Due gatti tre gatti cinque gatti…

Pierre Bonnard, Il gatto bianco

di Marcella Corsi

 

                     Se deciderai, ti promettiamo orecchio assoluto… Qualche mese fa avevo scritto di lei senza che ci fosse. Avevo desiderato che arrivasse. Mi sono tenuta questo pensiero in tasca come un porta fortuna, senza parlarne con nessuno. Potenza del desiderio – il mio talvolta lo è – ieri Sara mi ha detto che con Emiliano stanno pensando di avere un bambino. Magari sarà una femmina.

Nel frattempo sono un po’ in crisi, loro, perché, proprio per via del fatto che intendono condividere casa e vita con un altro essere umano in fieri, non si sono sentiti di accogliere la cagnolina del fratello di lui che, dovendo cambiar casa, non può più tenerla.  Emiliano però si sta dando da fare per trovarle un nuovo padrone che sia per lei soprattutto un amico: inserzioni su siti dedicati, cartelli nei parchi, richieste a tutte le persone conosciute, me compresa. A me l’ha chiesto anche Sara, ma anch’io aspetto un bimbo o una bimba, la sua, e poi ho già tre gatti.

Oggi mi racconta quasi in lacrime che qualche giorno fa dove lavora sono comparsi dal nulla due gatti, magrissimi, fratelli, del tutto domestici, tanto che ha potuto prenderli in braccio oltre che dissetarli e nutrirli. Dormono abbracciati. Ma lì non possono rimanere.

Dico subito che i miei tre hanno da poco digerito l’ingresso dell’ultima arrivata, e poi non voglio diventare una “gattara”. Soprattutto, i miei settant’anni mi assicurano che sarò al limite delle possibilità quando a una madre di più di novant’anni e a tutto il resto aggiungerò – e voglio aggiungerlo – la cura di un cucciolo di uomo. Già, i nostri primi due gatti vennero chiamati Baghi e Balù, in omaggio al Libro della giungla e al cartone animato che ne derivò.

Sara però non demorde, sapendo di essermi figlia anche nella compassione verso gli animali. Dopo tre giorni mi dice che una collega è decisa ad adottarli. Però non può farlo subito: sta acquistando casa e deve ristrutturarla, ci vorranno alcuni mesi. Emiliano, al quale ha subito chiesto, non è disposto ad accoglierli. Rimango io: “se avessi una casa come la tua, non avrei dubbi”. Certo da me l’appartamento è più grande e dispone di terrazzi e un pezzetto di tetto. Ma, ribadisco, per quanto domestici e concordi tra loro, sono comunque due maschi adulti. Non sarebbe facile inserirli in una comunità felina, che per di più dopo non sarà la loro. Se pure riuscissi a farli accogliere dai miei senza troppo stress, con tutta probabilità mi ci affezionerei e a quel punto dovrebbero andare altrove. Senza contare che nei mesi in cui dovrebbero restare da me, perderebbero la confidenza con la futura padrona-amica che ora li vede tutti i giorni.

“Sono già d’accordo con la veterinaria per farli sterilizzare… domani glieli porto e dopo l’intervento li terrà da lei per un paio di giorni…  Capisco le tue perplessità, ma ti assicuro che dove sono ora non possono rimanere un giorno di più… tornano ogni giorno con qualche ferita”.

Più che la sorte dei gatti mi colpisce il suo dispiacere, anche di aver avuto un no dal compagno con cui condivide casa e progetto di vita. (Emiliano intanto è riuscito a trovare una buona sistemazione per la cagnolina).  Secondo me però lui ha ragione. E anch’io…

Li aspetto per martedì pomeriggio. (Perché mai non riesco a dire di no alle richieste di quelli che amo?)  Mi sono fatta rassicurare sulla serietà delle intenzioni della loro futura ospite, che Sara domattina mi farà conoscere. Già, perché come fa a portarli dalla veterinaria digiuni se la mattina lavora? Ad Emiliano non ha nemmeno chiesto, dunque…

Eccomi pronta a seguirla al lavoro, a cercare insieme i gatti che, dopo il week-end in solitudine, non sono più in vista, a conoscere Matilde che, a casa sistemata, li accoglierà stabilmente in una situazione che mi sembra favorevole (almeno questo!). Le dico che, se vorrà venire a trovare me e i gatti, potrò ospitarla anche per la notte. Mi ringrazia anche l’altra collega, che avrebbe voluto anche lei, ma il marito…

Recuperati i due dispersi, li osservo: magri ma con una struttura forte, bianchi e rossi entrambi però in uno prevale il rosso nell’altro il bianco, belli. Sembrano socievoli ma un po’ infastiditi dal dover stare chiusi con me in una grande stanza (la veterinaria non apre fino alle 10). Respingono con una zampata il piccolo di casa che vuole giocare con le loro code.

