Archivi tag: Michele Nigro

Diarismi: da “1984” a “Seven”

di Michele Nigro

Comincerei affermando che la diaristica può essere anche un genere letterario; è bene specificarlo – sottolineando il “può essere anche” – perché non tutti i vostri “sfogatoi su carta” chiusi nei cassetti, ahimè, diventeranno opere letterarie da leggere o studiare. Continua la lettura di Diarismi: da “1984” a “Seven”

Elogio del post apocalittico

di Michele Nigro

    "Lo sa cosa facevo prima della guerra? Vendevo fotocopiatrici..."   (Generale Bethlehem, signore della guerra. Dal film "L'uomo del giorno dopo")

Perché il sottogenere post apocalittico, sia letterario che cinematografico, ci affascina e attira molti di noi? Perché siamo dei convinti estinzionisti? Perché siamo talmente pessimisti sul futuro dell’umanità che non riusciamo a prospettare un avvenire diverso da quello catastrofico? Perché odiamo i nostri simili e auspichiamo uno spopolamento del pianeta, caso mai fantasticando su di noi che, rimasti soli soletti, avremmo tanto spazio a disposizione? Perché non si farebbe più la fila ai negozi e non si userebbe più il denaro guadagnato andando a fare un lavoro che non ci piace? Niente di tutto questo; se anche queste “idee” ci hanno sfiorato, è stato solo per un attimo, pensando soprattutto alle condizioni reali e poco romantiche in cui ci troveremmo a vivere se tutto ciò si avverasse. 

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Segnalazione. Michele Nigro

 

Tanta poesia, nei secoli, può essere ripercorsa proprio passando in rassegna i diversi tentativi di sistemazione dell’esistenza, attraverso un criterio privilegiato. Ad esempio, il censimento monologante di Spoon River, il salterio di Rilke, la fonoteca di Zanzotto, le Sacre Rappresentazioni (limpide o barocche) di Testori, il cinegiornale di Pasolini, la collezione di cartoline di Ungaretti, le partiture seriali di Sanguineti: ogni poeta sceglie il suo modo di catalogare, chi l’erbario, chi il registro di classe, oppure la cartella clinica, il decalogo, il ricettario, senza contare i poeti che, da Brecht a Magrelli, hanno usato proprio la parodia di forme e generi per archiviare il secolo e il mondo. In un testo chiave, Décadent, Nigro esplicita con cita con chiarezza i limiti di un simile esercizio.
 
Lascio ad altri
l’ossessione tassonomica
l’ordine delle cose per
sentirsi in pace
e il controllo sulla morte
 
Sul rapporto con le cose e la loro posizione nel cosmo, una poesia come Archivio è paradigmatica, per capire cosa conservare e perché no, così come Le cose belle di sempre (La dispensa) ci regala un limpido elenco di quello che ci fa bene ed è da salvare, con la memoria e con la poesia. «Ogni cosa mi istruisce sulle distanze / tra la piccola storia / e l’infinito», sigla Notturno breve.
 

(dalla  prefazione di Stefano Serri)

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Jurij Živago, la morte e il vento…

di Michele Nigro

Può un’unica sequenza contenere il “dna” di un intero film (e addirittura del romanzo da cui trae origine)? Presuntuosamente rispondo di . Le inquadrature volute dal regista, la colonna sonora che rinforza la drammaticità speranzosa del momento, le scene che narrano senza l’ausilio di dialoghi il processo evolutivo di un’anima acerba: si ha la fortuna di assistere all’incipit di una nuova poetica…

La scena a cui mi riferisco è quella in cui il piccolo Jurij Andrèevič Živago partecipa ai funerali della madre, nel film di David Lean Il dottor Živago (1965). Continua la lettura di Jurij Živago, la morte e il vento…