non riesca a superare.
    3) La libertà può essere, e nascere, solo da una valutazione personale; e i suoi limiti solo da un accordo reciproco fra le persone. Ma reciproco in senso concreto e diretto: io e tu, io e voi, noi e loro. Ogni limite che non nasce da un accordo, ma da una imposizione, non limita le azioni nocive ma la stessa libertà.
    4) Fuori dal rapporto fra io e tu, io e noi, noi e loro, non vi è una società di persone, ma solo una società giuridica, cioè un’organizzazione del potere che non ha, come soci, i cittadini, ma l’oligarchia che partecipa al potere; mentre i cittadini sono strumenti, sono risorse da sfruttare, da annientare, da proteggere, da farci comunque qualcosa anche senza il loro accordo, alla pari di beni del demanio, degli edifici, dei mobili, delle armi.
    5) Nelle società complesse, moderne, i cittadini contano meno dei soci di una Società per azioni che possedessero solo un’azione. Non entrano nel consiglio di amministrazione e il loro voto non vale nulla. Solo chi detiene pacchetti di azioni consistenti capaci di determinare la maggioranza conta qualcosa.
    6) I soci che possiedono solo un’azione potrebbero riunirsi in un sindacato di azionisti e così partecipare davvero alla direzione sociale. Ma è difficile che ciò avvenga, perché dieci milioni di persone che possiedono dieci milioni di azioni non riescono a sviluppare la stessa potenza di una sola persona che possedesse, da sola, altre dieci milioni di azioni. Mettere d’accordo dieci milioni di persone su una strategia aziendale è difficile, mentre l’azionista che agisce da solo sa bene qual è il suo interesse.
    7) Dalla logica del funzionamento delle imprese economiche e sociali deriva un dato di fatto inequivocabile: chi è socio di una grande S.p.a. per una quota di capitale che non determina la maggioranza, è meno libero nella gestione del suo capitale rispetto all’imprenditore industriale o al finanziere che gestisca, unico proprietario, un capitale dello stesso importo.
    8) I rapporti di forza che decidono della nostra libertà di azione non sempre dipendono dalla forza che abbiamo, ma spesso molto più dall’organizzazione, dalla concentrazione e dall’idea che abbiamo della nostra forza.
    9) Siamo liberi se abbiamo la facoltà d’agire come quella di non agire. Se siamo obbligati a non agire, o ad agire anche controvoglia, non siamo più liberi. Saremmo nella condizione di chi, volendo camminare, è obbligato a stare seduto. A cosa ci servirebbe allora la libertà di scegliere la seggiola? O saremmo nella condizione di chi, volendo stare seduto, fosse obbligato a camminare. A cosa ci servirebbe allora la libertà di scegliere su quale strada camminare?
    10) La libertà è un bene sfuggente, sia a chi la possiede, sia al tiranno che vuole impedirla. In qualunque condizione ce ne resta sempre una parte, per quanto piccola. Ai limiti estremi, se il tiranno ci puntasse una pistola alla tempia e ci dicesse fai questo o ti ammazzo, ci resterebbe la libertà di scegliere fra la vita e la morte, fra la vita in servitù e nell’avvilimento e il sottrarci alla servitù con la morte, riaffermando la nostra dignità.
    11) Per una pia empatia, o per semplice ipocrisia, o per paura della perdita, una persona si considera persona sempre e comunque, anche quando forme patologiche estreme le hanno tolto ogni libertà e ogni contenuto. In realtà di quella persona resta solo il contenitore, come una bottiglia vuota. Ma spesso la conserviamo nella speranza che possa, per qualche evento imponderabile, tornare a riempirsi. O perché ci fa orrore assumerci la responsabilità di gettare via quel vuoto ormai inutile.
    Qui c’è un nodo complesso, un mistero inestricabile che ci coinvolge tutti e coinvolge la società e le sue leggi, a proposito del rapporto fra vita, morte e libertà.

  16. Occorre puntare verso una nuova società, che vinca la comunicazione del muro mediatico, ritrovi gli strumenti culturali e il rispetto per la natura, ridimensioni il potere della tecnica, rimetta la persona al centro dei valori; al di fuori dei recinti economico-sociali che la irretiscono, nella prospettiva di quelle spinte ideali che hanno animato i pensatori del passato, gli artisti, i grandi scrittori.
    Non sarà questa lotta una mera utopia, ma una realtà di pensiero che trasmetteremo ai nostri figli, in opposizione a quello dominante, frutto velenoso e acido di gestione occulta del potere; tanto più libero, il nostro, e vitale quanto più inviso e antagonista di quello che tende a ridurre gli spazi esistenziali e interiori.
    Lo faremo con la Politica (quello che ne resta ancora di vivo, prima che ci travolga il suo fallimento), col concorso degli elementi migliori, che dovremo vagliare al di sopra delle parti; nessuno può impedirci di fissare queste mete, di darci una ragione in più di vita, di mirare a garantire un residuo di autenticità

  17. Non voglio sapere più nulla!
    Non voglio vedere più nulla!

    NON VOGLIO PIÙ VEDERE… l’UOMO!

    Mi ristora l’immaginazione!
    Mi voglio ri-creare lo Spirito!
    Mi fa schifo la vostra corruzione! Nascondete le vostre
    perversioni nei tabernacoli: festini! miracoli! finzioni! apostasie!
    Dai confessionali alle alcove diffondete un Verbo eretico!
    Via da me tutti gli umori viscidi, i vizi di questi inquisitori!
    E mi presero gli occhi, mi presero… questi carnefici di Dio!
    Non conosco il tormento, la pietas, il perdono, la sofferenza!
    La mia mente purifico con la fantasia!
    Mi tallona l’immaginazione!
    Via, via da me il desiderio, il piacere, il dolore e la paura!

    Ma questa fiamma sale,
    il torace è già carbone!


    da “MDCXIX Tholosae combustum” 2007

    Antonio Sagredo

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