Il viaggio verso lo studio veterinario dove saranno sterilizzati è tutto un lamento. Che diventa insostenibile mentre aspetto che arrivino le veterinarie. Uno soprattutto si accanisce anche sul trasportino tentando di romperlo con le unghie. Siamo in strada in attesa, in sei o sette persone più gli animali. Se riesce a romperlo, come lo riprendo? Appena aprono, mi infilo dentro.

Finalmente arriva anche la mia veterinaria e glieli consegno, con l’impegno di chiamarla nel pomeriggio. Lo farà Sara. Per ora me ne sono liberata. Ho fino a domani pomeriggio per elaborare la scelta cui mi sono sentita obbligata. Da ieri i motivi del no hanno preso consistenza di colla a presa rapida, mi sento invischiata in una situazione che so mi dispiacerà, per un verso o per l’altro.

Alle cinque del pomeriggio Sara mi telefona: la veterinaria consiglia di andare a prenderli subito invece che il giorno dopo, perché… bla bla bla. Come si può non tenere in considerazione i consigli del veterinario? Nel consegnarceli si raccomanda di tenerli separati dagli altri per qualche giorno e poi di non farli stare con gli altri sul terrazzo (tra lotte e nervosismi qualcuno potrebbe finire giù).

Bene. Attrezziamo di cibo, acqua e sabbietta una stanza con bagno e li sistemiamo lì. Sara decide di rimanere a dormire con loro nella stanza che era la sua. Le nuove presenze provocano solo qualche curiosità nei residenti, che a turno annusano la porta chiusa e dal terrazzo si fanno vivi al di là della porta-finestra. Il giorno dopo i due sembrano tranquilli: mangiano, dormono la maggior parte del tempo. Lascio a riposo l’aspirapolvere per rispettare la loro convalescenza. Nel tardo pomeriggio li faccio uscire con me sul terrazzo: esplorano un po’, mentre i miei si affacciano non proprio amichevoli. Mi sento un secondino, ma l’ora d’aria trascorre senza troppe difficoltà.

Il giorno seguente sono pimpantissimi. Sara, che è rimasta di nuovo a dormire con loro, prima di andare al lavoro gli propone qualche giochino che i nostri usano ormai raramente: gradiscono. Durante la mattinata però, nonostante le mie puntate nella stanza, la loro sofferenza nello stare chiusi si mostra evidente: lasciati soli miagolano a lungo e finiscono per litigare tra loro.

Così, quando Sara telefona per sentire come va, decidiamo di provare a consentire loro di accedere all’intero appartamento, con l’esclusione dei terrazzi. Verranno a contatto con i nostri, ma questo sembra preferibile al far crescere il loro nervosismo da clausura. Non so se sulla decisione abbia influito l’atmosfera da pandemia che ancora si respira in giro.

Aperta la porta, i due escono insieme di corsa. Si trovano subito davanti Matisse e Miù, ingrifati e sorpresi. Assetto da combattimento per tutti e quattro, mentre Melissa si rifugia sotto il tavolo. La più incazzata sembra Miù, che non demorde nemmeno dopo i miei decisi no. Pausa di riflessione comunque. Io cerco di mostrare un atteggiamento tranquillo. So che è importante, perché loro risentono anche del mio stato d’animo. Il comportamento dei quattro (Meli si tiene ancora in disparte) è comunque di paura e di aggressività. I nuovi sono impauriti  ma vogliono conquistare l’intero territorio casalingo, i miei vogliono impedirglielo ma sembrano più stravolti di loro. Devo tenerli sotto controllo tutti e cinque. Adesso anche Melissa soffia e ulula ogni volta che qualcuno si avvicina al suo rifugio che è proprio al centro del soggiorno.

E’ Matì ad avere l’atteggiamento più disponibile: a volte soffia e urla, a volte fa per avvicinarsi con intenzioni più benevole. Ora però è assediato sotto il mio letto (il luogo della casa che preferisce, sopra il quale raramente ammette compagnie troppo affettuose nei miei confronti). Sono costretta ad intervenire più e più volte, modulando la voce al modo degli umani ma con una durezza che assomiglia alla loro. Cerco lo stesso di mantenere una parvenza di normalità. Accendo il televisore che trasmette il TG, tenendo basso il volume mentre anche il mio orecchio si allarga su tutta la casa.

L’aggressione avviene quando Matisse entra nella stanza dove i nuovi dormono, mangiano e tutto il resto, annusa il cibo e fa per infilarsi nella lettiera che fino a due giorni prima è stata, con l’altra, anche a sua disposizione.

I nuovi hanno un carattere diverso: quello rosso è più riflessivo e intelligente, e tende a proteggere il fratello, quello bianco sembra più giocherellone ma anche più pauroso, dunque potenzialmente più aggressivo.

E’ il rosso che si è scagliato contro Matì. Evidentemente considera già quello spazio come proprio, dunque da difendere. Ma riesco ad intervenire in modo efficace. Il bianco invece se la prende con Miù che, memore della sua parentesi randagia, sembra essere la più aggressiva dei miei tre. Anche con loro ho il mio da fare.

Certo finché non arriva Sara, che dormirà anche stanotte qui, l’atmosfera felina è bella tesa. Con lei invece Bianco e Rosso sembrano un poco rilassarsi. Noto con un certo rammarico che i nostri tre sono ridotti in uno spazio residuo nello studio, mentre i nuovi… uno sul divano, l’altro comunque accanto a noi in soggiorno. Finalmente si va a dormire, in ambienti separati.

Il giorno seguente – non è detto che Sara possa farsi viva – penso sia bene che entrambi i gruppi frequentino a turno gli stessi spazi, almeno quelli esterni; se possibile anche quelli interni. Dunque tengo i terrazzi a disposizione dei miei mentre faccio tutto quel che c’è da fare ogni mattina e, quando i tre autonomamente vengono a dormire dentro (il che accade invariabilmente verso le nove e mezza), chiudo porte finestre e gattaiola, e lascio liberi gli altri due di uscire dalla loro stanza verso i terrazzi. Mi auguro che, attraverso gli odori, familiarizzino con gli altri e siano più disposti a socializzare. Rimango anch’io con loro per un po’ di tempo.

Per il pasto serale i due nuovi rientrano in stanza e vengono per un po’ chiusi lì, mentre i miei tre escono autonomamente sul terrazzo a livello. La gattaiola la chiudo con un puff, ché non ha lo sportello: a suo tempo Argo con il suo fisichino di giovane segugio tentò di seguire i gatti e rimase incastrato lì, rompendo il rompibile. Subito dopo apro la casa ai due maschioni, che in una settimana di cibo abbondante hanno ripreso peso e baldanza.

Cominciano ad esplorare: il rosso finisce il pesce lasciato dai miei, il bianco va dritto verso la mia stanza da letto dove immagina sia Matisse. Scorazzano in lungo e in largo, compreso il tavolo da pranzo e il piano della cucina. Poi s’accomodano padroni in soggiorno.

Li osservo con un certo fastidio: sembrano domestici ma viziati, o meglio non educati alla convivenza con gli umani. Il rosso però è discreto, sembra capire che in qualche modo, fatte salve le liti tra gatti, deve farsi accettare da me. Il bianco invece, miagola troppo spesso, salta sul mio cibo e sulle mie gambe mentre gli porto il suo, nonostante ne abbia avuto a disposizione tutto il giorno. Alla fine si piazza nello studio dove è la gattaiola.

Succede che Miù spinge il puff che chiude la gattaiola ed entra. Cerco subito di farla uscire ma non ci riesco. Appena però lei si avvia verso il corridoio viene aggredita dal bianco.

La vedo rotolare sul dorso con lui sopra mentre ciuffi del suo pelo volano sul pavimento. Miù in qualche modo reagisce, credo meno spaventata di me. Riesco a dividerli solo con un urlo quasi pari a quello del bianco. Lui continua a tenere un comportamento estremamente aggressivo, adesso verso di me che mi sono frapposta fra lui e la femmina. E’ lì nel vano della porta che mi sfida con la postura arcuata, la coda che frusta l’aria, e soffi e ringhi e…  Lo ucciderei. Anche lui è molto impaurito oltre che arrabbiato. I suoi occhi gialli hanno pupille grandissime. So quanto possa far male un gatto inferocito. Dunque non me la sento di passare per andare incontro a Sara, che sta arrivando con una torta in una mano e nell’altra diversi altri impicci. Gli chiudo sul muso la porta che per fortuna esclude la parte notte dal soggiorno. Miù è sparita nello studio. Telefono a Sara che con la torta e tutto il resto dovrà cavarsela da sé: io e la gatta siamo bloccate nello studio.

Non sei disponibile, mi accusa quando le racconto il pomeriggio.

“Non sono disponibile a farmi rovinare l’atmosfera di questa casa, e la sua serenità”. E anche la possibilità di andare dovunque liberamente, penso. Le dico chiaramente che credo non sia possibile prolungare per mesi una convivenza così difficile.

“Dagli tempo, mamma, danne anche a te. Sono come i bambini: bisogna fare un inserimento, e ci vuole tempo”.

“Non sono bambini, sono due e adulti”.

“Ma sono buonissimi, ora vengono da giorni di stress e sono spaventati”.

“Io non sono disposta a farmi stressare così per mesi!”.

Alla fine decidiamo di tenerli separati dagli altri finché sarà necessario. Per me, che tengo aperte porte e finestre si può dire sempre, è una decisione foriera di ansia e malumore assoluto. E sono distratta: se una volta dimentico aperta una porta che dovrebbe star chiusa? Riempio con tre volumi dell’enciclopedia uno scatolone e lo piazzo vicino alla gattaiola, in modo che, quando necessario, nessun gatto possa spostarlo.

La mattina seguente i due fratelli rimangono chiusi in camera fino a che i miei autonomamente, come ogni mattina, non  rientrano in casa. Subito dopo hanno a disposizione la loro stanza e i terrazzi. Anche il tetto volendo, ma solo il rosso accenna a salire la scaletta che porta fino al tetto. I miei li vedono dalla vetrata del soggiorno, fino all’imbrunire. Quelli fuori vorrebbero entrare, quelli dentro sono tra il curioso e il preoccupato. Il cartone con le enciclopedie fa bene il suo lavoro.

Io cerco di stare anche un po’ con i nuovi, ma la sfuriata di ieri sera ha lasciato il segno e sono diffidenti. Sara mi dice che il bianco ha un bel graffio sul fianco (dunque Miù ha lasciato la sua firma quando si è riavuta dalla sorpresa dell’aggressione) e io ho un paio di segni rossi su una gamba. Il tutto, devo dire, mi mette tristezza. In fondo ci avevo sperato che potesse essere come quando è arrivata Miù che, dopo qualche scaramuccia iniziale, con Matì dormivano abbracciati e dovevamo solo consolare Melissa, impaurita dalla vivacità della nuova arrivata e sdegnata dalla disponibilità che Matisse dimostrava. Poi certo Matì ha faticato parecchio a fare la spola tra l’una e l’altra per ripristinare un’atmosfera pacificata.

Quando con i croccantini della cena riesco a far rientrare i nuovi, apro ai miei la gattaiola e la porta-finestra. Nessuno però esce sul terrazzo: hanno paura. Accendo le luci esterne, innaffio le piante, li chiamo. Si affacciano circospetti, restano pochissimo, poi rientrano in casa. L’unica che rimane fuori è Miù, anche dopo che anch’io ho lasciato il terrazzo.

Ci vuole più di un’ora prima che Matì torni a riprendere il suo posto sulla spalliera del divano in soggiorno, mentre guardo un vecchio film in TV. Ancora più tardi si fa vedere Melissa. Miù invece sarà ancora fuori quando andrò a dormire. Non sono affatto sicuri che gli altri non possano all’improvviso comparire dal buio. Lei però sembra a suo modo volerli sfidare. Unica consolazione: prima ho visto Melissa e Miù fare naso-naso senza esitazioni.

Quando entro nella stanza dei fratelli per sostituire la luce al soffitto con quella della lampada da tavolo, si affacciano oltre la spalliera del divano che era di Argo, uno di qua, uno di là. Due animule dagli occhi trasparenti, una più rossa, una più bianca. Su quel divano dormivano spesso Argo e Matisse, da subito grandi amici, il cane con i suoi bellissimi occhi parlanti, il gatto con un solo occhio verde smeraldo e le cicatrici lasciate dall’herpes virus, uno vicinissimo all’altro, anche prima che Matì perdesse i due con i quali era solito dormire abbracciato.

Il segreto forse è nei tempi. E nell’essere presenti al contesto. In questa faccenda ho sbagliato a pensare di poterli tenere tutti nello stesso spazio dopo due giorni. I due erano stressati anche dalla clausura, ma la veterinaria l’aveva detto: separati, per qualche giorno. Ora volta per volta valuto il tempo da concedere agli uni o agli altri per scorazzare tra terrazzi e tetto. E bisognerà continuare così. A un certo punto, certo, proveremo di nuovo a farli convivere negli stessi spazi. A tempo debito, e ogni volta valutando le circostanze. Intanto domani mi procuro una pistola ad acqua: servisse davvero a distrarre un gatto infuriato dal suo bersaglio…

Penso che alla fine di quest’avventura i due fratelli avranno capito qualcosa in più del rispetto che si deve agli umani che li ospitano, e i miei tre avranno conquistato… un’amicizia fraterna. Magari anche noi umani avremo imparato qualcosa.

   

10 pensieri su “Due gatti tre gatti cinque gatti…

  1. Osservatrice partecipante, sorvegliante-educatrice, assimilata (“modulando la voce al modo degli umani ma con una durezza che assomiglia alla loro”), servante-riflessiva, ironia al 100/100 della vera protagonista della storia: “io di altro non mi occupo”!
    Lettura gustosa. I gatti, anzi le gatte, che vivono all’esterno della casa, sono diverse. Lucertole e uccellini ma non per bisogno. Al mattino salutano. Di notte difendono il territorio ululando. Seguono a lungo se ti muovi.

  2. @ Marcella

    In “Due gatti tre gatti cinque gatti…” forse è il tuo amore di zoofila che aiuta. Cogli i loro sentimenti come fossi una “psicologa” degli animali, che sa come intervenire, li prende sul serio e descrive benissimo i loro conflitti. E poi ho trovato sapiente la strategia narrativa che ha anche il suo punto culminante dove elemento umano e animalesco sembrano incontrarsi: «E’ lì nel vano della porta che mi sfida con la postura arcuata, la coda che frusta l’aria, e soffi e ringhi e… Lo ucciderei. Anche lui è molto impaurito oltre che arrabbiato. I suoi occhi gialli hanno pupille grandissime». Insomma, quasi un “De bello gattico”.

  3. .. si, un racconto molto simpatico che rende conto agli umani, una figlia a cui non si riesce mai a dire no, e agli animali.. Poca differenza in fondo viste le dinamiche dei conflitti, ma a vantaggio degli ultimi sono i colori, le forme, gli sguardi che sventagliano dal morbido, da tenere tra le coperte, al felino artiglioso. Grazie

  4. Prima di entrare nel merito del racconto voglio dire due parole sui gatti, anche per una maggiore comprensione dello stesso.
    L’unico animale capace di addomesticare l’uomo, e non viceversa, è il gatto. In casa è il ‘dominus’, e non ci sono crocchette o ciccia che tengano se non si fa quello che gli aggrada. Scandisce le fasi e i ritmi della nostra giornata domestica e da una posizione strategica ne controlla l’andamento. Questo lo dico per esperienza.
    Ai Musei Vaticani, nella sala egizia, c’è la sculturina di un gatto (venerata?) che colpisce per naturalezza e vivacità, ed esprime tutto quel temperamento che il gatto porta con sé da millenni. Onore alla sua vetustà e al fatto che non si è mai venduto per ragioni politiche.
    La persona che voglia tenere un gatto domestico deve essere di carattere altruista. A seconda delle circostanze esso può diventare aggressivo, da felino, o al contrario manifestare momenti di tenero abbandono coi quali si fa perdonare e amare, o comportarsi da menefreghista. Siccome miagola soltanto bisogna imparare a conoscerlo osservando attentamente i suoi comportamenti. C’è che dice che sorrida socchiudendo gli occhi.
    Questo racconto mi pare che rifletta quanto detto sopra. L’autrice è di sicuro un’amante degli animali, ma tutti dovremmo esserlo (scrissi un racconto ‘Le rondini’ per festeggiare l’arrivo della primavera, volendo dimostrare che in un contesto naturale gli animali sono più saggi di noi); questa narrazione, di ambiente familiare, scorre fluida, con un linguaggio discorsivo ed efficacemente descrittivo. Le dinamiche comportamentali dei gatti vengono messe a fuoco con quell’attenzione che è ‘conditio sine qua non’ per rapportarsi a loro. C’è intelligenza interpretativa, comprensione e tanta pazienza; sì, perché i tempi di reazione degli animali non sono i nostri, e di questo va tenuto conto; così come le loro esigenze non sono uguali alle nostre. Nell’interagire con loro il maggiore spirito di adattamento spetta alla persona, perché l’animale non bleffa.
    Nel nostro mondo dove il rapporto fra gli umani si fa sempre più difficile e sporadico la natura compensa con le sue creature un vuoto esistenziale che si accentua inesorabilmente, soprattutto in questo periodo di pandemia in cui è diventato difficile e ‘pericoloso’ scambiarsi visite. Cosicchè, un maggiore spirito di fratellanza ci lega ai nostri animali domestici, ai quali vale proprio la pena di dedicare significativi racconti come questo di Marcella Corsi.

  5. Grazie dei vostri commenti. E’ vero: quello di questo racconto è un interno con gatti (troppi ma tutti per qualche verso addomesticati, per quanto lo si può affermare di un gatto). Possono essere talora esasperanti o crudeli, ma sempre mi sono sembrati degni di interesse. Qualche volta si rivelano dei preziosi amici. Socchiudere gli occhi è un modo umano per dimostrare loro simpatia e affetto.
    Cristiana e il suo accenno alle gatte che vivono all’esterno mi hanno fatto pensare ai godibilissimi resoconti che ogni tanto leggo su una rivista on line che si chiama “Erbacce”: Io e la natura è il titolo complessivo dei resoconti che compaiono a puntate (11 finora) a firma di Manù (sottotitolo Cronache di una cittadina trapiantata su un selvaggio bricco del cuneese). Lettura talora esilarante. La consiglio a chiunque abbia curiosità per gli animali e temperamento malinconico.
    Anche il “De bello gattico” di Ennio mi ha strappato una risata condita con un pizzico di stupita ammirazione. Grazie di nuovo.

  6. Pat Carra, che ospitammo su Poliscritture quando usciva anche come rivista cartacea, pubblica su “Erbacce” le sue vignette ironiche, capaci talora di provocare una risata (amara), comunque di far sorridere. Su “Erbacce” compaiono non di rado anche riflessioni abbastanza sintetiche ma di notevole interesse.
    Vorrei aggiungere una notazione a quelle già proposte sui gatti da Franco. Se è vero che alcune caratteristiche accomunano i gatti, è pur vero che ogni gatto ha un suo carattere e una sua storia. Chi voglia entrare in comunicazione con lui/lei deve tener presenti anche questi. E si accorgerà presto che anche il gatto cercherà con intelligenza e delicatezza di trovare modi per armonizzare con ognuno degli umani (e non) con cui convive. Questo nella mia, forse fortunata, esperienza.

  7. Pensa che, Marcella, il primo nome di tutta la produzione di Pat, dagli inizi di tot anni fa, era Aspirina. Poi, non ridere!, la Bayer le ha obbligate a rinunciare al nome. Sono diventate Erbacce. Hai voglia, a estirparle!

  8. Gentile Marcella, mi è venuto in mente di porre un’ulteriore notazione a quella che lei ha aggiunto alle mie: il gatto, diversamente dal cane che è sempre piantato per terra, vive in una dimensione di verticalità, è un po’ ‘gotico’: questo spiega perché il suo Balù fugge sui tetti, così come può saltare sopra un armadio, un mobile, una mensola e quant’altro. Il gatto ama osservare dall’alto noi poveri mortali.

  9. …sempre cercando di ragionare sul: perchè’ proprio, o in particolare, il gatto? Sempre secondo me: in quanto dapprima ci trasferisce in un mondo domestico che ci rassicura, ma anche se selvatico, in presenza di baruffe, cacce prodigiose, tempeste improvvise… ci incuriosisce e ci allontana dalle nostre paure…in un secondo momento favorisce i nostri esercizi sentimentali, protettivi, lirici, filosofici…ci convince persino della possibilità dell’assurdo. Ha una dimensione orizzontale e pure verticale, ci guarda dall’alto, con distacco e superiorità, anche se questo primato lo lascio agli uccelli, altri esseri del mistero…Forse nel gatto puo’ nascondersi la famosa lettera El Aleph che, secondo L. Borges, raccoglie la complessità dell’intero universo, un luogo non luogo dove tutto confluisce…assomiglia al caos nella mente dei bambini…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *